AGRESTI, Filippo
Patriota, nato a Napoli il 24 marzo 1797 da Gesualdo e da Teresa della Calcia. Appartenne all'esercito napoletano come ufficiale di fanteria, e in tale qualità partecipò alle campagne del 1814 e '15. Entrato nella Carboneria, prese parte ai moti del '20 e del '21, si trovò al combattimento di Rieti. Dopo la restaurazione fu sottoposto alla Giunta di scrutinio ed esonerato dal servizio attivo. Nel 1830, insieme con altri patrioti, organizzò un tentativo rivoluzionario, che ebbe un principio di esecuzione soltanto nell'estate del 1832. La sera del 21 agosto di quell'anno, l'A., insieme col capitano Domenico Morici, si recò presso i Porcaro di Ariano con l'intento di muovere insieme verso l'Adriatico, dove era atteso l'arrivo dei Francesi da Ancona; contemporaneamente, Angelo Peluso tentava di fare insorgere i contadini presso Nola. Ma il movimento fallì, e l'A. si sottrasse alla cattura, che sarebbe stata inevitabile, fuggendo in barca a Marsiglia. Visse a lungo in Francia, tra Marsiglia, Tolosa e Lione, dove sposò Alina Perret: fu pure in Inghilterra e a Malta. Durante l'esilio, s'iscrisse alla massoneria. Nel 1848 tornò a Napoli e fece parte della Guardia Nazionale. Allorché nel giugno di quell'anno fu istituita la sètta dell'"Unità italiana", l'A. vi aderì subito e presiedette al circolo generale di Napoli. Uniformandosi alle prescrizioni dello statuto che regolava l'associazione, egli tentò di guadagnare alcuni militari alla causa della rivoluzione, ma, tradito, fu arrestato il 17 marzo 1849. Per tale tentativo, e come capo della sètta, l'A. fu condannato a morte "sulla forca col terzo grado di pubblico esempio" ma ebbe grazia della vita e commutazione di pena nell'ergastolo. Condotto a Santo Stefano, vi rimase sino al 17 gennaio 1859, quando venne imbarcato insieme con gli altri prigionieri politici per essere deportato in America. Approdò invece in Irlanda. In quell'occasione fu in disaccordo con la maggior parte dei compagni, i quali non accettarono le dimostrazioni preparate in loro onore dal Mazzini, mentre l'A. e qualche altro erano disposti a impegnarsi con l'agitatore repubblicano. Tornato a Napoli, fece parte del Comitato d'azione, Garibaldi lo nominò direttore generale dei dazî indiretti, ma egli rinunziò all'ufficio, e si contentò di esercitare le funzioni di vice-sindaco di una delle sezioni municipali napoletane. Il 7 luglio 1862 chiuse la vita, nobilmente trascorsa per l'affetto alla libertà tra continue cospirazioni, nel carcere e nell'esilio.
Bibl.: G. Paladino, Il processo per la setta l'"Unità Italiana" e la reazione borbonica dopo il '48, Firenze 1928; id., La congiura del "monaco", (in Archivio stor. nap., nuova serie, XIV).