PALADINI, Filippo
PALADINI (Paladino), Filippo. – Nacque intorno al 1544 a Casi in Val di Sieve, presso Firenze, da Benedetto, «già famiglio del magistrato degli Otto di Balia» (Di Marzo, 1882, p. 175).
Tale indicazione cronologica, suggerita da un passo delle Vite di Susinno (1724) – nel quale si legge che Paladini morì a Mazzarino (Caltanisetta) nel 1614 «carico di gloria sopra ai settanta» – è stata ragionevolmente messa in dubbio dalla critica, che ha ipotizzato per l’artista una data di nascita di qualche anno successiva (Paolini, in Mostra, 1967, p. 36).
La prima fase di attività di Paladini rimane oscura. E, certo, non ha giovato alla conoscenza dei suoi inizi la confusione col pistoiese Filippo di Lorenzo Paladini operata da Francesco Tolomei (Guida di Pistoia, Pistoia 1821, pp. 191 s.), seguito da diversi studiosi (Colnaghi, 1928; Venturi, 1932). Già nel 1882, però, un saggio di Gioacchino Di Marzo aveva fornito chiarimenti significativi per la ricostruzione della vita e del percorso stilistico del pittore toscano (in buona parte compiuta nel fondamentale catalogo della mostra del 1967).
Mancano notizie intorno alla formazione dell’artista, di volta in volta associata a un possibile tirocinio presso Bernardino Poccetti (La Farina, 1836), Jacopo da Empoli (Ragghianti, 1946), Alessandro Allori o Maso da San Friano (Paolini, 1986, p. 136; Troisi, 1997, p. 2). Inoltre, del periodo più antico si conosce solo la tela raffigurante la Madonna col Bambino e i ss. Bartolomeo e Antonio abate della chiesa di S. Bartolomeo a Streda (presso Vinci), ora nel Museo diocesano di San Miniato (in passato riferita pure al Paladini pistoiese), affine alle opere maltesi – le prime a lui certamente riferibili – che rivelano una comune dipendenza da Andrea del Sarto (Paolini, in Mostra, 1967, pp. 35-37).
Paladini risulta immatricolato presso l’Accademia del disegno di Firenze nel 1576 e, ancora, nel 1578, anno in cui compare tra i «festaioli» per S. Luca; figura in seguito tra gli accademici nel 1580 e nel biennio 1584-85 (Colnaghi, 1928; Sebregondi, 2009, pp. 146-148). Di recente è stato accertato un suo soggiorno presso Ferrara nel 1583, nella delizia estensedi Medelana, dove dipinse i ritratti, non identificati, di Marfisa d’Este e di Torquato Tasso, come documenta uno scambio di sonetti tra l’autore della Gerusalemme liberata e Giulio Nuti (Sebregondi, 2009, pp. 149-152).
Nel 1586, a Firenze, per aver aggredito un certo Pierfrancesco di Giambattista de’ Giovanni, Paladini, contumace, fu condannato a tre anni di galea. Agli inizi del 1587 venne catturato, e in seguito deportato a Pisa e poi a Malta (Di Marzo, 1882, pp. 175-180). Nell’isola però, nonostante l’aggravamento della condanna (per ragioni sconosciute), poté godere di una sostanziale libertà, lavorando per il gran maestro Hugues de Loubenx de Verdalle; lo stemma di questi compare infatti nella tela del 1589 raffigurante la Madonna in trono con i ss. Giovanni Battista, Paolo, Ubaldesca, Giuseppe e un francescano, proveniente dalla cappella del palazzo Magistrale di La Valletta e oggi nel palazzo arcivescovile. Nello stesso ambiente il pittore eseguì anche gli affreschi con Storie del Battista.
Se nei murali Paladini rinvia ad Andrea del Sarto («mediato con probabilità dall’Allori») e a Poccetti, nella pala lo «spazio contratto», le «figure a grappoli» e la vivacità dei putti appaiono desunti da Jacopo Pontormo (Paolini, in Mostra, 1967, pp. 36 s.). Il pittore, «sugli esempi più classici di Fra Bartolomeo e Andrea del Sarto mediati anche dal Titi», offre tuttavia dello stile pontormesco «una versione corretta, riformata, [e] introduce un tono più sommesso e veridico» (ibid., p. 37). La vicinanza all’eloquio compassato di Santi di Tito – la cui «riforma», come è noto, era improntata a ideali di semplicità e compostezza – e l’ispirazione ad esempi severi di inizio Cinquecento avrebbero connotato gran parte dell’attività paladiniana (Bernini, 1961).
