LAMPUGNANO, Filippo da
Nacque a Milano presumibilmente nel quinto decennio del sec. XII.
La famiglia Lampugnano traeva nome dalla località (allora pochi chilometri a nordovest di Milano, oggi inglobata nel tessuto urbano) dove probabilmente si concentravano i possedimenti del ceppo parentale, cui appartenevano diversi rami. Secondo la più tarda testimonianza di G. Fiamma (1727), il L. avrebbe fatto parte dei Lampugnano "de Prandebonis", o di quelli "de Pradello". Si trattava di una famiglia della vassallità vescovile, che, pur non disponendo di cospicue fortune patrimoniali né risultando impegnata in attività commerciali, riuscì ad affermarsi in ambito cittadino legandosi a importanti enti ecclesiastici, segnatamente il monastero di S. Ambrogio e il monastero Maggiore. L'inserimento del L. nel capitolo della cattedrale coincise con l'affermazione della famiglia nel ceto consolare: Alberto da Lampugnano fu console ripetutamente (1186, 1194-95, 1198), Rogerio nel 1194 e nel 1197-98, Beltramo nel 1201, 1208, 1215, Sallius nel 1204 e nel 1215, Imblavato nel 1204 e nel 1213.
L'inserimento del L. nel capitolo della cattedrale è forse da attribuire al favore dell'arcivescovo e cardinale legato Galdino della Sala (1166-76): del 1168 è la prima attestazione del diacono L. tra gli ordinari; fino all'ottobre 1173 egli fu presente alle più significative decisioni dell'arcivescovo. Nel novembre 1182 è nuovamente ricordato con il titolo di magister; non si conoscono né il luogo dove il L. compì gli studi, né la disciplina a cui si dedicò. Prima del febbraio 1183 fu ordinato sacerdote e quando Milone da Cardano, vescovo di Torino e arciprete della cattedrale milanese, divenne arcivescovo di Milano (5 dic. 1187), questi, a testimonianza del favore del nuovo presule per il L., fu insignito dell'arcipretura. Dopo il breve episcopato di Oberto da Terzago (settembre 1195 - giugno 1196) si affermò la candidatura del L., che fu eletto arcivescovo il 14 luglio 1196. Nell'agosto 1196 il L. sottoscriveva un diploma dell'imperatore Enrico VI, come "magister Philippus electus Mediolanensis archiepiscopus"; la consacrazione episcopale avvenne entro il successivo 13 settembre.
La sua attività nella diocesi è documentata soprattutto in favore di alcune istituzioni legate alla Chiesa ambrosiana: nel maggio 1197 confermò i decreti dei suoi predecessori per regolare l'amministrazione dell'ospedale del Brolo e nel gennaio 1200 giudicò una lite tra gli amministratori e i conversi dello stesso ospedale. Il 10 luglio 1197 approvò gli statuti della canonica regolare di Crescenzago; nell'ottobre successivo favorì l'accordo tra l'arciprete dei decumani di Milano e il prete della chiesa di Calvairate; il 16 apr. 1198, nella causa tra il monastero di S. Dionigi e il clero della chiesa di S. Bartolomeo - dipendente dal cenobio - pronunciò una sentenza, confermata nel gennaio 1199 da un giudice delegato papale.
Grazie alla documentazione raccolta nei registri papali, è possibile ricostruire significativi aspetti dell'attività del L. come presule ambrosiano e come metropolita durante il pontificato di Innocenzo III, a partire da un favorevole andamento dei rapporti tra la Sede romana e il L., testimoniato dalla concessione graziosa del 18 febbr. 1198, con cui il L. era autorizzato a conferire gli ordini maggiori ai numerosi suddiaconi della Chiesa romana presenti tra il clero milanese. All'inizio di marzo, con il riaprirsi di una delicata fase del processo allora dibattuto alla Curia papale in merito alla giurisdizione dell'arcivescovo sul monastero di S. Donato di Scozzola, presso Sesto Calende - ubicato in diocesi di Milano, ma dipendente dal vescovo di Pavia -, nascono i primi dissapori tra il L. e Innocenzo III.
