RAGUZZINI, Filippo
RAGUZZINI (Rauzzini, Rauzino), Filippo. – Architetto, nacque a Napoli il 19 luglio 1690 da Giovanni, mastro muratore e marmoraro, appartenente a una famiglia di imprenditori piuttosto nota e attiva in città e nei dintorni tra il Seicento e il Settecento (Rotili, 1982; Pasquali, 1991). Non si conosce il nome della madre. Le incertezze, dovute alle contraddittorie indicazioni di alcune fonti documentarie e iconografiche, in merito al luogo e in specie alla data di nascita, per lungo tempo stimata risalente al 1680, sembrerebbero definitivamente fugate da recenti acquisizioni, non ultimo il rinvenimento dell’accordo matrimoniale con Fortunata Carapella (Carambella) stipulato da «Filippo Antonio Carmine Rauzino» il 2 marzo 1715 presso la chiesa della Ss. Annunziata a Fonseca, nel quale lo sposo si dichiara «scultore di marmi» nato appunto a Napoli il 19 luglio 1690 (Metzger Habel, 1988; Stroffolino, 2007). Per le medesime ragioni l’appellativo di «beneventano» frequentemente rivoltogli da contemporanei quali Francesco Valesio e Pier Leone Ghezzi, il quale ultimo lo ritrasse in una caricatura nel 1731 (Città del Vaticano, Biblioteca apostolica Vaticana, Ottoboniani latini, 3116, c. 179) ponendo in calce una pungente didascalia, avrebbe avuto quindi, al pari del termine «gotico», un’accezione unicamente dispregiativa, per essere stato egli un protetto di Pietro Francesco Orsini (in religione Vincenzo Maria), arcivescovo di Benevento, innalzato al soglio pontificio nel 1724 con il nome di Benedetto XIII.
Dell’eccessiva predilezione da parte del pontefice per «quelli di Benevento», nota anche a Montesquieu, in viaggio per l’Italia tra il 1728 e il 1729 (Viaggio in Italia, a cura di G. Macchia - M. Colesanti, Bari 20083, p. 151), sembrerebbe dunque aver beneficiato anche Raguzzini, chiamato dapprima nella città sannita e successivamente a Roma.
La nascita a Napoli e l’appartenenza a una stirpe di marmorari avvalorano la plausibilità dell’ipotesi formulata circa la formazione del giovane Filippo presso Francesco Solimena, pittore e architetto molto vicino a Orsini (De Dominici, 1742) ed esponente di spicco del tardo barocco napoletano, su disegno del quale Giovanni Raguzzini aveva realizzato l’altare maggiore in S. Maria Donnaregina (1701; Pezone, 2008; Pisani, 2011); probabilmente nella stessa bottega Filippo entrò in contatto con Giovan Battista Nauclerio e Domenico Antonio Vaccaro, «protagonisti dello scenario architettonico partenopeo dei primi anni del Settecento» (Pisani, 2011, p. 31).
Non si hanno ulteriori notizie circa gli inizi dell’attività nella città natale, se si esclude quanto dichiarato nell’atto di matrimonio: ciò che peraltro induce a riflettere su quanto, «nel movimento delle sue facciate, nei rigonfiamenti, nelle spezzature e negli ornati vivaci vi sia dei marmorari napoletani» (Rotili, 1982, p. 26). Analogamente poco documentato appare il successivo periodo beneventano, in merito al quale la posticipazione della data di nascita ha indotto a rivedere alcuni assunti della tradizione storiografica.
A seguito dei gravi terremoti del 1688 e del 1702, Benevento aveva visto all’opera, nel «cantiere infinito» della ricostruzione, più generazioni di architetti (Pezone, 2008, p. 201); da parte sua, il futuro papa Benedetto XIII era stato il promotore di numerose e importanti opere di trasformazione volte a conferire un nuovo assetto alla città. Raguzzini fu certamente introdotto per mezzo dei familiari: «in particolare Giovanni e Giuseppe, padre e zio di Filippo, dovevano aver lavorato per l’arcivescovo sin dagli anni ottanta del Seicento» (ibid.). La presenza di Giovanni è documentata dal 1702 per i lavori in atto nella chiesa del Gesù e dal 1711 in quella del Carmine, mentre Giuseppe risulta attivo in Benevento tra il 1710 e il 1716 (ibid.). Alla luce delle recenti acquisizioni documentarie, l’arrivo nella città sannita di Filippo non può porsi peraltro in diretta connessione con l’evento sismico del 1702, essendo Filippo appena dodicenne. La sua permanenza beneventana, così come quella di Nauclerio, è quindi sicuramente da collocarsi più tardi (ibid.). Ciò indurrebbe a non considerare attendibile l’attribuzione all’architetto napoletano (Rotili, 1951) della cappella di S. Gennaro nella chiesa dell’Annunziata, compiuta nel 1710: infatti, pur essendo questa stilisticamente riconducibile ai Raguzzini, lo specifico ruolo di Filippo, all’epoca ventenne, non potrebbe essere stato che di semplice aiuto (Pezone, 2008).