La mano di Paladini è stata riconosciuta pure in altre tele maltesi. Tra queste le Nozze mistiche di s. Caterina nella chiesa di S. Caterina d’Italia e la Circoncisione nella chiesa del Collegio a La Valletta, dove affiorano ricordi da Maso da San Friano e da Alessandro Allori. A Malta lasciò anche alcuni affreschi nella rocca di Monte Verdala, celebranti le imprese del sunnominato gran maestro, e lavorò per il vescovo Tommaso Gargallo, committente del Naufragio di s. Paolo esposto nella chiesa di S. Paolo a La Valletta (Di Marzo, 1882, p. 179).
Nell’estate del 1595 lasciò Malta, in seguito alla diffusione della notizia, poi rivelatasi infondata (Sebregondi, 2009, pp. 155-157), di una concessione della grazia, impetrata dal de Verdalle, da parte di Ferdinando I de’ Medici. Forse il pittore approdava sin da questa fase in Sicilia, benché non sia da escludere un rientro in Toscana, da clandestino, come induce a credere la sintonia con la pittura fiorentina di fine secolo che si avverte nelle opere siciliane. Purtroppo mancano sue notizie fino al 1598, quando risulta abitante a Ragusa, secondo quanto emerge da una procura fatta l’8 settembre a Paladini dal fiorentino Luigi Pegolotti (Nifosì, 2004). In Sicilia mantenne rapporti con l’Ordine di Malta e con mercanti e banchieri fiorentini trapiantati nell’isola. Tra Palermo e l’area centro orientale e meridionale, le sue numerose pale d’altare, sempre su tela, costituiscono l’apice qualitativo della produzione locale degli inizi del XVII secolo.
Nel 1601, anno a partire dal quale è possibile ricostruire più agevolmente la biografia del pittore, attestato quasi ininterrottamente nell’isola, Paladini acquistò una vigna a Mazzarino (La Farina, 1836, p. 74), luogo in cui, godendo dei favori del potente feudatario Fabrizio Branciforti, decise di stabilirsi (Ragona, 1967). Di questo stesso anno sono due rilevanti dipinti palermitani, firmati e datati, il S. Luca che ritrae la Vergine in S. Giorgio dei Genovesi e il S. Michele già in S. Francesco di Paola, ora nella Galleria regionale della Sicilia di Palazzo Abatellis: opere in cui è assai marcato il retaggio alloriano, ma vi affiorano pure apporti di estrazione zuccaresca, che hanno fatto pensare a un soggiorno romano del pittore sul finire del Cinquecento (Bernini, in Mostra, 1967, p. 42).
I quadri in questione, come altri più tardi, furono frutto di grande studio: lo provano diversi disegni compresi in due corposi taccuini dell’artista custoditi nel Museo di Palazzo Bellomo a Siracusa (Mauceri, 1910; Bernini, in Mostra, 1967, pp. 91-135; Paolini, 1986, pp. 145 s.). Tali fogli documentano la prassi di cercare svariatesoluzioni compositive e, più frequentemente, rivelano dettagli di pale d’altare solo in parte pervenuteci; meno frequenti i disegni legati all’ancora poco nota attività ritrattistica (Abbate, 1990) e allo studio di statue antiche (ad esempio il Laocoonte, forse conosciuto attraverso una copia presso i Branciforte). Al corpus grafico di Paladini, dove emergono, tra gli altri, contatti con Domenico Passignano e Poccetti (Forlani, 1962, p. 288), è stato possibile finora aggiungere solo poche altre testimonianze (Prosperi Valenti Rodinò, 1982).
Al 1603 risalgono le tele con S. Antonio abate nella chiesa di S. Domenico a Licata e con Labeata Agnese da Montepulciano in S. Cita a Palermo, entrambe firmate e datate.
