MARCHETTI, Filippo
Nacque a Bolognola, sui monti Sibillini, il 26 febbr. 1831 da Nicodemo, possidente, e Francesca Maurizi, proprietaria di greggi e di una industria laniera.
Settimo di nove fratelli, il M. intraprese gli studi musicali a Bolognola con lo zio N. Maurizi, per proseguire a 12 anni con L. Bindi. Dal 1850 al 1854 fu a Napoli al Real Collegio di S. Pietro a Majella - allora diretto da S. Mercadante - dove studiò dapprima "partimenti ed armonia sonata" con l'allievo di N.A. Zingarelli G. Lillo, quindi contrappunto e composizione con C. Conti. Risalgono a questo periodo i primi lavori del M.: Coro dei corsari per tenori, bassi e orchestra (1852), Le sette parole di Nostro Signore Gesù Cristo per soli, coro a tre voci e orchestra (1852), Sinfonia in re (1853), tutti eseguiti a Napoli nei saggi di classe di composizione. Alla fine del quadriennio di studio il M. tornò a risiedere nelle Marche e concepì la sua prima opera, Gentile da Varano, su libretto del fratello Raffaele, rappresentata con successo il 30 genn. 1856 al teatro Nazionale di Torino e ripresa a Camerino nel carnevale dell'anno successivo. Il secondo melodramma, La demente, su libretto di G. Checchetelli, fu rappresentato al teatro Carignano di Torino il 27 nov. 1856. Nonostante vi fossero esecutori di prestigio (Virginia Boccabadati, E. Delle Sedie) l'opera fu ritirata dopo solo quattro repliche; la ripresa romana nel 1857 fu appena più fortunata (otto repliche). Il terzo melodramma del M., Il paria (1861), libretto di Checchetelli, non trovò un allestimento e fu archiviato dall'autore, che passò oltre con nuovi lavori.
Il fratello Raffaele fu sempre al fianco del M. nei momenti cruciali della sua carriera in un rapporto di fiducia e condivisione degli orizzonti politici e ideali che si interruppe solo con la morte del primo (1898). Entrambi erano liberali e favorevoli all'Unità d'Italia sotto i Savoia; Raffaele, avvocato penalista, nel 1870 fece parte della Giunta provvisoria di governo a Roma e della deputazione inviata a Firenze a presentare il plebiscito popolare a Vittorio Emanuele II; fu poi deputato e segretario della presidenza della Camera. Quanto alla collaborazione del giovane M. con il letterato Checchetelli - liberale, tra i fondatori del Comitato nazionale romano - essa fu il frutto della consonanza di idee politiche dei due fratelli con lui.
Negli anni tra il 1856 e il 1863 il M. compose e pubblicò la maggior parte delle sue liriche da camera - la sua produzione più riuscita, secondo alcuni (di San Martino e Valperga, 1931, p. 436) - mentre nel 1861 e nel 1862 videro la luce le raccolte per canto e pianoforte Stornelli romaneschi e Canti popolari romaneschi, entrambe per i tipi della casa Ricordi. Queste rappresentano un caso isolato ed eccezionale nel panorama dell'Ottocento italiano per l'atteggiamento del M., che si impegnò a riportare i canti alla loro versione più autentica limitandosi a "regolarizzare" l'armonia.
Nel 1862 il M., che nel frattempo si era trasferito a Roma, partì alla volta di Milano, spronato dal fratello Raffaele, per tentare di rilanciare la propria carriera di operista. E tuttavia il suo quarto melodramma, Romeo e Giulietta su libretto di M.M. Marcello, edito da Lucca, dopo aver esordito al teatro Comunale di Trieste il 25 ott. 1865 e aver conquistato il plauso di G. Ricordi, pur ripreso nel 1872 con alcuni miglioramenti apportati nel finale, non ebbe molta fortuna.
Fu con il dramma Ruy Blas, libretto di C. D'Ormeville da V. Hugo, che il M. assurse al ruolo di operista di fama internazionale.