Ulteriori studi ne hanno dimostrato l’estraneità all’esecuzione di opere successive e tradizionalmente a lui attribuite, quali il rinnovato palazzo De Simone, intrapreso a partire dal 1739 e di recente annoverato tra le opere di Gaetano Zoppoli, beneventano, della medesima stirpe delle maestranze chiamate a Roma da Orsini (ibid.), e il palazzo Terragnoli, già reputato di Raguzzini (Venditti, 1972) in ragione dei caratteri stilistici «vicini al rococò romano», artefice del quale è risultato tale Filippo Ferruccio (Pezone, 2008); tuttora riconducibili a Raguzzini, seppure sulla base di sole analogie di linguaggio (Rotili, 1951), sarebbero invece i successivi progetti (1725-26 ca.) per le chiese di S. Bartolomeo e di S. Filippo, ascritte a Zoppoli quanto alla realizzazione (Pezone, 2008).
Il trasferimento a Roma di Raguzzini si fa risalire agli anni 1723-24, in concomitanza con l’elezione a pontefice dell’Orsini e nell’imminenza del giubileo del 1725; con l’architetto napoletano giunsero in città, analogamente per volere di Benedetto XIII, un «manipolo di costruttori beneventani» (Pisani, 2011, p. 46), subito malvisti dalle maestranze locali.
Dal 1724 in poi, e per l’intera durata del pontificato, Raguzzini visse un periodo di straordinaria attività e fortuna professionale, anche grazie alla conoscenza del cardinale Niccolò Coscia, che gli valse numerosi incarichi pubblici. Nominato cavaliere dello Speron d’oro nel 1725, nel 1727 fu eletto tra gli accademici di merito in S. Luca. Nel 1726 succedette a Tommaso Mattei come architetto della Reverenda Camera apostolica; dal 1726 al 1729 fu architetto dell’Annona e nel 1729 revisore delle misure della Reverenda Fabbrica di S. Pietro.
A seguito di un accordo stipulato nel maggio del 1728 con Alessandro Specchi, già gravemente malato, Raguzzini gli subentrò in tutti gli incarichi cui egli aveva fino ad allora ottemperato, divenendo architetto del popolo romano, del tribunale delle Acque e Strade (fino al 1743) e, fino al 1730, dei Sacri Palazzi apostolici (Pasquali, 1991, p. 427).
Prima opera romana di una certa rilevanza fu l’intervento in S. Maria sopra Minerva, ascrivibile ai numerosi lavori intrapresi in occasione del giubileo del 1725. Qui Raguzzini realizzò un battistero in luogo della preesistente cappella del Presepio e curò la risistemazione delle cappelle di S. Domenico (1724-25) e del Crocifisso (1726).
I lavori nella chiesa erano stati commissionati direttamente dal pontefice, che aveva affidato l’esecuzione della facciata alle «famigerate maestranze beneventane degli Zoppoli» (G. Curcio, Roma tra il 1700 e il 1750, in Storia dell’architettura italiana. Il Settecento, I, 2000, p. 175), le quali l’avevano resa «impoverita e senza grazia» in virtù della cattiva qualità della finitura a intonaco (Pisani, 2011, pp. 64 s.).
La critica appare piuttosto concorde nel ravvisare, nel ricorso alle grandi colonne di marmo nero e nella «uggiosa policromia» dei partiti decorativi (Portoghesi, 19925, p. 392) della cappella intitolata al fondatore dell’ordine, il disorientamento di Raguzzini dinanzi alla «scala monumentale dell’architettura romana» (G. Curcio, Roma..., cit., p. 176), quasi a conferma di quanto sostenuto da Gian Lorenzo Bernini in merito al gusto napoletano per «le cose da nulla e le dorature» (Portoghesi, 19925, p. 392). Già a partire dai successivi lavori – i restauri nelle chiese di S. Sisto Vecchio (1725-27), di S. Maria in Domnica (1726) e dei Ss. Quirico e Giulitta (1728-33) – l’approccio progettuale si fece più raffinato e sicuro. Ne è prova un’opera compiuta tra il 1724 e il 1726, l’ospedale di S. Gallicano in Trastevere, esemplare per qualità architettonica e grandemente innovativa sotto il profilo funzionale.
