CARDUCCI, Filippo
Figlio di Andrea, che era gonfaloniere di Giustizia nel 1464, e di Costanza Rinuccini, nacque a Firenze nel 1449. La sua prima formazione culturale avvenne in seno all'Accademia Platonica, con la quale entrò in contatto ancora giovane. In particolare doveva influire sul C. l'amicizia contratta con Marsilio Ficino, con cui sarebbe rimasto in contatto per lungo tempo.
Di impronta neoplatonica ci resta un sermone del C., composto nel 1485, e pronunciato davanti agli amici dell'Accademia il 30 aprile dello stesso anno (Firenze, Bibl. Riccardiana, Manoscritti, 2204, cc.215v-218r: "A penitenza ne' magi adi 30 d'aprile 1485").
Al di là del carattere contingente del breve componimento, scritto per elogiare le virtù della penitenza, appaiono con chiarezza alcuni elementi facilmente riconducibili a quel complesso di influenze neoplatoniche che doveva improntare il periodo della vita del C. antecedente alle più note, mature, esperienze politiche. L'anima dell'uomo, scrive il C., una volta entrata "nel carcere corporale", diventa "inferma", perde la sua divina salute, in equilibrio com'è fra il mondo, simbolo di peccato, e Dio. Solo la penitenza ("medicina dell'anima"), unita con la preghiera e l'elemosina, permette all'uomo di elevarsi spiritualmente. E solo Dio può renderlo capace di superare "la infermità dell'anima": "la penitenza non mai pura l'anima sana se non si adopera in essa la virtù divina" (ibid., c. 216r).
I rapporti del C. con l'Accademia Platonica e col Ficino dovevano continuare anche negli anni successivi, come testimoniano le lettere inviate nel 1492 dal filosofo al C., lodato come "Academiae studiosissimus cultor" e come "litteris et moribus ornatissimus" (Ficino, p. 935). Il C. avrebbe dovuto preparare gli amici a ricevere il commento ficiniano alle opere di Plotino.
Il primo accesso del C. alla vita politica era avvenuto già nel 1484 quando era stato eletto fra gli Otto di guardia e di balia. Negli anni successivi lo troviamo ancora presente nelle maggiori cariche pubbliche: priore nel maggio-giugno 1485, ancora degli Otto nel 1491, nuovamente priore nel novembre-dicembre 1493. La cacciata dei Medici nel 1494 e l'instaurazione della Repubblica democratica escludono per qualche anno il C. dall'attività politica attiva e dalle cariche più influenti. Già però nel 1497, per il bimestre settembre-ottobre, lo troviamo nuovamente fra i Priori. Personalmente legato all'ambiente degli Arrabbiati, si fa espressione, negli anni di fine secolo, di quella tendenza, ostile sì al rientro dei Medici, ma volta politicamente ad una riduzione del peso dell'ala savonaroliana e democratica, a favore di un accentramento del potere nelle mani delle famiglie più agiate. Testimonianza di questa posizione è l'attività svolta dal C. nei primi anni del sec. XVI col fine di rendere più solida la Repubblica nei rapporti verso l'esterno (tentativo di riottenere l'obbedienza di Pistoia) e di rafforzarne all'interno la costituzione con la creazione di un governo più accentrato e più ristretto.
A Pistoia, agitata dalle lotte delle due fazioni dei Panciatichi e dei Cancellieri, il C. veniva inviato nel febbraio del 1501 con il compito di trovare un accordo fra i due partiti avversi. La missione non otteneva un esito felice. Soltanto grazie all'invio, nell'aprile, di truppe fiorentine sotto la guida di Niccolò Antinori si riusciva momentaneamente a sedare i contrasti. Con l'ingresso del Valentino in Toscana, nel maggio, il conflitto pistoiese prendeva nuovo vigore tanto che, alla partenza del C., nel luglio, Pistoia rimaneva "più tosto in maggiore che in minore confusione di prima" (Machiavelli, Ragguaglio, p. 26). Proprio in un momento così drammatico per Firenze, già impegnata nell'assedio di Pisa e nel tentativo di sanare le contese in Pistoia, e dopo l'improvviso ingresso del Valentino in Toscana, il C. veniva eletto alla maggiore carica politica: quella di gonfaloniere di Giustizia per il bimestre luglio-agosto 1501.
