PIRELLI, Filippo Maria
PIRELLI, Filippo Maria. – Nacque ad Ariano (l’attuale Ariano Irpino) il 29 aprile 1708 da Domenico, appartenente al patriziato locale, e Camilla Miranda. Durante l’adolescenza si trasferì con la famiglia a Napoli, ove il padre era stato inviato nel 1721 come avvocato per difendere una causa circa le prerogative di nobiltà di talune famiglie patrizie arianesi. Qui il giovane Pirelli conobbe alcuni letterati, tra cui Gherardo de Angelis e Giambattista Vico, di cui fu amico e ammiratore, come dimostra un loro scambio di sonetti contenuti negli Opuscoli di Vico, curati da Giuseppe Ferrari. Venuto a mancare il padre, rientrò con la madre e i tre fratelli ad Ariano, dove si avviò allo stato ecclesiastico ricevendo i primi ordini dal vescovo della sua città natale (1729). Intrapresi gli studi di giurisprudenza e teologia, concorse senza successo alla carica di canonico teologale della cattedrale di Ariano, carica appartenuta al defunto zio paterno Niccolò. Svanita tale opportunità, nel 1733, seguendo le orme di Marcello Passari – canonico della cattedrale di Ariano, entrato in Curia al servizio del cardinale Lorenzo Corsini e da quest’ultimo, divenuto papa con il nome di Clemente XII, insignito della porpora nel Concistoro del 28 settembre 1733 –, decise di partire per Roma facendo dapprima tappa a Napoli, ove entrò a far parte di un’adunanza letteraria locale (Portico della Statera) con il nome di Trogisio Ritrosa.
Stabilitosi successivamente nella capitale pontificia, nel 1740 conseguì, tramite la protezione del cardinale Passari, la carica di avvocato concistoriale per la città di Napoli, prerogativa concessa alla città da papa Innocenzo XII, ma fino ad allora rimasta disattesa.
Poiché tale funzione era riservata ai cittadini partenopei, Pirelli, una volta ottenuta la nomina da parte del magistrato di Napoli, si attivò affinché la sua famiglia ottenesse un diploma di ascrizione tra quelle nobili napoletane fuori seggio, superando in tal modo l’ostacolo rappresentato dalle sue origini arianesi.
Nel medesimo anno fu inoltre ammesso in prelatura in qualità di cameriere segreto del nuovo pontefice Benedetto XIV. Ebbe così inizio una lunga e prestigiosa carriera in seno alla Curia pontificia, nel corso della quale Pirelli giunse a rivestire importanti incarichi. Prescelto come ablegato apostolico, il 7 ottobre 1743 partì con il compito di recare la berretta cardinalizia a due nuovi porporati meridionali assenti da Roma all’atto della nomina: Domenico Orsini, già duca di Gravina, e Francesco Landi, arcivescovo di Benevento. Le due cerimonie in cui monsignor Pirelli consegnò i brevi pontifici e il tradizionale copricapo cardinalizio si svolsero rispettivamente il 17 dicembre 1743, nella cappella di corte del Palazzo Reale di Napoli, e il 5 gennaio 1744, nel palazzo della cattedrale di Benevento, alla presenza di numerose autorità civili ed ecclesiastiche.
Benché le cronache del tempo abbiano posto l’accento sugli apprezzamenti ricevuti dal re Carlo di Borbone per il suo ruolo di avvocato concistoriale napoletano, in realtà, sia prima sia dopo il viaggio del 1743, i suoi rapporti con la Casa borbonica rimasero molto tesi a causa della profonda avversione da lui manifestata nei riguardi della politica giurisdizionalista avviata da quella corte. La tensione arrivò al culmine dopo l’elezione a vescovo di Sarno del fratello Giovan Saverio (1760), autore di una pastorale nella quale proponeva procedure inquisitoriali nelle cause di fede, sollecitando i fedeli alla delazione. La controversia si inseriva nel più ampio scontro tra la S. Sede e il governo napoletano, in quegli anni animato da vivaci correnti anticurialiste. Pirelli difese con convinzione le posizioni del fratello, guadagnandosi la fama di «ecclesiastico fanatico e arrabbiato» (Berra, 1962-63, p. 256).
Nel 1749, restando vacante l’uditorato civile del tribunale dell’uditore della Camera apostolica, Pirelli vi subentrò per interessamento di un altro suo protettore, il cardinale Clemente Argenvilliers, avvocato concistoriale di Clemente XII, elevato alla porpora nel 1743 da Benedetto XIV che ne fece il suo uditore e rettore della Sapienza.
