MACHIAVELLI, Filippo
Nacque a Firenze il 13 maggio 1461 da Alessandro di Filippo e da Lisabetta di Bernardo di Uguccione Lippi. Rimase orfano dei genitori e dal 1469 fu affidato al fratello maggiore Niccolò e alla moglie di questo, Antonia Dini.
Si può presumere che, fin dall'adolescenza, il M. abbia affiancato il fratello nell'attività tradizionale della famiglia, la manifattura serica, e attraverso lui, molto assiduo negli incarichi pubblici e nelle discussioni politiche, abbia preso progressivamente confidenza con la vita pubblica cittadina. Dal fratello si separò dal punto di vista fiscale nel 1487, quando, dopo avere diviso l'eredità paterna, il M. si vide riconosciuto un imponibile equivalente alla metà di quello del fratello, senza dubbio per il minor apporto da lui dato, in ragione della giovane età, all'industria di famiglia. Solo nel 1493, invece, il M. acquistò una casa propria, sebbene confinante da un lato con quella del fratello, situata sulla stessa via Romana, nel quartiere di S. Spirito, "gonfalone" Nicchio. Probabilmente a questa data risale il matrimonio con Nera di Piero Nasi.
L'ingresso nella vita politica avvenne il 6 sett. 1492, quando fu estratto per la carica semestrale di podestà di Colle di Val d'Elsa, uno dei rettori "estrinseci" del dominio fiorentino. Dopo questo incarico, per circa un decennio non se ne segnalano altri, finché nel 1502 vi fu la designazione a far parte della Signoria, come priore per il bimestre marzo-aprile; seguì il 1( ag. 1505 l'incarico di membro dei Sei della mercanzia, la magistratura che sovrintendeva al commercio e alle controversie a carattere mercantile, carica destinata a durare quattro mesi. Il 18 apr. 1506 fu estratto podestà di Pistoia, altro incarico estrinseco ma che rivestiva un carattere particolare, perché la città era costantemente agitata dalle lotte di fazione e per questo motivo per lunghi periodi fu commissariata e, anche nel caso del mandato del M., questi si vide attribuire poteri speciali. Ricoprì di nuovo l'incarico di podestà di Pistoia nel 1512, a partire dal 25 novembre, ma fino alla morte del fratello maggiore, avvenuta entro il 14 febbr. 1516, gli incarichi pubblici rimasero sporadici e non di primo piano.
Le cose cambiarono successivamente, quando il M. divenne progressivamente uno dei personaggi di primo piano della vita politica fiorentina e, nonostante l'avvicendarsi di regimi diversi, a seconda della presenza o meno dei Medici al vertice del governo fiorentino, tale rimase fino al termine della vita: nel 1518, a partire dall'8 giugno, fu per sei mesi membro dei Conservatori di leggi, la magistratura che vegliava sull'operato di chi deteneva le cariche pubbliche; dal 1( marzo 1521 fu eletto per un anno tra gli ufficiali del Monte, la magistratura che governava il debito pubblico del Comune di Firenze; il 21 maggio dello stesso anno fu eletto membro per tre anni degli ufficiali del Monte di pietà, istituzione caritativa nata al tempo del regime ispirato da Girolamo Savonarola. A riprova del ruolo di spicco ormai assunto, il 21 luglio 1522 venne l'elezione a membro del Consiglio dei settanta, una sorta di senato istituito per la prima volta da Lorenzo il Magnifico nel 1480 e uno dei pilastri su cui si reggeva il sistema mediceo di potere; nell'ambito di questo consiglio venivano scelti i membri degli Otto di pratica, la magistratura che presiedeva alla politica estera, di cui il M. fece parte a partire dal 10 giugno 1523 (e ancora nel 1531 e 1541), e i Dodici procuratori, che presiedevano alla politica finanziaria e fiscale del Comune, di cui il M. fece parte dal 13 apr. 1526.
