LASCHI, Filippo
Nacque presumibilmente a Firenze intorno al 1720. Non si hanno notizie sulla formazione musicale di questo cantante di opera buffa tra i più famosi della sua generazione. L'origine fiorentina è attestata in numerosi libretti, in cui il L. è definito "di Firenze". Dopo l'esordio come Tolomeo nel Cesare in Egitto di M. Fini al teatro Pubblico di Pisa nella stagione di carnevale 1739, non varcherà nei primi anni di carriera i confini della città natale, interpretando dapprima ruoli secondari in opere serie, rappresentate nel teatro di via del Cocomero (Artaserse di L. Vinci, carnevale 1740). Già dall'anno seguente fu, sempre al Cocomero, tra gli interpreti di drammi giocosi per musica quali La serva favorita di G. Chinzer (autunno 1741), La libertà nociva di Rinaldo Di Capua, Amor vuol sofferenza di L. Leo e Orazio di G. Latilla e G.B. Pergolesi (tutti dell'autunno 1742). Ed è nei tempi comici della commedia brillante che il L. non tarderà a riconoscere la sua corda più autentica. Ormai pronto ad affrontare la più importante piazza teatrale europea, dal carnevale 1743 al carnevale 1745 si alternò sulle scene veneziane dei teatri di S. Moisè e S. Cassiano in una decina di allestimenti, perfezionando personaggi che gli diedero grande notorietà quali Don Calascione ne La finta cameriera, Orazio in Madama Ciana, entrambi di Latilla, Fiorlindo, ne L'ambizione delusa di Di Capua.
Venezia doveva segnare un incontro importante nella carriera come nella vita del L., quello con la cantante bolognese Anna Querzoli, che nelle didascalie del libretto dell'opera bernesca La Fiammetta (un pasticcio andato in scena al S. Moisè nel carnevale 1743) appare per la prima volta come "Anna Querzoli Laschi".
Il matrimonio doveva quindi risalire a poco prima. Anna Querzoli aveva debuttato nel teatro di S. Giovanni in Persiceto nel 1737, esibendosi poi in circuiti minori quali i teatri di Rimini, Faenza, Alessandria, Lodi e Modena, prima di arrivare a Bologna nel 1742, e finalmente Venezia. Da quel momento i Laschi formeranno una coppia nella vita come in scena, esibendosi insieme fino alla stagione milanese dell'autunno 1754. In seguito si divisero, almeno artisticamente, e Anna Querzoli Laschi continuò a cantare senza il marito a Brescia (1754), Livorno (1757), concludendo la carriera a Londra, dal 1766 al 1768, in ruoli seri (Tigrane, Ifigenia in Aulide, Sesostri).
Al periodo veneziano seguì per il L. una breve parentesi dedicata a ruoli seri, fra cui quello del protagonista nel Bajazette di G. Cocchi, prima presenza documentata del L. in un teatro romano, quello delle Dame (teatro Alibert) nel carnevale 1746. Si ripropose quindi in due allestimenti de La commedia in commedia di Di Capua (Brescia, Erranti, 1747; Bologna, Formagliari, 1748).
Nel 1748 il L. era tra i cantanti scritturati dal "dottor" Giovanni Francesco Crosa, un eccentrico impresario che pionieristicamente si accingeva a proporre per la prima volta al diffidente pubblico londinese del King's theatre un programma completamente dedicato all'opera buffa. Nel maggio 1750, dopo due tumultuose stagioni che videro il graduale disperdersi della compagnia e il disastro finanziario dell'impresa, Crosa dovette lasciare per sempre l'Inghilterra. Il King's theatre chiudeva i battenti per riaprire solo nell'autunno 1753 con un ritorno all'opera seria. Bisognerà attendere fino al 1766 perché l'opera buffa si radichi a Londra con lo straordinario successo de La buona figliola di N. Piccinni.