Le difficoltà del momento facilitavano il compito di chi, come il C., desiderava imprimere al governo fiorentino un indirizzo in senso più decisamente oligarchico. Il 13 luglio, nella sala vecchia del Consiglio, alla presenza degli Ottanta, dei maggiori magistrati e di numerosi cittadini, prendeva la parola durante l'assemblea insistendo sul difficile momento politico che attraversava la Repubblica: "la città trovasi in più cose tanto disordinata e in tale confusione, che se presto presto non si rimedia si vede in breve dovere seguire la ruina della città" (Arch. di Stato di Firenze, Consulte e pratiche, 66, c.336). L'esame del C. proseguiva insistendo sulla paralisi delle principali magistrature. Della Signoria, in primo luogo, "constretta da uno tempo in qua far contro alla legge et ordine della città, mettendo le mani in ogni cosa et insino nelle cause civili" (ibid.).Del Consiglio Maggiore, di formazione democratica, "il quale non si raguna in numero sufficiente et per questo non possono fare li offici et le altre provisioni che sarebbero approposito del pubblico" (ibid.).Concludeva infine insistendo sull'esigenza di nuove tassazioni per sanare le esauste finanze della città. Con l'intervento del C. si apriva la battaglia per la riforma costituzionale che avrebbe condotto all'istituzione del gonfalonierato a vita.
Dopo la scadenza della carica di gonfaloniere, alla fine dell'agosto, il C. veniva inviato nuovamente a Pistoia insieme ad Antonio Giacomini. Ben lungi dall'esser capaci di ricomporre le discordie fra i due partiti, i due finivano col rendere ancora più critica la situazione della città. Per l'impiccagione di Martino di Domenico Niccolai e di alcuni contadini, sospetti di aver trattato con Piero de' Medici, i due commissari acutizzavano il risentimento dei Pistoiesi contro Firenze. La Repubblica richiamava quindi, nel dicembre, il C. e il Giacomini col fine di ridurre l'opposizione di Pistoia. L'anno seguente (1502)il C. veniva eletto fra i Dieci di libertà e pace e quindi commissario in Romagna. Per tutto il successivo periodo della Repubblica rimaneva escluso dalla vita politica. Probabilmente più che nell'insuccesso della missione di Pistoia la causa di questo allontanamento dall'attività pubblica deve esser ricercata, come per molti altri aristocratici, nel volontario rifiuto di partecipare a una gestione della cosa pubblica ormai scivolata nelle mani di elementi più popolari. Tanto è vero che col successivo rientro dei Medici nel 1512anche il C., come altri ottimati passati dall'opposizione alla Repubblica popolare al desiderio di una restaurazione che tenesse conto dei loro privilegi, ritornerà nuovamente alla vita politica con l'elezione, nel 1513, alla Balia e al Consiglio dei settanta. Morì a Firenze intorno al 1520.
Lasciava sette figli (Bernardo, Andrea, Iacopo, Francesco, Niccolò, Agnolo e Costanza), avuti nei due matrimoni contratti con Tita di Luca di Buonaccorso Pitti (1485) e con Maria di Piero di Francesco Alamanni (1499).
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Firenze, Consulte e pratiche, 66, cc.335v, 336v, 342v, 343r; Ibid., Signori, Responsive, 9, cc. 51, 52; 20, c. 220; Firenze, Bibl. Riccardiana, Manoscritti, 2024, cc. 254-257; 1859, cc.16v-17r; Ibid., Bibl. naz., Poligr. Gargani, 497; Manoscritti Passerini, 8, s.v.;M. Ficino, Op. omnia, Basileae 1576, I, pp. 862 s., 935, 943, 948 s.;F. Nerli, Comment. de' fatti civili occorsi dentro la città di Firenze dall'anno MCCXV al MDXXXVII, Augusta 1728, pp. 117, 127; N. Machiavelli, Ragguaglio delle cose fatto dalla Repubblica fiorentina per quietare le parti di Pistoia, in Arte della guerra…, a cura di S. Bertelli, Milano 1961, pp. 25-27, 541; Id., Legazioni e commissarie, a cura di S. Bertelli, Milano 1964, I, p. 282; III, pp. 1685 s.;S. Ammirato, Delle famiglie nobili fiorentine, Firenze 1615, p. 200; M. Salvi, Historie di Pistoia, III, Pistoia 1657, pp. 38, 43; A. M. Bandini, Specimen literaturae Florentinae saeculi XV, Florentiae 1747, pp. 75, 162; A. della Torre, Storia dell'Acc. Plat. di Firenze, Firenze 1902, pp. 29, 725, 802; L. Martines, Lawyers and Statecraft in Renaissance Florence, Princeton, N.J. 1968, pp. 140, 166; S. Bertelli, Petrus Soderinus patriae parens, in Bibliothèque d'Humanisme et Renaissance, XXXI(1969), pp. 94 s., 111.