LIPPI, Filippino
Pittore, figlio di Filippo Lippi e di Lucrezia Buti, nato probabilmente a Prato verso il 1457, morto a Firenze il 18 aprile 1504. Seguì a Spoleto il padre (1467-69), e dopo la sua morte venne a Firenze, prima sotto Fra Diamante, poi col Botticelli (docum. del 1472). Da Filippo e dal Botticelli ebbe le impressioni più forti, come dimostrano opere (Storie di Ester, a Chantilly, alla fondazione Horne di Firenze, e alla galleria Liechtenstein di Vienna; le Leggende di Lucrezia, a Pitti, e di Virginia, al Louvre; i Tre Arcangeli, a Torino, ecc.), date una volta dal Berenson all'"Amico di Sandro", oggi da lui stesso rivendicate alla gioventù di Filippino. Del quale hanno infatti le delicate qualità cromatiche e le predilezioni per un aggraziato linearismo; adatte, le une e le altre, a esprimere un contenuto prevalentemente fantastico, già più vibrante in lui e quasi morboso rispetto a Fra Filippo e al Botticelli, dai quali lo deriva; e che nelle ultime opere diverrà come esasperato.
Invece dapprima la salda pittura di Masaccio (gli affreschi del quale nella cappella Brancacci fu incaricato di finire verso il 1484-1485) pare avergli dato ampiezza maggiore e ispirate ricerche chiaroscurali; sebbene il contenuto delle sue ideazioni nel Carmine (cfr. anche l'abuso dei ritratti) sia assai contingente rispetto alle finalità masaccesche, rigorose e universali. Completò, di Masaccio, il S. Pietro che risana un fanciullo; ed eseguì il San Pietro giudicato, la sua Incarcerazione, Liberazione, e Morte. Al periodo giovanile di F.L. appartengono varie altre opere, fra cui un'Annunciazione nel Museo di Napoli; una bella Madonna adorante, agli Uffizî; Quattro Santi, in S. Michele a Lucca; un finissimo tondo, alla Corsini di Firenze, ecc. Notevole, di questo suo momento, la Madonna in trono con quattro Santi, eseguita nel 1486 (stile fior., 1485) per la Signoria di Firenze, ora agli Uffizî; nella quale più che un influsso immediato di Leonardo (Cavalcaselle, Valentiner), tornano ricordi del Botticelli, che F.L. complica però, col suo spirito irrequieto di fine decoratore, già impressionato dai Fiamminghi. Il cromatismo è più trasparente qui che nella grande Apparizione della Vergine a S. Bernardo, nella Badia fiorentina (dal 1480 al 1487-88), una delle cose più belle del maestro e anche fra le più importanti rispetto alle influenze di lui sul Cinquecento; spunti nuovi sono indicati infatti dalle figure principali, ancora piene di contenuta grazia quattrocentesca, ma già poste in primissimo piano, aggruppate liberamente, e aventi movenze e plasticità complesse, colori e riverberi di sostanza diversa da quella degl'ispiratori primi di lui. Appare già l'eco della pittura nordica, e specialmente del trittico Portinari di Ugo van der Goes (circa 1475). Da notarsi, come sempre, il senso fantastico del paesaggio. Circa di questo tempo è la delicata pala per Tanai de' Nerli in S. Spirito a Firenze, con ricordi di Fra Filippo e di Sandro Botticelli. Un viaggio a Roma porta influssi nuovi nell'arte del L. Là, dal 1488 al 1493 (?), eseguì per il cardinale Caraffa un ciclo di affreschi alla Minerva, con storie di Maria e di S. Tommaso; nei quali dapprima si nota ancora (Annunciazione) la sua delicata fragilità, ma poi interviene un fare nuovo e più grandioso, e una complicazione compositiva e di movimento, a masse molteplici, che impressionarono certo gli artisti della generazione successiva. Questo è stato notato specialmente per l'Assunzione dove forse gli angeli hanno qualche lontano ricordo di quelli di Melozzo in Ss. Apostoli, ma le figure in basso, serrate in gruppi compatti eppure mossi, sono gia cinquecentesche. A Roma sappiamo che F. L. trasse molti disegni da edifici antichi. Nel 1491 concorse per la facciata del duomo di Firenze. Nel 1492 dipinse un S. Francesco, ora alla Galleria nazionale di Londra. Nel 1495 cominciò una Pietà per la Certosa di Pavia, mai eseguita (restano disegni). È di quel tempo una Crocifissione (a Berlino), a cui sarebbero connessi (Scharf) due Santi, all'Accademia di Firenze. Nel 1496 firmò e datò una Adorazione dei Magi per S. Donato a Scopeto, ora agli Uffizî. Qui agl'influssi varî surricordati si unisce anche quello di Leonardo, soprattutto nella molteplicità di aggruppamenti e di atti. Varie figure, con illuminazione alta su visi saldi e fortemente caratterizzati, anticipano Piero di Cosimo. Il L. procede ormai verso il complicato, il movimentato, il ridondante, con nervosità sempre maggiore (cfr. Incontro alla Porta Aurea, 1497, Copenaghen). Rappresenta invece in questo tempo un ritorno all'antico il gentilissimo tabernacolo del Canto a Mercatale, a Prato (1498), dove tutto è misura e sensibilità nelle sottili figure. Pressoché contemporanei a quest'opera sono due tondi con Gabriele e Maria, a San Gimignano, commessigli nel 1483, certo tuttavia eseguiti più tardi; e un affresco, quasi perduto, nella villa di Poggio a Caiano.
