MARTINELLI, Filippo
Nacque a Bologna il 14 ag. 1803. A cinque anni perse il padre, un umile artigiano, e fu dalla madre affidato alle cure di uno zio paterno, Giuseppe, anch’egli artigiano.
Il M. dimostrò fin da bambino di possedere una grande attitudine per lo studio e fu notato da Camillo Minarelli, che gli fece da maestro gratuitamente e convinse lo zio a fargli proseguire gli studi. A vent’anni il M. si laureò in giurisprudenza e iniziò subito la pratica legale presso l’avvocato I. Benelli. Si dedicò anche, con profitto, allo studio della letteratura e alla composizione di odi e canzoni, celebrando in versi la maggior parte degli avvenimenti politici di rilievo cui assistette durante la sua vita.
Nel 1827 l’ascrizione all’Accademia dei Felsinei mise in contatto il M. con poeti e letterati. Erano anni di gravi ristrettezze: lo zio era morto e il poco denaro che guadagnava come praticante avvocato o come poeta dilettante non era mai sufficiente; grazie alle sue conoscenze gli fu più facile procurarsi allievi per le lezioni private di lettere, mentre continuava a studiare il diritto. Nel 1831, dopo i moti dell’Italia centrale cui peraltro non aveva preso parte, fu ricercato dalla polizia pontificia, riuscendo tuttavia a sfuggire alla cattura. Passata l’emergenza, nel luglio dello stesso anno, alla partenza degli Austriaci, venne creata una guardia civica e il M. fu nominato segretario di uno dei quattro colonnelli che la comandavano. Ma l’illusione di avere finalmente ottenuto un lavoro retribuito durò solo un paio di settimane: il tempo necessario perché il M. trovasse poco confacente l’impiego e fosse giudicato negativamente dai superiori. Una successiva occupazione come segretario del direttore di polizia, procurata dall’intercessione di un conoscente, gli risultò ugualmente poco gradita a causa dell’orientamento reazionario del governo.
In questo stesso periodo il M. fu segnalato come rivoltoso per via di qualche componimento piuttosto ardito e per l’assunzione di alcune difese penali, che, se anche non valsero a migliorarne le condizioni economiche, ebbero però il merito di procurargli i primi successi professionali e una discreta fama come legale.
All’indomani dell’elezione di Pio IX (giugno 1846), il M. fu inviato a Roma quale rappresentante della commissione di patronato per gli amnistiati di Bologna, guidata da M. Minghetti, per chiedere al papa una più ampia applicazione dell’amnistia. L’anno successivo fu nominato supplente del professor A. Silvani, che insegnava diritto civile nell’Università di Bologna ed era stato eletto consultore di finanza per la provincia. Nel marzo del 1848 divenne titolare della cattedra, proprio in seguito alla morte di Silvani, in ricordo del quale proferì un discorso di commemorazione (Parole di cordoglio agli studenti di testo civile della pontificia Università di Bologna, Bologna 1847). Proclamata la Repubblica Romana, rifiutò di pronunciare l’atto di adesione richiesto ai professori, giudicandolo incompatibile con quello che aveva prestato al precedente sistema pontificio costituzionale. Gli fu tuttavia consentito di restare in carica fino a quando non lo destituì il restaurato governo pontificio con una misura che gli procurò, con la perdita di molti clienti, un grave danno professionale.
Nel luglio del 1859, in seguito all’insurrezione delle Legazioni, il M. fu nominato, per intercessione di F. Borgatti, «gerente la sezione di Grazia e Giustizia» nel gabinetto provvisorio succeduto al commissariato regio di M. d’Azeglio e presieduto dal colonnello E. Falicon. Per un senso di inadeguatezza avrebbe voluto rifiutare, ma le insistenze furono tali che finì per accettare: ebbe così iniziò quello che lui stesso definì un calvario. In una fase di transizione come quella vissuta dalle ex Legazioni, il profondo rispetto per le regole e una certa mancanza di duttilità portarono il M. a scontrarsi con gli altri membri del gabinetto, compreso Minghetti che egli accusò di voler essere l’eminenza grigia dell’esecutivo.
