MEUCCI, Filippo
– Nacque a San Polo dei Cavalieri, nei pressi di Roma, il 20 marzo 1805, da Vincenzo e da Lucia Forese.
Il padre, notaio, dopo aver lasciato la professione ricoprì vari incarichi pubblici come vicegovernatore, podestà, segretario comunale e uditore legale.
Compiuti gli studi superiori a Tivoli nel collegio dei gesuiti, nel 1826 il M. insegnò eloquenza a Veroli nel seminario vescovile dove il fratello Giuseppe era studente. A Veroli conobbe la giovane Emiliana Passeri, che sposò e con la quale ebbe un figlio.
Alla scadenza del contratto di insegnamento si trasferì a Roma e nel 1830 scrisse al pontefice Pio VIII una lettera in cui, sostenendo di aver elaborato – nel quadro di una riforma generale delle scuole – un nuovo metodo di insegnamento, propose l’istituzione di uno strumento di controllo che attraverso ispezioni verificasse le condizioni degli istituti e i risultati didattici.
Non mancò di sottolineare quanto fosse difficile per un intellettuale trovare un’adeguata collocazione professionale. Alla lettera allegò un inno dedicato al papa, Le grandezze di Dio (Arch. di Stato di Roma, Congregazione degli Studi, b. 425), che restò inedito e che, oltre a connotarsi per l’ispirazione religiosa, rivelava anche nel M. un orientamento antibonapartista espresso con la metafora dell’imperatore come «Gallico nembo», suscitatore di guerre mentre ormai l’Europa invocava solo la pace.
Il M. aveva già pubblicato alcune tragedie: Il tradimento punito dall’innocenza (Roma 1826), Temisto (Napoli 1827) e un’Ode in onore di s. Maria Salome (Frosinone 1828), sul tema dell’amore materno visto da angolature contrastanti.
Nella notte tra il 21 e il 22 nov. 1832, a conclusione di un periodo di sorveglianza, il M. fu arrestato con il fratello su mandato del governatore di Roma e direttore generale di polizia. Il tribunale della S. Consulta, però, non riuscì a dimostrare l’appartenenza del M. a organizzazioni segrete, né che egli avesse preso parte al tumulto di piazza Colonna del febbraio 1831. Due anni dopo, alla riapertura dell’Archiginnasio romano, si iscrisse alla facoltà di legge ma non frequentò i corsi e si laureò solo nel 1851, in lettere, a Torino.
Nel 1841 pubblicò un discorso critico sul Monumento in marmo dell’illustre scultore Giuseppe Ceracchi (Roma), a illustrazione di un complesso statuario, ormai dimenticato, dell’artista giustiziato dopo un rito sommario perché accusato di complotto contro Napoleone.
Il momento, da un punto di vista culturale, dovette apparire favorevole al M. per l’interesse che Gregorio XVI rivolse alle antichità e belle arti istituendo nuovi musei. Forte della convinzione che il gusto di un’epoca fosse formato dall’opera d’arte e non viceversa, il M. si rivolgeva ai giovani affinché si dedicassero alla lettura dei gloriosi fatti della storia romana, in una sintesi tra idealità del passato e momento presente. Tuttavia fu soltanto a seguito dell’amnistia concessa da Pio IX, nel luglio 1846, che poté esprimere apertamente le sue idee, come esponente di una generazione che non aveva partecipato ai moti del 1821, che rifiutava l’estremismo e si situava nell’area moderata liberale.
Nel capodanno del 1847 il M. dedicò a Pio IX un Inno popolare (ibid.) per lui appositamente composto ed eseguito nella piazza del Quirinale sotto la direzione di Gaetano Magazzari. Nella poesia drammatica Il dì 17 luglio 1847. Anniversario della gloriosa amnistia concessa ai rei di Stato (ibid.), con musica di Antonio Buzzi e libretto del M., la misura di clemenza venne da lui proposta come l’apertura di una stagione di riforme, presto seguita da altre concessioni: l’udienza pubblica, la costruzione delle ferrovie, la legge sulla stampa e la guardia civica. Il M. con i suoi versi ne fece il commento: dalla stessa ispirazione civile originò la poesia cantata, sempre per la musica di Buzzi, Augurio a Roma (ibid. s.d.), riferita alla grandezza di Roma e «all’alto italo genio».
