GRISPIGNI, Filippo
Nacque a Viterbo il 31 ag. 1884 da Pietro e da Rosa Venturini.
Iscritto alla facoltà di giurisprudenza di Roma, negli anni dell'università prese parte al dibattito tra i penalisti della scuola classica, che si richiamavano all'insegnamento del criminalista M. Carrara, e i teorici del nuovo indirizzo positivista; iniziò, inoltre, a collaborare alla rivista La Scuola positiva di E. Ferri.
Conseguita la laurea, frequentò a Berlino il Kriminalistisches Seminar di F. von Liszt, fondatore della "scuola sociologica" del diritto penale in Germania, risentendo fortemente la suggestione del suo insegnamento. Nonostante la lontananza dall'Italia, continuò nondimeno a collaborare a La Scuola positiva, non mancando di prestare attenzione a quanto si andava manifestando nel dibattito dottrinale in patria.
Nel 1909 da Berlino il G. riprese, infatti, il tema della necessaria concordanza tra i nuovi orientamenti antropologici e sociologici nelle scienze penalistiche e la tradizione dommatica (recensione ad A. Stoppato, La scuola giuridica italiana e il progresso del diritto penale [Bologna 1908], in La Scuola positiva, XIX [1909], p. 309).
Durante il non breve soggiorno in Germania, il G. condusse una serrata ricerca critica alla luce dei nuovi orientamenti positivistici. A quegli anni risalgono La odierna scienza criminale in Italia (Milano 1909) e la monografia Il nuovo diritto criminale negli avamprogetti della Svizzera, Germania e Austria: tentativo di una interpretazione del diritto in formazione (ibid. 1911). Dei non imputabili, tema più volte dibattuto tra i criminalisti delle due scuole, si occupò con un articolo del 1911 in due parti (Il delitto del non imputabile nel concorso di più persone nello stesso reato: appunti di critica giuridica, in La Scuola positiva, XXI, pp. 1-17, 97-117).
La risoluzione del problema che il concorso nel reato del non imputabile poneva all'interprete avrebbe dovuto transitare attraverso il principio che l'azione del pazzo costituisce delitto anche in senso giuridico non essendo "un'apparenza ingannevole di un'azione" (p. 105). Le conseguenze di tale assioma, evidenti sul piano degli effetti del concorso - il rimanere l'azione del non imputabile un delitto, per quanto egli non sia punibile, lasciava ammettere la punibilità dei concorrenti - comportavano nondimeno un'ulteriore derivazione in ordine alla valutazione dell'azione del non imputabile: "l'azione del pazzo" sarebbe infatti rimasta "innegabilmente un'azione differente da quella dell'uomo normale, ed essendo anche il pazzo un uomo differente dal normale, pure la forma della repressione avrebbe dovuto essere differente" (p. 106). Il G. poneva anzi il principio, autenticamente positivista, della necessaria valutazione della "differenza di fatto tra l'azione del pazzo e quella dell'uomo normale" come "base per l'applicazione di una diversa repressione criminale" (ibid.).
Contemporaneamente all'uscita di questo lavoro in cui emergeva la sua posizione nei confronti del positivismo, "di derivazione e di indipendenza insieme" (A. De Marsico, Penalisti italiani, Napoli 1960, p. 94), il G. pubblicò un altro studio sui penalmente irresponsabili: La natura giuridica dei provvedimenti relativi alle persone penalmente irresponsabili (in Rivista di diritto e procedura penale, II [1911], 1, pp. 449-469, 513-534).
Alcuni mesi prima (cfr. Il nuovo diritto criminale negli avamprogetti, cit., pp. 28 s., e recens. a R. Longhi, Repressione e prevenzione, in La Scuola positiva, XXI [1911], p. 177), già aveva avanzato l'interrogativo circa l'estendibilità anche al diritto pubblico della categoria di giurisdizione volontaria, in cui ricomprendere i provvedimenti emessi nei confronti dei non imputabili.
Richiamò ora, invece, quell'attività a una natura civile-contenziosa, accogliendo la differenziazione tra la giurisdizione volontaria e la giurisdizione attuatrice delle aspettative di realizzazione di un bene di una parte contro l'altra - che G. Chiovenda aveva definito come contenziosa - e che ben avrebbe potuto ricomprendere anche i procedimenti in cui si fosse discusso della pretesa dello Stato a dichiarare il singolo incapace contro il diritto del singolo alla propria libertà.
