GUASTAVILLANI, Filippo
Nacque a Bologna il 28 sett. 1541 da Angelo Michele e dalla seconda moglie di questo, Giacoma Boncompagni. Fu battezzato con il nome di Matteo, in ricordo di un parente prossimo che aveva sottoscritto un cospicuo lascito a favore del padre, ma fu chiamato (e si firmò sempre) Filippo, nome di un altro parente che aveva costituito il padre del G. erede universale.
Sin dal XIII secolo la famiglia del G. si era distinta nelle professioni giuridiche e negli incarichi di governo a Bologna. Quindi, agli inizi del Cinquecento, era entrata a pieno titolo nell'aristocrazia della città, impegnandosi in un'oculata conduzione delle proprietà terriere e non disdegnando l'attività imprenditoriale tessile (soprattutto la lavorazione e commercializzazione della canapa e della seta).
Il G. portò a termine gli studi di diritto e, il 4 genn. 1572, fu nominato senatore di Bologna, carica vitalizia di spicco nell'ambito del governo locale, probabilmente assegnatagli per influenza del cardinale Ugo Boncompagni, fratello della madre, che poco dopo, il 13 maggio 1572, fu eletto papa con il nome di Gregorio XIII. Il G., in qualità di gonfaloniere di Giustizia di Bologna (capo dell'esecutivo del Comune), guidò le prime celebrazioni in città, insieme con i principali ufficiali. Il 15 ottobre fu incaricato, come ambasciatore bolognese, di accompagnare a Roma il cardinale legato di Bologna Alessandro Sforza.
All'esordio del pontificato, Gregorio XIII aveva espresso l'intenzione di non servirsi dell'assistenza dei suoi parenti nei compiti di governo della Chiesa e dello Stato ecclesiastico; tuttavia, già il 23 maggio 1572 aveva nominato il figlio, Giacomo Boncompagni, castellano di Castel Sant'Angelo e il 2 giugno aveva creato cardinale Filippo Boncompagni (nipote ex fratre). Il G. rimase escluso da questa prima distribuzione di onori ai familiari del papa e solo all'inizio del 1574, quando già risiedeva a Roma presso Giacomo Boncompagni, parve candidato ad assumere impegni alla corte pontificia. Il figlio del pontefice, infatti, era apertamente consigliato a "tirar inanzi quanto prima" il G., allo scopo di "tenere in briglia" il cugino, il cardinale Boncompagni (Biblioteca apost. Vaticana, Boncompagni-Ludovisi, D.5: Motivi addotti da persona ignota al duca Giacomo Boncompagni, cc. 318r-324r). Una minuta Relatione della corte di Roma in tempo di Gregorio XIII, stesa nel febbraio 1574, definiva il G. "atto ad esser proposto a tutte le facende et negotii importanti" (Pastor, IX, p. 871), lasciando intendere che il clima era ormai favorevole alla sua creazione cardinalizia, che avvenne infatti il 5 luglio 1574. Egli assunse il titolo di S. Maria Nova, mutato in quello di S. Maria in Cosmedin l'8 nov. 1577, di S. Angelo il 19 dic. 1583 e di S. Eustachio il 7 genn. 1587. Ben presto fu fornito di rendite ecclesiastiche per una somma di almeno 5000 scudi annui.
