FANTONI, Filippo
Figlio di Romolo, proveniente da nobile famiglia, nacque presumibilmente intorno al 1530 a Firenze, come attesta l'appellativo di "Florentinus" sempre presente accanto al suo nominativo. Secondo Fabroni, il F. emise professione di fede nell'Ordine camaldolese in giovane età, nel 1541, risiedendo a S. Maria degli Angeli a Firenze, convento con il quale mantenne numerosi contatti nell'intero corso della vita.
Le prime notizie certe intorno alla sua attività pubblica ed intellettuale risalgono al 1560: il 27 giugno pubblicò presso i Giunta di Firenze il De ratione reducendi anni ad legitimam formam et numerum, ac aliis ad eandem rem pertinentibus, quae omnia valde digna sunt cognitu omnibus huiusce scientiae studiosis, la sola opera edita della sua produzione, e nell'autunno si trasferì a Pisa, dove intraprese la carriera accademica come lettore straordinario di matematica, succedendo a Giuliano Ristori ed affiancando Francesco Ottonaio.
Il De ratione, un breve trattato di carattere cosmologico e cosmografico, oltre a un'attenta ricognizione delle teorie astronomiche e geografiche degli autori classici e medioevali, da Aristotele a Tolomeo a Giovanni Sacrobosco individua come tema privilegiato il problema della riforma del calendario giuliano. Il calendario vigente infatti, comportando uno scarto rispetto all'anno solare di 14 minuti e 14 secondi in più per ogni anno, cioè un giorno completo ogni 128 anni, aveva determinato con il passare del tempo incertezza e difficoltà nel calcolare le ricorrenze liturgiche della Chiesa, sollecitando così la crescente attenzione di numerosi matematici e teologi.
L'opera del F., pur non presentando caratteri di particolare originalità, è buona testimonianza delle vaste conoscenze filosofiche e scientifiche dell'autore. Sul problema della riforma il F. tornò nel 1578 con un manoscritto dedicato a Francesco de' Medici, il Compendiarium totius anni reductionem (Bibl. apost. Vaticana, Vat. lat. 7053), in seguito sia all'approfondimento dei suoi studi astronomici sia alle sollecitazioni provenienti dal Vaticano, avendo Gregorio XIII istituito nel 1576 una apposita commissione pontificia con l'incarico di vagliare tutte le possibili soluzioni e richiedere l'intervento dei maggiori studiosi presenti nelle università cattoliche.
Il F. insegnò matematica presso l'università di Pisa per un primo periodo dal 1560 al 1567 (sebbene il suo nome manchi dal rotulo per l'anno accademico 1565-66), quando fu sostituito dal pisano Giuseppe Nozzolino. I motivi per cui il F. lasciò l'università non sono chiari, quasi sicuramente fu richiamato dall'Ordine come attesta la sua nomina per l'anno 1569-70 ad abate del monastero dei Ss. Giusto e Clemente di Volterra, una delle più importanti case camaldolesi toscane. Il F., pur mancando dall'insegnamento per circa quattordici anni, non interruppe né le sue ricerche né i suoi contatti con lo Studio pisano. Il 20 ott. 1579, mentre era abate di S. Michele in Borgo a Pisa, si addottorò in teologia facendosi successivamente promotore di numerose lauree e intervenendo spesso come testimone. Nel 1582 riprese l'incarico come ordinario di matematica a Pisa, mantenendo la nomina fino al 1589, anno in cui venne sostituito da Galileo Galilei.
Per quanto riguarda il programma di insegnamento del F. nulla sappiamo del primo periodo accademico; mentre le fonti riportano abbastanza dettagliatamente gli argomenti illustrati durante il suo secondo incarico. A tale proposito va ricordato che gli studi matematici dell'epoca comprendevano un ambito di argomenti ancora ispirati al vecchio quadrivio e che spaziavano dall'astrologia-astronomia all'ottica, alla meccanica, a terni propriamente matematici; gli statuti dello Studio pisano, in particolare, pur prevedendo come testi obbligatori per la cattedra di matematica la Sphaera di G. Sacrobosco, gli Elementi di Euclide e l'Almagesto di Tolomeo concedevano una certa libertà di azione ai docenti.
Oltre ad illustrare un testo tipicamente matematico come il V libro degli Elementi di Euclide, scelta inusuale per le difficoltà concettuali dell'opera, che successivamente attirerà anche l'attenzione del giovane Galilei, il F. espose accuratamente anche il I e il II libro del Quadripartitum di Tolomeo, precedentemente letto anche dal Ristori, mostrando cosi una persistente attenzione per le tematiche astrologiche. Di queste letture permangono due manoscritti provenienti dalla biblioteca del convento di S. Maria degli Angeli di Firenze, di cui uno comprende l'esposizione e il commento di tutti i quattro libri del Quadripartitum (Firenze, Bibl. naz., Conv. soppr., B.7.478), l'altro dei soli primi due libri (D. Philippi Fantoni In Quadripartitum prima Ptolomei lectiones, ibid., B.7-479).
L'attribuzione del primo manoscritto al F. è tuttavia incerta in quanto nel titolo il suo nome appare come modifica dell'autore originario: In Quadripartitum Ptolomaeí expositio praeclara magistri Iuliani de Ristoriis Pratensis astrologiam (modificato in Philippi de Fantoni mathesim) profitentis in almo Studio Pisano, una cum quaestionibus, necnon observationibus comprobatis undique textus. Molto probabilmente la stesura originale dell'opera fu del Ristori, in un secondo tempo il F. l'approfondì e modificò adottandola successivamente come testo di insegnamento. In qualsiasi caso, al di là della difficoltà di discernere i cambiamenti e gli apporti originali del F., entrambi i manoscritti manifestano la tendenza per temi astrologici e occultistici che caratterizza gli studi matematici dell'università di Pisa rispetto ad altre accademie dell'epoca, come per esempio Padova, maggiormente orientate verso ricerche di carattere tecnico.
