PANANTI, Filippo
PANANTI, Filippo. – Nacque nella villa avita di Poggio a Greppi, nel popolo di S. Maria a Pulicciano, presso Ronta nel Mugello, il 19 marzo 1766 da Giuseppe e Caterina Angiola Gatti.
Ottavo di dieci figli, rimase orfano di padre a due anni e, insieme con i fratelli, passò sotto la tutela dello zio materno Angelo Gatti, clinico noto all’epoca per avere, tra i primi, praticato la vaiolizzazione a scopo profilattico. Dopo i primi studi nel seminario-collegio vescovile di Pistoia (1777-85), si avvicinò alla Accademia di S. Leopoldo, ispirata dalle teorie del vescovo Scipione Ricci. Non mostrando inclinazione per la vita religiosa, lasciò il collegio e nel novembre 1585 si immatricolò nella facoltà di diritto dell’Università di Pisa. Fu allievo di Giovanni Maria Lampredi e Lorenzo Pignotti. Si laureò nel 1789, ma non praticò mai l’avvocatura, alla quale preferì la poesia, coltivata con passione fin dall’inizio degli studi universitari.
Nel 1792, grazie all’interessamento dello zio, divenuto medico di corte a Napoli, fu proposto a Lampredi per fare parte della commissione per la revisione del Codice civile toscano, ma il progetto non andò a buon fine per la prematura morte del Lampredi (1793). Ormai inserito nel contesto culturale fiorentino, divenne intimo del salotto del marchese Federico Manfredini. Pur non animato da profondo interesse per la politica, fu dapprima assertore di Robespierre, poi moderato dopo il Termidoro e infine, dal maggio 1795, mediatore ufficioso tra il governo granducale e il ministro francese residente a Firenze, André François Miot. Nel 1796, quando i rapporti tra Francia e Toscana presero a deteriorarsi e il governo inasprì le misure antirepubblicane, Pananti rinunciò al ruolo di mediatore e per un breve periodo si defilò dalla vita politica, viaggiando per la Toscana e dedicandosi all’improvvisazione poetica e alla convivialità.
Nel 1798, date le difficoltà economiche seguite alla morte dello zio, tornò a Firenze, contando su una discreta fama letteraria, benché non avesse ancora pubblicato nulla. Esordì di lì a poco con una raccolta di Epigrammi e novellette (Milano s.d., ma 1799) e due poemetti La civetta (ibid. 1799) e Il paretaio (ibid. 1803), mostrando fin da queste prime prove l’attitudine burlesca e narrativa, che lo ha fatto considerare il predecessore di Giuseppe Giusti e di Antonio Guadagnoli. La produzione epigrammatica, nonostante le accuse di scarsa originalità, fu a lui tanto congeniale che vi si dedicò per tutta la vita, mettendo assieme centinaia di componimenti prevalentemente ameni e arguti, apparsi in numerose edizioni, alcune delle quali messe all’Indice per la presenza di oscenità.
Con l’occupazione di Firenze da parte dei francesi (25 marzo 1799), Pananti proclamò le proprie posizioni democratiche, come attestano i suoi discorsi (due dei quali pubblicati nel Monitore fiorentino, n. 36, 6 maggio 1799 e n. 47, 18 maggio 1799), spesso pronunciati presso la Società patriottica fiorentina, di cui fu tra gli animatori.
Nel tentativo di placare la rivolta dei sanfedisti, si recò per due volte ad Arezzo assieme ad altri membri della Società, opponendosi all’atteggiamento del ministro Karl Friedrich Reinhard, responsabile del governo civile della Toscana, che non aveva negoziato con gli insorti. Pananti prese contatto con i capi dell’insurrezione e, nel timore del fallimento della mediazione, impedì che ricevessero i severi proclami governativi di esortazione alla resa. A seguito della ferma reazione di Reinhard, che fece pervenire i proclami ai ribelli, Pananti rischiò di essere ucciso da questi ultimi, poiché considerato un traditore.
Nell’agosto 1799, dopo la fuga dei francesi e la conseguente restaurazione, Pananti, paventando il furore degli aretini, nonché le persecuzioni del governo granducale (dal quale subì la temporanea confisca dei beni), riparò in Francia, dove dal marzo 1800 al settembre 1802 ebbe l’incarico di professore di lingua e letteratura italiana presso il collegio di Sorèze (Tarn).
