BON, Filippo
Nacque a Venezia tra la fine del '400 e gli inizi del '500 da Alvise della casata di Ottaviano Bon. La sua famiglia era tradizionalmente legata alla Curia romana, e a ciò forse fu dovuto il suo ingresso nella vita religiosa ed il trasferimento, al tempo di papa Clemente VII, presso la Curia. Nel 1527, durante il sacco di Roma, fu catturato dai lanzichenecchi e tenuto come ostaggio. Liberato, dietro pagamento di una taglia di trecento ducati, fuggì da Roma assieme all'ambasciatore veneziano e riparò a Venezia. Nel 1532 divenne tesoriere della diocesi di Famagosta e l'anno seguente fu fatto nobile di Creta e cameriere segreto del papa. Succeduto a Clemente VII Paolo III, fu al servizio del nuovo papa come segretario in Curia. Fu molto vicino alla persona del pontefice, della cui volontà fu docile strumento. Nell'ottobre del 1543 fu nominato vescovo di Famagosta, diocesi suffraganea di Nicosia. Non risiedette però, come spesso allora avveniva, nella sua diocesi, ma l'amministrò da lontano.
Il periodo più importante della sua vita fu senza dubbio quello caratterizzato dalla sua partecipazione al concilio tridentino, partecipazione dovuta più a motivi tattici che a ragioni connesse con problemi teologici o dottrinali. Infatti il B., legatissimo alla Curia e alla persona stessa del pontefice, si recò a Trento (vi giunse il 23 nov. 1546) assieme ad altri prelati, col compito specifico e segreto di appoggiare la proposta di trasferire il concilio in altra sede. Il trasferimento era voluto dal papa e da una parte dei padri conciliari per sottrarre l'assemblea all'influenza imperiale. Si opponevano invece, per le ragioni opposte, al cambiamento di sede Carlo V e i padri a lui fedeli. Scopo della missione del B. era appunto quello di sostenere la causa del trasferimento, guadagnando ad essa il maggior numero di prelati; tutto ciò però doveva svolgersi in modo che la decisione uscisse da un voto dell'assemblea e non apparisse come il risultato di un atto di volontà del pontefice. Paolo III infatti voleva sottrarre il concilio all'influenza imperiale e contemporaneamente non inimicarsi Carlo V. Il B. manovrò, assieme ad altri e d'accordo con la corrente curialista in seno al concilio, in modo da ottenere nel marzo 1547, per voto dell'assemblea, il trasferimento del concilio a Bologna.
Durante il soggiorno trentino il B. partecipò alla discussione su alcune questioni riguardanti i sacramenti del battesimo e della cresima (febbraio 1547), alla formulazione del testo del decreto sulla giustificazione (dicembre 1546-gennaio 1547) e del secondo decreto super reformationem (marzo 1547).
In quello stesso periodo si ebbero in concilio accese e lunghe discussioni sul grosso problema dell'obbligo della residenza per i vescovi. La questione rivestiva particolare importanza ai fini della moralizzazione del costume ecclesiastico. In seno al concilio erano tendenze estremiste che volevano sancire l'obbligo della residenza con le relative pene per gli inadempienti e tendenze moderate che; valutando le difficoltà connesse con la residenza, almeno in certe sedi, erano contrarie all'obbligo e alle pene. Il B., che, come del resto molti altri titolari, non risiedeva, si schierò con i moderati, opponendosi all'obbligo e alle pene. I motivi personali ebbero certamente un grande peso nel determinare nel B. questa posizione. Infatti egli considerava la nomina a Famagosta come un incarico provvisorio ed aspirava ad una diocesi più comoda, possibilmente vicina a Venezia. Proprio nel 1547 si era resa vacante la diocesi di Ceneda ed il B. si era raccomandato ai legati, perché appoggiassero la sua candidatura. La cosa però non aveva avuto seguito. Ma i motivi personali non furono i soli a spingere il B. in questa direzione circa il problema della residenza. La Curia e lo stesso pontefice non erano alieni da un atteggiamento conciliante, in quanto, almeno in certe sedi, la residenza era resa difficile o addirittura impossibile a causa delle numerose inframettenze delle autorità civili, degli ordini religiosi, delle immunità, dei privilegi e in genere della notevole indipendenza che per antichi diritti godeva nei riguardi del vescovo il clero locale. La conclusione era che in molti casi il vescovo preferiva non risiedere, accontentandosi del riconoscimento formale e dei tributi. La posizione assunta dal B. va considerata soprattutto da questo punto di vista e cioè come una scelta che, se pur discutibile, era la conseguenza di una situazione complessa, in cui buona parte dell'episcopato italiano si trovava coinvolta e, d'altra parte, come l'espressione di un atteggiamento cui non era estranea la Curia e lo stesso pontefice.
Nell'aprile del 1547 il B. si recò a Bologna, nuova sede del concilio, dove partecipò alle discussioni sul sacramento dell'eucaristia. Nel giugno dello stesso anno ripartì per Roma, dove riprese il suo servizio in Curia. Nel 1551 figura come abate commendatario del monastero di S. Michele a Pola. Morì nello stesso anno a Roma.
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