CAVALLINI, Filippo
Figlio del senatore Gaspare, nacque a Mortara nel 1852.Terminati gli studi in giurisprudenza, venne introdotto dal padre, che militava nelle file del Centrodestra, alla vita politica, ma, accostatosi alla Sinistra costituzionale, fece le sue prime armi nel Diritto e divenne quindi segretario di Depretis, quando questi assunse la presidenza del Consiglio nel marzo 1876.Intermediario in varie circostanze nelle complesse manovre di Depretis per assicurarsi i consensi dei maggiori esponenti del Centro, e suo stretto collaboratore nelle peregrinazioni fra i vari ministeri, ottenne un seggio alla Camera, come deputato del primo collegio di Pavia, nell'ottobre 1882 alle prime elezioni a suffragio allargato, che lo videro tra i fautori del trasformismo.
In questa veste fu uno dei leaders, insieme con P. Lucca e L. Tegas, dello schieramento parlamentare formatosi alla fine del 1884, con l'aggravarsi della crisi agraria, per raccogliere le istanze soprattutto della borghesia fondiaria settentrionale, e premere quindi sul governo affinché fossero assunti provvedimenti straordinari a sollievo della proprietà e degli interessi rurali. Nelle successive discussioni alla Camera, e in particolare nella tornata del 16 marzo 1886, si espresse per l'adozione di un indirizzo decisamente protezionistico in favore del settore cerealicolo, facendo proprie, con altri, le richieste della Lega agraria che sarebbero state accolte quasi integralmente da Depretis con il varo delle nuove tariffe doganali del 1887.
Collaboratore de La Rassegna, rieletto deputato nelle successive tre legislature, in rapporti personali con Correnti, Crispi e quindi con Zanardelli, il C. svolse incarichi di fiducia nelle relazioni fra quest'ultimo e Giolitti nel 1892, al tempo del primo ministero dello statista piemontese. Nel frattempo, grazie alla cospicua fortuna della sua famiglia (in possesso di vari immobili e di due grandi alberghi a Roma), s'era interessato all'attività bancaria, acquistando nel 1880 una caratura di due milioni di lire nella Banca Maraini, e fondando quindi la Banca della Lomellina, zona in cui era titolare anche di una grossa tenuta risiera. Un po' per curiosità, un po' per calcolo politico, nella prospettiva di un'intesa con i radicali, aveva investito nel 1890 qualcosa come 250.000 lire nel giornale milanese L'Italia del Popolo di Dario Papa, dopo che costui s'era reso protagonista, con L'Italia (1883-89), di una sorta di "rivoluzione editoriale" prendendo a modello l'impostazione e il linguaggio dei giornali americani.
Ma il nuovo foglio non avrebbe ripetuto il successo della precedente iniziativa e, sotto il profilo politico, si sarebbe infine schierato su posizioni federaliste repubblicane cercando un collegamento con alcuni nuclei rappresentativi del socialismo lombardo.
Il C. tentò cinque anni dopo la stessa operazione con Il Secolo avendogli chiesto Edoardo Sonzogno, trovatosi improvvisamente in ristrettezze finanziarie,un prestito di 250.000 lire.
Non potendogli restituire subito la somma, l'editore milanese gli aveva proposto d'entrare in società, per la parte riguardante il giornale, dietro versamento di altre 350.000 lire e la garanzia di non mutare l'indirizzo politico del quotidiano milanese. Ma la combinazione era andata poi a monte per l'intervento di Cavallotti e di Carlo Antongini, preoccupati che l'amicizia personale del C. con Crispi e Zanardelli potesse "consigliare una temperanza" nella campagna d'opposizione del giornale, e disposti quindi a rimborsare, come fecero, la somma già versata.Dimessosi in tempo dalla carica di amministratore della Banca della Lomellina, prima che questa fosse in crise finanziaria di quegli anni, il C. si trasferì alla fine del 1895 in Venezuela ma non poté evitare un procedimento giudiziario a suo carico, che si concluse con un'assoluzione alla Corte d'appello di Genova. Il suo nome venne inoltre tirato in ballo nell'agosto 1897, con un codazzo di speculazioni politiche tendenti a colpire Zanardelli, a proposito dello scandalo in cui era coinvolto un certo Alberto Mariani, già direttore della agenzia di Vercelli della Banca d'Italia, da lui raccomandato per un trasferimento alla succursale di Como. Nel frattempo aveva cominciato ad occuparsi di vari affari in America Latina (saline, tenute agricole, monopolio tabacchi, banche). Ricomparso in Italia nel 1897 sempre nell'entourage di Zanardelli, ma non più rieletto alla Camera, divise da allora la sua attività fra Parigi e Caracas, ben addentro agli ambienti finanziari e ai complessi interessi politici ed economici che si agitavano intorno al mondo dell'alta banca. A Parigi aveva conosciuto fin dal 1909 anche Bolo pascià agente finanziario del chedivè e, allo scoppio della guerra, s'era trovato coinvolto, prima nelle trattative a Costantinopoli per evitare il sequestro dei beni del principe egiziano, quindi, nell'intricata partita diplomatica ingaggiata da 'Abbas II Ḥilmē per scongiurare - una volta abolita da parte inglese la sovranità ottomana sull'Egitto - la sua destituzione, in quanto ritenuto da Londra favorevole alla causa turca e agli Imperi centrali, ciò che poi avvenne nel dicembre del 1914. Sembra che l'ex chedivé pensasse di servirsi per l'occorrenza di dieci milioni di marchi procuratigli da Bolo pascià in contatto con Berlino.
