FILIPPELLI, Filippo
Nacque a Cosenza il 17 febbr. 1890 da Gennaro e Filomena Ruffolo. Nel 1912 sposò a Lecce Olga Moschettini, dalla quale avrebbe avuto due figli, Elga e Gennaro. Diventato avvocato, nel 1919 militò, tra Milano e Torino, nelle file dell'Unione popolare antibolscevica. Dal 1920 si trasferì con tutta la famiglia a Milano, dove entrò a far parte del fascio di combattimento milanese e conobbe Cesare Rossi.
In questi anni il F. entrò a lavorare al Popolod'Italia come impiegato amministrativo viaggiante, venendo a contatto con diversi capitalisti liguri, alcuni dei quali contribuiranno qualche mese dopo al finanziamento del Corriere italiano.
Dopo la marcia su Roma (28 ott. 1922) diventò segretario di A. Mussolini, direttore del Popolo d'Italia. Il 14 apr. 1923 entrò a far parte della società La vita d'Italia, editrice del quotidiano il Corriere italiano, come azionista e amministratore delegato, investendo nella società tutti i beni suoi e della moglie. Prese parte anche alla redazione del giornale, affiancando nella direzione A. Finzi e N. Quilici. Il nuovo giornale, che iniziò le pubblicazioni l'11 ag. 1923, fu voluto da B. Mussolini, ma ebbe come ispiratori politici diretti il Finzi e il Rossi. Quindi la vita del F. cambiò notevolmente. Si trasferì nella capitale, acquistò potere politico e benessere economico e divenne, in poco tempo, un uomo molto conosciuto negli ambienti politici e giornalistici della città. Nel giro di pochi mesi dall'uscita del foglio diventò unico direttore (18 ott. 1923) e proprietario di metà del capitale azionario (dicembre 1923).
La fortuna del Corriere italiano e del suo direttore, però, ebbe fine dopo soli dieci mesi, con l'assassinio di G. Matteotti. Il deputato socialista fu rapito ed ucciso il 10 giugno 1924, da cinque squadristi (due dei quali impiegati del Corriere italiano), che utilizzarono per l'aggressione un'automobile procurata loro dal Filippelli. Dopo l'identificazione degli esecutori materiali del delitto i sospetti si spostarono immediatamente sul gruppo formato da A. Finzi, C. Rossi e F.; il 14 giugno quest'ultimo si dimise da direttore del giornale e cercò di fuggire in Francia. Venne però arrestato a Nervi, in Liguria.
Qualche ora prima di tentare la fuga, temendo di poter essere usato come capro espiatorio, scrisse un memoriale nel quale oltre a scagionare se stesso indicò C. Rossi, G. Marinelli e lo stesso Mussolini come mandanti del delitto ed accusò A. Finzi ed E. De Bono di complicità. Nel suo memoriale rivelò inoltre l'esistenza di un organismo di polizia politica interno al Partito nazionale fascista, la cosiddetta Ceka fascista, dal quale sarebbe stato organizzato l'assassinio. Una volta in carcere confermò ai giudici le accuse contenute nel memoriale, salvo a ritrattare le dichiarazioni contro E. De Bono quando venne chiamato a testimoniare, il 24 marzo 1925, nel processo celebrato al Senato, riunito in Alta Corte di giustizia contro quest'ultimo.
Uscì di prigione il 1º dic. 1925 per decisione della corte d'appello di Roma, dopo essere stato amnistiato dall'accusa di sequestro di persona ed assolto in istruttoria da quella di omicidio premeditato.
Nel febbraio 1925, intanto, il suo memoriale era stato reso pubblico, ed egli era considerato oramai un nemico del regime.
Perse la tessera del partito e fu sottoposto a vigilanza da parte della polizia. Si trovò inoltre in condizioni economiche difficilissime: in carcere aveva intentato una causa "contro i liquidatori del Corriere italiano - che aveva smesso le pubblicazioni il 19 giugno 1924 - per il pagamento degli stipendi e delle indennità dovut[igli] dalla Società Vita d'Italia" (Majolo Molinari, p. 188), ma riuscì solo ad ottenere una somma irrisoria che non gli sarebbe stata corrisposta prima del 1927. Venne messo nell'impossibilità di esercitare la professione di avvocato per la continua sorveglianza cui la pubblica sicurezza lo sottopose e a causa dei violenti attacchi mossigli da R. Farinacci (memore della campagna revisionista del Corriere italiano), che sarebbe giunto a farlo radiare dall'Ordine degli avvocati.
Dagli inizi del 1927 all'agosto del 1928 collaborò con la polizia italiana all'"operazione Cesare Rossi", vale a dire al tentativo di far arrestare il vecchio amico, espatriato in Francia, che dai primi mesi del 1927 aveva iniziato con lui una corrispondenza epistolare. L'operazione si concluse il 28 agosto, quando il Rossi cadde in una trappola tesagli dalla polizia italiana, d'accordo col Filippelli.
