MAGALOTTI, Filippo
Nacque nel 1363 a Firenze da Filippo di Duccio, uno dei membri del governo provvisorio che venti anni prima aveva retto la Repubblica dopo la cacciata del duca d'Atene, Gualtieri di Brienne. Sull'esempio del padre e di altri consorti si dedicò precocemente all'attività politica. Come riferiscono Marchionne di Coppo Stefani e Naddo di ser Nepo da Montecatini, nel 1378 fu fatto cavaliere di Popolo dai ciompi. Sul finire degli anni Ottanta sposò Selvaggia figlia di Benedetto Alberti.
Il 28 apr. 1387, per colpire le arti minori di lì a poco estromesse dal governo della città, Bese Magalotti, suo consanguineo e nemico di parte, si oppose alla sua nomina quale gonfaloniere di Giustizia, avanzando l'eccezione che il M., allora ventiquattrenne, non avesse ancora raggiunto l'età necessaria. Ne seguirono alcuni scontri di piazza, ma il M. dovette rinunciare alla carica. In ogni caso già l'anno seguente figurava in una cerimonia di investitura, accompagnando due cavalieri di Popolo. La sua carriera politica continuò come podestà di Ascoli nel 1392 e di Perugia nel 1394. Quell'anno fu anche capitano del Popolo a Todi, allorché Franco Sacchetti gli inviò un sonetto di lodi dedicato alla signoria dei Malatesta.
Nel 1397 fece parte dell'ambasceria inviata presso la Repubblica di Venezia per la stipula di una tregua con il duca di Milano Gian Galeazzo Visconti, al quale Firenze si opponeva da molti anni. Fra 1398 e 1399 fu legato presso la Curia papale e il re di Napoli Ladislao d'Angiò Durazzo. Nel 1400 si recò di nuovo, con Niccolò da Uzzano, a Venezia per protestare contro la pace separata siglata da quella Repubblica con Gian Galeazzo, che avallava le azioni del duca in Toscana a danno di Firenze.
Nel 1401, come attestano le spese per i rettori (Molho), era vicario a Firenzuola. Allorché, a partire dall'anno successivo, si avviarono trattative di pace tra Firenze, i Visconti e la Sede apostolica, il M. fu tra chi si oppose a un accordo con il pontefice, giudicato ostile e poco affidabile. Fece parte dei Dieci di balia nel 1403, allorché figurò tra i commissari incaricati di progettare un attacco, che poi fallì, contro Pisa. In quello stesso anno rappresentò la Signoria presso il legato pontificio di Bologna, cardinale Baldassarre Cossa, futuro papa scismatico con il nome di Giovanni XXIII.
Nel 1404 fu eletto commissario dell'esercito contro i Pisani e nell'anno seguente si recò a Piombino per assumere la tutela del giovane Iacopo (II) Appiani, successo al padre Gherardo Leonardo come signore di quel piccolo centro, governando per un anno la cittadina a nome di Firenze. Nel marzo 1407, di fronte alle crescenti spese dovute alla guerra contro i Pisani, il M. propose, come attestano i volumi delle Consulte e pratiche dell'Arch. di Stato di Firenze, di razionalizzare le uscite tramite una ripartizione delle medesime secondo un rigido schema di priorità.
Nel 1408 fu uno degli ambasciatori presso papa Gregorio XII, allora in Toscana, e raggiunse nuovamente Roma per condurre le trattative con Ladislao. Questi, desideroso di consolidare il dominio sul proprio Regno e la sua posizione nel contesto degli Stati italiani, aveva avviato in quel periodo una politica espansionistica a danno del dominio pontificio indebolito dallo scisma, arrivando a occupare Roma e poi l'Umbria. La sua alleanza, nel giugno di quell'anno, con Paolo Guinigi, signore di Lucca, lo rendeva una seria minaccia per la sicurezza di Firenze.
L'istruzione destinata agli ambasciatori (oltre al M., Lorenzo Ridolfi, Bartolomeo Valori e Iacopo Salviati) prevedeva che ognuno pronunciasse un'orazione di fronte al sovrano. Salviati riferisce nelle sue memorie come il M. "parlasse tanto altamente". Tuttavia - egli aggiunge - "questo parlare non fu di cose sustantiali, ma fu circa alle raccomandigie, et offerte, che s'usano ne' principii, et oltra ciò mostrare quanta stretta, et lunga amicitia era stata sempre intra i suoi antenati, et il nostro popolo".