Come librettista di melodrammi, genere capace di attrarre un pubblico più folto di quello della tragedia, il M. tentò di mandare in scena La Lega lombarda nel secolo XII, ma la censura pontificia, ravvisandovi un intento anti-austriaco, ne vietò la rappresentazione costringendolo a pubblicarla nel 1846 a Parigi. Cambiati sfondo storico e personaggi, il melodramma fu poi rappresentato come Gusmano in Medina il 30 genn. 1847, portato a Barcellona nel 1850 e ripreso a Torino e a Bologna nel 1859. Nel 1847 era andata in scena a Livorno anche la Luisa di Monteforte, scritto con F. Guidi e musicato da M. Bergson.
Acquisito un ruolo non secondario nel movimento per le riforme, il M. si prodigò come oratore nelle manifestazioni pubbliche e nei teatri cittadini per raccogliere fondi con finalità sociali, in veste anche di socio e segretario del Circolo popolare. Nel banchetto per il Natale di Roma dedicò un discorso a Massimo d’Azeglio, del quale lodò la linea moderata, scevra dal ricorso alla violenza. Quindi ideò e diresse un settimanale, Galleria letteraria, che uscì dall’aprile al luglio 1847: erano fascicoli intesi a divulgare, specialmente tra i giovani, brani formativi di testi italiani e stranieri, antichi e contemporanei.
Alle prime notizie della rivoluzione siciliana del gennaio 1848, il M. scrisse un Inno italiano (Roma), musicato da Magazzari, eseguito tra l’altro quando, il 5 febbr. 1849, il corteo dei deputati raggiunse la sede della Costituente. Nel 1848, oltre a sostenere lo sforzo dei volontari pontifici nella guerra contro l’Austria, fu tra i collaboratori del foglio La Donna italiana rivolto al pubblico femminile (22 aprile - 11 nov. 1848); dal 2 genn. 1849 diresse il quotidiano La Pallade attestato su una linea riformista avanzata.
Alla vigilia della Repubblica Romana il M. figurava tra gli «aggiunti» nella Commissione provvisoria di governo dello Stato romano presieduta da G. Gabussi (L’Epoca, 10 genn. 1849). Fece poi parte del comitato direttore dell’Associazione elettorale centrale che elaborò i principî del programma elettorale: formazione di istituzioni che avessero la prerogativa di affrancare la società dal «dispotismo interno e dal giogo straniero», rappresentanti del popolo con «coraggio patriottico», «intelletto prudente»; nessun riconoscimento, invece, all’appartenenza di classe o per gli studi «scarsi o manchevoli» (ibid., 12 genn. 1849). Pur non risultando eletto all’Assemblea costituente, si batté per l’idea di un mandato che valesse sia per l’assemblea romana sia per quella italiana. Lasciata la direzione del giornale il 3 marzo, fu chiamato su proposta del ministro dell’Interno A. Saffi alla direzione generale della Pubblica Sicurezza: convinto che la polizia, lasciata ogni finalità politica, dovesse essere impiegata nella repressione dei reati comuni e ancora meglio nella loro prevenzione, il 14 aprile inviò al ministro un progetto di riforma che avrebbe dovuto cancellare per sempre «la rimembranza degli sgherri» (Arch. di Stato di Roma, Miscellanea della Repubblica Romana, b. 29), e istituire un corpo di guardie urbane notturne «all’uso dei Policemen inglesi» che, anche con il ricorso a premi, potesse procurare «lo sterminio dei ladri e dei malfattori». Non riuscendo ad attuare tali propositi, il M. si dimise e intorno al 22 aprile passò negli uffici del Triumvirato come sostituto del segretario L. Spini. Subito dopo, nell’imminenza dell’assalto delle truppe francesi, con il deputato T. Savelli fu posto alla testa del rione Trevi con l’incarico di preparare la popolazione all’assedio. Infine, l’8 maggio entrò a far parte con A. Calandrelli, C. Ravioli, G. Gajani e L. Mariani della Commissione delle requisizioni, istituita per ricevere le denunce delle perquisizioni arbitrarie o illegali.