La causa era iniziata durante l'episcopato di Milone e attraversava ora una fase di stallo; le autorità comunali di Milano avevano infatti deciso, non senza l'assenso del L., di recuperare con la forza i diritti sul porto di Sesto Calende e su Baveno, dipendenti dal monastero; Celestino III aveva allora scomunicato i responsabili dell'attacco e aveva chiesto al L. di eseguire la sentenza. Nella discussione della causa alla Curia romana nel 1198 agiva come procuratore dell'arcivescovo il giudice imperiale Passaguerra: costui, al momento di ascoltare la sentenza pronunciata dal papa e dai cardinali, accusò il pontefice di parzialità e abbandonò la Curia senza licenza papale, incorrendo nella scomunica. Innocenzo III dichiarò di aver sempre dimostrato una particolare benevolenza nei confronti della Chiesa ambrosiana fin dagli anni del suo cardinalato, ma l'oltraggio era così grande che chiedeva all'arcivescovo di proclamare la scomunica candelis accensis. Furono i vertici comunali ad avviare iniziative diplomatiche per far assolvere il giudice: il papa ascoltò le richieste del Comune e incaricò il L. di sospendere la sentenza, a patto che entro un mese Passaguerra si fosse presentato alla Curia papale.
I rapporti si fecero ancora più tesi dopo che il papa si vide rifiutare la richiesta di conferire al suddiacono papale Enrico da Settala la cancelleria arcivescovile (aprile 1198) e a un altro suddiacono, Bonacosa, un canonicato in S. Ambrogio (luglio 1198). Soprattutto il caso della cancelleria fu spinoso, giacché il L., ignorando le prescrizioni del diritto canonico, aveva concesso la carica, da lungo vacante, a un proprio congiunto, Enrico da Lampugnano. Innocenzo III, dopo aver fatto svolgere un'inchiesta in sede locale, dovette accantonare la richiesta, ma nel settembre accusò il L. di essere il colpevole dell'equivoco verificatosi e gli tolse il diritto di disporre della prima prebenda che si fosse resa vacante nella Chiesa milanese. Anche nel caso del canonicato in S. Ambrogio, Innocenzo III ritenne il L. responsabile di non aver notificato con la dovuta chiarezza la richiesta papale ai canonici e gli intimò di provvedere quanto prima ad assegnare a Bonacosa un beneficio.
In questo clima decisamente teso si comprende il tono di Innocenzo III che, ancora per una questione relativa a un beneficio nella chiesa di Gorgonzola, esprimeva al L. il suo sdegno per la negligenza nell'assolvere agli ordini papali, quasi che avessero in sé "aliquid inhonestum", e terminava la missiva esortandolo a leggere attentamente le sue lettere e a soddisfare le richieste. Ancora nel 1204 il papa annullò l'assegnazione di una prebenda stabilita dal L. nel capitolo di Asti e di un'altra in S. Maria di Novara.
Da questo momento dunque le relazioni tra il L. e il papa si diradarono e Innocenzo III preferì affidare incarichi ad altri ecclesiastici milanesi di sua fiducia. Oltre che per l'inerzia causata dall'eccessivo legame con la politica cittadina, il L. cedette forse in modo troppo smaccato al nepotismo, se si considera che fin dal luglio 1197, oltre il cancelliere Enrico, un altro suo congiunto, il suddiacono Lanterio, era tra i canonici della cattedrale. In ogni caso le difficoltà del L. furono in gran parte causate dalle nuove modalità di intervento del Papato sia nelle nomine dei chierici nei capitoli delle diverse Chiese, sia nella difesa della libertas ecclesiastica minacciata dalla politica dei Comuni.
A Milano il L. incontrò opposizioni soprattutto con il clero decumano, in buona parte proveniente dalle file del populus, che in quegli anni aspirava a ottenere maggior potere negli organismi comunali e mirava a ridimensionare le esenzioni godute dai milites e dagli ordinari della cattedrale. L'andamento difficile di numerose cause tra ecclesiastici è infatti imputabile al conflitto sociale allora in atto, come dimostra fin dal 1198 - anno in cui il populus diede vita alla Credenza di S. Ambrogio - il rifiuto dei decumani di pagare le procurazioni ai legati papali, mentre gli ordinari ne erano esentati; in questo senso degno di nota è anche il caso della lite tra il monastero e la canonica di S. Ambrogio (officiata dal clero decumano) per i diritti e le offerte derivanti dalle celebrazioni: giacché i canonici rifiutarono l'arbitrato del L., ritenuto parziale, nel marzo 1199 egli chiese al pontefice di nominare tre giudici delegati, ma le parti non li accettarono e allora il papa delegò la causa ad Alberto di Vercelli e a Pietro di Lucedio, che il 24 nov. 1201 emisero la sentenza. Contro di essa i contendenti si appellarono ancora, ma Innocenzo III la confermò e incaricò il L. e il vescovo Pietro di Novara di farla rispettare. Entro tale orizzonte politico si colloca anche la causa conclusasi nel 1203 tra l'arcidiacono e il primicerio dei decumani: quest'ultimo, pur non appartenendo al capitolo della cattedrale, aveva sempre svolto compiti di supplenza nei periodi di vacanza vescovile ed era a capo del clero in cura d'anime. A partire dal 1198 il primicerio cercò di imporre la sua autorità ai danni dell'arcidiacono, ma questi, con l'appoggio del L., riuscì infine a neutralizzarne le pretese e a sancire la chiusura del capitolo al populus.