La compagnia formata da Crosa era in realtà di tutto rispetto, e aveva i suoi punti di forza in due fra i più brillanti buffi dell'epoca, il L., appunto, e Pietro Pertici, ingaggiati con le rispettive mogli, Anna Querzoli e Caterina Brogi. Per le parti serie troviamo il giovane castrato Gaetano Guadagni, quasi agli esordi, che a Londra non tardò ad attirare su di sé l'attenzione di G.F. Händel, affermandosi in seguito nei principali teatri italiani, fino a essere scelto da Ch.W. Gluck quale protagonista del suo Orfeo ed Euridice (Vienna, Burgtheater, 5 ott. 1762). Nella prima stagione al King's theatre vennero allestiti sette drammi giocosi che rappresentavano novità assolute per il pubblico londinese, ma ben conosciuti dagli interpreti: il sipario si sollevò l'8 nov. 1748 con La commedia in commedia, cui fecero seguito Orazio, La finta frascatana, Don Calascione. A proposito di queste opere di esordio, Burney afferma che "the music of Don Calascione by Latilla, was much the best; the whole being truly characteristic and charming. Till the Buona figliola, nothing equal to it was produced" (Burney, 1957, p. 848). Nonostante le opere venissero presentate in forma di pasticci più o meno sconclusionati, Burney parla in termini entusiastici di Pertici e del L., definendoli "the two best buffo actors I ever saw" (ibid.), e aggiungendo: "Laschi was certainly the best buffo, except Lovatini, that has ever appeared on our stage: and the acting of him and Pertici was undoubtedly the most amusing and ingenious that can be possibly imagined" (Burney, 1819), opinioni condivise da H. Walpole: "there were never two better comedians than Pertici and Laschi" (The Yale edition…, lettera a sir Horace Mann, 23 marzo 1749).
Durante l'estate 1749 la compagnia di Crosa si esibì al théâtre de la Monnaie a Bruxelles. Il conferimento del titolo di "virtuoso di camera del principe Carlo duca di Lorena e di Bar", governatore dei Paesi Bassi austriaci, di cui il L. si fregiò per tutto il corso della carriera, risale a questo breve soggiorno a Bruxelles, al tempo sotto il governo di Carlo di Lorena: il titolo, conferito anche alla moglie del L., appare infatti per la prima volta nelle didascalie del libretto dell'Orazio, rappresentato in quell'occasione (cfr. King - Willaert, pp. 255 s.).
Rientrata a Londra senza Pertici e la moglie, la compagnia di Crosa si trovò presto in serie difficoltà: il 20 febbr. 1749 Crosa fu costretto a ripiegare su di un'opera seria, l'Adriano in Syria di V. Ciampi (rappresentata il 27 marzo con La serva padrona di Pergolesi in una serata a beneficio del L.). Seguì quindi Il trionfo di Camilla - espressamente composto da Ciampi per il King's theatre (con Giulia Frasi e il L. come protagonisti) - che, nonostante il titolo, fu tutt'altro che un trionfo. La stagione venne bruscamente interrotta dalla bancarotta dell'impresario, che fu imprigionato per un breve periodo, per poi scappare la notte dell'8 maggio e riparare in Olanda.
Le tracce di Crosa si perdono fino al 3 ag. 1750, quando riapparve con la sua troupe ad Amsterdam, dove fino al 20 ottobre misero in scena il solito repertorio (Orazio, Li tre cicisbei ridicoli e La finta cameriera). Sebbene non siano giunti libretti di questi allestimenti, il L. seguì certamente Crosa anche in questa avventura: la sua presenza è testimoniata più volte dalla stampa locale (King - Willaert, p. 265). Un ricovero per malattia del L. mise in serie difficoltà la compagnia; il colpo di grazia fu l'arrivo, alla fine di settembre, di una compagnia rivale di commedianti francesi. Dopo il 20 di ottobre la compagnia di Crosa non rappresentò più opere, e sotto la direzione del L. cominciò a dare concerti: la ragione del repentino cambiamento era dovuta al fatto che Crosa, rintracciato dai creditori inglesi, era nuovamente finito in prigione per debiti, e le scene e i costumi dell'impresa messi sotto sequestro.