Il G. era nel frattempo divenuto libero docente di diritto penale nell'Università di Roma, dove insegnò anche diritto penale comparato nella scuola di applicazione giuridico-criminale; dal 1912 fu professore di diritto penale nell'Università di Camerino. A quegli anni risalgono: La condizione giuridica del fallito nel diritto pubblico interno (Milano 1912); I progetti di codice penale in Danimarca, Serbia e Austria e il progetto di modificazione della procedura penale austriaca (ibid. 1913); Le teorie generali del reato e della pena secondo A. Rocco (ibid. 1913); La responsabilità penale per il trattamento medico-chirurgico arbitrario (ibid. 1914); La pericolosità criminale e il valore sintomatico del reato (ibid. 1920); La responsabilità giuridica dei cosiddetti non imputabili (Siena 1921); La dommatica giuridica e il moderno indirizzo nelle scienze criminali, in Annuario dell'Università di Camerino, 1921, pp. 52 s.
In quest'ultimo, prolusione all'anno accademico 1920-21, emerge la critica positivistica al principio della libertà morale del reo, ma anche il dissenso da quella riduzione della scienza del diritto penale a "capitolo della sociologia criminale" in cui il Ferri aveva individuato la naturale evoluzione dei moderni indirizzi criminalistici.
Di poco successivi i due opuscoli La volontà del paziente nel trattamento medico-chirurgico (Milano 1921) e La natura giuridica del consenso dell'offeso (Modena 1922), che preludono alla pubblicazione della monografia Il consenso dell'offeso del 1924 (Roma), anno in cui il G., dopo un breve periodo all'Università di Cagliari, si era trasferito all'Università di Milano per tenervi l'insegnamento di sociologia criminale prima, e di diritto e procedura penale successivamente.
Quello studio ebbe una gestazione sofferta: il G., a quanto si disse (cfr. A. De Marsico, F. G., in Rivista penale, LXXX [1955], 1, p. 570), tentò di ritirare dagli editori le copie del libro, appena stampato, perché non del tutto soddisfatto della sua opera. In essa aveva intrapreso lo studio del diritto penale dal punto di vista della lesione degli interessi protetti e definiva il consenso come "condizione risolutiva della tutela giuridica di un bene" avente la natura di un negozio giuridico di diritto privato, unilaterale e non recettizio, che ha per oggetto diritti alla cui tutela lo Stato avrebbe un interesse soltanto mediato e indiretto.
Nel 1925 seguì Revisione critica del concetto di sociologia criminale (Milano), in cui, soffermatosi ancora una volta sul principio, a lui caro, di autonomia della dommatica, non poté che rifiutare la concezione della sociologia come inscindibile scienza criminalistica che era stata del Ferri e di R. Garofalo. Molte delle successive opere del G. furono indirizzate prevalentemente dall'impegno universitario: Introduzione alla sociologia criminale (Torino 1928); Manuale di sociologia criminale (ibid. 1928); Corso di diritto penale secondo il nuovo codice (I, Padova 1932); Diritto penale italiano (I-II, Milano 1945).
Nel 1942 fu chiamato a Roma, dapprima alla cattedra di procedura penale, poi a quella di diritto penale. Dello stesso anno è la breve monografia scritta insieme con E. Mezger La riforma penale nazionalsocialista (Milano). Nel periodo romano pubblicò Diritto processuale penale con l'indicazione di tutte le modificazioni legislative posteriori all'8-9-1943, fino al 28-2-1945 (I, 1946) e integrò, curandone una seconda edizione, il suo Diritto penale italiano (Milano 1947; 3ª ed., ibid. 1950). Un suo corso di lezioni tenute su I delitti contro la pubblica amministrazione, curato da R. Dolce, fu pubblicato a Roma nel 1953.
Nel gennaio 1955 il G. prese parte al corso internazionale di criminologia, organizzato dalla Società internazionale di criminologia, sul tema "Delitto e personalità" con una conferenza su La personalità e il valore sintomatico del reato (in Delitto e personalità: quaranta conferenze dei più eminenti criminologi…, Milano 1955, pp. 263-277), assegnando al criminalista - abbandonata l'"inutile e impossibile" ricerca del grado maggiore o minore di libero arbitrio - il compito di definire gli strumenti di difesa sociale, collocando "le restrizioni nel limite insormontabile della necessità e con il più rigoroso rispetto della personalità umana, anche se socialmente pericolosa, […] e tentando di rieducare il delinquente alla libera vita associata" (p. 277).
Il G. morì a Roma il 20 ag. 1955.
Fonti e Bibl.: Necr. di E. Altavilla in Diritto criminale e criminologia, VIII (1956), pp. 225 s. e di A. De Marsico e di A. Santoro in Rivista penale, LXXX (1955), 1, rispettivamente alle pp. 569-572 e 572-574; Studi in memoria di F. G., Milano 1956; Enc. Italiana, App. II, I, p. 1094; Novissimo Digesto italiano, VIII, Milano 1962, p. 15.