In questa vicenda Pirelli parve giocare un ruolo di primo piano, orientando la scelta del collegio degli avvocati concistoriali, cui nel 1744 era stato restituito il privilegio di eleggere il rettore, verso la persona dell’Argenvilliers. Dopo l’elezione di quest’ultimo, avvenuta a fine agosto 1746, Pirelli, descritto come persona «intrigante, ansios[a] di figurare e di far solleciti avanzamenti; che conosceva i mezzi di pervenire dove prefiggevasi di giungere e sapeva metterli in opera» (Renazzi, 1806, p. 210), assunse di fatto le redini del rettorato e si dedicò al piano di riforma dello Studio romano, che fu approvato con chirografo pontificio del 14 ottobre 1748. Con le nuove disposizioni vennero ridotte al minimo le intromissioni del cardinale Camerlengo nelle faccende universitarie e fu limitata la sfera di attività dei lettori al solo insegnamento delle rispettive materie.
Nel 1751 fu annoverato tra i prelati domestici e nel 1754 fu incaricato, come avvocato concistoriale, di perorare dinanzi al papa – secondo la prassi giuridica pontificia allora vigente – l’istanza di rinuncia del cardinale Luigi Borbone (infante di Spagna) alla dignità cardinalizia e all’amministrazione delle chiese di Toledo e Siviglia. Quattro anni più tardi passò da uditore civile a secondo luogotenente dell’uditore della Camera apostolica e cominciò a essere considerato uno tra i più dotti giureconsulti di Roma, noto anche come Pretore di Ariano. Nel 1762, in seguito ad alcune sostituzioni dovute alla vacanza della carica di uditore di Rota, fu promosso a primo luogotenente dell’uditore della Camera apostolica e l’anno successivo fu nominato segretario della congregazione del Concilio. Poiché questa funzione era riservata ai vescovi fu giocoforza per Pirelli, fino ad allora semplice chierico, richiedere gli ordini sacri. A seguito dell’ordinazione a sacerdote, avvenuta il 4 novembre 1764, Clemente XIII Rezzonico, per il quale Pirelli aveva predisposto anni addietro il testamento, lo consacrò arcivescovo di Damasco e gli attribuì la qualifica di vescovo assistente al soglio pontificio (24 febbraio 1765). Trovandosi vacanti molti titoli cardinalizi lo elevò infine a cardinale dell’ordine dei preti (26 settembre 1766), lo ascrisse a varie congregazioni (Concilio, Esame dei vescovi, Visita apostolica, Indice) e gli conferì per titolo la chiesa di S. Crisogono, una delle più antiche basiliche romane, situata nel rione di Trastevere.
In una nota sulle caratteristiche dei quattordici cardinali nominati nel 1766, trasmessa dall’ambasciata d’Austria in Roma alla corte di Vienna, così venne presentato: «uomo di gran talento», «cambia partito col vento», «molto orgoglioso, poco amato» (von Pastor, 1965, p. 1028).
Come porporato, partecipò nel 1769 al conclave in cui fu eletto Clemente XIV Ganganelli. Scrisse per l’occasione un importante resoconto sulle vicende di quella elezione, che risultò condizionata, come è emerso anche in sede storiografica, dalla querelle sui gesuiti.
Fautore di una strategia di contenimento delle istanze anticuriali che stavano consolidandosi in molti Stati italiani ed europei dell’epoca e contrario alla soppressione della Compagnia di Gesù, Pirelli si adoperò affinché il partito Rezzonico – capeggiato da Carlo, cardinal nipote del pontefice defunto – concludesse un accordo con il partito delle corone (Francia, Spagna, Regno di Napoli) per l’elezione di un soggetto capace di trattare con le corti borboniche rispetto al problema gesuitico e, più in generale, alla salvaguardia degli interessi spirituali e temporali della S. Sede. Grande fu dunque il suo rammarico per la scelta di papa Ganganelli, che di quegli Stati appariva invece un fedele alleato: «È certo – scrisse la sera del 18 maggio – che egli l’otterrà dalle Corti più di quello che avrebbero potuto ottenere altri […] Niuno più che lui è capace di rovinar la Sede Apostolica» (Berra, 1962-63, p. 176).