Nel 1803 si trasferì a Londra e benché intendesse trattenersi solo qualche mese, vi rimase dieci anni, anche a causa della ripresa delle ostilità con la Francia. Oltre a insegnare italiano anche a esponenti della nobiltà, tentò speculazioni commerciali, fece traduzioni e fondò nel 1813, assieme ad altri compatrioti, un giornale politico-letterario, L’Italico, di cui divenne il primo direttore. In questo periodico, oltre a vari articoli in prosa, comparvero moltissimi suoi epigrammi, poesie e critiche teatrali. Fra gli italiani con cui strinse amicizia, molti dei quali esuli a cui fornì aiuto, figura Lorenzo Da Ponte che, in procinto di emigrare in America, consentì a Pananti di subentrargli nell’incarico di poeta al servizio del King’s Theatre in Haymarket (il teatro italiano di Londra). In questa nuova veste, contando su una soddisfacente retribuzione, si dedicò a comporre (non è rimasto che un titolo, Gli amanti rivali), destreggiandosi tra compromessi artistici e difficili relazioni con le compagnie. Ispirato da questa esperienza, Pananti diede alle stampe Il poeta di teatro (Londra 1808), poema tragicomico ripetutamente rielaborato, dove la narrazione umoristica, svolta con l’efficacia di un linguaggio vicino al parlato, si richiama a modelli letterari illustri, in particolare Laurence Sterne e Francesco Berni.
Deciso a tornare in Italia, nel 1813 si imbarcò da Calais per la Sicilia e, poco dopo avere passato Gibilterra, cadde prigioniero di pirati algerini, fu condotto in Africa e ridotto in schiavitù. Per intercessione del consolato inglese, fu liberato in breve tempo, ma perse tutti i beni sottrattigli al momento della cattura, compresi i libri e i manoscritti contenenti i suoi lavori. Costretto a trattenersi ad Algeri in attesa dell’opportunità di imbarcarsi, poté visitare la città e, pare, altre zone del Nordafrica.
La narrazione di questa permanenza confluì nelle Avventure ed osservazioni… sulle coste di Barberia (Firenze 1817), di cui una breve anticipazione, I quattro più orribili mesi della mia vita, era apparsa su L’Italico nel 1814.
L’opera godette di discreta fortuna, attestata da diverse edizioni e da traduzioni in inglese (Londra 1818), francese (Parigi 1820) e tedesco (Berlino 1823). Alla rievocazione dell’avventura algerina, viva ed efficace nel racconto dei particolari, fa seguito una seconda parte geografica, che, ricca di contenuti tratti da opere altrui, procurò all’autore accuse di plagio (Biblioteca italiana, II [1817], 7, pp. 43-74; A. Genovesi, Epistola dell’uomo fermo di Vicchio all’uomo girellaio di Ronta, Firenze 1817). Con il titolo Relazione di un viaggio in Algeri (in Opere in versi e in prosa, Firenze 1824-25), Pananti ne rielaborò un’ulteriore versione priva di molte parti autobiografiche.
Alla fine del 1813 Pananti riuscì a lasciare Algeri e raggiunse Palermo (gennaio 1814), dove, nei sei mesi di permanenza, fondò un giornale democratico filoinglese, il Corriere di Sicilia, la cui pubblicazione cessò con il suo ritorno in Toscana.
Si stabilì definitivamente a Firenze grazie ai risparmi depositati in una banca londinese prima della disavventura algerina e decise di non viaggiare più. Soltanto tra il 1818 e il 1819 fu a Londra e in Olanda a causa di affari in sospeso. Continuò a dedicarsi alla letteratura, come attesta la sua partecipazione al concorso indetto dall’Accademia della Crusca nel 1828 con la nuova edizione delle sue Opere in versi e in prosa. Vi partecipò anche Leopardi con le Operette morali, ma il vincitore fu Carlo Botta con la Storia d’Italia dal 1789 al 1814. Pananti ottenne comunque riconoscimenti e rientrò in seguito fra gli autori citati nel Vocabolario dell’Accademia. L’8 aprile 1820 fu tra i primi ad associarsi al Gabinetto scientifico e letterario fondato da Gian Pietro Vieusseux. Fu acceso difensore della scuola letteraria toscana rispetto alle critiche della Biblioteca italiana, nonché assiduo frequentatore del salotto fiorentino della marchesa Carlotta Lenzoni Medici, dove strinse amicizia con Giovan Battista Niccolini, Giuseppe Giusti e Atto Vannucci. Ebbe anche occasione di avvicinarvi Leopardi e Alessandro Manzoni.
