NERLI, Filippo de’
NERLI, Filippo de’. – Nacque a Firenze il 9 marzo 1486 da Benedetto di Jacopo e da Cassandra di Francesco Martelli.
I Nerli – citati da Dante nel canto XVI del Paradiso come esempio di modestia e sobrietà nonostante la loro ricchezza e potenza – avevano antichissime origini signorili, tanto che la famiglia fu colpita dagli Ordinamenti di giustizia del 1282 come magnatizia. Il conseguente ostracismo dalla politica cittadina perse gradatamente di importanza nel corso del secolo XIV, ma per trovare i Nerli saldamente insediati nel ceto dirigente fiorentino occorre attendere il 1437, data in cui si ebbe la prima designazione di un membro della famiglia al priorato. Fu il nonno, Tanai, a raggiungere il vertice del potere politico, rivestendo per due volte (nel 1472 e nel 1495) la carica di gonfaloniere di Giustizia. Decisivo per il successo politico della famiglia fu il supporto dato ai Medici che, tranne un lieve vacillare nel 1494, quando uno dei suoi membri si dichiarò favorevole a espellere da Firenze Piero de’ Medici, rimase costante. Il padre di Nerli, Benedetto, dopo aver trascorso la giovinezza a Lione, impegnato nell’attività mercantile, iniziò nel 1482, con la sua prima designazione a priore, una brillante carriera politica.
L’educazione di Nerli fu presumibilmente di buon livello, data la tradizione familiare (uno degli zii paterni, Neri, promosse la stampa delle opere di Omero). Ebbe come maestro Benedetto Riccardini, detto per antonomasia ‘il Filologo’, correttore di testi per la stamperia dei Giunti, che gli dedicò nel 1514 un’edizione delle opere di Orazio, definendolo «docto iuveni». Ma oltre a questo retroterra di studi classici, decisiva per la formazione storica, politica e più generalmente intellettuale di Nerli fu la frequentazione degli Orti Oricellari, il giardino di casa Rucellai, dove attorno ai proprietari si riunirono, soprattutto dal 1513 al 1522, le migliori menti che vantava allora Firenze.
In tale contesto nacque l’amicizia fra Nerli e Niccolò Machiavelli, rapporto comprovato da alcune lettere scambiate fra i due e dal fatto che Machiavelli dedicò a Nerli il Capitolo dell’occasione: un’amicizia – pur nella divergente posizione nei confronti del regime mediceo, che ne determinò anche il diverso percorso politico – destinata a durare per Machiavelli per tutta la vita, dato che nominò Nerli suo esecutore testamentario.
Il perfetto parallelismo fra la carriera politica di Nerli e le fortune politiche dei Medici si spiega, oltre che con la tradizione di stretta osservanza medicea della famiglia, con il matrimonio, nel 1511, con Caterina figlia di Jacopo Salviati (intimo di papa Clemente VII e uno dei personaggi più potenti dell’epoca) e di Lucrezia de’ Medici, e quindi nipote di Lorenzo il Magnifico. Dal matrimonio nacquero cinque figli: Leone; Benedetto, vescovo di Volterra; Cassandra, sposata Bardi di Vernio; Contessina, sposata Scotti di Piacenza; e Maria, monaca gerosolimitana.
Durante il secondo periodo di regime mediceo (1512-27), in cui almeno formalmente rimasero in vigore le tradizionali magistrature repubblicane, Nerli ricoprì numerosi uffici: membro dei Sedici gonfalonieri di compagnia nel 1515, nel settembre-ottobre 1517 ebbe per la prima volta il priorato, che ottenne di nuovo nel 1522; nel 1518 fece parte degli Otto di balia e dal 1521 dei Dodici buonuomini, mentre nel 1522, a partire dal 1° dicembre, fu per un anno podestà di Prato. Nel dicembre 1517 e nel novembre 1520 fu inviato oratore presso la Santa Sede. Vi ritornò nel 1523 come membro dell’ambasciata di obbedienza a Clemente VII. Per volontà di questo papa il 20 maggio 1524 divenne governatore di Modena, città che aveva fatto parte in precedenza del ducato estense ma che nel 1516 era stata assegnata dall’imperatore allo Stato pontificio. Il passaggio aveva scatenato una lotta fra le opposte fazioni di chi era rimasto fedele agli Este e chi invece era favorevole all’integrazione nello Stato pontificio, entrambe appoggiate da forze militari. Mentre Francesco Guicciardini, che aveva rivestito la stessa carica prima del 1524, era riuscito a stabilire un accettabile modus vivendi all’interno della città e ne aveva anche rinsaldato le fortificazioni, sembra che l’operato di Nerli non fosse altrettanto efficace, tanto che Guicciardini il 7 agosto 1526 gli indirizzò una lettera in cui sostanzialmente lo accusò di avere vanificato la sua opera.