Gregorio XIII era pervenuto alla decisione prendendo a pretesto la contemporanea assenza da Roma del cardinale Boncompagni, inviato a Venezia per rendere omaggio a Enrico III, re di Francia; in tal modo però si creava il problema della coesistenza di diverse figure tra i suoi familiares nella corte pontificia: il figlio Giacomo, i due nipoti, l'esperto cardinale Tolomeo Gallio, capo della Segreteria e responsabile della corrispondenza con la rete delle nunziature. Su come potesse evolvere il quadro i giudizi dei contemporanei non furono concordi: l'agente imperiale Cusano immaginò che il G. dovesse presto prevalere e lo definì "in aspettatione di essere di maggior valore del card. Boncompagni" (ibid., p. 26); l'ambasciatore veneziano Paolo Tiepolo, invece, esplicitamente lo aveva "per signore piuttosto molto gentile e grazioso, che per molto intelligente delle cose di Stato" (Relazioni degli ambasciatori veneti…, p. 219). Questa valutazione si dimostrò più aderente: il G., al pari del cardinale Filippo Boncompagni, non aveva infatti modo di emergere poiché per tutto il pontificato Boncompagni la guida della diplomazia pontificia rimase accentrata nelle mani del cardinale Gallio e il suo ruolo parve per lo più di rappresentanza.
Prestigioso ma certo politicamente non significativo fu l'incarico di accompagnare, con il cardinale Boncompagni, gli ambasciatori del Giappone venuti a Roma per l'anno santo 1575. Solo negli affari del governo dello Stato della Chiesa egli poteva vantare una funzione di qualche spessore, condividendo con il cardinale Boncompagni gli oneri della soprintendenza generale sull'amministrazione dei domini pontifici, attività nella quale egli era coadiuvato da una giunta di prelati esperti nel campo del diritto (nota come la Consulta). Inoltre, il G. si preoccupava dei rapporti tra Roma e il Senato di Bologna, all'interno del quale, dopo che il 9 dic. 1575 aveva lasciato ufficialmente il suo seggio, era subentrato nel marzo 1576 il fratello Girolamo. Il G. tornò raramente nella città natale (alla fine del 1575, negli ultimi mesi del 1577 e all'inizio del 1579), ma non mancò di tutelare da Roma gli interessi di personaggi di spicco dell'élite cittadina, come i Malvezzi, stretti da legami di parentela con la sua famiglia.
Le previsioni di una non facile convivenza fra i consanguinei di Gregorio XIII si avverarono presto: il G., pur riuscendo a mantenere buoni contatti con Giacomo (dal 1573 insignito della carica di capitano generale di Santa Chiesa), entrava spesso in contrasto con il cardinale Filippo Boncompagni e anche per questo entrambi erano tenuti lontani dal centro di elaborazione della politica della S. Sede, "non gli dando né anco Sua Beatitudine autorità più che tanto" (relazione di Orazio Scozia al duca di Mantova del 17 genn. 1579, in Pastor, IX, p. 884). Qualche maggiore responsabilità fu assunta dal G. nel 1577, quando entrò a far parte della commissione cardinalizia che doveva decidere se inviare un legato apostolico nei Paesi Bassi sconvolti dai contrasti confessionali. Non dovette però aver modo di distinguersi particolarmente in una giunta che vantava esperti diplomatici come i cardinali Giovanni Morone, Tolomeo Gallio, Cristoforo Madruzzo. Di scarso peso furono anche i nuovi incarichi assunti a Roma: dal 1575 il G. fu cardinale protettore dell'Ordine di Malta e dal 1578 protettore dei frati minori; nel 1580 ebbe il ruolo di protettore del Collegio germanico ed esercitò più tardi analoga funzione a vantaggio del Collegio illirico.
Il G. ebbe altresì più volte l'onere di soprintendere ai lavori edilizi promossi dal papa e alle opere di ristrutturazione dei presidi fortificati dello Stato della Chiesa intraprese in quegli anni. Nel dicembre 1575 contribuì anche a disegnare il monumento funebre di Gregorio XIII in S. Pietro. Non conseguì però alcun risultato: anzi, nel 1586 lamentava che il cardinale Boncompagni, subentrato nella direzione dei progetti della tomba del pontefice, avrebbe voluto addirittura escluderlo dalla menzione nell'epitaffio. Fu invece nella chiesa di S. Francesco a Frascati, voluta da Gregorio XIII, che il G. curò la decorazione di uno dei due altari laterali. A Frascati il G. avrebbe desiderato anche far costruire una villa: l'idea, però, testimoniata da progetti dell'architetto Ottaviano Mascherino, non fu realizzata e il G. elesse a dimora di campagna il casale del Salone, sull'Aniene, appena fuori Roma. Fu anche occupato, a partire dal gennaio 1582, a seguire i lavori della fabbrica del Collegio romano, l'istituto di istruzione dei gesuiti.
