CAVALCANTI (de Chavalchanti), Filippo
Di cospicua famiglia fiorentina, ignoriamo esattamente in quale anno nacque, ma in ogni caso nella seconda metà del sec. XIII, da Cavalcante (Cante) di Bernardo: discendeva dunque direttamente dal primo dei Cavalcanti che compaia sulla scena politica di Firenze, quel Cavalcante che divenne console della città nel 1176. Come già il padre, il quale, eletto il 28 novembre 1282, aveva governato per sei mesi in qualità di capitano San Miniato, e in seguito – sempre come capitano – aveva amministrato Volterra per un anno a partire dal 7 maggio 1285, anche il C., benché fosse titolare di un ben avviato banco con sede a Firenze, non rimase estraneo alla vita pubblica. Creato podestà del castello di Montepulciano dal vescovo Ranieri di Volterra il 5 dic. 1286 (e non 1296, come per errore in M. Vitale, Il quaderno dei ricordi..., p. 10), nel novembre del 1295 fu nominato podestà di Volterra, e rimase in carica per sei mesi. Capitano di Colle di Valdelsa prima del maggio del 1302 secondo un’annotazione apposta dal C. nel suo “quaderno dei ricordi” (ma nel 1303 secondo altre fonti), ricoperse nuovamente quell’ufficio nel 1309.
Nel 1307, mentre era in corso l’assedio posto dagli eserciti fiorentini al castello di Monte Calvo, occupato dagli allora esuli Cavalcanti, il C. intervenne, insieme ad altri trentatré componenti della sua famiglia, alla pace con i della Tosa, imposta ai capi delle due famiglie dalle autorità comunali per porre termine alla guerra esplosa tra le due potenti consorterie in seguito alla tragica morte di Bianco Cavalcanti ucciso da un della Tosa. Grazie a questo accordo il C. e gli altri esponenti della sua famiglia poterono rientrare in Firenze. Non sembra che il C. sia stato coinvolto nel provvedimento di bando che, dopo la violenta fine di Pazzino de’ Pazzi, ucciso per vendetta da Paffiera Cavalcanti, colpì nuovamente nel 1312 i Cavalcanti; in ogni caso nel 1316 era già rientrato in Firenze, perché in quell’anno sottoscrisse, insieme con sei dei suoi figli, l’atto di pacificazione tra la sua famiglia e quella dei Pazzi.
È questa l’ultima notizia che di lui possediamo. Il C. morì tra il 1324, anno in cui si interrompe il suo “quaderno di ricordi”, e il 1338, quando egli risulta già morto.
Il C. si sposò almeno due volte; conosciamo il nome della seconda moglie, Ghita del fu Ghigo Sassetti, a cui si unì nel 1323 e che morì vittima della peste nel 1348, come risulta da una annotazione apposta sulla copertina del suo “quaderno di ricordi”. Egli ebbe numerosi figli, ma le fonti non concordano sul loro numero. La genealogia contenuta nelle Carte Dei ricorda Bernardo, Tingo, Cante, Iacopo, Bindo, Attaviano, Bernardino; mentre Francesco di Gaetano di Iacopo Giannelli fa menzione anche di un altro figlio, Clerico, la cui presenza tra i figli del C. sembra venir confermata da un passo della Istoria dell’Ammirato riferentesi alla firma della pace del 1316 con i Pazzi. Tuttavia il termine “Clerico” potrebbe indicare nel testo citato non il nome di un ottavo figlio, ma piuttosto che uno dei figli del C., Cante, dopo il quale quell’appellativo compare, era appunto un “chierico”.
Non possiamo dire se fossero sue figlie o sue sorelle una certa Carella, ricordata nelle Carte Dei come moglie nel 1301 di un Gaddo del fu Tebalduccio, e una Martina più volte citata nel “quaderno dei ricordi”, la quale sposò nel 1320 un nipote di Buoninsegna Agnolini, Geri, e gli portò in dote 370 fiorini. Era sicuramente sua figlia Grigia, il cui nome appare spesso nel “quaderno”: Grigia nel 1324 sposò Iacopo di Tingo de’ Pilistri, portandogli in dote 400 fiorini. Molte delle notizie che si hanno sui figli e su altri familiari del C. sono desunte dalle annotazioni contenute nel “quaderno dei ricordi”, che si rivela dunque una fonte essenziale per la storia della famiglia Cavalcanti nel primo quarto del sec. XIV.