Rientrato in Italia, il L. tornò a esibirsi per alcune stagioni sui palcoscenici veneziani dei teatri di S. Moisè e S. Samuele (dall'autunno 1751 al carnevale 1753) in opere di Latilla (Gli impostori, L'isola d'amore) e del felice binomio costituito da C. Goldoni e B. Galuppi (La calamita de' cuori, Il mondo alla roversa). Nella primavera 1753 cantò a Torino al teatro Carignano, quindi nel carnevale seguente al Regio (Demofoonte di G. Manna), con un compenso di 160 zecchini (Storia del teatro Regio di Torino). Nel 1754 risulta ingaggiato al Ducale di Milano e a Brescia. Dall'autunno di quell'anno, e per ben quattro anni, non si trova traccia del L. nei libretti a stampa e nelle cronache coeve. Si è ipotizzato che durante quel periodo fosse nuovamente in Inghilterra: il nome "Lasci" risulta nell'elenco di artisti che si esibirono in concerti a Londra il 17 giugno e il 5 luglio 1757 (King - Willaert, p. 270).
Il L. ricompare nuovamente al Ducale di Milano nell'autunno del 1758, quindi nel carnevale seguente al teatro Valle di Roma quale "mezzo carattere" in opere di D. Fischietti e Galuppi. Raggiunta la piena maturità artistica, è ormai lanciato nei principali circuiti teatrali italiani: nell'autunno 1759 e 1760 affrontò ancora al Ducale di Milano alcuni drammi giocosi di Goldoni, messi in musica da G.B. Lampugnani, Piccinni (La buona figliola) e Fischietti. Fu quindi a Livorno (primavera 1760 e 1761), Venezia (S. Moisè, autunno 1760 - autunno 1762, carnevale 1763), Roma (Valle, carnevale 1762), Firenze (Cocomero, primavera 1762, primavera - estate 1764), Genova (Falcone, carnevale 1764).
Nel 1765 il L. riprese la via dell'estero: dal gennaio di quell'anno risulta impegnato presso i "teatri Privilegiati" di Vienna, dove si presentò al pubblico nell'ormai collaudato ruolo di Ridolfo ne Li tre amanti ridicoli di Galuppi, accanto a Costanza Baglioni; apparve inoltre ne La contadina in corte di A. Sacchini (1767) e nel dramma pastorale Il trionfo della fedeltà di Maria Antonia Walpurgis (1768). La permanenza viennese avrebbe riservato esperienze e incontri di ben altra rilevanza: il L. ebbe modo di partecipare, anche se in un ruolo secondario (Apollo), alla prima assoluta della tragedia per musica Alceste di Gluck (26 dic. 1767), momento centrale di quella riforma dell'opera seria intrapresa da Gluck e Ranieri de Calzabigi con l'Orfeo ed Euridice, e che nella celeberrima prefazione apposta alla prima edizione a stampa dell'Alceste (Vienna 1769) ha proprio il suo manifesto programmatico.
I cantanti di opera seria presenti a Vienna si erano rivelati mediocri, tanto che Gluck preferì prendere in considerazione alcuni elementi dell'eccellente compagnia di opera buffa, come riporta un testimone d'eccezione, Leopold Mozart, che nella lettera a L. Hagenauer del 30 genn. 1768 afferma: "zu Seriosen opern sind keine Sängern hier, selbst die trauerige opera die Alceste vom gluck ist vom lauter opera Buffa sängern aufgefürt worden […] den für eine opera buffa sind excellente leute da: Sgr. Caribaldi. Sgr. Caratoli. Sgr. Poggi. Sgr. Laschi. Sgr. Polini. Die Sga. Bernasconi. Sgra. Eberhardi. Sgra. Baglioni" (Mozart Briefe, p. 258).
Nel settembre del 1766 Leopold Mozart si era recato nella capitale asburgica con moglie e figli con il preciso intento di promuovere presso la corte l'eccezionale talento del figlio minore Wolfgang Amadeus, e riuscì a ottenere dall'imperatore la commissione per un'opera buffa, che Wolfgang stesso avrebbe dovuto dirigere. La scelta del soggetto cadde su La finta semplice, un libretto di Goldoni riadattato per l'occasione da Marco Coltellini. Al L. fu affidato il ruolo di Fracasso, ufficiale ungherese innamorato della bella Giacinta; il giovane Mozart dovette faticare non poco per assecondare le esigenze del famoso cantante italiano, riscrivendo gran parte delle arie a lui destinate.
