PEPOLI, Filippo
PEPOLI, Filippo. – Figlio di Guido di Giovanni e di Margherita di Filippo Roberti, nacque a Bologna verso il 1405.
Terzo figlio maschio di Guido, Filippo vide la luce dopo Taddeo e Romeo e prima di Giacomo, Obizzo e Antonio. Ebbe anche una sorella maggiore, Margherita, e due minori, Bianca e Diamante (Sommari, 143, p. 49). Come il primogenito Taddeo, che dal 1425 ebbe la cura d’anime della chiesa bolognese di S. Maria della Mascarella, Filippo fu avviato dal padre alla carriera ecclesiastica, in cui raggiunse livelli assai alti, ma non la dignità vescovile (Sommari, 143, p. 54). Nel maggio del 1447, infatti, papa Nicolò V, che nel 1444-45 era stato vescovo di Bologna, lo nominò priore del monastero dei crociferi di S. Maria del Morello e, subito dopo, priore generale dell’Ordine, ma soprattutto dall’ottobre dello stesso anno Filippo fu arcidiacono della cattedrale di S. Pietro e protonotario apostolico (Storia, genealogia, nobiltà, 24, c. 87r). Esito naturale di questa brillante carriera sarebbe stata, appunto, una nomina vescovile, negatagli probabilmente dalla morte prematura (Sommari, 143, pp. 171 s.).
Altrettanto brillante e ancor più rapida fu la carriera accademica di Filippo, condotta in parallelo con quella del fratello maggiore Romeo. Si laurearono entrambi nel 1437: Romeo in diritto civile il 27 luglio, Filippo in diritto canonico il 20 novembre, presentato all’esame, quest’ultimo, dallo zio Giovanni Galeazzo Pepoli, dottore canonista e abate di Nonantola (Liber secretus, c. 70r). Promosso all’unanimità e con lode, accolto di lì a poco nel Collegio dei dottori di diritto canonico, Filippo, come Romeo, iniziò nel successivo anno accademico 1438-39 l’attività didattica, con la lettura festiva delle Decretali.
A quell’insegnamento, tenuto ininterrottamente fino al 1447, Filippo affiancò gli altri consueti impegni dei dottori collegiati: presentazioni di candidati e riunioni del Collegio, di cui fu priore nel primo semestre del 1445. L’anno accademico 1447-48 registrò per lui una significativa promozione, riflesso diretto dei suoi successi nella carriera ecclesiastica: il ‘degnissimo arcidiacono’ Filippo Pepoli, come lo definiscono le fonti interne allo Studium, ottenne infatti l’insegnamento festivo del Decreto; quella cattedra gli fu assegnata anche per l’anno accademico 1448-49 che Filippo non portò a termine, morendo nella primavera del 1449 (I Rotuli, I, 1888, pp. 10-24).
Gli impegni universitari non gli impedirono di seguire con notevole attenzione gli affari patrimoniali di famiglia, anche se in questo ambito il più attivo fra i sei fratelli Pepoli fu certamente Romeo, così come lo stato di ecclesiastico non impedì a Filippo di partecipare in prima persona e con notevole efficacia alla vita politica della sua città. Nello stesso anno, e anzi negli stessi mesi in cui stava laureandosi, fra settembre e novembre del 1437, Filippo concluse, in collaborazione con Romeo, alcuni importanti investimenti, acquistando nella pianura a nord di Bologna terre poi cedute in locazione agli stessi venditori (Sommari, 143, pp. 94 s.). Si tratta di operazioni speculative molto frequenti, di una vera strategia economica anzi, messa in atto dai Pepoli su larga scala, come dimostrano alcuni contratti, stipulati da Filippo a Mantova nel 1448, quando gli atti notarili già lo qualificavano «protonotario apostolico». Si conclusero in quell’occasione vari acquisti di ampie estensioni di terra, con annessi edifici, terre in seguito concesse in enfiteusi agli stessi venditori.
Furono investimenti di notevole impegno finanziario, ma anche molto lucrativi. Duecento biolche, acquistate a 1200 ducati d’oro nell’aprile 1448, furono, ad esempio, affittate nel successivo novembre al canone annuo di 72 ducati (Sommari, 143, pp. 163-171). Oltre alle terre, prative e arative per lo più, le imprese economiche dei Pepoli coinvolgevano in questi anni anche mulini ed edifici abitativi, situati anch’essi nella pianura settentrionale e nelle zone in cui da quasi due secoli si concentravano gli interessi della famiglia: San Giovanni in Persiceto, Crevalcore, Nonantola.
