CASONI, Filippo
Nacque a Genova nel 1662 (venne battezzato nella chiesa metropolitana di quella città il 13 aprile), figlio primogenito di Giovan Michele e Maria Giacinta Cheri di Giacomo.
La famiglia Casoni era originaria di Sarzana, dove dal sec. XIV era ascritta al primo ordine dei cittadini ed aveva parte al governo del Comune. Il bisnonno del C., Leonardo, medico di fama, si trasferì a Genova nel 1581; suo figlio Filippo, nonno del C., divenne celebre avvocato e, per molti anni, mantenne incarichi di consultore nella Giunta di governo della Repubblica senza ricevere onorario: ma, in segno di riconoscenza, e in considerazione del suo notevole patrimonio che assommava, in soli immobili, a 52-533 lire, gli venne concessa l'iscrizione al libro d'oro della nobiltà il 31 genn. 1635, senza però che tale privilegio venisse esteso al figlio Giovan Michele, perché già nato al momento dell'iscrizione. Questi, come il padre, divenne grande giureconsulto e fu eletto due volte rettore dei dottori di Collegio; autore di scritture piene di dottrina e di acume, si applicò con entusiasmo anche alla poesia e alla storia.
Il C. trovò perciò nella sua stessa famiglia quell'ambiente e quell'indirizzo di cultura che ne avrebbero determinato le scelte: entrato a far parte dei dottori di Collegio, si appassionò fin dall'adolescenza agli studi storici e, non ancora trentenne, dava alle stampe, nel 1691, per i tipi di Antonio Casamara, la sua prima opera: La vita del Marchese Ambrogio Spinola, l'espugnator delle piazze. L'argomento fu scelto per un debito di riconoscenza nei confronti di tutta la famiglia Spinola, che aveva sempre protetto i Casoni, e l'opera fu dedicata in particolare al duca di San Pietro, Francesco Maria Spinola, in cui enfaticamente il C. proclama rinate le virtù dell'avo. La monografia ottenne consensi e lodi che spinsero il C. a proseguire la ricerca storica; e, avendo osservato che mancava a Genova un'opera annalistica riguardante il sec. XVII, decise di dedicarsi ad essa. E già, documentatosi su scrittori genovesi, italiani e anche stranieri, insoddisfatto, andava raccogliendo materiale inedito, unendolo a quello già raccolto dal padre e, sopra tutto, dal nonno, che era in possesso delle copie di molti atti governativi, quando il suo comportamento, giovanilmente scapestrato, doveva procurare a lui il carcere e alla sua famiglia disonore e grosse spese.
Il C. amoreggiava con una ricca patrizia genovese, Apollonia Acquarone, ma poiché apparteneva a famiglia non nobile era ostacolato dal padre di lei. Allora i due giovani, durante la villeggiatura del 1691, approfittando delle frequenti occasioni di incontro offerte dalla vicinanza delle loro ville di campagna, si accordarono per la fuga. Organizzato un assalto armato alla bussola nella quale era'Apollonia, che aveva simulato il desiderio di recarsi al santuario del Belvedere, la mattina del 7 sett. 1691 il C., con quattro soldati corsi e due bravacci della Valpolcevera, rapì la ragazza e la condusse nella sua casa di Coronata. Gli Acquarone reagirono facendo ricorso alle autorità di governo, che provvidero all'immediato arresto del C., il quale venne rinchiuso nelle prigioni della Torre. Il fatto ebbe una risonanza enorme in città: l'importanza delle famiglie implicate, la notorietà del C., ma soprattutto la circostanza che questi, colto, ricco, ma non nobile, avesse osato rapire una fanciulla di famiglia nobilissima, spinse i Serenissimi Collegi, che avevano avocato a sé il giudizio, a emettere una condanna esemplare.
Il C., il 4 marzo 1692, venne condannato a venti anni di carcere nella Torre, con la espressa condizione che nessuna grazia potesse essergli concessa se non dagli stessi Collegi, e in seconda istanza dal Minor Consiglio, con i 4/5 dei voti favorevoli. La stessa famiglia Casoni fu dichiarata complice del rapimento e il padre del C. fu assegnato agli arresti domiciliari, ottenendo solo qualche mese dopo, dietro pagamento di una cauzione di 2.000 lire, di poter uscire entro le mura della città. La severità della sentenza, nonostante le attenuanti del consenso alla fuga di Apollonia e dell'ampio perdono accordato dalla parte offesa fin dal novembre 1691, fu dovuta sì al provato uso delle armi, ma sopra tutto all'atteggiamento di grande sdegno assunto da uno dei due deputati al processo, Giambattista de Marini.
