LAPACCINI (Lapaccino; Lapacino), Filippo
Nacque a Firenze intorno alla metà del XV secolo. Una ricostruzione del suo profilo biografico è resa problematica dal carattere discontinuo e in taluni casi incoerente delle notizie che lo riguardano.
Le prime attestazioni letterarie conducono a Firenze. Del 1473 è un poemetto in cinque capitoli celebrante l'armeggeria di Bartolomeo Benci per Marietta Strozzi (Firenze, Biblioteca nazionale, Magl., VII.1170). Nel 1474 il L. si trovava a Roma, da dove implorava - in cambio di "fama al mondo e orazioni a Dio" - aiuti economici a Lorenzo de' Medici, al quale scriveva "mi sono rimaste le gravezze sanza le sustanze" (Flamini, p. 565 n. 2). Non dovette trascorrere molto tempo tra questa data e il suo trasferimento a Mantova. Il suo nome si trova infatti in una lettera del vescovo Ludovico Gonzaga, datata 16 luglio 1482, nella quale richiedeva il beneficio del vicariato di Cesarea a favore di "domino Philippo Lapaccino prete fiorentino" e "rectore" della chiesa di S. Stefano a Mantova (cit. in D'Ancona, p. 359). Difficile, da questo punto in poi, mettere ordine tra i dati della sua biografia. Sicuramente irricevibile, poiché in contraddizione con la presenza del L. a Mantova in quello stesso periodo, è la notizia, ora ripresa da M. Bregoli Russo, che lo identifica con il Lapaccini - al quale lo legarono forse vincoli di parentela - che nel 1492 vestì l'abito domenicano presso il convento di S. Marco a Firenze. Né è sicuro sia lui il "Philippus Mantuan[us] Org[anista]" che avrebbe musicato alcune frottole, incluse nel perduto decimo libro della raccolta edita da Ottaviano de' Petrucci nel 1512. Una certa incongruenza, in effetti, si è costretti a registrare tra un documento del 1512, l'ultimo che lo riguarda, nel quale egli è citato come già "infermo e vecchio" e una lettera del marchese Francesco Gonzaga, del 1497, nella quale al "musico Lapaccino", in procinto di abbandonare i Gonzaga al seguito di un tal barone siciliano, ci si riferisce come a "jovene cantore e sonatore" (Bertolotti, p. 15). Non vi è dubbio che una tale definizione risulti stridente sia rispetto a quanto della sua età si dice nel documento del 1512 sia rispetto alla presunta data della nascita, da collocarsi, come si è detto, intorno alla metà del XV secolo. L'identità tra il poeta e il musicista deve dunque intendersi come altamente problematica.
Notizie sulla vicenda biografica del L., benché sporadiche, per lo più si desumono dalle informazioni che S. Davari ha raccolto dalle carte dell'Archivio di Stato di Mantova (si veda M. Bregoli Russo, Schede Davari, in Teatro dei Gonzaga, pp. 59-73). A Mantova il L. figura tra gli allievi del musico frate Francesco e a questo titolo egli risulta coinvolto nel tentativo che il marchese Francesco Gonzaga intraprese a partire dal 1490, anno delle nozze con Isabella d'Este, di replicare l'Orfeo del Poliziano. Nella lettera a Francesco Gonzaga, datata 29 ott. 1490, Girolamo Stanga dichiara di aver affidato al "Lapacino" e a Ercole Albergati, detto Zafarano, i versi del testo del Poliziano, affinché essi ricerchino attori "consueti a tale exercitio" (D'Ancona, p. 359). Difficoltà di natura tecnica, oltre che l'indisponibilità dell'attore Atalante Migliorotti, celebre in quella parte, a interpretare il personaggio di Orfeo, indussero tuttavia il marchese a rinunciare all'impresa. Un nuovo tentativo di portare in scena l'Orfeo fu fatto dal Gonzaga nel 1491. Egli sperava di festeggiare in questo modo la visita a Mantova del suocero Ercole d'Este. Il 31 maggio di quell'anno il suo servitore Antimaco lo informava di aver riferito l'ambasciata "a Zafarano e a Lapazino […] per la rapresentatione de Orpheo et Euridice: loro hanno resposto essere apparecchiati di fare el possibile: ma dicono el tempo essere tanto breve, che molto se diffidano de potere fare cosa buona né bella, et tanto più che male troveranno el modo de havere uno Orpheo: pur se lì fosse Atalante sperariano de valersene, massime per il sono" (D'Ancona, p. 363). Anche questo tentativo dovette tuttavia essere presto accantonato, se nell'anno successivo già non si fa più alcuna menzione della messa in scena dell'Orfeo. Da una lettera del 5 febbr. 1492 che lo Zafarano scrisse a Francesco Gonzaga si apprende infatti che il marchese aveva invitato frate Francesco e la sua scuola al palazzo di Marmirolo, per eseguirvi alcuni componimenti, tra i quali la celebre Canzonedeifalconi, opera di frate Francesco. Nella medesima lettera, inoltre, è registrata la disponibilità del L., che lo Zafarano dice di aver interpellato la mattina stessa, a comporre, nel tempo di quindici o venti giorni, una "magna fantasia". Se questa "magna fantasia" sia stata mai scritta e rappresentata e quale, in tal caso, ne fosse l'argomento, è impossibile dire, mancando al riguardo ogni ulteriore documentazione. Ma non è escluso che, come suggerito da D'Ancona, essa possa identificarsi con quel Certamen inter Hannibalem et Alexandrum ac Scipionem Aphricanum che, inedito, è trasmesso da un codice quattrocentesco (Mantova, Biblioteca comunale, Mss., A.IV.130, cc. 46r-50v; una descrizione degli aspetti materiali del codice e del suo contenuto in Bregoli Russo, pp. 75-77).
Scritto in terza rima e suddiviso in tre parti di omogenea estensione (rispettivamente di 127, 124 e 127 versi) che, secondo l'intenzione dell'autore, dovevano corrispondere ad altrettante scene, il Certamen ha come argomento una disputa tra Annibale, Alessandro Magno e Scipione l'Africano, i quali davanti a Minosse, eletto come giudice, si contendono la superiorità. Il contenuto dell'opera è integralmente ricavato dalla traduzione latina, opera di G. Aurispa, di un dialogo di Luciano. Pochissime, rispetto al modello, le variazioni introdotte. Per esempio, è ampliata l'orazione di Scipione, nella quale, accanto alle virtù militari, trovano esaltazione la pietà e il sentimento religioso, doti per le quali gli è assegnata da Minosse la vittoria sugli altri due contendenti. Il Certamen, modesto quanto a pregio letterario (qualche saggio è in Faccioli, pp. 219-224), si apprezza maggiormente sul piano della considerazione storica sia per il carattere desueto dell'argomento sia perché costituisce un capitolo, ingiustamente trascurato dalla critica, della variegata fortuna di Luciano in età umanistica.
Al L. sono attribuiti, non senza incertezze, numerosi altri componimenti poetici. Sicuramente sua è una canzone in lode di Giovanni (II) Bentivoglio, L'excelsa fama tua pel mondo sparsa, che nei manoscritti che la tramandano è preceduta dalla rubrica: "Philippi Lapacini de Florentia viri egregii ad insignem ac potentem equitem et dominum Iohannem de Bentivoliis Bononiae decus cantilena" (Frati, p. 94). Flamini (p. 684) elenca alcuni sonetti di corrispondenza, attribuiti al L. nei manoscritti relatori: Immenso divo e singular poeta (risponde M. Galeotto da Rimini con il sonetto Non diè mai tanto da pensar cometa); Spirto gentile, ingegno ornato e divo (rispondono F. Belcari con il sonetto L'eterno Dio fe' l'uom sì magno e divo e A. Manetti con il sonetto Per soddifare a tanto intellettivo). Responsivo al componimento Vorrei saper da te, Filippo mio sarebbe, infine, quello riferibile al L. Veggio il vostro sonetto dirsi pio.