È uno scenario in cui politica e affari, prestigio sociale e potere economico si intrecciavano inestricabilmente. Difficile, ad esempio, distinguere interessi privati e scelte di politica annonaria del Comune, nella donazione di metà del mulino di Castelbolognese, che il governatore Nicolò Piccinino e i Sedici Riformatori fecero nel 1442 ai Pepoli, nelle persone di Filippo e Romeo, i quali da parte loro si impegnavano a gestire l’impianto in collaborazione con gli uffici annonari comunali (Sommari, 143, p. 119).
La commistione fra affari e politica fu del resto un tratto caratterizzante, certo non esclusivo, della famiglia Pepoli, almeno dalla metà del XIII secolo. Filippo non fece eccezione, per lunghi tratti affiancandosi, anche sulla scena pubblica, al fratello Romeo. Nel marzo 1438, i due furono fra i più strenui alleati di Raffaello Foscherari, animatore e guida della fazione che, opponendosi al legato pontificio, mirava a ricondurre Bologna nell’orbita della signoria viscontea. Quelle aspirazioni furono coronate da successo e il 24 marzo 1438 Nicolò Piccinino, capitano generale dei Visconti, entrò in armi nella città prendendone possesso (Ghirardacci, 1933, I, p. 51). I progetti politici dei governatori viscontei – in sua rappresentanza il Piccinino lasciò a Bologna il figlio Francesco – si scontrarono ben presto con l’insofferenza dei gruppi familiari cittadini, spesso in conflitto fra loro, ma pronti a collegarsi temporaneamente contro potentati forestieri. Insieme con i Marescotti e i Malvezzi, i Pepoli si allearono in quell’occasione alla famiglia Bentivoglio, che aggregava le aspirazioni autonomiste dell’aristocrazia bolognese. Quando, nell’ottobre 1442, Annibale Bentivoglio fu fatto prigioniero con uno stratagemma da Francesco Piccinino, Filippo Pepoli e il fratello si mobilitarono attivamente per la sua liberazione: Filippo fu uno degli ambasciatori inviati ad Assisi per trattare con Nicolò Piccinino la liberazione di Annibale; Romeo intanto preparava la ribellione militare contro la dominazione viscontea (Ghirardacci, 1933, I, pp. 73, 81). Liberato Bentivoglio e cacciate le truppe di Piccinino, mentre Romeo iniziava a occupare, dall’estate del 1443, le più alte cariche nell’amministrazione cittadina (nel collegio dei Riformatori e fra gli Anziani e Consoli), Filippo portò a termine altri importanti incarichi diplomatici, ottenendo, ad esempio, nel gennaio 1445 aiuti militari da Venezia contro le rinnovate minacce degli eserciti viscontei, e in seguito ricoprì egli stesso la carica prestigiosa di gonfaloniere di Giustizia (Ghirardacci, 1933, I, pp. 100, 109). Quasi subito, tuttavia, i rapporti fra Pepoli e Bentivoglio si raffreddarono e già nel 1446 l’arrogante egemonia di Sante Bentivoglio provocò un riavvicinamento fra i Pepoli e la diplomazia pontificia.
Proprio Filippo e Romeo furono protagonisti allora del tentativo più organico, ancorché sfortunato, di recuperare il controllo politico della città. Nella primavera del 1449, incapace di reprimere le violenze interne alimentate dai Bentivoglio, il legato Astorre Agnesi abbandonò la città lasciando Filippo come suo luogotenente, mentre Romeo e i suoi alleati si ritiravano a Castel San Pietro per riorganizzare militarmente la fazione antibentivolesca, le cui maggiori speranze erano riposte tuttavia nell’appoggio del papa e dei suoi alleati. Nell’aprile 1449, Filippo Pepoli partì dunque per una delicata missione diplomatica presso la corte pontificia. La morte improvvisa gli impedì di portarla a termine e questo segnò anche il destino del fratello Romeo, morto in esilio nel 1451 (Ghirardacci, 1933, I, p. 129).
Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Bologna, Famiglia Pepoli, Istrumenti, serie I/A, Sommari, 143; Storia, genealogia, nobiltà, 24, «Volume in foglio in cui si mostra a grado a grado i sogetti che ha avuto la famiglia Pepoli»; Archivio di Stato di Bologna, Studio, 126, Liber secretus iuris canonici, I; P. Alidosi, Li dottori bolognesi di legge canonica e civile, Bologna 1620; S. Mazzetti, Repertorio di tutti i professori della famosa Università di Bologna, Bologna 1848; I Rotuli dei lettori legisti e artisti dello Studio bolognese, a cura di U. Dallari, I-IV, Bologna 1888-1924; C. Ghirardacci, Historia di Bologna. Parte terza, a cura di A. Sorbelli, I-II, Bologna 1933; A. De Benedictis, Lo “stato popolare di libertà”: pratica di governo e cultura di governo (1376-1506), in Storia di Bologna, 2, Bologna nel Medioevo, a cura di O. Capitani, Bologna 2007, pp. 899-950.