In particolare la grande aria tripartita con flauti, oboi e corni "Nelle guerre d'amore non val sempre il valore" (atto III, scena 2) si avvicina nella forma e nel carattere allo stile serio (cfr. Abert, I, pp. 147 s.). La realizzazione dell'opera doveva incontrare difficoltà ben maggiori, dovute all'ostilità dell'ambiente teatrale viennese nei confronti dei Mozart: l'idea che un ragazzo di soli 12 anni fosse chiamato a scrivere e dirigere un'opera al cembalo - ruolo in cui il pubblico era abituato a vedere un compositore del prestigio di Gluck - appariva ai più inopportuna. A detta di L. Mozart, il movimento di fronda era guidato dall'impresario teatrale G. Affligio e dallo stesso Gluck, che riuscirono a convincere gli orchestrali a non lasciarsi dirigere da un fanciullo. Leopold accusò in particolare i cantanti di doppiezza: "Die Sänger wurden aufgeredet, das Orchester aufgehätzet, und alles angewendet um die Aufführung dieser opera einzustellen. Die Sänger, die ohnehin kaum die Noten kennen, und darunter ein und anderer alles gänzlich nach dem Gehöre lernen muß, sollten nun sagen, sie könnten ihre Arien nicht singen, die sie doch vorhero bey uns im zimmer hörten, begnehmten, applaudirten, und sagten, daß sie ihnen recht wären" (lettera del 30 luglio 1768 a Hagenauer, Mozart Briefe, pp. 270 s.).
La conclusione della vicenda è nota: W.A. Mozart non vide mai rappresentata la sua prima opera buffa sul palcoscenico del Burgtheater dai più noti cantanti buffi dell'epoca (La finta semplice venne data a Salisburgo l'anno seguente con oscuri interpreti locali). Il mondo dell'opera italiana a Vienna gli rimase a lungo precluso, e bisognerà attendere 18 anni, un librettista compiacente, L. Da Ponte, e una nuova compagnia d'opera buffa, per la realizzazione di un capolavoro quale Le nozze di Figaro (1786): la collaborazione bruscamente interrotta con il L. sarà più fruttuosamente ripresa in quell'occasione con sua figlia Luisa, prima interprete della Contessa d'Almaviva.
L. Mozart, in una lettera alla moglie (Venezia, 13 febbr. 1771), accenna di aver avuto notizia della morte del L. e di un altro famoso cantante, Francesco Carattoli ("dass der Carattoli und Laschi gestorben wirst du gehort haben", Mozart Briefe, p. 418): in realtà, dall'autunno 1771 il L. risulta rientrato definitivamente in Italia, dapprima impegnato al S. Moisè di Venezia fino al carnevale 1772 (L'isola di Alcina di G. Gazzaniga), quindi nell'autunno 1773 al Carignano di Torino, in opere di G. Astarita e G. Paisiello (L'innocente fortunata), in seguito a Firenze (Cocomero, primavera 1774), Lucca (autunno 1774), Livorno (Carnevale 1775), Reggio (fiera 1775), Trieste (Carnevale 1776).
Dall'autunno del 1776 rientrò stabilmente nella sua Firenze, dapprima alla Pergola, fino alla primavera seguente (L'amore artigiano di F. Gassmann; I tre amanti di D. Cimarosa; La vera costanza di P. Anfossi), poi, nel carnevale 1777, fu scritturato al teatro in via S. Maria. La sua ultima apparizione in veste di cantante risalirebbe al carnevale 1779 al teatro de' Nobili di Perugia, quale Macrobio nell'Avaro, forse su musica di Anfossi. Dopo il ritiro dalle scene continuò a lavorare presso la Pergola, inizialmente come direttore dei cori (autunno 1779), quindi, fino alla stagione di carnevale 1782, fu impegnato al secondo cembalo in più di quindici allestimenti.