Quella concepita da Raguzzini fu «la prima struttura ospedaliera di concezione moderna a Roma» (G. Curcio, Roma..., cit.). L’architetto adottò l’impianto con sviluppo longitudinale tipico degli ospedali romani: la cappella di S. Maria, posta in posizione centrale a mo’ di cerniera, suddivide l’assieme in due zone distinte, strutturate in forma di corsie e adibite ai reparti femminile e maschile. Gli ambienti, di notevole altezza per consentire un’adeguata ventilazione, sono caratterizzati da soffitti voltati e da una serie di ampie bucature lungo i due lati. Raguzzini pose particolare cura nella progettazione, realizzando canalizzazioni singole nello spessore dei muri perimetrali per lo scarico dei «sedini» (ibid.), una sorta di buglioli collocati ogni due posti letto, e un impianto fognario al servizio dell’intera struttura.
Il prospetto sulla strada è scandito dalle paraste poggianti su una fascia basamentale continua, che inquadrano i finestroni del piano superiore. La predominanza di superfici piene nel livello sottostante è attenuata visivamente da una serie di finti oculi, contornati da cornici mistilinee, che ribadiscono la sequenza ritmica delle finestre superiori. Unica soluzione di continuità è costituita dalla «proiezione convessa» (ibid.) del fronte della cappella, nel quale l’ordine inferiore, estremamente dilatato in altezza, è connotato da un fornice centrale sovrastato da un finestrone a sesto ribassato. L’ordine superiore, ‘pressato’ dallo sviluppo della parte sottostante, è coronato da una cimasa recante un fastigio contornato da una cornice mistilinea.
Una soluzione analoga fu riproposta da Raguzzini nella chiesa di S. Maria della Quercia (1727-31), intrapresa per conto della Confraternita dei Macellai. Qui l’idea progettuale è resa con maggiore incisività: la proiezione della facciata si fa più pronunciata per effetto del movimento conferito dalle paraste e dai risalti delle cornici. Il coronamento, curvilineo come nella chiesa in S. Gallicano, è analogamente segnato dalle cornici che delineano, marcandola, la sequenza dei piani.
L’attività febbrile che caratterizzò quegli anni vide Raguzzini alle prese con il restauro e il consolidamento della cappella Sistina in S. Maria Maggiore (1725) e con vari lavori di sistemazione in S. Giovanni in Laterano e in S. Pietro (1726); ancora in Vaticano curò, in qualità di architetto dei Sacri Palazzi, la sistemazione degli appartamenti del pontefice. Nello stesso anno intraprese i lavori di restauro della chiesa e del convento di S. Maria del Rosario a Monte Mario e di sistemazione della cappella del Presepe in S. Maria in Trastevere; nella chiesa di S. Filippo in via Giulia curò la realizzazione del nuovo altare (1727) e della facciata (1728; Pasquali, 1991); tra il 1728 e il 1731 eseguì, «su esplicito invito del papa» (ibid.), il restauro dell’oratorio di S. Biagio dei Materassari (chiesa del Divino Amore).
Per il cardinale Niccolò Maria Lercari, divenuto segretario di Stato nel 1726, lavorò, nell’ambito della ristrutturazione del suo palazzo in Albano a opera di Tommaso De Marchis, alla realizzazione della piccola piazza a emiciclo davanti all’edificio e della cappella situata al piano nobile di questo (1729; Benedetti, 2007); ancora nel 1729 diede i disegni per la collegiata di Pietradefusi, nell’Avellinese, luogo natale del cardinale Coscia (Pasquali, 1991).
Tra il 1727 e il 1735 realizzò per conto dei gesuiti la sua opera più nota, la sistemazione della piazza davanti alla chiesa di S. Ignazio mediante una cortina edilizia a delimitazione dell’area, resa libera dopo le demolizioni dei fabbricati di proprietà della Nazione bergamasca trasferitasi presso piazza di Pietra e piazza Colonna (G. Curcio, Roma..., cit.). I palazzetti da pigione richiesti dalla committenza avrebbero dovuto essere articolati e dimensionati in modo da rapportarsi convenientemente alla possente facciata della chiesa, disegnata da Alessandro Algardi. Raguzzini risolse brillantemente una questione compositiva non facile escogitando una scena teatrale dinanzi alla chiesa, ponendo un edificio triangolare, con pareti concave e angoli smussati, sull’asse mediano e due ai suoi lati, con il medesimo andamento ricurvo, in posizione arretrata a mo’ di quinte.
I tre corpi di fabbrica (noti poi come burrò) si raccordano a mezzo di cerniere cilindriche – i cosiddetti sfondati – formate da quelle concavità: l’artificio visivo determina «una trama di assi preferenziali di osservazione di coinvolgente interesse percettivo» (Pisani, 2011, p. 103).