Riprendendo una tipologia di pala agiografica piuttosto diffusa in Sicilia (Russo, in Russo - Vicari, 2007, pp. 72-81), i dipinti raccontano le storie dei due santi entro scomparti inquadrati da putti e sofisticate cornici.
Di lì a poco, nel 1604, con la Madonna dell’Itria di Caltagirone ebbe inizio un intenso rapporto con i cappuccini, ai quali dovette risultare davvero molto gradito lo stile elegante e austero del pittore, pienamente rispondente alle istanze di rigore e di chiarezza espositiva della Controriforma. La medesima soluzione della gloria angelica della suddetta pala, di matrice vasariana e zuccaresca, la disposizione dei santi, l’aspetto della Vergine, di sapore pontormesco e bronzinesco (Paolini, in Mostra, 1967, p. 45), ricompaiono nella Madonna e i ss. Pietro, Paolo, Dorotea e Agata della chiesa madre di Pietraperzia, forse richiesta dai Branciforte, e nella Madonna con i ss. Francesco d’Assisi, Francesco di Paola, Elisabetta e Caterina in S. Ignazio all’Olivella a Palermo datata 1605. Dello stesso anno è anche la monumentale Pietà con s. Giacomo della chiesa del Collegio di Caltagirone, di radice bronzinesca, non solo per l’impaginazione, ma anche per una certa levigatezza della materia (ibid., p. 51). Risulta invece apertamente ispirata a uno degli affreschi di Pontormo nella certosa del Galluzzo la Pietà(forse del 1607), in pessimo stato, della chiesa del convento dei cappuccini di Vizzini (Bottari, 1949, pp. 302 s.).
Non mancarono al pittore commesse provenienti anche da città della Sicilia orientale. A Messina, perduta la Madonna del Carmine del 1606 in S. Maria del Gesù (Di Marzo, 1882, p. 184), si conserva il bel S. Francesco stigmatizzato della chiesa dei cappuccini, ora nel Museo regionale della città (1610 circa), mentre a Catania, nella cattedrale, è il Martirio di s. Agata.
Quest’ultima opera, forse richiesta dal vescovo Gian Domenico Rebiba nel 1605, mostra, in particolare, una composizione di origine sartesca, con il tipico «preponderante sviluppo di un lato del fondale architettonico», ricorrente in molti quadri fiorentini del tardo Cinquecento (Paolini, in Mostra, 1967, p. 49).
Pur risiedendo a Mazzarino, Paladini ebbe costanti rapporti con alcune delle principali istituzioni religiose di Palermo e dintorni. Lo conferma, ad esempio, la notevole Predica del Battista del complesso benedettino di S. Martino delle Scale, siglata e datata 1608. La tela presenta un impianto schiettamente toscano, in cui appaiono condensati «ricordi pontormeschi, bronzineschi [e] alloriani» (Paolini, in Mostra, 1967, p. 56).
Sul finire del primo decennio del Seicento si collocano opere di notevole qualità, contraddistinte da schemi e modelli assunti quasi sempre dalla tradizione fiorentina, con le consuete figure allungate e sottili, di strenua eleganza disegnativa: basti pensare al Rosario in S. Domenico a Mazzarino (1608), alla Madonna della Mercede della chiesa madre di Vizzini, all’Estasi di s. Caterina di Palazzo Abatellis (1609), proveniente da S. Cita, all’Epifania nella chiesa dei cappuccini di Calascibetta (1610) e all’Assunzione della Vergine in S. Giorgio a Modica (1610).
Sin dal 1608, la pittura di Paladini sembra tuttavia arricchirsi di nuove componenti. Già nel S. Antonio assolve un penitente di Palazzo Abatellis (1608) e nella coeva Decollazione del Battista della chiesa di S. Jacopo in Campo Corbolini a Firenze, commissionatagli dal cavaliere giovannita Francesco dell’Antella (Sebregondi, 1982), accanto a una fluidità atmosferica rinviante a Ludovico Cigoli e ai consueti «raffinati moduli della cultura dello Studiolo» (Bernini, in Mostra, 1967, p. 83), l’artista comincia a utilizzare marcati contrasti luministici, derivanti dalla conoscenza del Caravaggio (Id., 1961, p. 212), sbarcato a Siracusa nel 1608. Paladini si interessò, oltre che delle opere siciliane, dei quadri lasciati dal Merisi a Malta, dove il maestro toscano potrebbe aver nuovamente soggiornato tra il 1611 e il 1612, epoca nella quale furono eseguite due tele entrambi presenti a La Valletta: la prima con S. Giacomo apostolo nella chiesa omonima, la seconda con il Miracolo dei ss. Cosma e Damiano in S. Francesco (ibid.).
