MANCINI, Filippo Giuliano
Nacque a Roma il 28 maggio 1641 da Lorenzo e Geronima Mazzarino, sorella del cardinale Giulio. Nel maggio 1653 si trasferì in Francia, insieme con la madre e le sorelle Maria e Ortensia, presso lo zio. Compì i suoi studi al collegio di Clermont-Ferrand e nel 1654 partecipò, come paggio, all'incoronazione di Luigi XIV, ottenendo l'onore di sostenere il manto reale. Nel 1657, ancora molto giovane, partecipò alla difesa di Mardyck; questa fu la sua unica impresa militare. Nello stesso anno, sembra, fu inviato per qualche tempo in Inghilterra nell'ambito di una missione diplomatica presso il lord protettore O. Cromwell.
Una serie di luttuosi eventi rese il M. unico discendente maschio del cardinale Mazzarino. Suo fratello Paolo era caduto nel 1652, combattendo durante i torbidi della Fronda. Nel 1658 fu la volta dell'altro fratello, Alfonso, che morì per i postumi di un incidente di gioco. Lo zio, tuttavia, non amava particolarmente il M.: lo riteneva indolente e inadatto a giocare un ruolo politico di qualche rilievo e credette di trovare conferma a queste sue impressioni nei comportamenti del giovane caratterizzati da una schietta vocazione al libertinismo. Nella primavera del 1659 i timori di Mazzarino furono rafforzati dalla partecipazione del M. a un evento che fece molto scalpore: una riunione di giovani aristocratici libertini nel castello di Roissy, nel corso della quale i presenti parodiarono i riti della settimana santa. Come molti altri partecipanti, il M. subì le conseguenze di queste manifestazioni di imprudenza giovanile, più che di ateismo, e fu rinchiuso nel castello di Brissac, per esplicita disposizione dello zio. Dopo alcuni mesi, l'esilio del M. ebbe termine ed egli poté rientrare a corte.
Nel 1661 Mazzarino morì, con grande sollievo dei suoi nipoti. Le sue disposizioni testamentarie penalizzavano il M., a favore della sorella Ortensia e del cognato. Lo zio gli lasciò tuttavia il titolo di duca di Nevers e una considerevole fortuna: una parte del palazzo Mazzarino di Parigi e dei suoi ricchi arredi, l'altro palazzo che Mazzarino possedeva a Roma (salvo l'usufrutto per il cardinal F.M. Mancini), una rendita annua di 400.000 livres, della quale avrebbe potuto però godere solo dopo il venticinquesimo anno. Nel frattempo J.-B. Colbert, esecutore testamentario del cardinale, avrebbe versato al M. una rendita di 45.000 livres all'anno.
Nello stesso 1661 il M. ottenne anche il titolo di colonnello di un reggimento dei moschettieri, che fu esercitato effettivamente dal suo luogotenente, Charles de Batz, signore d'Artagnan.
Il giovane M. non era fatto per la vita militare e, tutto sommato, neanche per assumere un ruolo politico. Raffinato cultore di poesia e intenso viaggiatore, egli si trovava veramente a suo agio solo nei circoli aristocratici dediti alla letteratura e al divertimento. Il M., insomma, già in questa fase, era sostanzialmente impegnato a perseguire una vita raffinata e cosmopolita, come del resto facevano le sue sorelle, alle quali egli fu sempre molto legato. Sul suo conto si diffusero anche voci malevole probabilmente false, come quella, riportata da J.-B. Primi Visconti, secondo cui proprio il M. avrebbe iniziato il fratello di Luigi XIV, Philippe d'Orléans, ai rapporti omosessuali.
Nella primavera del 1661 il M. accompagnò per qualche tratto la sorella Maria che si recava in Italia sposa di Lorenzo Onofrio Colonna. Ma la abbandonò presto. La sua, in effetti, era una vera e propria fuga dalla corte, che suscitò le reprimende di Colbert, preoccupato di vedere dissipata la grande eredità economica e politica del cardinale Mazzarino, suo antico protettore. Già a questa data, il M. era restio a seguire i suoi obblighi verso il sovrano e cominciò a vivere lunghi periodi in Italia, a Roma, nel palazzo Mazzarino, ma soprattutto a Venezia, città che gli offriva più di ogni altra i divertimenti che prediligeva: donne, teatro e arti magiche. Di conseguenza, egli avrebbe voluto lasciare la sua carica di luogotenente dei moschettieri, ma Luigi XIV, irritato dal suo atteggiamento, si rifiutò di assegnargli altri uffici.
I movimenti del M. non sono facilmente ricostruibili. Nel 1661 e nel 1662 fu spesso a Venezia. Nel 1663 era a Roma, per il carnevale, e si esibì, insieme con la sorella Maria e il cognato, su un carro che illustrava il mito di Castore e Polluce. Sembra che sia rimasto in Francia nell'autunno del 1664, ma che, poco dopo, si sia recato in Spagna. Nel 1666 era di nuovo a Venezia e assistette al Tito di N. Beregan e M.A. Cesti, di cui risulta dedicatario, insieme con la sorella Maria e il cognato. L'anno dopo, il M. abbandonò la carica di luogotenente dei moschettieri.