Alla notizia dell’attacco dei lanzi a Roma, le truppe pontificie di stanza a Modena si sbandarono; Nerli, temendo per la sua vita, tornò a Firenze nel giugno 1527. Per questo motivo si meritò un giudizio estremamente sprezzante da parte di Benedetto Varchi, che nella Storia fiorentina, lo definisce «d’animo molle ed effeminato» (I, p. 342).
Anche a Firenze il sacco di Roma non mancò di produrre conseguenze: la rappresentanza della famiglia Medici in città era allora affidata al cardinale Silvio Passerini, tanto inviso ai fiorentini da guadagnare all’opposizione antimedicea la maggior parte del ceto dirigente. Dopo la fuga di Passerini seguì la restaurazione dell’apparato costituzionale precedente al 1512, ma, dopo un periodo iniziale di concordia, all’interno del ceto di governo si riformarono le fazioni. Una temporanea vittoria dei radicali portò il 18 aprile 1529 al gonfalonierato di Francesco Carducci, che si caratterizzò per una serie di provvedimenti punitivi contro chiunque potesse essere in qualche modo collegato con i Medici. Tale fu anche la sorte di Nerli, che dall’8 ottobre 1529 fino alla capitolazione dell’agosto 1530 fu incarcerato nella prigione annessa al palazzo della Signoria. A rendere più penosa la sua situazione in questo periodo intervenne la provvisione del 14 dicembre 1529, che privava dei beni i figli, anche minorenni, dei filomedicei. Nerli fu costretto a chiedere aiuto al suocero. Il 12 agosto 1530 cadde il regime repubblicano e il 20 dello stesso mese fu eletta una balia con pieni poteri, che avrebbe preparato la città al ritorno, ormai imminente, dei Medici. Nel nuovo clima politico la carriera di Nerli riprese slancio: in quello stesso anno, dal mese di settembre, fece parte per la seconda volta dei Sedici gonfalonieri di compagnia e nel 1531, nel bimestre luglio-agosto, fu per la terza volta priore. In questa carica assisté al passaggio formale dall’assetto repubblicano al principato, con l’investitura, fortemente voluta da papa Clemente VII, di Alessandro de’ Medici. In questo modo si realizzava quel governo di uno solo che Nerli nei suoi Commentarii dichiara di aver sempre auspicato, di contro al disordine e all’anarchia connaturati con i regimi repubblicani.
Nell’inverno 1531-32 passò alcuni mesi a Roma presso papa Clemente VII, insieme con altri esponenti del ceto dirigente fiorentino, per sondare le intenzioni del pontefice sul futuro assetto del governo della città, in modo tale che «non possa più avvenire quello che nel 1494 e 1527 avvenne» (ibid., pp. 261 s.). Fu per consiglio anche di Nerli che il 4 aprile 1532 fu eletta una commissione di cittadini per riformare lo Stato e abolire le istituzioni più caratteristiche del vecchio regime repubblicano, come i signori e i collegi. Lo stesso papa non mancò di affidargli incarichi pubblici, inviandolo a Modena a indagare e raccogliere testimonianze sulle appropriazioni indebite perpetrate dagli estensi e dai loro fedeli nel periodo 1527-30.
Intanto a Firenze con le ordinazioni del 27 aprile 1532 le tradizionali istituzioni repubblicane avevano lasciato il posto a un assetto dichiaratamente monarchico: uno dei fondamenti del nuovo regime fu il Consiglio dei duecento, i cui membri erano nominati a vita e fra i quali si sceglievano i 48 membri del consiglio più ristretto, il Senato dei quarantotto, parimenti di durata vitalizia, che andò a sostituire i vecchi consigli repubblicani; in particolare, i Quarantotto divennero, insieme con il duca, il vertice istituzionale del nuovo regime.