Dopo la prima alla Scala il 3 apr. 1869 sotto la direzione di E. Terziani, in una stagione dominata dalla rappresentazione de La forza del destino di G. Verdi, le riprese si susseguirono con grande successo, tanto che il dramma sembrò uno dei pochi, se non l'unico, in grado di contrastare il dominio verdiano: nel 1873, le 21 repliche alla Scala furono inferiori soltanto a quelle di Aida. Ruy Blas rimase sulle scene nazionali e internazionali (Europa e Americhe) fino alle soglie del Novecento; in Italia fu rappresentato anche in 33 teatri contemporaneamente e fino al 1874 ebbe all'incirca 130 allestimenti. In tempi recenti l'opera è stata ripresa a New York nel 1984 e a Jesi nel 1998.
Ma l'apice del successo raggiunto con Ruy Blas non fu più eguagliato. Dopo cinque anni di studio il M. diede alla luce la sua nuova opera Gustavo Wasa, sempre su libretto di D'Ormeville, che fu rappresentata alla Scala il 7 febbr. del 1875. Fu riconosciuto al M. l'impegno nel produrre un'orchestrazione accurata e una musica "studiatissima" (Biaggi, p. 760), ma vi fu anche chi annotò come le corde migliori del M. fossero quelle sentimentali piuttosto che quelle epico-eroiche (S. F., p. 54). Ancora meno fortunata fu la vicenda del terzo melodramma nato dal sodalizio con D'Ormeville: grandi furono le difficoltà che il M. incontrò per far rappresentare Don Giovanni d'Austria e inutili i tentativi di organizzare una prima a Roma. Ultimata nel 1878, l'opera fu rappresentata a Torino sotto la direzione di C. Pedrotti l'11 marzo del 1880, mentre arrivò al teatro Costanzi di Roma solo nel 1885. La critica parlò di successo "di stima" e annotò come l'opera non corrispondesse pienamente alle aspettative del pubblico (Valletta - Berganovich, pp. 110-112).
È stato opportunamente osservato come la produzione del M., autore che "non aprì nuovi orizzonti, non creò forme nuove" (di San Martino e Valperga, 1931, p. 435), rifletta tuttavia le trasformazioni dell'opera italiana dai modelli di G. Rossini, G. Donizetti, V. Bellini, al tardoromanticismo di G. Puccini e P. Mascagni. Questa fase di transizione ebbe il suo massimo interprete in Verdi, che pur stigmatizzando le "lungaggini" del M., ebbe anche parole incoraggianti nei suoi confronti, definendolo autore di "opere sane", e che, non intaccate dai modelli francesi e tedeschi, mantenevano puro il carattere italiano (lettera al conte Opprandino Arrivabene, Genova, 11 dic. 1885, in F. Abbiati, Giuseppe Verdi, Milano 1959, III, p. 272). Non da meno, i critici dell'epoca riconobbero al M. il merito di aver contribuito a indicare la strada per il rinnovamento del melodramma, virando progressivamente dai toni epico-eroici del grand opéra a quelli più intimi, lirico-sentimentali (Valletta - Berganovich, p. 111). All'ascoltatore contemporaneo la musica del M. si rivela non sempre incisiva drammaturgicamente, ma a tratti accattivante per la cura dell'orchestrazione e per l'invenzione melodica che sembra scaturire dal declamato.
Tornato a Roma dopo la parentesi milanese, dalla metà degli anni Settanta il M. aveva iniziato a frequentare il salotto di Margherita di Savoia (regina d'Italia dal 1878) al Quirinale, per poi divenire "maestro per gli istrumenti" e consigliere della regina. L'orientamento politico del circolo di corte, in cui ministri e letterati prevalevano su aristocratici e militari, era quello della Destra storica laico-liberale, mentre l'atteggiamento culturale di apertura verso la musica da camera e il sinfonismo classico, in linea con gli orientamenti del pubblico di fine secolo, mirava a sottrarre ai circoli diplomatici e al patriziato cittadino il monopolio esclusivo della musica strumentale.