La fine del pontificato decretò la decadenza della fortuna di Raguzzini e la sua rimozione da alcune cariche. Nel settembre del 1731 fu tratto in arresto per questioni legate agli ingiustificati guadagni delle maestranze beneventane; rilasciato nel mese di ottobre, riuscì, a seguito di un’azione legale, a essere reintegrato quale architetto del popolo romano nel 1733, mantenendo tale ruolo per tutta la vita.
La successiva attività si ridusse a «cose fievoli, ma molto laboriose», come egli stesso le definì (Rotili, 1951; Di Marco, 2008): si ricordano la pianta della rete di distribuzione dell’acqua Felice dal Campidoglio alle fontane pubbliche della Camera capitolina (1748) e la sua estromissione in favore di Ferdinando Fuga dai lavori per la realizzazione della nuova Pinacoteca capitolina (Pasquali, 2000). Fu ammesso tra i Virtuosi al Pantheon nel 1749.
Morì a Roma il 21 febbraio 1771.
Fonti e Bibl.: B. De Dominici, Vite de’ pittori, scultori ed architetti napoletani, III, Napoli 1742, pp. 580 s.; M. Loret, L’architetto R. e il rococò in Roma, in Bollettino d’arte del Ministero della Pubblica Istruzione, s. 3, XXVII (1934), 7, pp. 313-321; U. Thieme - F. Becker, Künstlerlexikon, XXVIII, Leipzig 1934, pp. 47 s., s.v. Rauzzini; M. Rotili, F. R. e il rococò romano, Roma 1951; A. Venditti, Un’opera del R.: il palazzo Terragnoli a Benevento, in Studi di storia dell’arte in onore di Valerio Mariani, Napoli 1972, pp. 215-226; M. Rotili, F. R. nel terzo centenario della nascita. Precisazioni, aggiunte e prospettive di studio, Napoli 1982; A.P. Latini, Censimento delle opere architettoniche in occasione del giubileo del 1725, in Roma 1300-1875. La città degli anni santi. Atlante (catal., Roma), a cura di M. Fagiolo - M.L. Madonna, Milano 1985, pp. 296-298; D. Metzger Habel, F. R., Carlo De Dominicis and Domenico Gregorini: new documentation, in Paragone, XXXIX (1988), 455, pp. 69 s.; S. Pasquali, F. R., in In urbe architectus. Modelli, disegni, misure. La professione dell’architetto, Roma 1680-1750, a cura di G. Curcio - B. Contardi, Roma 1991, pp. 427-429; P. Portoghesi, Roma barocca, Roma-Bari 19925, ad ind.; G. Bonaccorso - T. Manfredi, I virtuosi al Pantheon 1700/1758, Roma 1998, pp. 35-37, 127 s., 144; R. Di Battista, Il progetto di F. R. per le case dell’Università di Santa Maria della Quercia, in Roma, le case, la città, a cura di E. Debenedetti, Roma 1998, pp. 169-177; P. Di Giammaria, Un problema di attribuzione: l’altare maggiore della chiesa dello Spirito Santo dei Napoletani in via Giulia consacrato nel 1723, in L’arte per i giubilei e tra i giubilei del Settecento, a cura di E. Debenedetti, I, Roma 1999, pp. 237-242; S. Magister, I restauri del R. nelle chiese romane e un caso inedito di collaborazione con Tommaso Mattei, Alessandro Specchi e Pier Leone Ghezzi in Santa Maria in Domnica, ibid., pp. 227-234; F. Gallo, I giubilei del 1750 e 1775 in Santa Maria in Aracoeli: interventi e personalità da riscoprire, ibid., II, Roma 2000, pp. 181-187; S. Pasquali, R., Theodoli e Fuga: progetti per il completamento della fabbrica della Pinacoteca in Campidoglio, ibid., pp. 119-132; Storia dell’architettura italiana. Il Settecento, a cura di G. Curcio - E. Kieven, I, Milano 2000, ad ind.; S. Benedetti, Tommaso De Marchis e F. R. nel palazzo Lercari di Albano, in Architettura nella storia. Scritti in onore di Alfonso Gambardella, a cura di G. Cantone - L. Marcucci - E. Manzo, I, Ginevra-Milano 2007, pp. 344-356; D. Stroffolino, Benevento città d’autore. F. R. e l’architettura nel XVIII secolo, Napoli 2007; F. Di Marco, R., l’acqua Felice e il Campidoglio: «cose fievoli ma molto laboriose», in Roma moderna e contemporanea, XVI (2008), 2, monografico: Le reti dell’acqua dal tardo Cinquecento al Settecento, pp. 293-305; M.G. Pezone, Carlo Buratti. Architettura tardo barocca tra Roma e Napoli, Firenze 2008, p. 201; M. Pisani, F. R. Piazza Sant’Ignazio. Un capolavoro inaspettato, Melfi 2011.