Nerli fu subito chiamato a far parte sia del Consiglio dei duecento sia di quello dei quarantotto e alla sua morte la carica senatoria fu ereditata dal figlio primogenito. Arrivato al vertice del nuovo regime principesco, nel 1532-34 iniziò a mettere per scritto i suoi ricordi. Dal 1535 in poi rivestì anche l’incarico di rettore in diverse città del dominio: fu capitano di Pisa per sei mesi dal 2 gennaio 1535, vicario di Lari dal 15 luglio 1536, capitano di Pistoia per due volte, nel 1538 e 1548. Dal 1° settembre 1540 fu per sei mesi capitano di Cortona e dal 1° settembe 1543 rivestì lo stesso incarico a Volterra. Dal dicembre 1541 fece parte della magistratura fiorentina dei Capitani di parte guelfa. L’uccisione di Alessandro de’ Medici da parte del cugino Lorenzo nel 1536 ripiombò Firenze in una situazione di grande incertezza, ma la decisa reazione del gruppo degli ottimati portò alla designazione di Cosimo de’ Medici, con il quale Nerli era imparentato. Sembra che di questa elezione egli fosse, insieme con Guicciardini, uno dei principali responsabili. Del nuovo sovrano era destinato a diventare uno dei consiglieri più ascoltati e un collaboratore fidato nelle questioni più delicate, come quella rappresentata dai fuoriusciti. Il gruppo degli esuli politici fiorentini, che inizialmente era formato dai sostenitori dell’ultimo regime repubblicano, era andato con il passare del tempo ingrossandosi fino a comprendere anche filomedicei, indignati dai metodi di governo di Alessandro. La diserzione di questi rappresentava per il nuovo regime un pericolo ben più grande degli oppositori repubblicani, dispersi e senza mezzi. I primi alla morte di Clemente VII avevano fatto base a Roma, potendo contare sull’aderenza dei tre potenti cardinali fiorentini Giovanni Salviati, Niccolò Ridolfi e Niccolò Gaddi e sull’appoggio economico di banchieri come Filippo Strozzi e Bindo Altoviti.
Quando la notizia della morte di Alessandro giunse a Roma, Salviati, Ridolfi e Gaddi si mossero alla volta di Firenze per condizionare eventuali rivolgimenti politici in favore del loro gruppo. Tempestivamente il Senato dei quarantotto deliberò l’amnistia per gli esuli, a patto che entrassero in città disarmati, ma i cardinali continuarono nella loro marcia di avvicinamento, accompagnati da gruppi in armi. Furono fatti vari tentativi per fermarli e indurli a un dialogo con il nuovo duca. Quando erano già arrivati a Figline Valdarno, Nerli fu mandato a parlamentare con loro, grazie anche al fatto che uno dei tre cardinali, Salviati, era suo cognato. La missione, che doveva garantire le intenzioni pacificatrici del nuovo duca e convincere i cardinali a licenziare gli armati, ebbe un successo provvisorio, in quanto i porporati si lasciarono convincere a entrare disarmati in città, ma poco dopo lasciarono di nuovo Firenze per Bologna, dove nel frattempo si era radunato un folto gruppo di fuoriusciti. Nerli fu allora inviato in questa città per spiarne le intenzioni, informando il duca con messaggi cifrati.
La vittoria di Montemurlo conseguita da Cosimo sui fuoriusciti il 1° agosto 1537 pose il governo fiorentino definitivamente al riparo dal pericolo rappresentato dagli esuli e apparve a Nerli un avvenimento di portata epocale. Fu probabilmente allora che, intuendo che una pagina di storia fiorentina si era chiusa per sempre, ampliò il suo progetto storiografico, inizialmente limitato alla stesura di semplici ricordi autobiografici, facendo cominciare la narrazione dal Medioevo e concludendola, appunto, con la vittoria di Montemurlo, anche se l’effettivo lavoro di stesura sembra concentrarsi nel periodo 1549-52. Nacque così l’opera storica, intitolata Commentarii de’ fatti civili occorsi dentro la città di Firenze dall’anno MCCXV al MDXXXVII, ricostruzione complessiva della storia cittadina dall’inizio delle lotte di fazione, fino alla data della pacificazione definitiva.