Finita l’esperienza repubblicana, gli fu intimato di lasciare lo Stato e raggiungere il territorio del Regno sardo. A Genova, il 24 genn. 1850 pubblicò Una notte in Roma, rievocazione dolorosa degli esiti degli scontri sul Gianicolo. In quel periodo il M. fu anche tra i collaboratori del giornale dell’emigrazione politica L’Italia.
Dal 1851, con l’appoggio di M. d’Azeglio, fu inserito nel corpo insegnante piemontese e dal 1861 in quello italiano: fu professore di retorica e reggente nel collegio di Carmagnola (Torino), direttore nei licei di Savigliano (Cuneo), di Ferrara e dall’ottobre 1863 in quello di Pisa. Tornò alla pubblicazione di drammi storici come Il Tasso alla corte di Ferrara (in Rivista bibliografico drammatica, 1850, vol. 2, n. 10, pp. 368-415), Caterina de’ Medici (Firenze 1856) e Maria de’ Medici (s.l. né d.). Seguirono i libretti per i melodrammi Aroldo il Sassone (Milano s.d.), Ermengarda (ibid. 1855), ma anche un’operetta di tono ironico: Gloria postuma della quinimestre Repubblica Romana ricavata dai titoli di alcuni libri trovati manoscritti negli archivi del Triumvirato (s.l. né d.). Gli autori sarebbero stati i principali protagonisti della Repubblica Romana. Nella sua variegata produzione non mancarono una romanza (In morte di Vincenzo Bellini, s.l. né d.), testi per duetti al pianoforte e riduzioni per musica di suoi componimenti poetici, come Le sere d’autunno al monte Pincio (Roma s.d.).
Nel 1860 il M. pubblicò a Bologna il pamphlet Niun Patrimonio per San Pietro, in cui alle motivazioni politiche intrecciò quelle personali, determinate dalla morte del fratello e dalla condizione di esule.
Confutando la tesi che il termine di patrimonio potesse ricondursi a Cristo e al Patrimonio di S. Pietro e negando legittimità al processo di frammentazione della penisola attuato da Liutprando e da Carlomagno, il M. proclamò la propria adesione a una monarchia italiana con a capo Vittorio Emanuele II, contestando il presupposto che il Papato potesse continuare a tenere insieme la sfera secolare e quella religiosa.
Nell’aprile del 1863 pubblicò Alla Polonia (Ferrara), canto ispirato al combattimento dei duecento giovani nobili polacchi che a Węgrów sacrificarono la loro vita contro i Russi.
Il M. morì a Pisa il 24 luglio 1865.
Il fratello Giuseppe nacque a San Polo dei Cavalieri il 14 marzo 1809. Iscrittosi alla facoltà di medicina dell’Archiginnasio romano nell’anno accademico 1829-30, rimase coinvolto negli arresti del 21 nov. 1832, ma non si poterono provare né la sua appartenenza a società segrete né la partecipazione al tumulto del carnevale del 1831. Si laureò nell’agosto 1834 e fece esperienza clinica nell’ospedale di S. Maria e S. Gallicano dove entrò come soprannumerario dal 1° ag. 1833 e restò fino al 1840, allontanandosene solo ad agosto e settembre del 1836, chiamato dal gonfaloniere di Tivoli come medico aggiunto per il perdurare dell’epidemia di colera. Secondo C. Leonardi, tra i «giovani medici del suo tempo [Giuseppe] fu il primo, forse il solo, che seguì davvicino il progresso delle nuove scuole mediche all’estero e soprattutto in Germania: con questo obietto studiò e seppe a fondo la lingua francese, l’inglese e la tedesca» (p. 9). Vincitore nel 1844 del concorso per la condotta medica nel paese di origine, rinunciò per favorire il medico interino che desiderava essere confermato, ma ciò gli precluse la possibilità di ripresentarsi al concorso successivo.
