CASONI, Filippo
Discendente da antica e nobile famiglia, pronipote del cardinal Lorenzo, nacque a Sarzana (La Spezia) il 6 marzo 1733 da Lorenzo e da Maddalena Promontorio.
Ricevuta la prima tonsura clericale il 3 maggio 1751, il C. compì gli studi al collegio Nazareno, a Roma, sotto la guida dello zio monsignor Nicola Casoni. Conseguì poi la laurea in utroque iure, presso l'Archiginnasio della Sapienza, il 2 genn. 1767. Fu cameriere segreto di Clemente XIII dal 1766 al 1769, quindi referendario delle due Segnature, e protonotario apostolico non partecipante dal 1772 al 1785. Dopo aver ricoperto la carica di governatore di Narni (1768-1770) e di Loreto (1771-1784), fu inviato come vicelegato ad Avignone, ufficio che ricoprì dal 1785 al 1790, quando gli avvenimenti rivoluzionari determinarono il passaggio della legazione alla Francia.
La rivoluzione del 1789 si inseriva ad Avignone in un terreno già preparato ad accoglierla. La borghesia cittadina guardava con nostalgia all'uffinia occupazione effettuata da Luigi XV (1768-1774) che aveva significato per essa la soppressione delle dogane, la possibilità di rivolgere il suo. commercio alla Francia e l'accesso alle cariche politiche e amministrative della città. Il popolo, dal canto suo, era molto sensibile agli avvenimenti francesi poiché il duro inverno del 1788 aveva causato la distruzione dei raccolti e la disoccupazione degli operai della seta, provocando agitazioni e sommosse.In questa situazione, il C. tentò di ricorrere agli abituali provvedimenti: distribuzione gratuita di grano ai più -poveri, sottoscrizioni volontarie, imposizione di un calmiere sul prezzo del grano. Queste misure non valsero però ad attenuare le tensioni sociali: le agitazioni perdurarono, e i consoli della città dovettero distribuire armi alla borghesia. Dopo il 14 luglio, si formò nella legazione una guardia nazionale che il C., scavalcato dagli avvenimenti, fu costretto ad accettare come un fatto compiuto.
Dopo la formazione della guardia nazionale si vennero moltiplicando le manifestazioni per una nuova municipalità che accogliesse le conquiste della Rivoluzione. Il 2 febbr. 1790 una folla di 4.000-5.000 persone assalì le prigioni e liberò l'avvocato Peyre, uno dei capi della rivolta mentre gli esigui contingenti delle guardie pontificie fraternizzavano con la popolazione.
Vani furono i tentativi del C. di guagnare tempo per riprendere il controllo della situazione. Il 22 febbraio, le corporazioni marciarono unite sul municipio e lo invasero. Il C. fu costretto ad avallare l'istituzione di una municipalità provvisoria, che convocava un'Assemblea generale la quale deliberò di adottare la costituzione francese ed elesse un sindaco e una giunta in base alle leggi rivoluzionarie di Francia. Il C. si rifiutò di approvare questa elezione, ma una nuova manifestazione (23 aprile) lo forzò ad approvarla definitivamente. A Carpentras, intanto, nel Contado Venassino, si producevano avvenimenti analoghi che culminarono con la convocazione degli Stati generali. Da questo momento il vicelegato perse completamente il controllo della situazione e la sua autorità ad Avignone si ridusse ad un fantasma.
La reazione della S. Sede fu quanto mai energica e suonò condanna alla acquiescenza dimostrata dal vicelegato di fronte al dilagare della rivolta.. Il 21 apr. 1790 Pio VI emanò un breve in cui non solo si sconfessavano le concessioni estorte al C. sotto la pressione degli avvenimenti, ma venivano dichiarate nulle tutte le decisioni che quest'ultimo avesse preso in futuro senza ottenere in precedenza un'esplicita approvazione dalla S. Sede. Pio VI, inoltre, limitava i poteri concessi al vicelegato affiancandogli un commissario apostolico, Giovanni Celestini, inviato ad Avignone con il compito di trattare con i ribelli e di giungere ad un accordo (il Celestini, peraltro, non riceveva nemmeno il permesso di entrare in Avignone e la sua missione si riduceva ad un nulla di fatto).
Quale fosse la posizione della S. Sede sulla vicenda e quanto le decisioni espresse nel breve del 21 aprile suonassero sconfessione ai cedimenti effettuati dal C. di fronte agli avvenimenti rivoluzionari emerge con la massima chiarezza dalla corrispondenza intercorsa in quegli anni tra il vicelegato e la segreteria di Stato.
La posizione della S. Sede era quella di evitare un ricorso alla forza, ma di non cedere sui principî. Il segretario di Stato Zelada scriveva a più riprese al C., negli anni '89-90, mettendolo in guardia contro la tentazione di attuare tentativi di restaurazione in alleanza coi partito realista, giudicati pericolosi e controproducenti, e invitandolo a rispondere alle misure prese dai rivoluzionari con la "inazione"; ma raccomandandogli allo stesso tempo con insistenza di rifiutarsi nel modo più assoluto di avallare le decisioni dei rivoluzionari con l'autorità della S. Sede, e criticandolo a più riprese per la debolezza dimostrata di fronte alle loro richieste.
Nel giugno si assisteva ad un tentativo di restaurazione effettuato dal partito aristocratico, sconfitto dai contadini armati e dalla parte rivoluzionaria della guardia nazionale; il C., sospettato di essere l'istigatore del complotto (è difflefle stabilire quale ruolo il vicelegato vi avesse realmente svolto; egli comunque non vi prese alcuna parte attiva), venne cacciato da Avignone e si rifugiò a Carpentras. Espulso anche da lì, si ritirava a Bouchet, poi a Montelimart, ed infine a Chambéry.