Sempre nel 1523 raggiunse il vertice istituzionale della Repubblica fiorentina con la carica di gonfaloniere di Giustizia per il bimestre novembre-dicembre, mentre nel gennaio-febbraio 1525 fu di nuovo priore e il 24 dic. 1526 fu designato come uno degli accoppiatori, con il ruolo di predisporre le liste elettorali per gli uffici maggiori.
Nonostante l'impegno assiduo e qualificato nelle principali magistrature della Repubblica, andava maturando nel M., come del resto nella parte più aperta e illuminata del ceto "ottimatizio", una profonda insofferenza per il governo del cardinale Silvio Passerini, allora rappresentante in città degli interessi della famiglia Medici per conto del cardinale Giulio, divenuto papa Clemente VII. Questo gruppo di cittadini, formato per la maggior parte da persone che avevano collaborato lealmente con il regime mediceo, nella primavera del 1527, mentre l'esercito imperiale si avvicinava pericolosamente al territorio fiorentino e sempre più insostenibili si facevano le richieste finanziarie da parte di Clemente VII, giunse alla rottura completa con i Medici. Il 17 maggio 1527, dopo che si era diffusa in città la notizia del sacco di Roma e della prigionia del papa, si offrì l'occasione per indurre alla fuga il cardinale Passerini e fondare un nuovo regime. Iniziava così l'"ultima Repubblica" di Firenze, destinata a durare poco più di tre anni e dominata, in una prima fase, dalla figura carismatica di Niccolò Capponi, gonfaloniere di Giustizia dal 1( giugno 1527 al 15 apr. 1529. Egli perseguì una politica di grande moderazione, aperta alla collaborazione anche degli arrabbiati, la parte più intransigente dell'opposizione antimedicea.
Nel nuovo regime, il M. ebbe un posto di primo piano: entrò a far parte sia del Consiglio maggiore sia di quello degli ottanta, i due Consigli repubblicani resuscitati al posto dei medicei Consigli dei Cento e dei settanta, e dal 25 nov. 1528 fu per sei mesi membro dei Dieci di balia, la magistratura repubblicana che presiedeva alla guerra e alla politica estera. Ma, al di là delle cariche istituzionali, il M. era ritenuto uno dei più intimi e ascoltati consiglieri del Capponi, di cui era amico personale e collega nell'ambito dell'arte della seta. Fu il M., insieme a Matteo Strozzi e ad Agostino Dini, nel 1528, a convincere il gonfaloniere, per sua natura diffidente verso i ceti popolari, a ripristinare le milizie popolari, istituite per la prima volta nel 1509, su ispirazione di Niccolò Machiavelli. E, come il Capponi, anche il M. fu messo in ombra dopo l'aprile 1529, quando prevalse la politica radicale di Francesco Carducci.
Nella primavera del 1530, quando la sorte del regime repubblicano di Firenze appariva ormai segnata per l'alleanza di Clemente VII con le forze imperiali, il M., al pari di buona parte degli ottimati che già erano stati sostenitori di Niccolò Capponi e che dopo il suo allontanamento dal governo avevano preso politicamente le distanze dal governo repubblicano di Firenze, cominciò a sostenere la necessità di trovare un accordo con il papa e gli Imperiali, che evitasse alla città nuove lacerazioni e il tracollo economico. Quando poi anche Malatesta Baglioni, comandante delle forze militari della Repubblica fiorentina, sostenne apertamente la necessità di arrendersi, fu tacciato di tradimento dai vertici del governo fiorentino, ancora in mano ai radicali, ma gran parte del ceto ottimatizio, tra cui il M., lo sostenne apertamente e si radunò in Oltrarno per incontrarsi con lui, di ritorno da una campagna militare. Dopo la resa di Firenze all'esercito imperiale, il M. fu designato, in virtù di queste prese di posizione, dal Parlamento riunito in piazza della Signoria, membro della Balia, formata da dodici cittadini, incaricata di venire a patti con i vincitori e preparare il terreno all'inevitabile e prossimo ritorno dei Medici a Firenze. Per questa sua partecipazione, il M. fu definito dallo storico filorepubblicano Iacopo Nardi, uno degli "affossatori della libertà fiorentina" (Nardi, II, p. 222).