Dal “quaderno dei ricordi” si trae, per esempio, che il figlio del C. Bernardo, morto prima del 1342, aveva sposato Tinga del fu Alamanno de’ Gherardini, probabilmente parente (forse sorella) di Cella de’ Gherardini, che nel 1321 si era maritata con un altro dei figli del C., Bernardino. Bernardo ricevette in dote dal padre la cospicua somma di 750 fiorini, versati a nome suo dalla Compagnia dei Peruzzi.
Il C. ebbe come soci nella sua compagnia bancaria in un primo momento probabilmente i fratelli Gualfredi e Bernardo, e in seguito, dopo la loro morte avvenuta agli inizi del Trecento, Ottaviano Brunelleschi. A giudicare dalle annotazioni riportate nel “quaderno dei ricordi” tuttavia, i suoi soci dovettero avere nella compagnia una parte di secondo piano. Dell’attività finanziaria svolta dal C. ci è rimasta memoria in un piccolo codice pergamenaceo (cm 16 per cm 24) di 48 carte, conservato presso l’Arch. di Stato di Firenze (Carte Strozziane, s. 2, n. 1), il “quaderno dei ricordi”, appunto, indicato negli indici, come Libro di creditori e debitori per ragioni di banco di F. C., ma che reca sulla parte anteriore della copertina la seguente nota di possesso scritta da una mano del sec. XIV: “Libro che fu di messer Filippo Cavalcanti, che cci rimase per lla mortalità del quarantotto, quando monna Ghita che fu sua donna morì, e Bernardino suo figliuolo in quel tempo. Vuolsi guardare”. In esso sono registrati i prestiti ricevuti o fatti, e i conseguenti saldi di dette ragioni. Nove mani, oltre a quella del C., si alternano nella stesura delle registrazioni: si riconoscono quelle di Lapo Ardinghelli, di Bartolo di messer Maffeo Tedaldi, di Soldanieri Ardinghelli, di Adimario Buonaccorsi.
Basterebbe la semplice citazione di questi nomi per avere un’idea dell’ampiezza del giro di affari di questo banco; tuttavia nel Libro tra i clienti del C. figurano anche alcune delle maggiori compagnie commerciali fiorentine del tempo, come quelle dei Mozzi, dei Peruzzi, dei Macci, degli Ardinghelli, dei Cocchi, dei Pazzi, degli Scali, dei dell’Antella, di Gianni Buiamonti de’ Bonciani, di Andrea Guidi. Numerosi sono i prestiti, talvolta per somme anche ingenti, fatti ad amici; mentre di minore entità appaiono quelli accesi ai suoi “lavoratori” del Galluzzo e di Scripa. Questi ultimi sono gli unici che, pur avendo ricevuto in prestito denaro in contante, effettuino la restituzione delle somme ricevute pagandone il corrispondente in natura (fave, orzo, spelda, olio).
Nel suo Libro il C. è solito annotare anche le più piccole spese sostenute: come nel 1297, quando annota che, col denaro restituitogli da Betto Brunelleschi, ha acquistato seta, panno, vesti per sé e per il fratello Gualfredi, un appezzamento di terreno a Picchena, non solo, ma segna anche le somme pagate per le medicine e le cure prestate dai medici al fratello. È, questa, una delle poche notizie che si abbiano su Gualfredi, il quale risulta già morto nel 1302: prima di tale data, l’ultima annotazione che lo riguardi contenuta nel Libro risale all’ottobre del 1301, quando il C. segna di aver prestato a nome di lui la somma di 10 fiorini a un certo Salvi da Quaracchie. Gualfredi doveva essere un assiduo giocatore, se il C., evidentemente desideroso di tutelare l’onorabilità della sua famiglia, appunta di avergli proibito di giocare a dadi almeno in città: in caso contrario, il fratello, invece di 10 fiorini, avrebbe dovuto restituirgliene 25.