Il L. inaugurò allora una linea più condiscendente con la Sede romana, in primo luogo nominando come procuratore alla Curia il suddiacono papale Guglielmo Balbo, la cui intelligente azione riuscì a ottenere una sentenza positiva nell'affare di Scozzola. Il L. collaborò anche con gli inviati papali per favorire la pace tra i Comuni padani, dapprima, nell'aprile 1199, con l'abate Pietro di Lucedio e con altri vescovi, per risolvere la guerra tra Parma e Piacenza per il controllo di Borgo San Donnino. La missione non ebbe successo, anche perché tutti i presuli interpellati erano solidali con la politica dei rispettivi Comuni; questo motivo emerse ancor più nel corso di un episodio del settembre 1201, quando il L., incaricato con il priore di Camaldoli di trovare un accordo con il vescovo Sicardo di Cremona - la città avversaria di Milano - vide fallire la trattativa, giacché Sicardo accusò il L. di rappresentare gli interessi del suo Comune, per conto del quale, proprio nell'agosto del 1201, aveva accolto la sottomissione dei Pavesi sconfitti a Negrino. Forse anche la distruzione della schola edificata dai seguaci di Durand de Huesca fu un tentativo di accondiscendere alle disposizioni antiereticali promulgate da un legato papale a Verona nel 1198: la decisione del L. fu però sconfessata da Innocenzo III, che nel 1209 ordinò al successore del L. di restituire il terreno ai Poveri cattolici, che nel frattempo si erano riconciliati con la Chiesa romana.
In ambito provinciale il L. intervenne ad Alba, dove il Comune e il vescovo Ogerio, allora in contrasto per questioni giurisdizionali, nel 1200 si rimisero al suo arbitrato ed egli nel gennaio 1201, su mandato del papa, stabilì una permuta di castelli tra il Comune e il vescovo; quindi, tra 1202 e 1206, promulgò decisioni relative al capitolo di Tortona.
Ancora nell'ambito della provincia metropolitica il L. fu esecutore di ordini papali: nell'aprile 1203, in occasione degli scontri tra i Comuni e le Chiese della provincia ecclesiastica milanese, il papa ordinò all'arcivescovo e agli altri presuli di far osservare dagli ecclesiastici le disposizioni a suo tempo stabilite dal III concilio Lateranense. Nel dicembre successivo il L. fu incaricato di recarsi a Bergamo, dove le autorità comunali avevano tassato le chiese senza curarsi degli ordini papali: se il Comune non avesse desistito dalle richieste, il L. avrebbe dovuto scomunicarlo e lanciare l'interdetto sulla città, sanzioni che probabilmente egli applicò. Innocenzo III lo incaricò anche di dichiarare i Piacentini scomunicati, a causa del bando che il Comune di quella città, allora alleata di Milano, nel 1204 aveva inflitto al proprio vescovo. Nella diocesi, invece, gli interventi del L. furono rivolti a istituzioni ecclesiastiche: sottoscrisse atti patrimoniali relativi a chiese e monasteri a Milano e a Varese; concesse agli umiliati di Brera e di Oriano di costruire una chiesa presso le loro case, a patto che essa fosse officiata da un sacerdote di rito ambrosiano; giudicò una causa tra l'arciprete di S. Maria di Monte Velate e un chierico di Varese per l'assegnazione di un beneficio.
L'atteggiamento ambiguo del L. nei confronti delle direttive di Innocenzo III, come pure del Comune di populus, complicò la sua posizione a Milano: le difficoltà dovettero acuirsi in occasione di una lite con il cimeliarca della Chiesa milanese, in merito alla conservazione delle vesti e degli arredi sacri, che nel giugno 1206 provocò l'intervento dei visitatores Lombardie, tre ecclesiastici incaricati da Innocenzo III di giudicare la condotta di molti vescovi nell'Italia padana. Forse a seguito del loro soggiorno a Milano e delle lamentele da diverse parti rivolte contro il L. - la cui posizione, come si è visto, era piuttosto compromessa anche alla Curia papale - Innocenzo III, nel novembre 1206, decise di deporlo.
Il 22 dicembre il capitolo elesse a succedergli Oberto da Pirovano, già suddiacono papale, ordinario della Chiesa milanese e canonico di Monza, dal maggio di quell'anno cardinale diacono di S. Angelo, che si insediò solo dopo la morte del L. avvenuta il 10 apr. 1207.
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