FABBRI, Filippo Ortensio
Non si hanno notizie biografiche precise di questo letterato, assiduo frequentatore dell'ambiente culturale formatosi nel primo Settecento intorno alla corte pontificia. Nacque a Roma probabilmente negli ultimi decenni del sec. XVII e fu segretario di monsignor Annibale Albani (personaggio di rilievo negli ambienti della cultura romana e nipote di papa Clemente XI).
Attivo dai primi anni del sec. XVIII, fu autore di rime in volgare, imitatore di G. Chiabrera e membro dell'Arcadia col nome di Alindo Scirtoniano. Numerosi suoi componimenti furono inseriti da G. M. Crescimbeni tra le Rime degli Arcadi (Roma 1695-1723). Della produzione presente nel volume IX di questa raccolta si ricordano due sonetti inseriti rispettivamente nella Corona poetica in lode di Maria Casimira regina vedova di Pollonia ("Che sol di Voi l'augusto Tebro è degno", p. 123, del 1699) ed in quella offerta a papa Clemente XI nel 1701 ("Quell'invitta Umiltà, che ti fu guida", p. 53), ed infine un altisonante sonetto dedicato, nel 1704, ad Annibale Albani, suo protettore, in occasione del conseguimento della laurea in legge ("Lascia, che Arcadia anch'ella oggi t'onori / ... che se grande è il suggetto, e il canto è umile, / almen vedrai candido amore, e fede / nel consueto suo semplice stile", p. 157). Nonostante la presenza di altri quattro sonetti in diversi volumi ("Chi è costei, che di beltà novella", V, p. 52, poi ristampato tra le Rime degli Arcadi in onore della Gran Madre di Dio, Roma I 760, p. 28; i due di argomento politico "Quando di turbe ostili ampio torrente" e "Augusto eroe, non senza alto consiglio", III, p. 346; "Sommo Eterno Signor, d'Uman servaggio", pubblicato tra le Rime degli Arcadi sulla Natività di Nostro Signore Gesù Cristo, Roma 1744, p. 89), la produzione del F. è stata essenzialmente raccolta nel tomo V delle stesse Rime (s.d. ma 1717, pp. 39-71).
Si tratta di un corpus di non grande originalità. I componimenti (tutti sonetti tranne una canzone ed un'egloga) sono per lo più legati al tema dell'amore e dell'encomio di personaggi famosi o cari all'adunanza arcadica. Il sentimento amoroso è sempre raffigurato come una lotta tra il poeta (perennemente diviso tra la passione e il tentativo di svincolamento da essa) e la donna amata (Nice o Filli), "chiara, invitta, e gloriosa" (p. 43). Evidentissime sono le riprese petrarchesche ("Spirito gentil, che d'immortale onore", p. 48), anche se non mancano accenni a problematiche personali che riducono l'utilizzo di una casistica poetica scontata: è questo il caso del sonetto "Come vago Usignolo in gabbia stretto" (p. 50), in cui il letterato descrive l'iniziale dolore per la perdita della propria libertà, seguita all'inizio del servizio presso il suo attuale signore, e la trasformazione di tale legame in un illuminato rapporto di fedeltà reciproca. A qui che viene infine proposta Pegloga "Se il Ciel sempre sereno, e verdi i prati" (pp. 58-71), nella quale Cloanto, Floro e lo stesso Alindo cantano in occasione di una di quelle "veglie di ninfe e pastori" contro le quali si scagliò Gravina, il quale "rappresentava tutto il fervore arcadico rivolto solo a combinar cene in casa" (Carrara, La poesia pastorale).
Dal 1704, come molti altri arcadi, il F. ebbe rapporti con l'Accademia pontificia di S. Luca, probabilmente sempre grazie allo stesso Albani, che ne fu socio onorario. Questa, sorta a Roma alla fine del Cinquecento e dedita alla promozione delle attività artistiche relative a scultura, architettura e disegno, fu riportata a nuovo splendore da Clemente XI, che istituì un concorso annuale tra gli allievì della medesima. I nomi dei premiati, l'orazione inaugurale ed i componimenti poetici in lode dell'avvenimento venivano poi periodicamente raccolti in un volume e pubblicati a Roma. Nelle quattro raccolte relative agli anni 1704-1707 sono presenti sonetti del F. (insieme con altri di più noti letterati, tra cui G. M. Crescimbeni e G. B. Zappi), poi inseriti dal Crescìmbeni nel già ricordato volume quinto delle Rime degli Arcadi.
