CALENDARIO (Calandario), Filippo
Documentato per la prima volta a Venezia nel 1340. In quell'occasione, il 2 maggio, apprendiamo che "Philippus Calandarius taiapetra sancti Samuelis", padrone di due "marani" (imbarcazioni leggere utilizzate per il trasporto delle pietre necessarie alla costruzione dei moli lungo i lidi), era risultato inadempiente all'impegno contratto con la magistratura competente e severamente multato, tanto più che anche in passato la puntualità gli aveva fatto difetto: tuttavia, il Consiglio dei quaranta, sensibile alle sue giustificazioni, consentiva una riduzione della penalità. Il 30 nov. 1341 il C., divenuto nel frattempo proprietario di cinque "marani", è di nuovo chiamato a rispondere di inadempienza contrattuale, ma trova ancora comprensione. Il personaggio, sempre nel ruolo di imprenditore marittimo e con la qualifica di "taiapetra" nella contrada di S. Samuele, è poi ricordato il 4 giugno 1343, allorché siamo informati della perdita in tempesta di tre sue imbarcazioni; nel luglio 1344 e nel 1350 per questioni di trasporti. Il 5 marzo 1351 la figlia Cristina, moglie di Marco Trevisan, stipula un rogito di "sicurtà" per il C., e, nel 1352, "magister Philipus Calendarius sancti Samuelis" presenzia, in qualità di testimone, alle ultime volontà di una Cristina, moglie di un Vettore campanaro. Di lì a poco dovette trasferirsi nella contrada di S. Severo, dove, in seguito alla scoperta della cospirazione di Marin Faliero, "Phelipo Chalandario de san Severo" (Marc. ital. Zanetti, 18, c. 91v) vien sorpreso e arrestato nel gennaio 1355. Le sue responsabilità nell'organizzazione della congiura debbono esser state rilevanti: il tentativo sovvertitore fu compiuto "a sugestion de algune vil persone zoè Felippo Calandario taiapiera e de so zenero Bertusi Isarelo mariner e de alguni suo compagni" (Caresini). Ciò non meraviglia - né la notizia che il C. era tra i pochissimi cospiratori al corrente della presenza del doge nel complotto quando si consideri la forte componente "popolare" della drammatica impresa.
Processato il 16 apr. 1355, il C. venne tosto impiccato alle colonne rosse del palazzo "ius reddendum" (per un dibattito sull'ubicazione, vedi Dall'Acqua Giusti, 1880, e Lazzarini, 1894).
Le prime testimonianze intorno a una attività d'architetto del C. risalgono solo all'inizio del Quattrocento e son, però, clamorose. La "cronaca" Marc. ital. Zanetti, 18, assicura (c. 91v) che "questo Felipo Chalandarjo i era fenisimo maistro tajapiera" e che "fa cholluj che hedifichà e fexe el palago nuvo in chollone"; egli sarebbe stato "molto amado e onorado de la Signoria [che]… li portava grande amor per li boni consej che ello li davva in fato de hedifichar palagi e tore e nobellissime ovre". Le notizie son confermate dalle "cronache" del Marc. ital., VII, 788(c. 62: "Phelippo Chalandario taiapiera de san Severo… di miglior maistri che fosse a quel tempo"; "quello che edificò e fece el palazo novo") e Marc. ital., cl.VII, 51 (c. 117v: "fexe el palazo nuovo da la parte de l'aqua verso san Zorzi"). Riprese ed enfatizzate dal Sabellico e dall'Egnazio, le informazioni appaiono calate senza serio controllo nella storiografia ottocentesca, dal Cicognara (che dilata l'ambito operativo del C. all'esercizio della scultura) al Selvatico, dal Cadorin allo Zanotto (sebbene in termini limitativi ed equilibrati): i quali ammettono un ruolo importante del C. nel panorama dell'architettura trecentesca veneziana con particolar riferimento alla fabbrica ducale. Le attente ricognizioni archivistiche del Lorenzi edel Paoletti - peraltro anticipate dal Cadorin - sulla storia del palazzo e del Lazzarini sul C., da cui non è sortita alcuna prova sicura intorno all'esercizio dell'architettura e della scultura da parte del personaggio, han consentito di ridimensionare i termini reali della questione: ed oggi gli studiosi, dopo un tentativo inaccettabile di identificarlo con Filippo de Santi (Thieme-Becker), son riluttanti ad ammetterne la responsabilità nella maggior impresa riferitagli dalle fonti - si ripete: solo a partir dal primo Quattrocento - o son tutt'al più disposti a consentire un ruolo di generica collaborazione.