Nel 1301 annota la vendita a Corsino Ansidei di un podere sito in Arcetri che egli possedeva in comune con un messer Ormanno non altrimenti noto, vendita che frutta la considerevole somma di 820 fiorini; nel 1302 acquista un terreno in Brozzi per 48 fiorini e 38 soldi, mentre nel 1304 usa 100 fiorini, consegnatigli dai Mozzi, per acquistare un podere a Castelvecchio. Nel 1313 esige la restituzione della somma riscossa a suo nome, per gli affitti dei suoi poderi di Montughi e Verzaia, dalla compagnia dei Macci, perché si era sparsa la voce che quella compagnia si trovava “in male istato”. Nel maggio del 1315, dopo aver venduto un suo appezzamento di terreno a San Donnino, compra a Terenzano, per un totale di 575 libbre, un podere e alcuni pezzi di terra con vigne e case, e un altro appezzamento di terreno con vigna e bosco della superficie di 10 staiori sito in Poggibonsi, per la somma di 32 libbre e 10 soldi.
Talora le annotazioni del Libro possono venir chiarite da notizie fornite da altre fonti. Di uno dei figli del C., Attaviano, sappiamo che fu ambasciatore a Bologna nel 1335 e che sposò Maruccia del fu Giovanni Strozzi, dalla quale ebbe tre figli maschi: Bindo, Rinaldo e Gherardino. Nella sua Cronica il Compagni riferisce che nel 1312, dopo l’uccisione di Pazzino de’ Pazzi, un Attaviano Cavalcanti fu costretto ad abbandonare Firenze: i Donati e i Pazzi, infatti, appresa la notizia del delitto, erano accorsi armati in Mercato Nuovo, dove si trovavano le case dei Cavalcanti, e ne avevano incendiate tre. Attaviano, riuscito a stento a sfuggire alle ire dei suoi nemici, si era rifugiato in un ospizio, riuscendo in seguito a riparare entro le mura di Siena. Il cronista, narrando l’accaduto, non precisa il nome del padre di Attaviano; sembra tuttavia molto probabile che il protagonista dell’episodio sia proprio il figlio del C., perché questi annota nel suo libro di conti, senza meglio specificare, che nel 1313 aveva dovuto provvedere a restaurare le case della famiglia, che dovevano verosimilmente essere le stesse danneggiate dall’incendio appiccato dai Pazzi e dai Donati.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Firenze, Carte Strozziane, s. 2, LXXVI, pp. 494-496; Ibid., Carte Dei, sub voce Cavalcanti; Ibid., Istoria della famiglia Cavalcanti scritta da S. Ammirato l’anno 1586 (ms. sec. XVI); Firenze, Bibl. naz., Poligrafo Gargani, sub v. Cavalcanti; A. Gherardi, Le Consulte della Repubbl. fiorentina dall’anno MCCLXXX al MCCXCVIII, Firenze 1898, II, p. 504; La Cronica di Dino Compagni delle cose occorrenti ne’ tempi suoi, in Rer. Ital. Script., 2 ed., IX, 2, a cura di I. Del Lungo, pp. 263-269; R. Davidsohn, Forschungen zur Gesch. von Florenz, Berlin 1908, IV, pp. 564 s.; Nuovi testi fiorentini del Dugento, a cura di A. Castellani, Firenze 1952, II, pp. 578-592; M. Vitale, Il quaderno di ricordi di messer F. C., in Studi di filol. ital., XXIX (1971), pp. 5-115; E. Gamurrini, Istoria geneal. delle famiglie nobili toscane et umbre, Firenze 1673, III, p. 77; E. Repetti, Dizion. geografico, fisico, stor. della Toscana, Firenze 1833-1846, IV, p. 684, col. II; D. Tiribilli-Giuliani, Sommario storico delle famiglie celebri toscane, Firenze 1855-31, sub voce Cavalcanti.