CANUTI, Filippo
Patriota, nato a Bologna il 2 aprile 1802, morto a Forlì il 21 agosto 1866. Laureatosi in giurisprudenza nell'università della sua città natale (1822), esercitò l'avvocatura, fino a quando, per aver partecipato alla rivoluzione dell'Italia Centrale (1831) in qualità di prefetto di Ascoli, fu costretto, fallito quel tentativo, a prender la via dell'esilio, dapprima a Corfù e a Malta, quindi a Marsiglia e a Parigi, dove rimase fino al 1848. Colà si schierò in quel gruppo di esuli che, rifuggendo da tentativi insurrezionali, intravvedevano l'indipendenza italiana da riforme di principi e da quello che fu chiamato il progresso pacifico: contrarî quindi all'azione mazziniana e al partito d'azione. Durante i moti dell'Italia Centrale del settembre 1845, il C., che era stato interpellato sull'opportunità di pubblicare il noto proclama di Rimini, pubblicò a Parigi un breve opuscolo sulla Questione Italiana, nel quale volle dimostrare all'Europa quanto fosse necessario che lo stato pontificio procedesse a riforme amministrative e giudiziarie a favore delle popolazioni a esso soggette. Nel marzo del 1848 egli andò a Torino insieme con Alessandro Bixio, che il governo provvisorio della Repubblica francese aveva destinato come suo rappresentante in Piemonte, quindi si recò a Cremona, ove ebbe un colloquio con Carlo Alberto. Il 1° giugno 1848 fu nominato commissario straordinario dell'esercito pontificio nel Veneto, in sostituzione di Carlo Pepoli, ma l'opera sua non fu troppo proficua, anche perché in quella campagna di guerra, per più rispetti sfortunata, la gestione amministrativa, spesso in contrasto col comando militare, era nel massimo disordine. Dopo la resa di Vicenza, il C., insieme con le truppe pontificie, ripassò il Po, giunse a Bologna (20 giugno) e infine a Roma, dove il Mamiani, ministro degli Esteri, gli affidò una missione diplomatica a Parigi e a Londra (6 dicembre). Tornò in Italia dopo che il governo della Repubblica romana lo esonerò da questo incarico, ma il restaurato governo pontificio lo costrinse di nuovo all'esilio, avendolo escluso dall'amnistia. Visse alcuni anni in Francia, da dove ebbe relazioni col Cavour. Dal 1861 al 1865 diresse la Gazzetta ufficiale, poi fu nominato segretario di prefettura a Parma e a Forlì.