BONAMICI, Filippo Maria
Nacque a Lucca il 26 febbr. 1705 da Francesco, modesto mercante, e da Maria Felice Rigola. Era fratello di Castruccio, noto latinista e militare al servizio di Carlo di Borbone. Studiò nel seminario lucchese di S. Martino, dove insegnava teologia un suo parente, Giovan Felice Rigola. Qui, presi gli ordini minori, ebbe per qualche tempo l'ufficio di prefetto e successivamente la cattedra di retorica i Nel 1739 si trasferì a Roma, chiamatovi dal lucchese Giovanni Vincenzo Lucchesini, già vescovo di Ragusa e di Assisi e allora titolare in Curia della segreteria dei Brevi, il quale gli offrì l'ufficio di suo sostituto. Alla morte del suo protettore il B. ne scrisse l'elogio funebre, Oratio in funere Io. Vincentii Lucchesinii ad Lucenses dum amplissimo praesuli in templo eiusdem nationis officia exequiarum persolverent (Roma 1745).
È probabile che il B. aspirasse a succedere nella carica al Lucchesini, ma le sue speranze furono deluse da Benedetto XIV, il quale gli preferì il sanseverinese Gaetano Amati, presso il quale comunque il B. continuò ad esercitare l'ufficio di sostituto. Nel 1752 tenne all'Accademia Quirina un Discorso... su la facilità dell'antica Roma nell'ammettere alla cittadinanza forestieri, nel quale prendeva posizione contro la proposta, circolante nella Curia, di escludere dal governo e dalle varie cariche romane coloro che non fossero nati nello Stato pontificio. Il B. pubblicò a Roma nello stesso anno il Discorso, dedicandolo al cardinale Neri Corsini "dittatore perpetuo" dell'Accademia Quirina. Nel 1753 diede alle stampe in Roma la sua opera principale: De claris Pontificiarum Epistolarum Scriptoribus ad Benedictum XIV Pont. Max. liber.
Nel dialogo, affidato a tre interlocutori, il Lucchesini, Alessandro Furietti e Gaetano Forti, l'autore tentava di stabilire quali dovessero essere le doti fondamentali del perfetto oratore: una profonda conoscenza delle ragioni politiche che motivano l'orazione stessa, buona dottrina teologica e perfetta padronanza della lingua latina. A questa prima parte concernente l'oratore ideale il B. intendeva far seguire (secondo i maggiori modelli classici di trattatistica sulla retorica) una seconda parte storico-erudita, consistente in un elenco dei più famosi scrittori di lettere pontificie. Senonché questa parte si rivelò largamente insufficiente e non mancò di procurare al B. astiose censure che provocarono in lui il desiderio di una seconda edizione dell'opera: questa usci nel 1770 (del lungo tempo trascorso per allestirla egli rendeva conto a Giovan Domenico Mansi con lettera del 15 febbr. 1760): De claris Pontificiarum litterarum scriptoribus ad Clementem XIV Pont. Max. editio altera multo auctior atque emendatior. Ma neanche questa edizione soddisfece gli eruditi e le Novelle letterarie di Firenze chiaramente esprimevano l'insoddisfazione per l'opera del B. lungamente attesa, II [1771], pp. 25 ss., I, 117 ss., 164 ss.).
Sin dal suo trasferimento a Roma il B. aveva dovuto occuparsi degli affari della Repubblica di Lucca presso la S. Sede, senza tuttavia alcuna veste ufficiale e senza stipendio. Finalmente, nel 1754, rese un importante servigio alla Repubblica ottenendole da Benedetto XIV, con una bolla del 26 maggio di quell'anno, un privilegio al quale il governo lucchese ambiva da molto tempo: la facoltà di proporre, in caso di vacanza dell'arcivescovato della città, una rosa di tre candidati dai quali il pontefice avrebbe scelto il nuovo titolare della cattedra. In riconoscimento dei suoi buoni uffici il Consiglio generale lucchese il 31 maggio successivo nominò il B. suo agente in Roma per un triennio con regolare stipendio, facendo una notevole eccezione alla tradizione secondo cui le cariche diplomatiche della Repubblica erano riservate ai membri dell'ordine patrizio.
Dopo l'elezione al pontificato di Clemente XIII, la difesa che il B. fece sempre degli interessi lucchesi finì per inimicargli il papa ed il cardinale segretario di Stato Luigi Torrigiani, sicché, quando nel 1759 morì il segretario ai Brevi Amati, Clemente XIII lo sostituì con Tommaso Ernaldi di Lugo, ignorando le aspirazioni del B., che riteneva di essersi assicurato qualche diritto alla carica con il suo trattato: delusione rinnovata poi tre anni dopo, allorché fu prescelto alla successione dell'Emaldi il pistoiese Michelangelo Giacomelli.