Dopo la fondazione del nuovo regime mediceo, il M. collaborò continuamente e lealmente con il nuovo governo, che fu caratterizzato da istituzioni dal profilo essenzialmente principesco, nonostante l'apparente rispetto di alcune tradizioni repubblicane. Nell'ultimo periodo della sua vita il M. fu uno degli uomini più rappresentativi del nuovo regime e fu impegnato nell'esercizio delle cariche pubbliche quasi senza soluzione di continuità: a più riprese fece parte degli accoppiatori, con il compito di predisporre le liste per gli uffici che ancora si conferivano per estrazione a sorte; varie volte fu membro dei Dodici procuratori e degli Otto di pratica, entrambi organismi "medicei" ripristinati alla fine dell'ultimo regime repubblicano, e più volte fece parte del Magistrato supremo, l'istituto collegiale presieduto dal duca che, nelle intenzioni dei riformatori che avevano concepito nel 1532 il nuovo assetto istituzionale fiorentino, doveva tenere il posto della soppressa Signoria; a più riprese fu membro di magistrature con competenze specifiche, come gli Ufficiali dell'abbondanza (1534), i Conservatori di leggi (1535), gli Ufficiali del Monte (1539).
In riconoscimento della sua esperienza politica e della sua lealtà verso la famiglia Medici, il 27 apr. 1532 era stato nominato senatore a vita dal duca Alessandro de' Medici.
Nonostante l'impegno ormai continuo nella vita pubblica, il M. continuò a interessarsi delle sue imprese commerciali, tanto che nel suo ultimo testamento, rogato il 12 luglio 1543, egli veniva ancora definito "civis et mercator florentinus" (Arch. di Stato di Firenze, Notarile antecosimiano, filza 9755, c. 369). Per quanto riguarda la famiglia, egli, che non ebbe figli propri, fu costantemente impegnato, dopo la morte del fratello maggiore, nell'educazione e nell'amministrazione dei beni dei nipoti, figli dei figli premorti di quest'ultimo; del testamento del M. esistono una prima redazione del 1523 e poi modifiche e codicilli fino al 1543.
Il M. morì a Firenze il 3 giugno 1547 e fu sepolto nella chiesa di S. Felicita, nella cappella di famiglia.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Firenze, Carte Sebregondi, filza 3197; Ceramelli Papiani, filza 2864; Catasto, filze 906 (1469), c. 562; 688, c. 122; Monte comune, Campioni del Catasto, 14, c. 477; Decima repubblicana, filza 3, c. 355; Notarile antecosimiano, filze 9751, cc. 196, 206, 404; 9754, cc. 99, 169, 380, 405; 9755, cc. 98, 125, 369; 2684, c. 163; Dieci di Balia, Deliberazioni, condotte e stanziamenti, reg. 48, c. 126v; Tratte, 905, c. 139r; 906, cc. 14r, 45v-46r, 50v, 68r, 70r, 76r, 79v, 82r, 87r, 114v, 116r, 141v, 154r; 907, cc. 13r, 43r, 56v, 63r, 67r, 68v, 69v, 179r, 182, 183r, 186r, 187, 192r, 193, 194v, 199r, 202v-203r, 204r, 205, 206v-207r; 987, cc. 27r, 33r; 988, c. 6r; Decima granducale, filze 1835, c. 88; 3563, c. 434; B. Segni, Storie fiorentine, Augusta 1723, pp. 36, 29; Id., Vita di Niccolò Capponi, Augusta 1723, p. 25; D.M. Manni, Il senato fiorentino, Firenze 1771, p. 9; G. Cambi, Istorie, in Delizie degli eruditi toscani, XXI (1785), p. 75; XXII (1786), pp. 58, 271; B. Varchi, Storia fiorentina, a cura di L. Arbib, Firenze 1843, pp. 504, 525, 607, 645; I. Nardi, Istorie della città di Firenze, a cura di A. Gelli, Firenze 1888, II, p. 222.