CAMPEGGI, Filippo Maria
Nacque intorno all'anno 1518 dal senatore bolognese Antonio Maria e da Lucrezia Guastavillani. Avviato agli studi giuridici ottenne la laurea nel 1544 presso l'università di Bologna. Abbracciata la carriera ecclesiastica, il C. fu favorito dai numerosi prelati che contava nella parentela e in particolar modo dallo zio paterno Tommaso che, dopo la morte del cardinal Lorenzo, era l'esponente più ragguardevole della famiglia presso la Curia romana; questi assegnò al nipote l'abbazia di S. Maria di Corace in Calabria, presso Catanzaro, ricco beneficio ecclesiastico che gli era stato assegnato nel 1522 da Adriano VI. Tommaso, che dal 1520 reggeva il vescovato di Feltre, impegnato in numerosi incarichi diplomatici e curiali che lo obbligavano ad una forzata lontananza dalla sua diocesi, scelse il C., il 16 apr. 1546, come suo coadiutore con diritto di successione. Per la lontananza del vescovo che aveva nel frattempo assunto la reggenza della cancelleria apostolica, il C. governò di fatto da solo quella diocesi fino al 17 apr. 1559 allorché Tommaso rinunciò pienamente ai suoi diritti su di essa, permettendo in tal modo al nipote di succedergli.
Poco si sa dell'attività pastorale del C. mentre è ben documentata la sua partecipazione alla terza fase del concilio tridentino. Giunto a Trento il 17 marzo del 1562, il C. intervenne alla fase conclusiva del concilio partecipando alle discussioni sui canoni intorno ai sacramenti dell'eucarestia, dell'ordine, del matrimonio e sulla questione della residenza dei vescovi.
La discussione sui decreti dogmatici de sacramento missae si era focalizzata sui problemi inerenti l'eucarestia ed il C. si schierò dalla parte di coloro che intendevano riservare la comunione sotto le due specie ai soli sacerdoti celebranti. Il 16 luglio 1562 fu approvato un decreto che, pur sancendo la non obbligatorietà della comunione sotto le due specie, la riteneva tuttavia ammissibile; la decisione incontrò il voto contrario dei vescovi Tommaso Stella, Giovanni Munatones, Giovanni Soarez e del C., che in precedenza aveva manifestato la sua posizione al proposito affermando che l'eucarestia era stata istituita da Cristo nelle due specie solo per gli apostoli, e pertanto doveva intendersi riservata ai soli sacerdoti celebranti. La discussione sulla concessione del calice si protrasse poi a lungo ed il C. assunse a tale proposito un atteggiamento inutilmente dilatorio. Altro grosso problema nel quale il C. intervenne fu quello relativo alla residenza che coinvolgeva direttamente gli interessi di numerosi prelati poiché metteva in discussione la possibilità che questi possedessero contemporaneamente più benefici ecclesiastici con obbligo di cura delle anime. La controversia su questo punto, uno dei più qualificanti dell'intero concilio, fra quelli che tendevano ad una riforma dei costumi del clero, occupò gran parte dell'attività dei padri conciliari nella terza fase del sinodo e fu la causa di una pericolosa frattura fra la corrente riformatrice che manifestò l'intenzione di definire de iure divino il dovere dei pastori a risiedere nelle proprie sedi, e l'opposta corrente dei curiali, la quale temeva che una tale scelta avrebbe rafforzato l'autonomia e l'indipendenza dei vescovi da Roma. Il 4 genn. 1563 il C. propose una soluzione immediata sostenendo l'inutilità della discussione di quel problema; riteneva infatti che una soluzione soddisfacente fosse già contenuta nella bolla di Paolo III, Nostri non solum, del 31 dic. 1546, nella quale il pontefice, a proposito della residenza, limitava le esenzioni e proibiva alcune dispense accordate precedentemente. Nella ventitreesima sessione del concilio, tenuta il 15 luglio 1563, furono presentati i Decreta super reformationes nei quali veniva esaminato anche il problema della residenza, evitando di nominare il diritto divino che già aveva sollevato aspri dissidi fra i padri. Molti di costoro tuttavia ritennero che il testo sottoposto all'approvazione dell'assemblea in virtù delle sue stesse ambiguità potesse soddisfare entrambi gli schieramenti. La votazione riscontrò infatti il voto negativo di soli undici padri. L'unico che si oppose al decreto denunciandone apertamente le contraddizioni fu il C., il quale manifestò non di meno la sua intenzione di sottomettersi alla volontà del pontefice. La sua partecipazione saltuaria alle congregazioni conciliari, dalle quali si assentava per lunghi periodi, fu oggetto di pubblico rimprovero da parte del card. Morone.
Terminato il concilio, il C. tornò ad occuparsi della sua diocesi feltrina ove attese alla pubblicazione dei decreti tridentini e dove si impegnò attivamente in un'opera di riforma della Chiesa segnalandosi fra i pastori più attivi del periodo postconciliare: egli fu infatti fra i primi vescovi che svolsero la visita pastorale della propria diocesi, rispettando l'invito di Pio V.
Negli anni successivi il C. divise la propria residenza fra Feltre e Venezia ove infine si stabilì pressoché definitivamente dal 1580 dopo che, in seguito ad una sua richiesta, gli era stato assegnato un coadiutore per aiutarlo nell'attività pastorale. Probabilmente la scelta della città lagunare fu dettata al C. dalla presenza in Venezia del nipote Lorenzo, nunzio apostolico in quella città; qui il C. morì l'11 marzo del 1584.
Fonti e Bibl.: Bibl. Apost. Vat., Cod. Regin. 377: Visita pastorale a Feltre nel 1569, pp. 105-108; Arch. di Stato di Bologna, Fondo Campeggi-Malvezzi, serie II, 58/295: C. F. al vescovato di Feltre;Bologna, Bibl. universitaria, ms. 4207: L. Montefani-Caprara, Famiglie bolognesi, XXII, c. 71; Concil. Tridentinum, ed. Soc. Goerresiana, Acta, V, Friburgi Brisgoviae 1919, ad Indicem; Nunziat. di Venezia, VIII, a cura di A. Stella, Roma 1963, ad Indicem;M. Calini, Lettere conciliari (1561-1563), a cura di A. Marani, Brescia 1963, ad Indicem;F. Amadi, Della nobiltà di Bologna, Cremona 1588, p. 88; G. N. Pasquali Alidosi, Lidottori bolognesi, Bologna 1620, p. 83; A. Masini, Bologna perlustrata, Bologna 1666, II, p. 114; P. S. Dolfi, Cronologia delle famiglie nobili di Bologna, Bologna 1670, p. 236; L. v. Pastor, Storia dei papi, VII, Roma 1928, p. 244; VIII, ibid. 1929, p. 150; P. Paschini, Daniele Barbaro…, in Riv. di storia della Chiesa in Italia, XVI (1962), p. 87; G. Gulik-C. Eubel, Hierarchia catholica, III, Monasterii 1923, p. 195; G. Moroni, Diz. di erudiz. stor.-eccl., XXIII, p. 273; Dict. d'Hist. et de Géogr. Ecclés., XI, col. 632.