Il C. affermò, in seguito, di aver convinto il chedivé ad allontanare Bolo pascià e a costringere costui a restituire la somma versata. Di lì a qualche mese si interessò piuttosto all'acquisto, per conto di 'Abbas, di cinquecento azioni della società editrice del Figaro, uno dei più accesi giornali della Destra nazionalista francese: di qui le successive accuse di essersi prestato a una manovra ispirata da alcuni diplomatici tedeschi per convincere gli ambienti politici di Parigi ad aprire trattative per un armistizio per la Pasqua del 1915. Di fatto tale mandato gli venne revocato nel maggio 1915 in seguito al fallimento dei sondaggi da lui compiuti per rilevare una parte della proprietà del quotidiano parigino. Nel frattempo il C. aveva accettato l'incarico di trattare con l'ambasciatore inglese a Roma Rennel Rodd un avvicinamento dell'ex chedivé all'Intesa e, assodata la disponibilità del diplomatico britannico, di organizzare contemporaneamente in Francia una campagna di stampa per far cessare le prevenzioni che si nutrivano nei confronti di 'Abbas.
Ma egli avrebbe smesso di occuparsi della faccenda dopo l'entrata in guerra dell'Italia, e da allora avrebbe lasciato cadere anche i tentativi intrapresi qualche mese prima di trovare opportuni appoggi a tale disegno presso alcuni giornali italiani. In quest'ultima circostanza era stato ventilato un progetto per l'acquisto del pacchetto di maggioranza di due importanti quotidiani come Il Secolo e Il Messaggero, onde il C. aveva proposto la costituzione di una società anonima con Ferdinando Martini come direttore e il senatore Annarratone quale presidente del consiglio d'amministrazione, impegnandosi a non mutare l'indirizzo democratico-interventista dei due giornali. Ma le trattative s'erano subito arenate per il rifiuto di Pontremoli a mettere in vendita Il Secolo, e per il prezzo eccessivo richiesto nel caso del Messaggero. Tuttavia il C. non aveva abbandonato la speranza di favorire un negoziato diretto dell'ex chedivé, che s'era spinto a chiedere l'autorizzazione di poter dimorare in Italia, con l'ambasciatore inglese a Roma confidando nei buoni uffici di alcuni parlamentari e nel tacito consenso del ministro delle Colonie, in seguito alla promessa dell'ex chedivé di offrire la sua opera per favorire la sottomissione in Libia del gran senusso. Ma la risposta del sottosegretario agli Esteri Borsarelli, interpellato dal C. nel settembre 1915, ribadita da Sonnino qualche tempo dopo, era stata negativa sotto ogni profilo, tanto più nel caso di una mediazione con l'Inghilterra, che sarebbe dispiaciuta al governo inglese trattandosi di questioni riguardanti un suo protettorato. D'altra parte, l'ambasciatore britannico a Roma aveva fatto sapere che Londra non intendeva tornare sulle sue decisioni.
La vicenda si sarebbe esaurita a questo punto se nell'ottobre 1916, dietro segnalazione del console francese a Losanna, non si fosse sparsa la voce a Parigi che all'ex chedivé in Svizzera faceva capo una vasta rete spionistica e di trame politico-diplomatiche al servizio della Germania, di cui si sarebbe reso complice anche Caillaux, reclutato o comunque adescato dal C. quando l'ex presidente del Consiglio era venuto in Italia nel dicembre 1915. Il soggiorno di Caillaux a Roma e qualche riunione privata di semplice cortesia, per doveri d'ospitalità, avevano dato adito fin da allora a vivaci polemiche in vari fogli e negli ambienti interventisti, ispirate dall'ambasciatore francese, sugli scopi del viaggio, per cui correvano voci messe in giro ad arte di accordi segreti con Giolitti e iI Vaticano a danno dell'Intesa. Il C. dichiarò in seguito che lo stesso Salandra aveva espresso il desiderio di incontrare l'uomo politico francese, ciò che poi non sarebbe avvenuto per evitare ulteriori occasioni di pettegolezzo.
