FRANCI, Filippo
Nacque il 26 ott. 1625 a Firenze, da Domenico, cittadino fiorentino, e da Agnola di Giovan Maria Galletti. Settimo di dieci figli (le quattro sorelle furono tutte avviate alla vita monastica), negli anni dell'infanzia e dell'adolescenza abitò a lungo a San Giovanni Valdarno, dove il padre aveva delle proprietà. Nel 1641 cominciò a frequentare le Scuole pie a Firenze. Probabilmente fu allora che scelse come confessore F. Cerretani, che, insieme con P. Bini, aveva fondato a Firenze, nel 1632, la Congregazione dell'oratorio di S. Filippo Neri. Dopo la morte dei genitori fu accolto in casa di un ricco gentiluomo fiorentino, F. Peri, anch'egli penitente del Cerretani, e col suo aiuto fu avviato al sacerdozio: dopo aver frequentato per un anno il seminario dei chierici di Fiesole, il 22 maggio 1660 fu ordinato sacerdote. Nel 1687, allorché il Peri fu eletto priore dell'ospedale di Bonifazio, il F. si stabilì nel convitto dei padri dell'oratorio, dove fu ammesso in via eccezionale, non essendo membro della Congregazione.
La fama del F. è legata alle molteplici iniziative assistenziali, di cui fu un infaticabile organizzatore. La più nota è la fondazione, nel 1653, con l'aiuto di alcuni oratoriani, dell'ospedale fiorentino di S. Filippo Neri (conosciuto anche come Pia Casa del rifugio a Quarconia, o, più familiarmente, spedale del Franci).
Oltre ad accogliere ragazzi abbandonati, l'ospedale si occupava della correzione dei giovani "discoli" e dell'assistenza al parto di donne nubili o vedove. Il principe Leopoldo de' Medici ne fu il protettore. Dal 1667 l'ospedale trovò collocazione in alcune case affittate dal F. tra via Cimatori e via de' Cerchi, che più tardi (dopo un temporaneo trasferimento presso l'ex casa dei gesuiti detto la Calza, tra il 1672 e il 1675) furono acquistate e ristrutturate per adeguarle al crescente numero dei ricoverati, diventandone la sede definitiva fino al 1786.
Secondo gli statuti - redatti a più riprese dopo il 1653 - l'ospedale si proponeva di raccogliere e collocare a bottega i ragazzi che vagabondavano di notte, minori di sedici anni, originari di Firenze e senza parenti. Un'attenzione particolare fu dedicata alla cura della tigna e di altre malattie considerate incurabili. A differenza di altri istituti per orfani o abbandonati, la vita interna non era regolamentata rigidamente (tra l'altro i ragazzi potevano disporre liberamente del salario guadagnato a bottega). Gli unici momenti di vita collettiva erano quelli dedicati all'attività spirituale, che in parte si svolgeva al di fuori dell'ospedale, presso la Compagnia di I. Galantini, già da tempo dedita al culto di s. Filippo. Raggiunti i venti anni i ragazzi dovevano essere dimessi.
Il F. non ricoprì mai alcuna carica direttiva. La sua attività fu soprattutto esterna all'ospedale: si preoccupava di smistare nei vari istituti assistenziali fiorentini i bisognosi, soprattutto di sesso femminile, anche contro la loro volontà. Operò pure a Livorno, dove andava a cercare musulmani ed ebrei da convertire al cattolicesimo nella Pia Casa dei catecumeni di Firenze. Organizzò la distribuzione di lavoro a domicilio ai poveri che abitavano a Firenze o nei dintorni, grazie al finanziamento del granduca Cosimo III. Per assicurarne il proseguimento, il F. lasciò i propri beni in eredità all'ospedale, a condizione che continuasse a dare lavoro ai poveri esterni.
Anche se collaborò a iniziative di reclusione dei mendicanti promosse da Cosimo III negli anni 1677-78, il F. non fu un fautore dei grandiosi ospedali per poveri che proprio allora, grazie al sostegno dei sovrani, ebbero un nuovo slancio in molti paesi europei. Egli preferì interventi differenziati e tesi al recupero, in particolare dei giovani e delle donne. Fu questo lo scopo dei due piccoli reparti istituiti all'interno dell'ospedale - probabilmente negli anni '70 -, l'uno per la correzione dei discoli, l'altro per l'assistenza al parto di quelle donne che volevano nascondere la nascita di un figlio illegittimo. Entrambi erano finalizzati al reinserimento di chi aveva peccato: il pentimento consentiva di espiare la colpa, mentre la segretezza della reclusione proteggeva la reputazione, di modo che il colpevole potesse poi reinserirsi nella comunità.
Il reparto per la correzione dei discoli era destinato non solo ai ragazzi interni, ma anche a quelli inviati, a pagamento, dai genitori o dai maestri di bottega per essere puniti. Il furto e la vita notturna licenziosa erano i comportamenti maggiormente perseguiti. Secondo il biografo del F., l'oratoriano N. Bechi, il reparto era costituito da otto piccole celle. Sulla base di questi elementi - l'organizzazione cellulare dello spazio e l'interiorizzazione della colpa - il sociologo Sellin ha attribuito al F. il merito di avere anticipato di più di un secolo il sistema carcerario moderno, sperimentato a Philadelphia nel 1786, basato sull'isolamento continuo, notte e giorno, e finalizzato alla correzione e non alla mera punizione.
L'unica fonte disponibile per delineare la spiritualità del F. è la biografia del Bechi, che tende ad accentuare le analogie con la vita di s. Filippo Neri. Entrambi presero gli ordini a tarda età, persuasi dal confessore e non per propria volontà, ritenendosi indegni del sacerdozio. Come s. Filippo, il F. si dedicò all'assistenza dei malati e all'organizzazione di "oneste ricreazioni" per i suoi ragazzi, e si distinse per la pratica della carità, dell'umiltà e della mortificazione. Non sembra emergere, invece, un tratto peculiare della figura di s. Filippo: la capacità di esprimere la propria spiritualità con gioia e allegria.
Il F. morì a Firenze il 6 febbr. 1694.
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