Gli impegni di governo erano i più congeniali al G., che nel 1578 divenne governatore di Ancona e nel 1580 governatore e cardinale protettore della Santa Casa di Loreto. Promosse in queste vesti opere di fortificazione per l'importante porto adriatico e attese anche ai disegni di munire il celebre santuario mariano, che si temeva potesse essere minacciato da incursioni di pirati barbareschi. Il G. appariva sempre più coinvolto nella cura temporale dei domini ecclesiastici: l'esame della sua corrispondenza con le amministrazioni locali rivela infatti che erano a lui sottoposte le materie annonarie, i contrasti tra governatori pontifici e le Comunità dello Stato, i più importanti casi criminali. Interveniva anche per rettificare l'azione dei giudici ecclesiastici e per coordinare le operazioni di repressione del banditismo, particolarmente violento durante il pontificato Boncompagni. Più sporadicamente, il G. operava anche per far rispettare l'obbligo di residenza dei vescovi nelle diocesi dello Stato della Chiesa sottoposte alla loro giurisdizione, accordando, di concerto con il papa, licenze a chi dovesse temporaneamente assentarsi. I continui impegni di governo portarono talvolta il G. a contatto con problemi di respiro più ampio: negli ultimi mesi del 1579 fu incaricato di fare pressioni sul duca di Mantova a tutela dei produttori di sale della Romagna e di intervenire presso il duca di Ferrara per accelerare la soluzione della controversia estense-pontificia sull'utilizzazione delle acque del Reno, al confine con il Ducato di Ferrara. Nella vicenda, del resto, egli si era già più volte impegnato personalmente, compiendo nel 1577 per ordine del papa un sopralluogo sulle aree interessate.
Il G. era interessato alla questione anche perché, insieme con il fratello, possedeva terreni in quelle zone. Fra questi vi era la tenuta della Pegola, che costituiva fonte di cospicui redditi ed era particolarmente curata attraverso bonifiche, migliorie ai sistemi di irrigazione, ristrutturazioni di mulini e fabbricati, rifacimenti di strade. Gregorio XIII intervenne per assegnarne in via definitiva il possesso al G. e al fratello Girolamo, con una bolla del 6 ott. 1580. Il G. volle anche incrementare i possedimenti della famiglia sulla collina bolognese di Barbiano, e dal 1575 al 1583 acquistò terreni fino a costituire una grande area coltivata; negli stessi anni, quale fulcro della tenuta, della quale era proprietario esclusivo, fu eretta una grande dimora aristocratica.
Per il palazzo di Barbiano (oggi villa Guastavillani) furono ideati da Ottaviano Mascherino diversi progetti, dapprima ambiziosi e originali, poi più misurati e realizzati da Tommaso Martelli. La costruzione del grande giardino circostante, consueto nelle dimore principesche e cardinalizie, impose onerosi sbancamenti di terreno. Il risultato fu illustrato nella Galleria delle carte geografiche in Vaticano, nel cartiglio dedicato alla Bononiensis ditio, i dintorni della città felsinea.