Le ultime notizie sul L. risalgono circa al 1782, riguardo la sua attività come insegnante di canto a Firenze. Tra i suoi allievi viene spesso citato il famoso baritono Luigi Bassi, primo Don Giovanni a Praga nell'omonima opera di Mozart (1787); in realtà Bassi viene indicato nei principali repertori biografici come allievo di Pietro Laschi. L'attività di didatta del L. è testimoniata da un altro suo famoso allievo, anch'egli primo interprete mozartiano, il tenore Michael Kelly (primo Don Basilio ne Le nozze di Figaro, Vienna 1786), che dal L. avrebbe preso lezioni di recitazione.
Kelly, accennando nelle sue memorie al suo debutto fiorentino nella primavera del 1781, afferma: "Lord Cowper advised me to take some lessons in acting, for which purpose he introduced me to Laschi, who had been the greatest actor of the day but was at that time living in retirement at a country-house near Florence. He undertook to instruct me, and did it con amore; nothing could exceed the pains he took with me, and I endeavoured by rigid attention to reap the full benefit of his instruction" (Solo recital…, p. 70).
Il L. viene perlopiù indicato in attività come cantante fino al 1789, anno in cui un "sig. Laschi" è indicato come interprete del ruolo di Farinella nel pasticcio L'ape musicale, andato in scena quell'anno al Burgtheater di Vienna. La didascalia del libretto in realtà non dà adito a dubbi, riportando in quel ruolo femminile "la sig. Laschi", cioè la figlia Luisa Laschi, ingaggiata in quegli anni con il marito presso il Burgtheater.
Non sono noti data e luogo di morte del Laschi.
Insieme con un ristretto drappello di interpreti, il L. contribuì in modo determinante al successo e alla straordinaria diffusione nell'Italia del Nord e all'estero del repertorio comico di metà Settecento, limitato talvolta nei vincoli del dialetto: opere nate in ambito napoletano come "commedeje pe' mmuseca" vennero sottoposte a un consueto percorso di "toscanizzazione" in allestimenti romani (è il caso paradigmatico de La finta cameriera), per poi essere riproposte nei teatri di tutta Europa.
Il L. viene normalmente indicato come tenore. La terminologia che accompagna i cantanti di opere settecentesche non si riferisce strettamente a tipologie vocali, quanto piuttosto ai caratteri giocati nella commedia: "primo amoroso", "buffo caricato" ecc.; gli interpreti sono considerati e definiti "attori" prima ancora di cantanti, e giudicati di conseguenza. Il L., negli innumerevoli personaggi affrontati in oltre quarant'anni di carriera, abbraccia dalle caratterizzazioni più decisamente comiche, "baritonali" (il vecchio sciocco, il contadino ricco ma ignorante, l'uomo attempato e sordo), ai toni medi del "mezzo carattere" - decisamente le sue interpretazioni più riuscite - fino ai ruoli propriamente tenorili di amoroso.
Il giudizio dei contemporanei è concorde nel porre l'accento sulle grandi qualità di attore (piuttosto che di cantante) del Laschi. Una testimonianza preziosa circa le sue straordinarie capacità interpretative è offerta da Joseph von Sonnenfels: "Laschi sucht nie auf Kosten der Natur das Händeklatschen des Parterrs. Er ist ein Schauspieler von grosser Einsicht: seine Scherze sind fein, anpassend, nie herbeygeschleppt, sondern immer aus der Sache selbst geschöpft: sein Anstand ist frey; er ist - wenn sich die beiden Worte ja einigermassen vergesellschaften lassen - ein edler Buffo. […] Seine körperliche Ausübung, und seine tiefen Kenntnisse, sowohl in der Schauspielkunst als der Musik, versichern ihm indessen noch itzt einen Platz unter den vortrefflichsten Theatralpersonen Italiens: und was das Ohr bey seinen Arien zuweilen leidet, darüber entschädigt er durch seine Recitative, worein er alle Wahrheit und Ausdruck zu legen weis" (Sonnenfels, pp. 70 s.; lettera del 2 marzo 1768). Le défaillances vocali appaiono trascurabili rispetto alle doti peculiari dell'interprete, tutte riconducibili all'ossimoro coniato dal Sonnenfels di "buffo nobile": una recitazione esemplare, apprezzabile soprattutto nei recitativi, basata sulla naturalezza, misura, eleganza, accompagnata da una profonda consapevolezza e padronanza della scena.
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