La sua lunga esperienza in Curia gli procurò una certa notorietà, ma anche molti nemici. È Pirelli stesso a raccontare, in una pagina autobiografica del Diario del Conclave di Clemente XIV, la profonda inimicizia manifestata nei suoi confronti dai membri della famiglia Albani, «in cui eran tre cardinali», che gli imputavano la perdita del Camerlengato in seguito ai fatti della Sapienza sopra descritti. Un analogo sentimento di «apertissima nemicizia» lo opponeva inoltre alla «Casa Borghese e [ai] suoi innumerabili e potenti aderenti per averla giudicata contro la successione Aldobrandina» (ibid., pp. 255-256), nota controversia legale sorta nel 1760 in seguito all’estinzione della discendenza maschile diretta di Casa Pamphilj, alla cui successione concorsero sia i Doria-Landi di Genova (che nel 1763 ottennero nome e titoli dei Pamphilj) sia i Borghese (che nel 1769 ottennero nome ed eredità degli Aldobrandini).
Ammalatosi gravemente verso la fine del 1770, Pirelli si spense il 10 gennaio 1771. I funerali vennero celebrati nella chiesa romana di S. Maria in Vallicella dei padri filippini, ove per sua espressa volontà trovò sepoltura.
Opere. Dottore in diritto civile e canonico («utriusque iuris») alla Sapienza di Roma nel 1739, Pirelli nutrì un costante interesse per gli studi letterari e fece parte dell’Accademia dell’Arcadia, che ebbe il suo centro propulsivo a Roma. Iscrittosi con il nome di Doralbo Triasio, sembra avesse acquisito «tanto e tale credito, che non si dava alle stampe alcuna Raccolta di Componimenti degli Arcadi, senza la di lui preventiva approvazione» (Memorie istoriche…, 1788, p. 201). In tale ambito, tra le sue opere vanno annoverati un’orazione in lode di Benedetto XIV, acclamato pastore arcade con il nome di Egano Aluntino, inserita tra le Prose di Arcadia (Delle lodi del sommo pontefice Benedetto 14. Prosa detta in adunanza d’Arcadia da Filippo Maria Pirelli suo camerier segreto ed avvocato concistoriale, in Roma a’ 17 settembre 1741) e un componimento dedicato al medesimo pontefice in seno alla raccolta Arcadum Carmina pro restituta valetudine Benedicti XIV (1757). Un suo ritratto (tela ovale, 1,00×0,80 m, Milano, collezione privata), venne realizzato nel 1767 dal pittore Pompeo Girolamo Batoni.
Fonti e Bibl.: Memorie della spedizione di Mons.r F.M. P., avvocato concistoriale e cameriere segreto di papa Benedetto XIV, ablegato apostolico a portare le berrette cardinalizie al cardinal Domenico Orsini, già duca di Gravina nella corte di Napoli; ed al cardinal Francesco Landi, arcivescovo di Benevento, promossi nel conclave dè 9 settembre 1743 (catalogo dei mss. della biblioteca Minieri Riccio, III, Napoli 1869); G. Carafa, De Gymnasio Romano et de eius professoribus ab Urbe condita usque ad haec tempora libri duo..., Roma 1751, cap. 8, pp. 553-554; Memorie istoriche degli uomini illustri della Regia città di Ariano raccolte dall’abate Francesco Antonio Vitale, Roma 1788, pp. 181-220; F.M. Renazzi, Storia dell’Università degli Studj di Roma…, IV, Roma 1806, pp. 209-222; G. Vico, Opuscoli di Giambattista Vico; nuovamente pubblicati con alcuni scritti inediti da Giuseppe Ferrari, III, Milano 1836, p. 466; G. Moroni, Dizionario di erudizione storico-ecclesiastica da S. Pietro sino ai nostri giorni, LIII, Venezia 1840-61, p. 250; L. Berra, Il diario del conclave di Clemente 14. del card. F.M. P., in Archivio della Società romana di storia patria, LXXXV-LXXXVI (1962-63), pp. 25-319; L. von Pastor, Storia dei papi dalla fine del Medioevo, XVI, p. I, libro II, Clemente XIII, Roma 1965; I. Belli Barsali, Un inedito del Batoni: il ritratto del cardinale F.M. P., in Studi romani, XVI (1968), 4, pp. 483-484; V.E. Giuntella, Roma nel Settecento, Bologna 1971; M. Rosa, Clemente XIV, in Dizionario Biografico degli Italiani, XXVI, Roma 1982; B. Tanucci, Epistolario, X, 1761-62, a cura e con introduzione di G. Maiorini, Roma 1988; P. Palmieri, Il lento tramonto del Sant’Uffizio. La giustizia ecclesiastica nel Regno di Napoli durante il secolo XVIII, in Rivista storica italiana, 2011, 1, pp. 26-60.