Ricca anche la decorazione degli interni a fresco (databile agli anni 1577-81): predominavano figure e scene allegoriche, paesaggi, raffigurazioni della stessa villa e dei suoi giardini, contornati da un continuum di grottesche. Le allegorie che costituiscono l'oggetto di questi affreschi sono di difficile intelligibilità: è stata avanzata l'ipotesi di scene bibliche (come una Betsabea al bagno) e soggetti che simboleggiano un'esplicita presa di posizione a favore di un'aggressiva politica controriformistica (come il S. Eligio tra l'Eloquenza e la Necessità, o il Rogo dei libri eretici). Anche nei fregi con scene veterotestamentarie (in diverse sale della villa) è stato riconosciuto un intento didascalico, con assonanze alle lotte confessionali dell'Europa del secondo Cinquecento. I temi che completano il ciclo (le Virtù, i soggetti mitologici, le raffigurazioni della villa) alluderebbero a un disegno encomiastico che enfatizza la figura del Guastavillani. Notevole altresì la "sala musiva", grotta di grandi dimensioni (m 18 x 11) scavata sotto il salone del palazzo, che esibisce un denso programma iconografico, con un alternarsi di temi sacri e profani e con allegorie anch'esse di disagevole lettura. Per la cappella della villa il G. commissionò un ciclo di decorazioni sulla vita della Vergine, cui si aggiunsero affreschi raffiguranti Sibille, Profeti, Evangelisti, i Protettori di Bologna. L'autore del ciclo, ispirato esplicitamente alla poetica e alle forme manieriste, è un ignoto pittore bolognese.
Il 3 luglio 1584 il G., che aveva preso dimora nel palazzo romano presso S. Maria Maggiore (l'attuale palazzo Cassetta), acquistò per 50.000 scudi la carica di camerlengo, dopo la morte del cardinale Alvise Corner. In tale ruolo, alla morte di Gregorio XIII, nell'aprile 1585, il G. prese residenza nel palazzo apostolico e fece battere dalla Zecca pontificia monete con le sue armi e impronte, prerogativa appunto del cardinale camerlengo.
Durante la sede vacante egli tentò, senza successo, di frenare il dilagante fenomeno del banditismo, di nuovo molto violento. In conclave il G. si schierò con la fazione legata al cardinale Ferdinando de' Medici che si opponeva al "gran cardinale", Alessandro Farnese. L'elezione di Felice Peretti, che prese il nome di Sisto V, fu dunque favorita anche dal G.: per questo egli fu ricompensato con la conferma di tutti i suoi benefici ecclesiastici, fra cui una ricca pensione sull'arcivescovado di Toledo e diverse commende, relative a istituti religiosi di Milano, Bologna, Malta e soprattutto la commenda dell'abbazia di S. Silvestro di Nonantola. Il G. strinse anche i contatti con Giacomo Boncompagni, fautore dell'ascesa al soglio pontificio di Peretti, e rimase in contrasto con il cardinale Filippo Boncompagni, fortemente deluso dall'esito del conclave. Trascorse gli anni del pontificato di Sisto V impegnandosi, seppure con oneri minori, nel governo dello Stato della Chiesa e mantenne la carica di camerlengo. I rapporti con l'intransigente Sisto V non dovevano però essere facili se, per non aver voluto eseguire una disposizione del pontefice, gli capitò addirittura di essere costretto agli arresti domiciliari. L'ultimo impegno pubblico del G. fu, nel 1586, l'intervento in qualità di abate commendatario di S. Silvestro di Nonantola al concilio provinciale indetto a Bologna dal cardinale Gabriele Paleotti. Fece testamento l'8 ag. 1587 a favore del nipote Angelo Michele, figlio del fratello Girolamo e di Orsina Bentivoglio, a condizione che il lascito fosse trasmesso ai discendenti di casa Guastavillani per linea maschile.
Il G. morì a Roma il 17 ag. 1587.
L'orazione funebre fu tenuta dal gesuita Francesco Raimondi. Il corpo fu traslato a Bologna e sepolto nella cappella maggiore della chiesa di S. Francesco, per la quale il G. aveva promosso con cospicui lasciti una nuova decorazione con Storie mariane, portata a termine da Giulio Morina nel 1592. Il pittore Bartolomeo Passerotti è autore di un Ritratto del cardinale Filippo Guastavillani e di un cavaliere di S. Stefano, già a Firenze nella Galleria Ciardelli.
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