Il F. dedicò la sua attenzione anche alla Geografia di Tolomeo, collegando l'aspetto geodetico con le ricerche astronomiche e integrando l'analisi geografica con le scoperte sul nuovo mondo in riferimento alle esplorazioni di Colombo e Vespucci. Sollecitato da tali interessi scrisse il Compendiaria institutio cosmographiae et astronomiae prima earum artium rudimenta complectens (ibid., B.10.481), un trattato di circa cinquecento fogli che comprende una descrizione dettagliata di tutte le conoscenze cosmologiche e geografiche dell'epoca. L'opera nella sua originale versione latina fu preparata per la stampa nel 1590 ma in seguito alla scomparsa del F. la pubblicazione venne annullata; successivamente Antonio Savino, nipote dell'autore, tradusse il manoscritto in italiano. Di tale traduzione manoscritta dal titolo Istituzione compendiana della cosmografia qual ancora abbraccia i primi ammaestramenti dell'arte dell'astronomia. Del M. R. P. Don Filippo Fiorentino monaco camaldolense della sacra teologia, illustre matematico e astrologo esistono due versioni conservate presso la Biblioteca nazionale di Firenze di cui una completa (Conv. soppr. E. I. 483) e l'altra parziale (Conv. soppr. A. 9.482).
Nei suoi corsi accademici il F. tenne anche un ciclo di lezioni sulle Theoricae novae planetarum di G. Peurbach e scrisse dei Commentaria (ibid., B.10.480), dedicati a Francesco I de' Medici granduca di Toscana e collocabili cronologicamente tra il 1576 e il 1587. Frutto di accurate osservazioni astronomiche e nuovi calcoli matematici rispetto all'Almagesto tolemaico, l'opera di Peurbach era considerata all'epoca una delle migliori rappresentazioni del sistema geocentrico contrapposta alla rivoluzionaria ipotesi copernicana. Il F., come mostra il manoscritto, seguì con attenzione tali teorie, anche se in base alle sue ricerche astronomiche e matematiche era nettamente consapevole dell'imprecisione delle osservazioni e dei calcoli su cui erano fondate e della difformità esistente tra la fisica aristotelica e l'ipotesi tolemaica. Probabilmente, secondo Paoli, è al F. che Galilei allude quando, nella lettera del 1615 alla granduchessa Cristina di Lorena, riferisce di un "Matematico passato dello Studio di Pisa" che in tarda età prese ad analizzare la teoria copernicana con l'intento di confutarla ma, convinto dai principi e dalle dimostrazioni del nuovo sistema, fini per diventarne un aperto sostenitore (G. Galilei, Opere, ed. naz., V, p. 328).
Nello stesso manoscritto, oltre al commento a Peurbach sono compresi altri due brevi trattati: Absolutissima quaestio de motu gravium et levium e An demonstrationes mathematicorum sint certissime. La Quaestio è un breve scritto di soli ventinove fogli di tono piuttosto convenzionale sul problema del moto secondo i principi della dinamica aristotelica. L'opera, pur priva di particolare originalità, soprattutto se si pensa al De motu galileiano di pochi anni successivo, attesta comunque un interesse anomalo per un insegnante di matematica che fece oggetto dei suoi corsi accademici un tema ritenuto esclusivo dei filosofi naturali. Anche il manoscritto successivo, il trattato intorno alla certezza delle dimostrazioni matematiche, individua un argomento privilegiato del periodo soprattutto in seguito alle pubblicazioni di A. Piccolomini e F. Barozzi; seppure di valore relativo, l'opera mostra la crescente diffusione in ambito toscano di un problema dibattuto fino ad allora - prevalentemente dai circoli matematici padovani.
Secondo le fonti il F. scrisse anche un trattato sul pericolo delle inondazioni, un commento alla Sphaera di Sacrobosco e un commento alle Sententiae di Pietro Lombardo, unica opera di carattere teologico; ma finora questi manoscritti non sono stati rintracciati.
Pur coltivando le sue ricerche e l'attività accademica, il F. ebbe modo di affermarsi anche nell'ambito dell'Ordine camaldolese; nel 1586 fu nominato generale dell'Ordine, incarico che accettò e mantenne per un triennio alla sola condizione di non dover abbandonare l'università di Pisa. Nel 1589, sicuramente per l'età avanzata, lasciò l'accademia ritirandosi nel convento dei Ss. Giusto e Clemente di Volterra (prov. di Pisa), dove mori l'8 ag. 1591.
Fonti e Bibl.: Acta graduum Academiae Pisanae (1543-1599), a cura di R. Del Gratta, Pisa 1980, pp. 412 ss.; G. Negri, Istoria degli scrittori fiorentini, Ferrara 1722, p. 171; G. B. Mittarelli-A. Costadoni, Annales camaldulenses, Venetiis 1764, VIII, ad Ind.; A. Fabroni, Historiae Academiae Pisanae, Pisis 1791-1795, II, pp. 390-392; A. Paoli, La scuola di Galileo nella storia della filosofia, in Annali delle università toscane, XXXI (1912), p. 36; C. Fedeli, Ilmetodo galileiano e le scuole di scienza e di medicina all'Università di Pisa, Pisa 1919, p. 21; Ch. B. Schmitt, The faculty of arts at Pisa at the time of Galileo, in Studies in Renaissance philosophy and science, London 1981, IX, pp. 256-263; Id., F.F. Galileo Galilei's precedessor as mathematics lecturer at Pisa, ibid., X, pp. 53-62.