Di fatto queste e altre circostanze vennero portate alla ribalta nel dicembre 1917,quando, in un momento gravissimo della guerra, Clemenceau ritenne opportuno agire in maniera esemplare per fugare ogni sospetto di rilassamento, negli ambienti politici francesi, che potesse deprimere il morale del paese e delle truppe al fronte. Caillaux, accusato più volte dalla stampa nazionalista e inviso alla maggioranza dell'opinione pubblica per non aver celato le sue inclinazioni a una soluzione negoziata del conflitto, venne arrestato il 14 genn. 1918 e tradotto alle carceri della Santé, sotto l'imputazione di segrete intese con agenti nemici, fra cui Bolo pascià, fucilato per tradimento a Vincennes, e il C., sottoposto nel frattempo a processo in Italia.
L'arresto del C. il 20 nov. 1917 (seguito, quindici giorni dopo, da quello degli ex parlamentari Brunicardi, Buonanno e Dini) diede la stura in Italia, ancora stordita per il disastro di Caporetto, a una ridda di accuse contro gli uomini politici a suo tempo schieratisi su posizioni neutraliste, accusati di disfattismo, né mancarono tentativi per coinvolgere in qualche modo anche Giolitti, al quale era già stata rinfacciata la responsabilità indiretta della rivolta operaia a Torino dell'agosto 1917.
Persino i circoli più responsabili, e fra questi la direzione del Corriere della Sera, erano indotti a credere all'esistenza di una torbida manovra internazionale per una pace di compromesso e all'esistenza di un'altrettanto oscura rete tedesca di sabotaggio operante in Italia in combutta con gruppi di traditori e di speculatori senza scrupoli. Dietro i sondaggi del C. per accreditare le proposte dell'ex chedivé, di conciliazione con l'Inghilterra, nei suoi tentativi di acquistare alcuni giornali, e nei suoi successivi incontri con Caillaux, si volle vedere la prova di una vasta congiura filotedesca facente capo a Bolo pascià, anche se l'ex deputato protestava di esser del tutto estraneo agli intrighi di costui, da lui denunciati già prima della guerra, e di aver agito per il resto in buona fede ritenendo che il riavvicinamento di 'Abbas all'Inghilterra potesse tornare utile alla causa dell'Intesa.
Sottoposto ad analogo procedimento in Francia, senza che potesse difendersi dalle accuse, il C. venne rinviato a giudizio dal Tribunale militare di Roma. Il processo a suo carico, iniziato nel dicembre 1918, si trascinò per dieci mesi prima che un decreto dell'ottobre 1919 rimandasse il C. e altri imputati davanti ai giudici ordinari; ma sarebbero occorsi altri nove mesi - il tempo in pratica perché l'Alta Corte di giustizia di Parigi, chiamata a giudicare Caillaux (assolto dalle accuse principali di cospirazione e intelligenza col nemico) deliberasse anche su questo caso, perché la magistratura ordinaria concludesse la sua istruttoria con un non luogo a procedere per tutti gli imputati. Dopo più di due anni e mezzo di duro carcere preventivo, il C. poté così riacquistare la libertà e attendere alla stesura di una circostanziata memoria difensiva pubblicata nel 1921 a Milano: Ilprocesso Cavallini. Storia di un delitto giudiziario.
Si ignorano il luogo e la data di morte.
Fonti e Bibl.: Arch. Centrale dello Stato, Ministero dell'Interno, Direz. gen. della Pubblica Sicurezza, Ufficio Centrale d'Investigazione (1917-1919), b. 15, fasc. 321; L. Albertini, Vent'anni di vita politica, II, L'Italia nella guerra mondiale, III, Tra Caporetto e Vittorio Veneto, Bologna 1953: pp. 88 s.; V. E. Orlando, Memorie (1915-1919), a cura di R. Mosca, Milano 1960, pp. 49 ss.; V. Pareto, Lettere a Maffeo Pantaleoni, a cura di G. De Rosa, Roma 1962, II, 1897-1906, pp. 101 s.; III, 1907-1923, p. 225; Dalle carte di G. Giolitti, a c. di P. D'Angiolini, Milano 1926, I, 1885-1900, pp. 115 s., 292 s.; E. Jachini, Il questore di Milano comm. Gasti denunciato per falsa testimonianza e per corruzione di un testimonio, in Gazzettino adriatico, 3 apr. 1921; G. P. Carocci, A. Depretis e la polit. interna ital. dal 1876 al 1887, Torino 1956, pp. 100, 419, 447 s.; R. De Felice, Mussolini il rivoluzionario, Torino 1965, pp. 370, 462; F. Nasi, Ilpeso della carta, Bologna 1966, pp. 159 s.; V. Castronovo, La stampa ital. dall'Unità al fascismo, Bari 1970, p. 113; T. Sarti, Il Parlamento subalpino e nazionale, Torino 1890, p. 258.