L’opera fu divisa in 12 libri, in coincidenza con avvenimenti che all’autore apparvero come punti di svolta nella storia della città. In questo progetto fu molto incoraggiato da Cosimo, che gli consentì la consultazione dei documenti ufficiali e non di rado intervenne personalmente, con postille e richieste di rettifica. Verso il 1553 i Commentarii erano pressoché conclusi, secondo la testimonianza di Bernardo Segni, che li cita all’inizio della sua opera (Istorie fiorentine, p. 14). Il testo dei Commentarii è tramandato da diversi manoscritti, completi o parziali, e da due edizioni a stampa complete, di cui la prima a quasi due secoli di distanza dalla stesura dell’opera. Sembra che Nerli avesse lasciato la cura della stampa al nipote omonimo, Filippo di Leone Nerli, il quale inviò il manoscritto con una lettera di accompagnamento al granduca Francesco de’ Medici nel 1574. Nonostante ciò, l’opera uscì soltanto nel 1728 ad Augusta a cura di Francesco Settimanni, nell’ambito di una collana in cui erano presenti le opere di altri storici fiorentini, come Segni e Varchi. L’edizione, in folio, si apre con una prefazione degli stampatori, una Vita del senatore de’ Nerli di Salvino Salvini e con la lettera di Filippo di Leone Nerli al granduca Francesco del 1574. Una ristampa della princeps, divisa in due tomi, senza sostanziali differenze, uscì a Trieste per i tipi di Colombo Coen nel 1859. Il solo decimo libro è stato ristampato nella raccolta Storici e politici fiorentini del Cinquecento, a cura di Angiolo Baiocchi e Simone Albonico (Milano-Napoli 1994). Un’edizione critica, fondata sull’esame di tutti i manoscritti noti, è stata oggetto della tesi di dottorato di Sergio Russo (2007).
Nerli continuò la sua attività politica fino all’estrema vecchiaia: nel 1550 fu membro dell’ambasciata di obbedienza al nuovo papa Giulio III e rivestì incarichi di rettore nel dominio, come quello di commissario di Arezzo per un anno dal novembre 1552 all’ottobre 1553, e quello di capitano di Pistoia, per sei mesi, dal 16 giugno 1555. Sembra che questo sia stato il suo ultimo incarico pubblico.
Morì a Firenze il 17 gennaio 1557 e fu sepolto nella cappella di famiglia, nella chiesa del convento francescano di S. Salvatore al Monte.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Firenze,Tratte,88, c. 26r;608 cc. 33v, 51r, 98v, 110v,180r, 186v; S. Salvini, Vita del senatore F. de’ N., in F. Nerli, Commentarii ..., Augusta 1728, pp. 7-19; G. Pelli, Elogio del sen. F. de’ N., in Elogi degli uomini illustri toscani, II, Lucca 1771, pp. CCCXV-CCCXXI; B. Varchi, Storia fiorentina, a cura di L. Arbib, I, Firenze 1843, p. 342; B. Segni, Istorie fiorentine dall’anno 1527 all’anno 1555, a cura di G. Gargani, Firenze 1857, p. 14; F. Guicciardini, Lettere e istruzioni, in Id., Opere inedite, a cura di G. Canestrini, Firenze 1863, pp. 187-189; Le carte Strozziane del R. Archivio di Stato, I, Firenze 1884, pp. 185-187, 521-523; A. Verde, Lo Studio fiorentino, III, Firenze 1977, pp. 832 s.; Carteggio universale di Cosimo I de’ Medici, I-V, Firenze, 1981-90, ad indices; Storici e politici fiorentini del Cinquecento, a cura di A. Baiocchi - S. Albonico, Milano-Napoli 1994, pp. 527-537. Lo studio più esaustivo su Nerli, completo di bibliografia aggiornata, è la tesi di dottorato di S. Russo, Filippo de’ Nerli, Commentarii de’ fatti civili occorsi nella città di Firenze dal 1215 al 1537. Edizione critica, Università Federico II di Napoli 2007 (www.fedoa.unina.it/2921/1/Russo_Il_Testo_ tra_ Filologia_e_Storia.pdf). Si vedano inoltre: A. Niccolai, F. de’ N., Pisa 1906; G. Sanesi, Intorno a tre storici minori del Cinquecento, in Archivio storico italiano, s. 5, XXIII (1899), pp. 267-275; M. Lupo Gentile, Studi sulla storiografia fiorentina alla corte di Cosimo I de’ Medici, in Annali della R. Scuola normale superiore di Pisa, XIX (1906), pp. 60-70; I. Biagianti, Politici e storici del Cinquecento: F. de’ N. (1485-1556), in Archivio storico italiano, CXXXIII (1975), pp. 45-100; R. von Albertini, Firenze dalla Repubblica al principato, Torino 1970, pp. 320-330.