Intanto fin dal 1487 aveva avuto commissione da Filippo Strozzi di ornargli la cappella gentilizia in S. Maria Novella; ma, cominciato tardi il lavoro, gli affreschi - con Storie dei Ss. Filippo e Giovanni, figure allegoriche e Patriarchi - erano finiti solo nel 1503. Si è detto a proposito di queste pitture che F. L. è un artista "barocco". Certo egli esorbita qui completamente da quello che era stato il gusto corrente del sec. XV; ma sembra anticipare piuttosto alcuni aspetti intellettualistici del manierismo cinquecentesco. Raffinatissimo coloritore, sa tuttavia ancora giocare con tinte per lo più trasparenti e pallide sopra un disegno di squisita eleganza. L'influenza di Leonardo, qui tanto presente, si manifesta in altre opere, come nello Sposalizio di S. Caterina in S. Domenico a Bologna (1501); in una pala del Museo di Prato (1502); nel S. Sebastiano di Palazzo Bianco a Genova (1503); e in quadri come una Madonna fra due Santi a Londra, o un S. Gerolamo all'Accademia di Firenze (non certo del 1480), ecc. Ultima sua pittura, interrotta dalla morte, fu la Deposizione per l'Annunziata, oggi agli Uffizî, commessagli nel 1503, data a finire al Perugino nel 1505.
Numerose altre opere, di minore importanza, testimoniano lo stile del maestro; il quale all'eredità lippesco-botticelliana aggiunge ricerche di colori, di luci, di complicazioni di piani e linee, derivate al suo temperamento emotivo e tormentato dalla visione dell'arte fiamminga e tedesca, e da Leonardo. Pur non essendo dei massimi creatori, il L. rivela nelle sue opere una sensibilità complessa e sottile, e ha intuiti e realizzazioni che gli dànno importanza formativa notevole su molti pittori del Cinquecento.
V. tavv. XLV-XLVII.
Bibl.: I. B. Supino, Les deux Lippi, Firenze 1904; B. Berenson, The study and criticism of It. art., Londra 1908, p. 46 segg., e Londra 1910, p. 90 segg.; A. Venturi, St. d. arte ital., VII, 1, Milano 1911, p. 642 segg. Per una più ampia bibliografia, vedi anche Gronau, in Thieme-Becker, Künstler-Lexikon, XXIII, Lipsia 1929. Inoltre: F. Antall, Breu und F., in Zeitschr. f. bild. Kunst, LXII (1928-1929), p. 29 segg.; W. R. Valentiner, Leonardo as Verr. coworker, in The Art Bull., XII (1930); R. van Marle, The development of the Italian schools of painting, XII, L'Aia 1931, p. 291 segg.; A. Scharf, F. L. und P. di Cosimo, in Art in America, XIX (1931), p. 59 segg.; P. Halm, Das unvollendete Fresko des F. L. in Poggio a Caiano, in Mitt. d. Kunsthist. Inst. in Florenz, III (1931), p. 393 segg.; A. Scharf, Studien zu einigen Spätwerken des F. L., in Jahrb. d. preuss. Kunsts., LII (1931), p. 201 segg.; id., Zum Laokoon des F. L., in Mitteilungen cit., III (1932), p. 530 segg.; B. Berenson, Italian Pictures of the Renaissance, Oxford 1932, p. 284 segg.; H. Bodmer, Der Spätstil des F. L., in Pantheon, IX (1932), p. 126 segg., e X, p. 353 segg.; L. Venturi, Contributi a F. L., in L'Arte, XXXV (1932), p. 418 seg.; J. Walker, A note on C. Robetta and F. L., in Bull. of the Fogg Art Museum, marzo 1933, p. 33 segg.; C. Gamba, F. L. e l'Amico di Sandro, in Miscellanea di St. d. A. in onore di I. B. Supino, Firenze 1932, p. 460 segg.; A. Scharf, Die frühen Gemälde des Raffaellino del Garbo, in Jahrb. d. preuss. Kunsts., LIV (1933), pp. 151-56; id., Tondi von F. L., in Pantheon, 1933, pp. 329-335.