Nel periodo in cui fu al governo, cercò di venire incontro alle esigenze della popolazione, di introdurre le necessarie modifiche per modernizzare la legislazione e di regolare i rapporti tra Chiesa e Stato dal punto di vista dell’amministrazione della giustizia. Nel settembre dello stesso anno fu eletto deputato all’Assemblea delle Romagne per il collegio di Molinella. In quello stesso periodo venne nominato professore di diritto penale nell’Università di Bologna. Sciolta la prima Assemblea delle Romagne, entrò a far parte della seconda e conservò il suo ruolo di governo, assumendo il titolo di ministro anche nel governo guidato da L. Cipriani. Quando questi fu sostituito da L.C. Farini, il M. rassegnò le dimissioni, ma il nuovo governatore non ne tenne conto e lo destituì. Egli, allora, protestò pubblicamente e con veemenza, rinunciando anche alla carica di professore e mantenendo solo quella, gratuita e che aveva assunto poco tempo prima, di «difensore officioso supplente dei poveri rei». Gli fu proposto di riprendere l’insegnamento, ma chiese e ottenne che gli fosse riconosciuto solo il titolo di professore emerito.
Nel maggio 1860, in occasione di una visita di Vittorio Emanuele II e C. Benso conte di Cavour a Bologna, fu creato cavaliere dell’Ordine dei Ss. Maurizio e Lazzaro. Nel 1861 fu nominato avvocato dei poveri di prima categoria presso la corte d’appello di Bologna: si trattava di un ufficio non privo di prestigio e dotato della più totale indipendenza. Nel 1862 divenne consigliere della stessa corte d’appello, incarico che tenne fino al 1870, quando fu nominato presidente onorario di sezione di corte d’appello e presidente d’appello del gratuito patrocinio dei poveri. Nel 1866 l’amico Borgatti, ministro di Grazia, giustizia e culti del secondo governo Ricasoli, lo volle quale membro di una commissione di giuristi per esaminare gli aspiranti all’uditorato giudiziario, con sede in Firenze.
Il M. morì a Bologna, in assoluta povertà, il 7 maggio 1881: solo la generosità di alcuni amici lo salvò dalla fossa comune.
Negli ultimi anni della sua vita, tra il 1878 e il 1879, aveva scritto un’autobiografia, Memorie postume di un matto savio, il cui autografo è conservato nel Museo del Risorgimento di Bologna. Il titolo si deve al fatto che il colonnello Falicon, per difenderlo dalle ingiurie degli altri membri del governo che lo chiamavano pazzo, lo definiva un «pazzo savio». L’opera è un vero e proprio saggio storico, in cui le notizie autobiografiche occupano una parte minoritaria. Il M., federalista convinto, ricostruisce con grande distacco gli importanti eventi storici che avevano fatto da sfondo alla sua vita, «e le sue considerazioni sono di un uomo assennato ed equilibrato, il quale, di proposito, prescinde da sé stesso, e guarda ed esamina e narra quel che egli intende e vuole, come può fare un magistrato, cui, soprattutto premono, oggettivamente, la verità e la giustizia» (dall’introduzione a Memorie postume di un matto savio, a cura di G. Maioli, in Boll. del Museo del Risorgimento [Bologna], parte 1ª, I [1956], 1, pp. 15-81; ibid., parte 2ª, II [1957], 2, pp. 3-65).
I componimenti poetici e le orazioni del M. furono raccolti e pubblicati a cura di suoi collaboratori e seguaci: Orazioni criminali e civili, Bologna 1854; Versi, ibid. 1867. Altri suoi scritti editi sono: Il generale Alessandro Guidotti: cenni biografici, ibid. 1848; Lettera al cav. avv. Rodolfo Marchesini sopra a uno studio intorno al condominio e alla divisione a diritto romano e a diritto francese, ibid. 1877; Rispettosi rincontri al libro primo di progetto del codice penale del Regno d’Italia, ibid. 1877; Osservazioni estravaganti al libro secondo del progetto di codice penale del Regno d’Italia, ibid. 1877.
Fonti e Bibl.: G. Brini, Necr., in La Patria, 10 maggio 1881; Bologna, Museo del Risorgimento, Fondo Martinelli; Le Assemblee del Risorgimento, Lombardia, Bologna…, Roma 1911, ad ind.; L. Simeoni, Storia dell’Università di Bologna, II, L’Età moderna, Bologna 1947, p. 215; F. Manzotti, Francesco Borgatti e il progetto sulla «Libertà della Chiesa», in Boll. del Museo del Risorgimento (Bologna), V (1960), pp. 38-78; A. Berselli, Movimenti politici a Bologna dal 1815 al 1859, in Convegno di studi sul Risorgimento a Bologna e nell’Emilia…, ibid., pp. 203-254; R. Fantini, Marcellino Venturoli e il suo diario: 1848, ibid., VII (1962), pp. 111 ss.; Diz. del Risorgimento nazionale, III, s.v. (G. Maioli); Enc. biografica e bibliografica «Italiana», F. Ercole, Gli uomini politici, II, p. 263.