è noto, infatti, che la ricostruzione di palazzo ducale fu promossa dalla decisione di alzare. sopra la sede dei Signori di notte al criminal, la sede nuova destinata alle riunioni del Maggior Consiglio, presa il 28 dic. 1340 (Lorenzi, doc. 80); e che l'opera era già terminata dalla parte verso il bacino il 30 dic. 1344 (ibid., doc. 91), poco avanti, dunque, la sospensione dei lavori a causa della pestilenza del 1348 (ibid., docc. 94 e 95) cui seguirà la ripresa, a rilento, dal 1350 (ibid., doc. 96). Durante codeste fasi, i documenti registrano, col compito di "prothomagistri palacii" ovvero "nostri Comunis", solo un "Henricus taiapetra" nel 1344, nel 1351 e nel 1356; d'altronde, non è dubbio che l'esecuzione dovette avvenire secondo un articolato programma generale definito forse sin dal 1340. Conviene, per giunta, annotare che un dispositivo del Consiglio dei dieci, datato del 7 dic. 1361, registra il nome di un Pietro Baseggio "olim magistri prothi palatij nostri novi". Di costui, morto pertanto prima del gennaio 1355 (Bassi, 1962), proprio il C. era stato l'esecutore testamentario; e potrebbe trattarsi di un indizio dell'effettiva partecipazione di Filippo alla fabbrica dogale: che però è probabile abbia sovrattutto riguardato il compito della fornitura di pietre al Baseggio sovrintendente al cantiere e forse comproprietario della bottega del Calendario. È stata provata, infatti, una connessione stretta fra il mestiere di tagliapietra e la proprietà dell'imprese del rifornimento dei materiali necessari all'esercizio della professione (Wirobisz): e del C., "paron de marani", conosciamo di sicuro precisamente la preponderanza quasi esclusiva di questo secondo impegno. Non è da escludere, comunque, che, nella preparazione del programma costruttivo del palazzo, la Signoria si sia giovata di importanti suggerimenti del C.: ciò che spiegherebbe, insieme la tolleranza benevola negli affari del 1340 e 1341, le dichiarazioni delle più vecchie fonti quattrocentesche, che alludono a "boni consej", e il silenzio delle carte a proposito di un'effettiva presenza ai lavori.
Quanto a un'attività, quale che possa esser stata, del personaggio fuori da palazzo ducale, neppur è consentito avanzar supposizioni. Merita non più che breve memoria il nome del figlio del C., Nicoletto Fedele, implicato col padre nella congiura di Marin Faliero e, dopo l'arresto avvenuto a Chioggia il giorno stesso del supplizio del C., condannato alla prigione.
Fonti e Bibl.: Venezia, Bibl. naz. Marciana Marc. Ital.VII, 519: N. Trevisan, Cronaca veneta, cc. 108r-109v; Arch. di Stato di Venezia. Miscell. codici, I, Storia ven.142: N. Trevisan, Congiura di Marin Faliero, passim;Venezia, Bibl. naz. Marc., Marc. ital. Zanetti, 18: Cronaca veneta, cc.91r-92r; Ibid., Marc. ital., VII, 322: D. Contarini, Cronaca veneta, cc.85v-88v (ma vedi le redazioni Marc. ital.VII, 95 e nella Nationalbibl. di Vienna, Foscarini, LXX= Vindobonensis 6260); Milano, Bibliot. naz. Braidense, AG X 16: G. Zancheruol, Cronaca veneta, passim;Venezia Bibl. naz. Marciana, Marc. ital.VII, 788: Cronaca veneta, c.62; Ibid., Marc. ital.VII, 51: Cronaca veneta, cc. 117v-118r; Ibid., Marc. ital.VII, 800:M. Sanuto, Cronaca…, cc. 200r-203v; Venezia, Bibl. del Civico Museo Correr, cod. Correr 1167, n. 1918: Congiura di messer Marin Falier, cc.43-58; Ibid., in cod. Correr 1137, n. 1100: Congiura di messer Marin Fallier, cc.135, 149; M. A. [Coccius]Sabellico, Rerum venetarum ab urbe condita, Venetiis 1487, decade II, libro III; G. B. Egnazio, De exemplis illustrium virorum, Venezia 1554, pp. 275, 278; L. De Monaci, Chronicon de rebus Venetis, Venezia 1758, p. 317; L. Cicognara, Storia della scultura dal suo risorg. in Italia, 1, Venezia 1813, pp. 321, 425-428; G. Cadorin, Pareri di 15 archit. intorno al palazzo ducale di Venezia, Venezia 1838, pp. 122-128, 159-161, 191; F. Zanotto, Il palazzo ducale di Venezia, I, Venezia 1842 p. 52; G. Cadorin, Cose patrie, I, in Il Vaglio, VIII (1843), n. 39, pp. 505-506; P. Selvatico, Sulla architettura e la scultura in Venezia, Venezia 1847, pp. 106 ss.; G. B. Lorenzi, Monum. per servire alla storia del palazzo ducale di Venezia, II, Venezia 1869, p. 102; R. Caresini, La cronaca… tradotta in volgare veneziano nel sec. XIV, Venezia 1876, p. 5; A. Dall'Acqua Giusti, La loggia del doge Ziani, Venezia 1880, passim;P. Paoletti, L'architettura e la scultura del Rinascimento a Venezia, I, Venezia 1893, p. 10; A. Dall'Acqua Giusti, F. C., in Nuovo Arch. veneto, n.s., IV (1894), pp. 247 s.;V. Lazzarini, F. C., ibid., pp. 429-446; H. Thode, Neue archivalische Forschungen über Venezianische Kunst, in Repertorium für Kunstwissenschaft, XVIII (1895), pp. 191-182; C. v.F., ibid., pp. 437 s.(rec. a Lazzarini, 1894); G.Mariacher, Ilpalazzo ducale di Venezia, Milano 1950, p. 10; P. Toesca, IlTrecento, Torino 1951, p. 150 n. 130; E. Bassi, Appunti per la storia di palazzo ducale, in Critica d'arte, IX (1962), n. 51, pp. 37-38; n. 52, 41-42; V. Lazzarini, Marino Faliero, Firenze 1963, pp. 159 s. (pp. 299-314; è ripubblicato il saggio sul C. del 1894); E. Arslan, Qualche appunto su palazzo ducale a Venezia, in Bollettino d'arte, L (1965), p. 60; A. Wirobisz, L'attività edilizia a Venezia nel XIV e XV secolo, in Studi veneziani, VII (1965), pp. 332, 338, 342; U. Thieme-F. Becker, Allgemeines Lexikon der bildenden Künstler, V, p. 388; Enciclopedia Italiana, VIII, p.407.