Progressivamente, il M. fu sempre più coinvolto nelle complicate vicende matrimoniali delle sue sorelle. Il primo matrimonio ad andare in pezzi fu quello di Ortensia, alla quale il M. era particolarmente legato, tanto che si diffusero maldicenze sulla natura del loro rapporto. Dopo una lunga serie di conflitti tra Ortensia e il suo bigotto marito, C.A. de la Porte, marchese di Meilleraye, Ortensia fuggì dalla Francia, il 13 giugno 1668, grazie alla complicità di L. de Rohan e del Mancini. Il marchese di Meilleraye, da parte sua, intentò una querela contro il M., accusandolo di aver rapito Ortensia. Il processo non ebbe esito e il M. poté vendicarsi letterariamente del cognato, componendo un sonetto in cui lo paragonava a Orgone, il bigotto personaggio del Tartuffe di Molière.
Nell'estate del 1668 il M. era a Venezia, insieme con le sorelle Ortensia e Maria. Nel 1669 fu ancora a Roma e poi a Napoli, insieme con Maria. Nel marzo 1670 era a Roma e cominciò a trattare per un suo possibile matrimonio, ma il suo intendimento non ebbe esito. Nell'estate del 1670 lasciò Roma, in compagnia della sorella Ortensia, e raggiunse la Francia.
Il 15 dic. 1670 il M. sposò Diane Damas de Thianges, figlia di Claude, capitano dei cavalleggeri del cardinale Mazzarino, e di Gabrielle de Rochechouart sorella della favorita di Luigi XIV, la marchesa di Montespan (Françoise Athénaïs de Rochechouart de Mortemart). Il matrimonio suscitò qualche scalpore. Molti contemporanei, tra cui la marchesa di Sévigné (Marie de Rabutin-Chantal), espressero sorpresa per la scelta del M., che si era orientato non su una delle bellezze di corte più in vista, ma su una ragazza "jeune, jolie modeste" (Lettres, I, p. 180). In realtà, il matrimonio si rivelò un autentico colpo di fortuna per il M.: grazie alla protezione della Montespan, egli riottenne infatti il favore reale.
La coppia ebbe cinque figli: Eligio, morto in giovane età, Michele, duca di Donzy (1674-83), Filippo Giulio Francesco (1676-1768), Giacomo Ippolito (1690-1759), Diana Adelaide (1687-1747).
Il matrimonio non impedì al M. di continuare la sua vita errabonda, con frequenti soggiorni a Venezia e a Roma, dove egli, dopo la morte di suo zio, il cardinale Francesco Maria Mancini (1672), acquisì anche il palazzo Mancini al Corso, dei cui restauri si interessò.
Molti osservatori erano colpiti dalla leggerezza con cui il M. affrontava la vita, senza preoccuparsi di giocare un qualche ruolo politico. Louis de Rouvroy, duca di Saint-Simon, per esempio, lo ricorda "d'esprit facile" e "volupteux", ma gli dedica un ritratto da cui traspare una certa simpatia per l'aristocratico epicureismo del Mancini. Tuttavia, il M. non era privo di capacità e, mentre i matrimoni delle sue sorelle si sfaldavano e provocavano scandali nell'intera Europa, egli prese in mano con sicurezza le sorti della sua famiglia e delle sue parenti. In particolare, giocò un ruolo importante nelle vicende della sorella Maria, che aveva abbandonato nel 1672 il marito Lorenzo Onofrio Colonna, intervenendo presso quest'ultimo per arrivare a una sorta di separazione consensuale. I suoi tentativi non furono però coronati da successo. Pressato da madame de Montespan e probabilmente stanco dei continui colpi di testa della sorella, già nel 1672 il M. si prestò a una manovra (che peraltro non ebbe esito) per riconsegnare Maria al marito. Questo tentativo raffreddò alquanto i rapporti tra i due fratelli. Rimasero invece molto stretti i legami tra il M. e sua sorella Ortensia, esule a Chambéry, dove egli si recò nel 1673.
Negli anni Settanta del Seicento il M. fu, per un lungo periodo, una figura di spicco nel mondo aristocratico e letterario francese. A Parigi partecipava ai salotti della marchesa Anne-Thérèse de Lambert, frequentato anche da F. Fénelon e da F. de La Rochefoucauld, e al circolo dell'hôtel Rambouillet, segnalandosi non solo come colto aristocratico, ma anche come poeta.