Come compenso per il servizio reso chiese un prestito di 13 milioni e cercò di riavere la tessera del partito fascista, ma le sue richieste vennero esaudite solo parzialmente: la tessera gli fu restituita ma non rinnovata ed invece dei 13 milioni ne ottenne solo uno ed in cambiali.
Nel marzo del 1932 fu arrestato una seconda volta, con l'accusa di furto ai danni di una società di pneumatici, la Dunlop. Nel novembre venne celebrato il processo e il F. fu condannato ad otto anni di reclusione. Tornò libero nel 1934, scarcerato per indulto.
Tornato a Milano, il 18 maggio 1936 entrò come amministratore unico nella società Azeta, impegnata nello "sfruttamento industriale e commerciale di un processo di azotazione dei semi per le colture agricole" (Arch. centr. dello Stato, Segr. part. del duce, Carteggio riservato, b. 45, fasc. 242/R, 27 genn. 1939). Meno di due anni dopo, nel novembre del 1938, la società, che già al momento dell'entrata del F. presentava un andamento deficitario, venne dichiarata fallita e dall'indagine giudiziaria emersero gravi responsabilità, per irregolarità contabili e amministrative a carico dei dirigenti. Temendo di dover affrontare per la terza volta il carcere il F. lasciò l'Italia e si rifugiò prima in Egitto e poi in Belgio.
Risiedette per un periodo ad Ostenda per poi trasferirsi a Bruxelles, dove entrò in contatto con un informatore della polizia politica italiana, al quale riferì di poter "far opera di penetrazione... fra l'emigrazione antifascista in Belgio e in Francia" (Ibid., Min. dell'Int., Dir. gen. di P. S., 31 genn. 1939). In cambio chiese la garanzia di poter rientrare in Italia senza essere perseguito dalla giustizia italiana, che nel frattempo lo aveva condannato per bancarotta fraudolenta. Le trattative con la polizia italiana però si interruppero quando le possibilità di infiltrazione tra l'emigrazione antifascista promesse dal F. si rivelarono inconsistenti.
Nell'estate del 1939 il F., malato e ridotto in miseria, lasciò il Belgio. Dopo la seconda guerra mondiale, dal gennaio all'aprile 1947, si svolse a Roma il secondo processo Matteotti: il F. era tra gli imputati, ma non si presentò in aula; venne assolto per amnistia dalle accuse di complicità e favoreggiamento nel reato di sequestro di persona. Dopo questa data non si hanno più notizie di lui: fu cancellato dai registri dell'Anagrafe di Milano dopo il censimento del 1951 "per accertata irreperibilità".
Fonti e Bibl.: Roma, Arch. centr. dello Stato, Casellario politico centrale, b. 2061, fasc. F. F.; Ibid., Segreteria particolare del duce. Carteggio riservato, b. 45, fasc. 242/R F. F.;Ibid., Ministero dell'Interno. Direz. generale di Pubblica Sicurezza. Divisione di polizia politica, b. 503, fasc. F. F.; Milano, Settore servizi civici del Comune, Uff. anagrafe, ad nomen. È utile inoltre, la consultazione dei seguenti giornali: Corriere ital., 11 ag. 1923-19 giugno 1924; Il Popolo, giugno 1924; Il Mondo, giugno 1924 e dicembre 1925; L'Epoca, 13 dic. 1925; Il Messaggero, gennaio-aprile 1947; Avanti!, gennaio-aprile 1947; Il Tempo, gennaioaprile 1947; Momento sera, gennaio-aprile 1947; L'Unità, gennaio-aprile 1947; cfr. anche: G. Salvemini, Scritti sul fascismo, a cura di R. Vivarelli, I, Milano 1961, passim;II, ibid. 1974, pp. 456, 469-471; C. Rossi, Il delitto Matteotti nei procedimenti giudiziari e nelle polemiche giornalistiche, Milano 1965, pp. 230-235, 415 s.; R. De Felice, Mussolini il fascista, I. La conquista del potere (1921-1925), Torino 1966, pp. 391, 449, 454-456, 550, 620, 626, 631, 649, 687, 695; Il delitto Matteotti tra il Viminale e l'Aventino. Dagli atti del processo De Bono davanti all'Alta Corte di Giustizia, a cura di G. Rossini, Bologna 1966, passim;O. Majolo Molinari, La stampa periodica romana, dal1900 al 1926, I, Roma 1977, pp. 182-188; M. Canali, C. Rossi. Da rivoluzionario ad eminenza grigia del fascismo, Bologna 1991, passim; Id., Documenti inediti sul delitto Matteotti: il memoriale di Rossi del 1927 e il carteggio Modigliani-Salvemini, in Storia contemporanea, XXV (1994), 4, pp. 549-631.