Nella solitudine del carcere il C., che aveva ottenuto di tenere con sé i suoi manoscritti e pochi libri, riuscì a dare compimento alla prima parte degli Annali della storia di Genova, comprendenti gli avvenimenti che andavano dal 1507 al 1598. Il manoscritto era presentato ai Collegi il 7 dic. 1692 dal padre stesso del C., che allegava la richiesta di grazia per il figlio. La richiesta venne respinta, mentre al manoscritto, sottoposto all'esame del magistrato degli inquisitori di Stato, veniva negata l'autorizzazione alla stampa, con la motivazione che l'opera era troppo "indipendente e veridica". Mentre il C. si ammalava di tubercolosi e si vedeva, ciononostante, rifiutato anche il cambio di prigione dalla Torre al palazzetto, morivano due dei suoi dodici fratelli: uno di essi, l'abate Anton Francesco, era stato autore di un poemetto storico composto per le nozze di Giovan Andrea Doria Carretto e Livia Grillo, intitolato La Reggia di Nettuno. Ilpadre del C., disperato, rinnovò la richiesta di grazia nel 1694 e poiché, nel febbraio, le condizioni di salute del C. si erano ulteriormente aggravate, chiese e ottenne il procedimento sommario. Ma solo il 3 ag. 1695 il Minor Consiglio accordò la grazia, previa donazione da parte dei padre del C. della considerevole somma di 1.000 scudi d'argento alla Eccellentissima Camera: il C. veniva scarcerato il successivo 8 agosto.
Tornato in famiglia e recuperata gradatamente la salute, ritornò anche, con il primitivo entusiasmo, ai suoi studi storici e all'attività di giureconsulto. Intanto, poiché per incarico degli, inquisitori di Stato, Giovan Battista Calissano e Giovan Andrea Spinola, aveva terminato prima della fine del 1696 di apportare le correzioni ritenute politicamente necessarie al testo della prima parte dei suoi Annali, il C., nel successivo gennaio 1697, rinnovò la richiesta di stampa: ma gli inquisitori non lo degnarono neppure di una risposta e tennero il volume gelosamente custodito nella cancelleria. Alla fine dell'aprile 1697 il C. fu di nuovo arrestato: questa volta per aver tentato un matrimonio clandestino, dinanzi al prevosto delle Vigne attirato nella sua casa con un inganno, con una vedova inglese protestante, Anne Marie Stistom. Scarcerato nel maggio, grazie ancora una volta all'intervento del padre che riuscì ad accomodare ogni differenza con l'autorità ecclesiastica, il C. sposò la Stistorp. Poiché la pubblicazione degli Annali era bloccata, il C. si dedicò a una nuova opera, la Storia di Ludovico il Grande, i cuiprimi dieci libri ottenevano in un primo momento l'imprimatur degli inquisitori e venivano pubblicati nel 1701; ma nel 1704 il magistrato negava la stampa alla seconda parte dell'opera, in cui troppo scoperto era un senso di insofferenza verso gli Spagnoli e di simpatia verso la Francia. Dopo questo nuovo rifiuto, e l'ingiunzione di vendere come carta straccia le copie della prima parte già pubblicate, il C. decise di far stampare a Milano questa opera, che uscì nel 1706, in due volumi, dalla tipografia di Marco Antonio Pandolfo Malatesta; il terzo e ultimo volume, che narrava gli avvenimenti dal 1704 fino alla morte di Luigi XIV, sarebbe uscito, sempre a Milano, nel 1721. Tuttavia, negli anni tra il 1705 e il 1708, mentre, come dimostrano numerose scritture legali, esercitava con onore anche la professione di giureconsulto, alla cui pratica era ormai obbligato dall'assottigliarsi delpatrimonio familiare, e mentre lo colpivano lutti domestici (gli muoiono la madre e, subito dopo, il padre e la moglie), non volendo desistere dal proposito di veder pubblicati i suoi Annali, egli giunse a proporre a più riprese al governo di lasciargli stampare Popera, con le correzioni apportate dagli inquisitori, a sue spese. promettendone in breve la continuazione. Finalmente, dopo lungo tergiversare il magistrato concesse l'imprimatur e la prima parte degli Annali uscì a stampa a Genova nel 1708.