Il M. trascorse gli ultimi vent'anni della sua vita nella capitale, allontanandosi solo in estate per recarsi nei suoi possedimenti di Gallazzano nelle Marche o a Gressoney, sulle Alpi, al seguito della regina Margherita; in questo periodo l'attività politico-culturale del M., che si esplicò in numerosi impegni istituzionali, prevalse sull'impegno artistico-creativo. Cosciente di non poter ripetere il successo del Ruy Blas, ma forse anche per l'esaurimento della vena creativa a fronte dell'insorgere di nuovi interessi, il M. si ritirò dalla carriera operistica, fatta eccezione per l'impegno di seguire in tutta Italia gli allestimenti del suo melodramma di maggior successo. I lavori successivi al 1880 - composizioni sacre, liriche per canto e pianoforte e un progetto per un'opera nuova che non vide mai la luce - sono infatti numericamente esigui rispetto alla produzione degli anni precedenti.
Nel 1931 E. di San Martino e Valperga, ricordando l'amico in occasione del centenario della nascita, rilevò come il M., personaggio storico prima che operista, conscio dei suoi limiti di compositore, avesse lasciato il segno più con la vita che non con le opere (1931, pp. 431-333).
In particolare, degno di nota fu il ruolo che il M. svolse nella transizione dell'Accademia di S. Cecilia e del suo neonato liceo musicale dall'autonomia di cui godevano sotto il governo pontificio al graduale uniformarsi alle regole del nuovo Stato unitario, in un periodo cruciale per il riassetto delle accademie e degli istituti culturali. L'elezione del M. alla presidenza dell'Accademia ceciliana nel luglio del 1881 riuscì a ricomporre le divisioni in seno agli accademici; da più parti si sottolineò come egli, musicista di prestigio, non avesse avversari politici e fosse ben introdotto nel circolo di corte e negli ambienti governativi.
Fu certamente grazie alla sua influenza, in particolare sul ministro G. Baccelli, che con decreto ministeriale del 2 marzo 1882 la Biblioteca del Liceo musicale annesso all'Accademia assunse l'obbligo di raccogliere i fondi musicali delle biblioteche governative di Roma. Inoltre, sempre sotto la presidenza del M., nel 1885 fu posata la prima pietra della sala accademica, la prima e la più grande sala per concerti di Roma. Il 4 genn. 1883 il M. fu incluso insieme con A. Boito, P. Platania, A. Bazzini e P. Torrigiani, nella commissione permanente per l'arte musicale e drammatica alle dipendenze del ministero dell'Istruzione. Come membro di quella commissione si impegnò nella stesura di un progetto di finanziamento dei conservatori e dei teatri da presentare al governo dopo il vaglio dell'Accademia di S. Cecilia.
Nel 1886 il M. lasciò la presidenza dell'Accademia per divenire il primo direttore del liceo musicale di Roma, fino ad allora retto da un collegio di professori. Il suo passaggio dalla presidenza accademica alla direzione liceale pose le basi per un fecondo rapporto con il governo centrale affinché il liceo venisse preso nella dovuta considerazione e assurgesse al rango di istituto musicale superiore.
L'impegno del M. per promuovere la musica italiana si dispiegò su più fronti, ma ebbe sempre come punto di partenza il suo ruolo di direttore del liceo musicale di S. Cecilia, al quale si dedicò in maniera quasi esclusiva negli ultimi anni della sua vita. In particolare, nel 1887 fece parte insieme con i direttori dei principali conservatori d'Italia di una commissione ministeriale per la salvaguardia del carattere nazionale della nostra musica. Scopo di tale commissione era quello di studiare le istituzioni musicali italiane (scuole di musica pubbliche e private) e preparare un progetto di riforma per innalzare il prestigio della musica italiana. Nell'estate del 1889 il M. fu incluso nella commissione del concorso indetto dall'editore Sonzogno per un'opera inedita in un atto e sostenne particolarmente il giovane Mascagni, che poi risulterà vincitore con Cavalleria rusticana, aprendogli le porte della carriera operistica. Nel 1898, infine, il M. portò a termine l'acquisizione da parte della Biblioteca governativa di S. Cecilia delle partiture autografe di Norma e Beatrice di Tenda di Bellini da un collezionista privato fiorentino.