Il C. rientrò a Roma nel 1791, dove continuò a godere, in modo tutto formale, del titolo di vicelegato di Avignone fino all'inizio del 1794. Il 3 aprile di quello stesso anno ricevette i quattro ordini minori, e il 4 maggio venne consacrato vescovo in partibus con il titolo di arcivescovo di Pirigi; il 27 maggio veniva nominato nunzio apostolico a Madrid, carica che conservò fino a tutto l'anno 1800.
L'attività diplomatica che il C. svolse in Spagna, in un momento drammatico come quello della deportazione di Pio VI e della Repubblica romana, presso una corte non apertamente ostile alla Francia, fu delicata. Il C., le cui credenziali non erano state accettate immediatamente a Madrid, impegnò tutte le sue energie nella ricerca di un qualche appoggio da parte della corte spagnola che alleviasse la difficile situazione del pontefice e della S. Sede, affrontando nel contempo le difficoltà provocate dalla politica regalista del sovrano Carlo IV, che determinarono momenti di tensione assai acuta tra la corte di Madrid e la Curia romana.
Nel giugno del 1798, durante l'esilio di Pio VI in Toscana, mentre circolavano insistenti ed allarmate le voci secondo cui il Direttorio intendeva confinare il pontefice in Sardegna, in Portogallo, o addirittura a Malta o in Brasile, il C. riuscì ad ottenere che il governo spagnolo intercedesse a favore dei papa, richiedendo al governo francese che gli fosse consentito di restare in Italia, o, almeno, che gli fosse permesso di trasferirsi in Spagna, dove sarebbe stato accolto con tutti gli onori, e con tutti gli "aiuti, e riguardi" necessari. Nella stessa circostanza, il C. ottenne che dalla Spagna giungessero al pontefice in esilio aiuti finanziari, ed impegnò il governo di Madrid a intercedere presso Napoleone perché alla S. Sede venissero restituiti i suoi territori, compresi Avignone e il Contado Venassino; la sua azione, però, non giunse mai a ottenere un aiuto più concreto o una presa di posizione realrnente recisa in favore del ripristino dei domini temporali del Papato.
Nel settembre 1799 un decreto di Carlo IV stabiliva una serie di limitazioni al potere dei Tribunale rotale in Spagna, attribuendo ai vescovi, in base all'antica disciplina della Chiesa, il diritto di concedere le dispense relative ai matrimoni, alle secolarizzazioni e agli indulti d'oratorio. Il C., avendo inoltrato un'immediata ed energica protesta, corse il rischio dell'espulsione (solo l'intervento del Godoy riuscì ad evitargliela) e fu obbligato in seguito a ripiegare su una linea di maggiore prudenza e moderazione.
Restaurato lo Stato della Chiesa, Pio VII, il 23 febbr. 1801, lo creò cardinale (il 26 marzo 1804 il C. ottenne il titolo di S. Maria degli Angeli alle Terme) conferendogli gli incarichi di prefetto della Sacra Consulta e della Congregazione Lauretana. di membro delle Congregazioni del S. Ufficio, Vescovi e Regolari, Propaganda, Indulgenze, Sacre Reliquie e Cerimoniale, e di protettore e visitatore apostolico della chiesa e casa degli orfani di S. Maria in Aquiro è del monastero dei SS. Quattro Coronati. Il 17 giugno 1806 il C. fu nominato segretario di Stato sostituendo il Consalvi. costretto alle dimissioni.
La rinuncia che il pontefice aveva dovuto richiedere al Consalvi, ormai inviso ai Francesi, era un atto di sottomissione nei confronti di Napoleone, e come tale fu sentito da tutti i contemporanei. Pio VII intendeva dimostrare pubblicamente di non essere un "fantoccino" nelle mani del Consalvi stesso, e di essere disposto a rinunciare a qualunque forma di resistenza, rimettendosi alla mercé dei suo potente avversario e sperando nella sua clemenza. Il C. faceva parte della rosa dei cardinali che il cardinale Fesch aveva indicato come non avversi alla Francia, e nel confronti dei quali il governo napoleonico non poneva alcuna preclusione; la scelta del pontefice cadde su di lui per i suoi precedenti di vicelegato ad Avignone e di nunzio presso un governo amico della Francia; ma erano soprattutto il suo carattere duttile e l'abilità diplomatica che il C. aveva più volte dimostrato, e in definitiva i limiti stessi della sua statura politica a fame un elemento in grado di incarnare una linea di acquiescenza che sembrava la sola adatta a salvare lo Stato della Chiesa dalle minacce che si addensavano su di esso.
Ma la scelta del C., emblematica in se, non valse a parare la tempesta; appena eletto, il segretario di Stato dovette inoltrare una protesta indirizzata a tutte le corti d'Europa per l'occupazione francese di Benevento e Pontecorvo; le trattative che si svolgevano a Parigi, tramite il cardinale Bayane, giunte orinai ad un punto morto, vennero interrotte bruscamente da Napoleone. Il 2 febbr. 1808 le truppe francesi occupavano Roma, e ad esse il C., a nome del pontefice, non poteva opporre che una vana protesta. Del resto, vecchio e malato, il C. abbandonò molto presto il suo ufficio, e nello stesso mese di febbraio 1808 venne sostituito dal cardinale Giuseppe Doria.
Con le dimissioni dalla carica di segretario di Stato il C. si ritirò dalla vita pubblica. Nel 1810, quando tutti i cardinali vennero deportati a Parigi, egli fu il solo, per le sue precarie condizioni di salute, a rimanere a Roma, dove morì il 9 ott. 1811.
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