Morì a Firenze il 14 settembre 1837 e fu tumulato nel chiostro della basilica di S. Croce. Il monumento funebre, scolpito dallo scultore Reginaldo Bilancini a seguito di una sottoscrizione di intellettuali e artisti fiorentini, fu completato da un epitaffio di Niccolini.
Le opere si leggono in M. Da Giunta, Antologia epigrammatica italiana, Firenze 1857, pp. 70-76; Rime e prose, a cura di P. Gori, Firenze 1882; Scritti minori inediti o sparsi, a cura di L. Andreani, Firenze 1897; Epigrammi e novellette, a cura di G. Raya, Catania 1927.
Fonti e Bibl.: [G. Montani], Opere in verso e in prosa di F. P., in Antologia, luglio 1825, pp. 109-140; A. Torri, Illustrazione alla biografia del P.: lettera, in Giornale di commercio, d’industria, teatri, X (1837), pp. 248 s.; E. De Tipaldo, Biografia degli italiani illustri, V, Venezia 1837, pp. 154-158; L. Razzolini, Indice delle edizioni citate come testi di lingua dagli accademici della Crusca, Milano 1863, p. 124; [L. Ciulli], F. P. e Giuseppe Giusti nel seminario-collegio vescovile di Pistoia, in Scienza e lettere, I (1883), 1, pp. 165-171; G. Biagi, Aneddoti letterari, Milano 1887, pp. 257-281; R. Renier, Una lettera autobiografica di F. P., in Strenna… dei rachitici, Genova 1888, pp. 59-72; G. Sforza, F. P. e gli avvenimenti toscani del 1798, inArchivio storico italiano, s. 5, III (1889), pp. 71-86 ; Id., Il P. in Inghilterra, in Giornale storico della letteratura italiana, X (1892), 19, pp. 389-396; G. Curcio Bufardeci, L’epigramma italiano, Ragusa 1896, pp. 56-61; E. Atte Cesarano, Il poeta di teatro, Padova 1896; L. Andreani, Bibliografia panantiana, Firenze 1896; C. Pettinato, Due precursori italiani in Tripolitania, in Illustrazione italiana, XXXVIII (1911), pp. 370-372; A. Simonetti, L’impresa di Tripoli e F. P., in Giornale d’Italia, 26 dicembre 1911; E. Del Cerro, F. P. giornalista, in Rivista d’Italia, dicembre 1915, pp. 871-891; G. Rabizzani, P. e Giusti, in Id., Sterne in Italia, Roma 1920, pp. 155-161; G. Mazzoni, L’Ottocento, Milano 1934, ad ind.; P. Pancrazi, Il dimenticato P., in Corriere della sera, 30 dicembre 1937; I. Greenlees, F. P., in Relazioni tra Inghilterra e Toscana nel Risorgimento. Atti del V Convegno storico toscano, Lucca 1953, pp. 235-257; C. Cappuccio, F. P., in Memorialisti dell’Ottocento, II, Milano-Napoli 1958, pp. 3-49; G. Innamorati, F. P., in Poeti minori dell’Ottocento, II, Milano-Napoli 1963, pp. 591-680; G. Magelli, La lingua del “Poeta di teatro”, in Lingua nostra, XXX (1969), pp. 72-77; S. Ramat, La pianta della poesia, Firenze 1972, pp. 59-65; A. Agostini, F. P. e gli avvenimenti toscani, in Rassegna storica toscana, XIX (1973), pp. 85-103; N. Mineo, Umorismo, in N. Mineo - G. Nicastro, Il Giusti e il teatro, Roma-Bari 1976, pp. 1-54; C. Casalegno, Sette lettere inedite di F. P., in Otto/Novecento, II (1978), 6, pp. 168-188; G. Scarpelli, Un italiano in Algeri, in Aperture, XVII-XVIII (2004-05), pp. 190-194; P. Ciampi, Il poeta e i pirati, Firenze 2005; P.T. Messeri, F. P., viaggiatore e poeta, tesi di laurea, Università degli studi di Firenze, a.a. 2011-12.