Il testo del discorso tenuto dal M. - conservato in numerose copie manoscritte (per es. Firenze, Biblioteca nazionale, II, II, 81, cc. 121v-128r) e pubblicato in Delizie degli eruditi toscani, XVIII (1784), pp. 371-381 - è stato lungamente commentato da Santini, il quale ne ha lasciato un giudizio molto severo. In effetti il tono dell'arringa risulta fin troppo encomiastico, ampolloso e sostanzialmente vuoto di contenuti. Il sovrabbondare di elogi per il monarca e i suoi avi finisce quasi per lasciare in ombra il vero motivo dell'ambasceria. La prima parte, sorta di dottissimo proemio dall'impostazione oratoria più marcata, evidenzia un'ampia erudizione. Le frequenti citazioni letterali di autori classici e volgari appaiono, però, eccessivamente estese e accostate fra loro in maniera non sempre chiara. La seconda sezione, quella più fedele al dettato della missione, riprende pedissequamente l'istruzione stessa (Firenze, Biblioteca nazionale, II, IV, 311, cc. 65r-71r), con tutto il relativo frasario cancelleresco: "Con ongni attestatione di parole dichano e affermano che chontro alla vostra maestà inetterno non saranno né mai diranno alchuna choxa che sappino o pensino non vi sia a grado" (Horatione al re Ladislao, in Delizie, pp. 379 s.). Il periodare si sostanzia soprattutto di un lungo elenco di episodi richiamati ad attestare l'antica alleanza tra la Repubblica e i principi partenopei. In ogni caso, l'allocuzione fu accolta con ammirazione presso i contemporanei e poi nella memoria degli storici fiorentini, come dimostra il numero relativamente ampio di copie attraverso le quali è stata tramandata (cfr. Kristeller).
L'ambasciata, come riferisce l'anonima cronaca un tempo ritenuta opera di Pietro Minerbetti, non ebbe esito positivo. Il re intendeva stringere una lega con Firenze, mentre la Repubblica, restia ad associarsi con un sovrano minaccioso, preferiva raggiungere solo un accordo di reciproca non aggressione. Il re, deluso, congedò i legati e si preparò alla spedizione militare nella Toscana meridionale.
Il M. morì molto probabilmente nel settembre del 1410; il giorno 27, infatti, veniva mandato a esecuzione il testamento, dettato fin dal 1408, con cui nominava il figlio Bernardo erede universale.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Firenze, Consulte e pratiche, 38, c. 18r; Diplomatico, S. Maria degli Angioli, 27 sett. 1410; Manoscritti, 248: Priorista Mariani, 1, c. 73r; Archivio Magalotti, 121, c. 69; Firenze, Biblioteca nazionale, II, IV, 243: F. Sacchetti, Poesie, cc. 410-411; Magl., XXVI, 112: A.M. Biscioni, Alberi di div. famiglie, cc. 47v-48r; Cronica volgare di anonimo fiorentino già attribuita a Piero di Giovanni Minerbetti, a cura di E. Bellondi, in Rer. Ital. Script., XXVII, 2, pp. 372 s.; Marchionne di Coppo Stefani, Cronaca fiorentina, a cura di N. Rodolico, ibid., XXX, 1, pp. 324, 404; Naddo di ser Nepo da Montecatini, Ricordi, in Delizie degli eruditi toscani, XVIII (1784), p. 25; I. Salviati, Cronica, ibid., pp. 292 s.; S. Ammirato, Dell'istorie fiorentine libri venti, Firenze 1600, pp. 548 s., 605, 630, 637, 654; G.M. Mecatti, Storia cronologica della città di Firenze, I, Napoli 1755, pp. 327, 338 s., 343; G. Capponi, Storia della Repubblica di Firenze, I, Firenze 1875, pp. 380, 418; E. Santini, Firenze e i suoi "oratori" nel Quattrocento, Firenze 1922, pp. 148-150; D.M. Bueno de Mesquita, Giangaleazzo Visconti duke of Milan (1351-1402). A study in the political career of an Italian despot, Cambridge 1941, pp. 283, 365-370; L. Martines, Lawyers and statecraft in Renaissance Florence, Princeton 1968, pp. 320, 322; A. Molho, Florentine public finances in the early Renaissance, 1400-1433, Cambridge, MA, 1971, p. 207; G. Salvemini, La dignità cavalleresca nel Comune di Firenze, in Id., La dignità cavalleresca nel Comune di Firenze e altri scritti, a cura di E. Sestan, Milano 1972, pp. 185 s., 195; G.A. Brucker, The civic world of early Renaissance Florence, Princeton 1977, pp. 78, 81, 89, 168, 170, 184, 187, 196, 210, 250, 265, 268; Inventari dei manoscritti delle biblioteche d'Italia, VIII, p. 197; XI, pp. 19 s.; P.O. Kristeller, Iter Italicum, I-II, ad indices.