Frammentaria e cronologicamente discontinua la restante documentazione. Del 2 sett. 1492 è una lettera con la quale Stefano Guidotti, arciprete, annuncia a Francesco Gonzaga di aver conferito al L. il canonicato. Il fatto che nel corso del 1497 il L. fosse invece sul punto di lasciare Mantova per seguire un barone siciliano invaghitosi della sua arte al punto da volerlo condurre con sé in Sicilia risulta, oltre che dalla problematica testimonianza, già ricordata, del marchese Gonzaga, anche da una lettera scritta da Tolomeo Spagnolo a Isabella d'Este nel luglio di quell'anno, dalla quale si deduce inoltre che il L. era al servizio diretto della marchesa. Con quest'ultimo elemento concordano altre testimonianze. In una lettera conservata presso l'Archivio di Stato di Mantova, inviata il 24 giugno 1492 da Antimaco al marchese Francesco, si cita l'impegno profuso da Isabella per il canonicato del L. (cit. in Bregoli Russo, p. 61); mentre in una missiva del 23 ag. 1504 Niccolò da Correggio, menzionando un clavicordo donato alla nuora dalla marchesa, ringrazia quest'ultima per avergli inviato "Don Philippo" ad accordarlo (D'Ancona, p. 359).
Un certo rilievo, ai fini della ricostruzione dell'attività svolta dal L. al servizio dei Gonzaga, assume un documento databile tra la fine del 1511 e gli inizi del 1512, nel quale il L. figura destinatario di un beneficio concesso dal marchese Francesco. Muovendo dalla constatazione che benefici, in questo periodo, venivano accordati unicamente a membri della cappella di musica che il marchese aveva istituito nel 1510, W.F. Prizer ha avanzato l'ipotesi che il L. facesse parte dei cantori della cappella. Con questo documento si interrompono le notizie sulla sua vita. Non è noto l'anno della morte, avvenuta probabilmente a Mantova.
Fonti e Bibl.: P. Canal, Della musica in Mantova, Venezia 1881, p. 12; L. Frati, Panfilo Sasso e una raccolta di rime amorose del sec. XVI, in Riv. critica della letteratura italiana, IV (1887), 1, p. 94; E. Lamma, Intorno ad alcune rime di Lionardo Giustiniani, in Giorn. stor. della letteratura italiana, V (1887), p. 373; A. Bertolotti, Musici alla corte dei Gonzaga a Mantova dal secolo XV al XVIII…, Milano 1890, p. 15; G. Volpi, Le stanze per la giostra di Lorenzo de' Medici, in Giorn. stor. della letteratura italiana, VIII (1890), p. 365; F. Flamini, La lirica toscana del Rinascimento anteriore ai tempi del Magnifico, Pisa 1891, pp. 565, 684; A. Luzio - R. Renier, La cultura e le relazioni letterarie di Isabella d'Este Gonzaga, in Giorn. stor. della letteratura italiana, XVII (1899), pp. 96 s.; E. Faccioli, Mantova.Le lettere, II, Mantova 1962, pp. 218-225; A. D'Ancona, Origini del teatro italiano, II, Roma 1966, pp. 107, 359-364; K. Jeppesen, La Frottola. Bemerkungen zur Bibliographie der ältesten weltlichen Notendrucke in Italien, I, Århus-Copenaghen 1968, pp. 32, 169; W.F. Prizer, La cappella di Francesco II Gonzaga e la musica sacra a Mantova nel primo ventennio del Cinquecento, in Mantova e i Gonzaga nella civiltà del Rinascimento. Atti del Convegno, Mantova… 1974, Segrate 1977, p. 571; F. Luisi, Del cantar a libro… o sulla viola. La musica vocale nel Rinascimento. Studi sulla musica vocale profana in Italia nei secoli XV e XVI, Torino 1977, pp. 74 s.; E. Mattioli, Luciano e l'umanesimo, Napoli 1980, pp. 55 s.; Diz. encicl. univ. della musica e dei musicisti, Le biografie, IV, p. 281; M. Bregoli Russo, Teatro dei Gonzaga al tempo di Isabella d'Este, New York 1997, pp. 59-88.