Nelle elezioni per il ricostituito Municipio romano (ottobre 1847) Giuseppe si candidò in rappresentanza dei medici, chirurghi e farmacisti. Anche nel 1849, proclamata la Repubblica Romana, prese parte alle elezioni per l’Assemblea costituente e ottenne la nomina a deputato in seguito a rinuncia di un candidato risultato vincitore. La sua attività parlamentare fu però limitata dal contemporaneo impiego nella direzione della pubblica sanità, ospedali e carceri. Costretto come il M. all’esilio, fu dapprima a Marsiglia e solo nel 1851 ottenne dal governo sardo il permesso di stabilirsi a Sampierdarena. Come medico si distinse in occasione dell’epidemia di colera che colpì la zona nel 1854-55. Da quella esperienza derivò, nel 1854, la pubblicazione di impostazione statistica Dei risultati ottenuti nella cura del cholera-morbus che ha dominato in Sampierdarena dagli ultimi di luglio ai primi di settembre 1854 (in collaborazione con C. Milanesi), voluta dall’amministrazione comunale.
Giuseppe morì a Sampierdarena il 6 ott. 1860.
Fonti e Bibl.: San Polo dei Cavalieri, Arch. parrocchiale, Registri dei battesimi, aa. 1801-22, nn. 209, 373 (per Giuseppe); Roma, Arch. centrale dello Stato, Ministero della Pubblica Istruzione, Decreti reali e ministeriali, b. 1; ibid., Divisione scuole medie, b. 126; ibid., Personale, b. 1368; Arch. di Stato di Roma, Università di Roma, Matricole, reg. 1057 (per Giuseppe); Ospedale S. Maria e S. Gallicano, reg. 3; Congressi, Giustificazioni, bb. 163-166 (per Giuseppe); Presidenza di Roma e Comarca, Sanità, S. Polo, b. 1649; ibid., Tivoli, b. 1657 (per Giuseppe); Miscellanea di carte politiche e riservate, bb. 100, f. 3073; 110, f. 3642 (per Giuseppe); Miscellanea della Repubblica Romana, b. 18 (per Giuseppe); Roma, Arch. storico capitolino, Comune pontificio, Repubblica Romana, nn. 3-5; Torino, Arch. dell’Università, Facoltà di lettere, Esami privati, reg. 10 F5; Esami pubblici, reg. 10 F11; Arch. di Stato di Torino, Comitato centrale dell’emigrazione italiana, II serie, m. 53, f. 918; Genova, Arch. storico comunale, Tribunale della provincia di Genova, Atti di morte 1860, reg. 2, pos. n. 238, p. 9 (per Giuseppe); C. Dassori, Opere e operisti 1541-1902…, Genova 1903, s.v.; C. Leonardi, Discorso in memoria di Filippo e Giuseppe Meucci e Massimino Trusiani, Roma 1904; B. Montale, L’emigrazione politica in Genova ed in Liguria (1849-1859), Savona 1982, ad ind.; O. Majolo-Molinari, La stampa periodica romana dell’Ottocento, Roma 1963, II, ad ind.; CLIO, Catalogo dei libri italiani dell’Ottocento (1801-1900), IV, p. 3011; Diz. del Risorgimento nazionale, III, s.v. (A.M. Ghisalberti).
M.T. Bergamaschi