Si tratta di una produzione encomiastica unicamente volta alla celebrazione di personalità o avvenimenti mondani, spesso giocata sul richiamo alla mitologia. Il primo sonetto, per l'Accademia del disegno del 1704, affronta il tema del ragionamento e ripropone la lotta tra Marte e Minerva "l'erudita Dea" ("Arser gran tempo in Ciel d'antico sdegno", nelle Buone arti sempre più gloriose, p. 51). Nel 1705 il F. celebrò la grandezza di Clemente XI quale protettore delle arti liberali e la superiorità del Vaticano ("ove l'opre migliori hanno il soggiorno") sul Campidoglio ("Cinto coi rai d'insolito splendore", Ilpremio tra gli applausi del Campidoglio, p. 44). Argomento del 1706, in consonanza col tema del concorso, fu lo scambio di "perfezione" tra le tre arti liberali e la poesia ("Quando di tre bell'Arti il saggio Coro", nelle Belle Arti in lega con la Poesia, p. 43, componimento inserito da G. M. Crescimbeni anche nei già citati Commentarj, III, p. 345, e presente nella raccolta di Sonetti ed orazione in lode delle nobili arti del disegno pittura, scoltura, ed architettura, pubblicata a Roma nel 1764). Nel 1707 egli propose infine un sonetto sull'origine divina dell'arte e sulla necessità di "riformar l'alta figura [Cristo] sovente in noi da lungo error consunta" ("L'Arte, che ad animar mesce i colori", L'utile nelle belle arti, p. 57).
Il nome del F. è però essenzialmente legato alla composizione, negli stessi anni, di due testi musicati da Alessandro Scarlatti. Il primo fu il Sedecia re di Gerusalemme (Urbino 1705), oratorio a cinque voci eseguito ad Urbino e dedicato al cardinal legato Sebastiano Antonio Tanari. Dell'opera fu redatta e pubblicata una seconda stesura nel 1706: la partitura di quest'ultima, che si differenzia dalla prima per l'aggiunta di cinque arie, si trova presso la Biblioteca Casanatense di Roma (ms. 2566) ed è stata la "fonte principale" dell'edizione milanese curata nel 1962 da G. Guarrini (Le Muse galanti, p. 51). Risale al 1706 anche la stesura e l'esecuzione della Cantata da recitarsi la notte del S.mo Natale nel palazzo apostolico (Roma 1706), il cui libretto si trova a Venezia (Bibl. della Fondazione Giorgio Cini, Fondo Rolandi).
Nel Sedecia si rappresenta la tragica vicenda del re di Gerusalemme: costui, sconfitto da Nabucco, re di Babilonia, che lo avversa per la sua alleanza con l'Egitto, verrà ucciso dopo aver visto morire il figlio (il fanciullo Ismeria), intervenuto in sua difesa, e, in seguito al grande dolore, la moglie Anna. Nonostante una certa fissità dei personaggi e del loro destino, l'opera rivela una non trascurabile capacità di rappresentazione della tragicità degli avvenimenti, soprattutto nella figura del protagonista, convinto di essere stato punito da Dio per la propria idolatria.
Si ignora l'anno della sua morte.
Fonti e Bibl.: G. M. Crescimbeni, Comentarj... intorno alla sua Istoria della volgar poesia, II, 2, Roma 1710, l. VI, p. 366; III, ibid. 1711, l. VI, p. 345; E. Carrara, La poesia pastorale, Milano 1909, p. 451; C. Calcaterra, Storia della poesia frugoniana, Genova 1920, p. 268; Le Muse galanti. La musica a Roma nelSettecento, a cura di B. Cagli, Roma 1985, pp. 51 s.