Sebbene questo permesso fosse stato concesso perché il C. offrisse la versione di parte genovese di avvenimenti storici controversi, come la guerra del 1672 contro Carlo Emanuele di Savoia o come la congiura di Raffaele Della Torre, molti nobili elevarono proteste contro le "imprudenze gravissime" contenute nel libro e si giunse persino ad accusare il deputato per la revisione di aver ceduto agli uffici e alle adulazioni del C. e dei suoi amici..Ma da quell'anno 1707 fino al 1721 il C., ottenuta l'autorizzazione di accedere a preziosi documenti conservati negli archivi della Repubblica, condusse a termine, oltre agli Annali di tutto il XVII sec., anche una monografia sulla peste degli anni 1656-57. Quest'ultima, che venne poi stampata solo nel 1831, a cura di Pasquale Antonio Sbertoli, coi titolo I successi del contagio della Liguria negli anni 1656 e 1657, cui l'editore prepose brevissimi cenni biografici dei C., venne composta nel 1720, allorché, scoppiata l'epidemia a Marsiglia, si profilava il pericolo che essa potesse estendersi nuovamente nel Genovesato. Il C. dimostra in questa opera non solo documentazione storica e sensibilità sociale, ma anche modernità di conoscenze scientifiche: e, richiamandosi all'opinione riproposta nel 1714dal Muratori sulla origine della peste, respinge drasticamente ipotesi di magie e "malizie" umane, disserta sulle diversità e disponibilità dei climi e reca esempi di provvedimenti di disinfezione. Nel gennaio del 1721 il C., stralciata buona parte del libro VIII dalla seconda parte degli Annali, là dove egli narrava ampiamente del bombardamento francese del 1684 su Genova, ne offriva la dedica al Senato e chiedeva l'autorizzazione alla pubblicazione. Ma il magistrato degli inquisitori e gli stessi Collegi, sensibili agli allarmismi di numerosi "biglietti di calice" (specie di lettere anonime istituzionalizzate) che affermavano la pericolosità di certi passi dell'opera del C. e sconsigliavano di permetterne la stampa all'autore, giudicato "bell'ingegno ma con poca prudenza", ripresero a tergiversare e rimandarono la decisione a quando tutta la seconda parte fosse stata conclusa. Ricevuta tale comunicazione, il C. specificò di aver consegnato alla cancelleria degli inquisitori due grossi volumi manoscritti in folio, che contenevano appunto gli avvenimenti di tutto il sec. XVII, e altri due volumi manoscritti uno con i già citati Successi della peste e l'altro con la storia della guerra del 1684-85. Aggiunse anche la domanda di iscrizione al libro d'oro della nobiltà, già ottenuta dal nonno.
Mentre il 10 giugno 1721 il diritto alla stampa fu ancora una volta negato, il successivo 30 giugno il C. venne ascritto tra i nobili; e un anno dopo, il 1° apr. 1722, ottenne l'ascrizione anche per il piccolissimo figlio Giovanni Michele Tommaso, che gli era nato il 30 luglio 1719 dalla seconda moglie, Maria Caterina De Rioci figlia di Tommaso, nobile di Albenga, sposata l'11 sett. 1710. Poco più di un anno dopo, il 3 giugno 1723. una malattia poneva fine alla vita del C. senza che egli potesse vedere pubblicata l'opera cui tanto teneva.
Dopo la morte del C., il manoscritto della seconda parte degli Annali rimase qualche tempo dimenticato presso il magistrato degli inquisitori, finché venne nelle mani del poeta Giambenedetto Gritta, arcade, vicecustode della Colonia ligustica ed amico intimo di molti uomini di governo, da cui ottenne di poter rivedere il lavoro del Cagoni. Modificatone in molti punti il contenuto e lo stile, egli lo trasmise ai Collegi nel 1730, preceduto da una dedica al doge Francesco Maria Balbi e ai senatori. Ma neppure questa volta l'opera fu pubblicata per la sopraggiunta morte del Gritta; solo nel 1799 gli Annali del C. con la storia di Genova dal 1528 al 1700videro la stampa coi tipi del Casamara, esemplando l'editore la prima parte sulla impressione del 1708 e la seconda sopra l'inedito manoscritto ritoccato dal Gritta. Attualmente, tra i manoscritti della Biblioteca Berio di Genova, si conserva quello che è probabilmente l'originale degli Annali (m.r. VIII, 2, 12 e 13), scritto da tre mani diverse, con correzioni, postille e aggiunte marginali: il codice, già proprietà di Ambrogio Laberio, era stato rinvenuto proprio presso l'ex magistrato degli inquisitori di Stato in due volumi, il primo comprendente i libri dal I a IV, il secondo dal V all'VIII. Altri due manoscritti (m.r. IV., 3, 15 e m.r. VIII, 2, 2) comprendono gli Annali riformati dal Gritta, e un terzo (m.r. IV, 3, 23)i Successi tra la Francia e Genova, 1684-1685. Anche il figlio del C., Giovanni Michele, s'applicò alle discipline giuridiche e storiche e di lui, sempre nella Biblioteca Berio, si conserva un'opera manoscritta datata 1771 e intitolata Note sopra vari passi storici in confutazione di due opere uscite alla luce negli anni 1768 e 1769 con i titoli "Memorie riguardanti le superiorità imperiali sopra la città di Genova e di S. Remo come sopra tutta la Liguria".
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Genova, ms. 478, cc. 66, 182; Nobilitatis 2848/15 B, doc. 74; 2849/116, doc. 2; Genova, Civ. Bibl. Berio, m. r.X.2,167: L. Della Cella, Famiglie di Genova, p. 615; M. D'Ayala, Bibliografia militare ital. Torino 1854, pp. 259, 400;G. B. Spotorno, Storia letteraria della Liguria, V, Genova 1858, pp. 38 s.; A. Neri, La vita e gli scritti di F. C., in Giornale ligustico, IV (1877), pp. 32-76; L. A. Cervetto, Famiglie genovesi, in Il Cittadino, 1896, nn. 57, 59, 60, 64, 68; V. Vitale, Breviario della storia di Genova, I, Genova 1955, p. 283; Biografia universale antica e moderna, Venezia 1823, p. 250.