Spunti caravaggeschi, che però non sembrano scardinare la solida cultura cinquecentesca del pittore (ibid., p. 213), si scorgono in tutta la sua cospicua produzione finale: nel S. Carlo Borromeo in S. Francesco a Militello in Val di Catania (1612), nella Trinità e santi in S. Domenico a Licata (1612), nell’Assunzione della cattedrale di Piazza Armerina (1612), fino all’impegnativo ciclo mariano realizzato per l’abside del duomo di Enna (1612-13).
In questo contesto Paladini dipinse ben cinque teloni: l’Immacolata, entro un arioso paesaggio; la Presentazione della Vergine al tempio, dalle tangenze con l’Empoli e con Caravaggio (Bernini, 1961, p. 213); la Visitazione, rievocante Andrea del Sarto nel chiostro dello Scalzo (ibid., p. 217); la Presentazione di Gesù al tempio, esemplata su una stampa di Dürer e con l’angelo turiferario che rammemora analoghe creature del Merisi (ibid.); l’Assunzione, ove ritorna un modello sartesco (Venturi, 1932, p. 794) già adoperato a Modica e a Piazza Armerina.
All’ultimo tempo risalgono intensi capolavori, nei quali, ancora una volta, l’artista «arriva a porre a contatto, senza incenerirle a vicenda, due culture agli antipodi, come quella di derivazione pontormesca e quella del Caravaggio» (C. Brandi, in Mostra, 1967, p. 16). Tra i dipinti principali si ricordano: il Martirio di s. Ignazio della chiesa di S. Ignazio all’Olivella a Palermo (1613), in cui Filippo «carica fortemente le ombre e gli scuri e vi giuoca la luce sul fare del Caravaggio» (Di Marzo, 1882, p. 192), la Negazione di Pietro nel palazzo dei Normanni di Palermo, il Rosario e la Madonna del Carmelo in S. Domenico a Caltanisetta (1614), la Deposizione del convento dei cappuccini di Mineo (ora nella chiesa del Collegio), il Martirio di s. Lorenzo della chiesa matrice di Vizzini (1614), il Caino e Abele di Palazzo Abatellis, il Martirio di s. Placido presso il complesso dei benedettini di Monreale e il S. Martino e il povero dell’abbazia di S. Martino delle Scale, lasciato incompiuto e portato a termine verso il 1625 da Vincenzo Li Chiavi (Mendola, 1997).
Quest’ultima tela potrebbe essere il lavoro estremo del Paladini, divenuto collezionista di medaglie e monete antiche, ormai all’apice del successo e in condizioni economiche senz’altro agiate (Abbate, 1995, pp. 26 s.).
L’artista, al quale nel 1610 era stato finalmente concesso di rientrare «nei ‘felicissimi Stati’ medicei» (Sebregondi, 2009, p. 160), morì, presumibilmente a Palermo, il 15 dicembre 1614, secondo Susinno (1724), e con certezza prima del 3 febbraio 1615, come informa una lettera di fra Francesco Buonarroti al fratello Michelangelo il Giovanerecante questa data (ibid., p. 161).