Versificatore facile, ma non privo di grazia, il M. compose numerose raccolte, che restarono in larga parte manoscritte, ma che dovettero circolare abbondantemente negli ambienti aristocratici francesi, visto che singoli sonetti furono qua e là riportati nelle memorie dei contemporanei. Pur essendo un prodotto "minore" della letteratura del grand siècle, le opere del M. si segnalano per una notevole scioltezza e conobbero una qualche fama. Madame de Sévigné le considerava di gusto singolare ed elevato (Lettres, III, p. 786) e lo stesso Voltaire le riteneva un prodotto non mediocre. L'attività letteraria del M. dovette essere, in effetti, piuttosto intensa, anche se solo raramente raggiunse la tipografia. Sappiamo, per esempio, che fu autore del libretto della pastorale Nicandro e Fileno, musicata da P. Lorenzani e rappresentata a Fontainebleau nel 1681.
Nel teatro, i gusti del M. andavano piuttosto verso l'impostazione "eroica" di P. Corneille che non verso J. Racine, anche se una tragedia dello stesso Racine, la Berénice, era stata rappresentata proprio in occasione del matrimonio tra il M. e Diane de Thianges. Alcuni attribuiscono al M. una parte nella composizione dell'opera La défense du poème héroïque (Paris, 1674) di J. Desmarets de Saint-Sorlin, che sosteneva una precisa scelta estetica antiraciniana, opposta a quella patrocinata proprio in quegli anni da Boileau. Certo è che nel 1677 il M. fu anzi coinvolto in una manovra dei detrattori di Racine, capeggiati dalla sua sorella più piccola, Marianna duchessa di Bouillon, per provocare il fiasco della Phèdre di Racine e il successo dell'omonima opera di J. Pradon.
Questo episodio, tipico delle battaglie letterarie tardoseicentesche, ebbe un lungo strascico di polemiche, che colpirono anche il Mancini. Avendo ridicolizzato la Phèdre in un sonetto che fu letto nel salotto di madame Antoinette Deshoulières, fu a sua volta fatto oggetto da alcuni aristocratici ammiratori di Racine di una serie di epigrammi satirici, che presero di mira anche il suo rapporto con la sorella Ortensia. Colpito sul vivo, il M. rispose con altre composizioni poetiche, che tuttavia esprimevano anche una non velata minaccia di far bastonare in pieno teatro Racine e Boileau.
Pur non essendo abbastanza costante per impegnarsi a fondo nelle questioni teologiche, il M. fu anche coinvolto nei grandi dibattiti sul quietismo e sul giansenismo. Coerentemente con la sua personale ricerca di una vita spiritualmente raffinata, egli si schierò nettamente a favore di Fénelon e del quietismo, polemizzando, prevalentemente in versi, con J.-B. Bossuet e con J.-B. La Rance.
Nell'ultimo decennio del Seicento il M., ormai un maturo gentiluomo, insignito del titolo di pari (1676), continuò a coltivare i suoi interessi letterari e mondani, in compagnia della moglie. Come in passato, fu inoltre impegnato nelle vicende delle sue sorelle, e in particolare di Maria, che peregrinava per l'Europa in fuga dal marito. Quando nel 1681, Maria fu rinchiusa, su richiesta di questo, in un convento di Madrid, il M. scrisse al marito una lettera molto ferma per rimproverargli il suo atteggiamento persecutorio. Nonostante ciò, il M. mantenne sempre buoni rapporti con Lorenzo Onofrio Colonna e, ancora nel 1686, si adoperò invano per un ricongiungimento dei due sposi.
Nel 1691 il M. era a Roma e frequentò lungamente Philippe Emanuel marchese di Coulanges, che ci ha lasciato un ampio resoconto delle attività del M., che in questo soggiorno era accompagnato, oltre che dalla moglie, dalla sorella Marianna di Bouillon. Come in passato, egli si dilettava di composizioni poetiche e partecipava intensamente alla vita della capitale, tanto che organizzò una sorta di gara canora tra la cantante da lui preferita, una tale Faustina, e la più nota Angela Giorgina, già prediletta da Cristina di Svezia e poi amante dell'ambasciatore di Spagna. Ma il suo spirito raffinato non disdegnava le polemiche letterarie e lo portò a comporre una satira del Colombo, un'opera poetico-musicale del cardinal Pietro Ottoboni
Negli anni a cavallo tra Sei e Settecento, lo stile di vita del M. divenne più ritirato. Con gli anni, egli ridusse i suoi viaggi, pur rimanendo una presenza importante nei salotti aristocratici parigini. Nel 1698 cedette in usufrutto una parte del suo palazzo, quella in cui un tempo si trovava la biblioteca del cardinale Mazzarino, alla marchesa di Lambert, che vi tenne il suo famoso salone.
Negli ultimi anni il M. seguitò ad amministrare oculatamente il suo non piccolo patrimonio, cercando anche di legarsi per via di matrimonio a famiglie importanti dell'aristocrazia. Così, già nel 1699 sua figlia Gabrielle sposò Charles Louis de Hénin-Liétard, principe di Chimay e nella primavera del 1707 il M. concluse un buon matrimonio, tra sua figlia, Diane Adélaïde, e Louis-Armand d'Estrées, nipote del cardinale César d'Estrées.
Il M. morì a Parigi l'8 maggio 1707.
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