Nel 1761 i rapporti tra la S. Sede e la Repubblica raggiunsero le punte più aspre per la pretesa del pontefice, avanzata in occasione dell'elezione dell'arcivescovo Vincenzo Francesco Torre, di gravare la mensa arcivescovile lucchese di una nuova pensione di 500 scudi a favore di un suo protetto. La Repubblica si oppose alla richiesta, il pontefice si rifiutò di consacrare l'arcivescovo eletto, il Consiglio generale lucchese richiamò indietro il Torre che si era recato a Roma per ottenere la consacrazione e al B. spettò di adoperarsi per raggiungere un compromesso che si rivelava più difficile, tanto più che nella controversia emersero questioni giurisdizionali nelle quali si inasprirono le rispettive posizioni. Il B. riuscì finalmente a concludere un accordo che lasciò tuttavia assai scontenti sia il papa sia il governo lucchese: l'arcivescovato fu gravato di una nuova pensione di 160 scudi a favore dell'ospedale della Misericordia di Lucca, una seconda pensione per la stessa cifra fu messa a disposizione del papa e alla Repubblica fu accordato il privilegio, puramente onorifico, di avere in perpetuo per un lucchese una carica di avvocato concistoriale. Clemente XIII non perdonò mai al B. di essersi adoperato contro quelli che riteneva indiscutibili diritti della Chiesa e neanche il Consiglio generale di Lucca si reputò soddisfatto, non approvando la proposta dell'Offizio sopra la giurisdizione di premiare il B. con una piccola gratifica. Dopo una serie di altri tentativi infruttuosi, finalmente il Consiglio si indusse a valutare più equanimemente i servigi del proprio agente a Roma e gli concesse un premio di 150 scudi. Nel 1769, poi, gli accordò, su proposta dell'Offizio sulle differenze un aumento dello stipendio di 60 scudi per le spese di rappresentanza.
Il B. poté finalmente ottenere la tanto sospirata carica di segretario dei Brevi ai principi quando fu eletto papa il mite Giovanni Vincenzo Ganganelli (Clemente XIV), che pare avesse in simpatia il prelato lucchese. Lo creò, infatti, anche suo cameriere segreto, e, pur pretendendo che rinunziasse all'incarico diplomatico, lo confermò con una gratificazione del danno economico che gliene conseguiva. La Repubblica non poté che rallegrarsi della promozione del proprio agente e deliberò per lui un donativo di 500 scudi oltre all'assunzione nei ranghi della nobiltà.
L'ultima fatica letteraria degna di nota del B. fu il De vita et rebus gestis ven. servi Dei Innocentii XI Pont. Max. Commentarius, pubblicato nel 1776 e dedicato a Pio VI.
L'interesse di questo scritto è nel fatto che il B. poté ottenere numerose indicazioni e notizie biografiche dal confessore del pontefice, Ludovico Marracci: in genere però si tratta di notizie di un interesse secondario. Tale opera si legge, assieme alle altre del B. e alla produzione del fratello Castruccio, in Philippi et Castrucci fratrum Bonamicorum, lucensium, opera omnia, raccolta compilata da Giovan Battista Montecatini e data alle stampe a Lucca nel 1784, con una biografia del B. che si deve allo stesso autore della raccolta. Una lettera latina del B., non compresa nella silloge del Montecatini, appare nelle Novelle letterarie di Firenze (VII [1776], pp. 250 ss.). Comprese invece nell'edizione complessiva sono, oltre alle menzionate orazioni, De vita Castrucci fratris commentariolum, alcune Epistole, un numero considerevole di Carmina e Inscriptiones, nonché diverse Rime, per la maggior parte d'Occasione, che nulla aggiungono alla fisionomia dello scrittore e poco a quella del retore in latino.
Il B. morì a Roma nel 1780.
Fonti e Bibl.: G. M. Mazzuchelli, Gli Scrittori d'Italia, II, 4, Brescia 1763, pp. 2316 s.; I. B. Montecatini, De vita Philippi Bonamici commentarius, Lucae 1784; G. Sforza, Episodi della storia di Roma nel sec. XVIII, in Arch. stor. ital., s. 5, XIX (1887), pp. 222 ss.; Id., Papa Rezzonico studiato ne' dispacci inediti d'un diplomatico lucchese, in Mem. della R. Acc. delle Scienze di Torino, s. 2, LXV (1916), n. 6, pp. 1-54;. L. von Pastor, Storia dei Papi, XIV, 2, Roma 1932, p. 537; G. Natali, IlSettecento, Milano s.a., ad Indicem.