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BUCCELLA, Filippo

di Domenico Caccamo - Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 14 (1972)
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BUCCELLA, Filippo

Domenico Caccamo

Nipote di Niccolò, che era chirurgo alla corte di Stefano Báthory, raggiunse lo zio a Cracovia quando questi, consolidata la propria posizione economica, cominciò a chiamare presso di sé molti suoi familiari. In Polonia, dove la sua presenza è attestata negli anni 1583-1599, si occupò certamente dell'amministrazione dei beni dello zio, nel cui testamento è citato quale uno degli eredi principali. Nelle due lettere di Fausto Sozzini in cui viene nominato, il B. è descritto come un uomo in giovane età - nel 1586 -, di notevole cultura, legato all'ambiente degli antitrinitari italiani e polacchi, seguace di Francesco Pucci. Ma, al contrario del Pucci, egli non aveva mai rotto apertamente con la Chiesa romana. Anche S. Simoni riconosce la cultura del B.: secondo la sua testimonianza, Niccolò, trovandosi a mal partito nella polemica ingaggiata dopo la morte del re Stefano, sarebbe ricorso all'aiuto del nipote, che era fornito d'una migliore cultura umanistica.

Sappiamo che il B. negava l'esistenza del peccato. Faceva distinzione fra diversi generi, o gradi, di bene morale: "bona delectabilia, utilia et honesta", intendendo per onesto, in senso tutto mondano, "quod ad decus et honorem pertinet". Sviluppava un concetto relativo e soggettivo del bene: "unusquisque appetit illud, quod ipsi sit bonum". Distingueva tra "bonum apparens" e bene autentico, ma escludeva ogni dualismo tra essi: faceva infatti del vero bene l'oggetto della ragione, che deriva dai sensi ma li supera, mentre al falso bene l'uomo è deviato dai sensi, che possono errare. Riduceva quindi il peccato all'errore: affermava con Platone che "omnem mali electionem ab ignoratione proficisci", ignoranza che è priva di colpa e quindi di peccato.

La sua antropologia era decisamente ottimistica: l'uomo non agisce mai per malizia, bensì mosso sempre da un suo concetto del bene; "nemo sponte est malus", "peccata hominum a falsa opinione proficiscuntur", "malitia magnae signum, est imperitiae". È vero che possono venire a conflitto opposte "appetitiones": succede infatti che la ragione respinga ciò che il senso suggerisce. Ma, una volta composto il dissidio tra senso e ragione, la volontà opera secondo quest'ultima: "voluntas... subiecto a ratione non distinguitur". Le fonti che il B. citava a sostegno delle sue tesi erano tutte classiche: Platone, Aristotele, Galeno.

Fausto Sozzini, attraverso la cui confutazione abbiamo notizia del pensiero del B., contrapponeva al suo monismo un dualismo altrettanto sistematico, distinguendo tra una "ratio inferior", che coincide "subiecto" con la volontà, e una "ratio superior", che è propria solo dell'uomo e lo indirizza al bene assoluto. Sosteneva poi il primato della volontà, che sceglie liberamente tra beni relativi e bene assoluto, e può essere corrotta dal senso. Inviava al B. uno scritto "de causa et fundamento in ipso homine fidei in Deum", che aveva composto in polemica con un comune amico italiano, certamente il Pucci.

Fonti e Bibl.: Fausti Socini Senensis Opera Omnia, Amstelodami 1656, I, pp. 368-372 (28 dic. 1583) e 378-379 (8 genn. 1586); S. Simoni, Responsum ad refutationem scripti de sanitate... D. Stefani Polonorum regis,quae sub nomine Nicolai Buccellae... anno 1588 emissa est, s. l. né d., ff. B 3, C, F; J. Ptaśnik, Z dziejów kultury włoskiego Krakowa (Per la storia cultur. della Cracovia ital.), in Rocznik Krakowski, IX (1907), p. 142; W.Budka, Nowe szczegóły do biografji Fausta Socyna (Nuovi partic. per la vita di Fausto Sozzini), in Reformacia w Polsce, III (1924), p. 295; E. M. Wilbur, A History of Unitarianism, I, Cambridge, Mass. 1947, p. 401 n. 17 (confonde Filippo B. con Niccolò Buccella); L. Chmaj, Faust Socyn (1539-1603), Warszawa 1963, pp. 227-230; D. Caccamo, Eretici italiani in Moravia,Polonia,Transilvania (1558-1611). Studi e doc., Firenze 1970, pp. 95-98.

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