Fonti e Bibl.: F. Susinno, Le vite de’ pittori messinesi (1724), a cura di V. Martinelli, Firenze 1960, pp. 103-106, 112; C. La Farina, Memoria del dipintor da Firenze F. P., in Il Faro, IV (1836), pp. 65-77; G. Di Marzo, Di F. P., pittore fiorentino della fine del secolo XVI e de’ primordi del XVII, in Archivio storico italiano, s. 4, IX (1882), pp. 174-197; E. Mauceri, Due volumi di disegni di F. Paladino, in Bollettino d’arte, IV (1910), pp. 396-405; D.E. Colnaghi, A dictionary of Florentine painters… (London 1928), Firenze 1986, pp. 199 s.; A. Venturi, Storia dell’arte italiana, IX, 5, Milano 1932, pp. 790-794; S. Calascibetta, F. Paladino, Palermo 1937; S. Bottari, F. Paladino, in Rivista d’arte, s. 2, X (1938), pp. 23-47; Mostra del Cinquecento toscano in palazzo Strozzi, Firenze 1940, pp. 203 s., 206; C. L. Ragghianti, Miscellanea minore di critica d’arte, Bari 1946, pp. 163-165; S. Bottari, Nuovi documenti sul manierismo fiorentino in Sicilia, in Siculorum Gymnasium, n.s.,1949, n. 2, pp. 300-305; D. Bernini, Sull’attività siciliana di F. P., in Commentari, XII (1962), pp. 203-220; A. Forlani, I disegni italiani del Cinquecento, Venezia 1962, pp. 286-288; Mostra di F. P. (catal.), a cura di M.G. Paolini - D. Bernini, Palermo 1967; A. Ragona, Note e documenti sulla residenza mazzarinese e sulla morte del pittore fiorentino F. P., Caltagirone 1967; S. Prosperi Valenti Rodinò, in G. Fusconi - S. Prosperi Valenti Rodinò, Note in margine ad una schedatura: i disegni del fondo Corsini nel Gabinetto nazionale delle stampe, in Bollettino d’arte, s. 6, XVI (1982), p. 90; L. Sebregondi, Francesco dell’Antella, Caravaggio, P. e altri, in Paragone, XXXII (1982), 383-385, pp. 107-122; V. Abbate, I tempi del Caravaggio: situazione della pittura in Sicilia (1580-1625), in Caravaggio in Sicilia (catal., Siracusa), Palermo 1985, pp. 54-58, 250-252; M.G. Paolini, in Il Seicento fiorentino (catal.), Firenze 1986, II, pp. 145 s.; III, pp. 136-140; M. Luminati, «Lo Martirio di Sancto Petro apostolo»: un dipinto di F. Paladino a Noto, in Quaderni dell’Istituto di storia dell’arte medievale e moderna (Univ. di Messina), XIV (1990), pp. 19-21; V. Abbate, Quadrerie e collezionisti palermitani del Seicento, in Pittori del Seicento a Palazzo Abatellis (catal., Palermo), Milano 1990, pp. 17-19; M. Paolini - D. Bernini, ibid., pp. 112-121; V. Abbate, Collezionismo grafico a Palermo tra il Cinque ed il Settecento: una traccia, in Maestri del disegno nelle collezioni di Palazzo Abatellis (catal.), Palermo 1995, pp. 23-27; S. Troisi, F. P.: un manierista fiorentino in Sicilia, Palermo 1997; Id., Un dipinto inedito di F. P., in Kalós, X (1998), 2, pp. 38 s.; G. Mendola, in Vulgo dictu lu Zoppo di Gangi (catal., Gangi), Palermo 1997, p. 279; K. Sciberras - D. M. Stone, Saints and heroes. Frescos by F. P. and Leonello Spada, in The palace of the Grand Masters in Valletta, Malta 2001, pp. 139-156; L. Nifosì, F. P.: notizie inedite sulla sua presenza siciliana, in Kalós, XVI (2004), 4, pp. 26-28; P. Russo - V.U. Vicari, F. P. e la cultura figurativa nella Sicilia centro-meridionale tra Cinque e Seicento, Caltanissetta 2007; V. Segreto, Nuove considerazioni sul S. Luca che dipinge la Vergine col Bambino di F. di Benedetto P., in Bulletin de l’Association des historiens de l’art italien, XIII (2007), pp. 44-56; L. Sebregondi, Riflessioni su F. P. «Florentinus», in Atti delle Giornate di studi sul Caravaggismo e il Naturalismo nella Toscana del Seicento, Pontedera 2009, pp. 145-166; U. Thieme - F. Becker, Künstlerlexikon, XXVI, p. 153.