Il M. morì a Roma il 18 genn. 1902.
Per l'elenco delle opere e la discografia si rimanda a: F. Bissoli - L. Lugli - A.R. Severini, F. M.: l'uomo, il musicista, a cura di F. Bissoli, Bologna 2002, pp. 233-241.
Fonti e Bibl.: Roma, Acc. nazionale di S. Cecilia, Arch. storico, Archivio post-unitario, Carteggio, b. 145, f. 447 (anni 1871-83); b. 180, f. 2, sottofasc. 6 (anno 1884); b. 221, f. 1, sottofasc. 19 (anno 1902); P. Mascagni, Epistolario, I, a cura di M. Morini - R. Iovino - A. Paloscia, Lucca 1996, pp. 91, 119 s.; F. Marchetti, Epistolario, a cura di L. Lugli, Lucca 2004; G.A. Biaggi, Rassegna musicale, in Nuova Antologia, marzo 1875, pp. 756-766; S. F., "Gustavo Wasa" del maestro M. alla Scala, in Gazzetta musicale di Milano, XXX (1875), 7, pp. 53 s.; [I. Valletta - G. Berganovich] Il "Don Giovanni d'Austria" del maestro M. a Torino, ibid., XXXV (1880), 14, pp. 110-112; F. D'Arcais, F. M., ibid., XL (1885), 11, pp. 99 s.; A. Cametti, La morte di F. M., ibid., LVII (1902), 4, pp. 43-46; Id., Corrispondenze, ibid., 5, p. 67; Id., Per una data, ibid., 6, p. 82; P. Mascagni, F. M., in Cronache musicali e drammatiche, III (1902), p. 29; C. Segrè, F. M., in Nuova Antologia, 1° febbr. 1902, pp. 529-535; E. di San Martino e Valperga, Commemorazione di F. M., in Regia Accademia di S. Cecilia, Annuario, VII-VIII, 1° luglio 1901 - 30 giugno 1903, Roma 1904, pp. 61-70; [Id.], Commemorazione centenaria della nascita di F. M., in Regia Accademia di S. Cecilia, Annuario 1930-31, Roma s.d. [ma 1931], pp. 431-442; R. Giazotto, Quattro secoli di storia dell'Accademia nazionale di S. Cecilia, Verona 1970, II, pp. 376, 379-381, 399, 421, 432, 438 s., 446, 453, 493, 500, 503, 506; G. Boccanera, Dall'epistolario di F. M., in Atti del XXII Convegno di studi storici maceratesi… 1986, in Studi maceratesi, XXII (1989), pp. 633-658; M. Conati, "L'oltracotata turba che s'indraca". Inforestieramenti dell'opera italiana nel secondo Ottocento, in Musica senza aggettivi. Studi per F. D'Amico, a cura di A. Ziino, in Quaderni della Rivista italiana di musicologia, XXV (1991), 1, pp. 345-353; F. Vacca, "… purtroppo i geni non son lì che covano…". Il liceo musicale di Roma dal 1869 al 1886, in Nuova Riv. musicale italiana, n.s., II (1998), 1-4, pp. 178-205; C. Casalegno, La regina Margherita, Bologna 2001, p. 133; Enc. dello spettacolo, VII, coll. 103 s.; Diz. encicl. univ. della musica e dei musicisti, Le biografie, IV, p. 642; The New Grove Dict. of music and musicians, XV, pp. 825 s.; Die Musik in Geschichte und Gegenwart, Personenteil, XI (2004), coll. 1050-1052.