FILATTERÎ o filatterie (gr. ϕυλακτήρια "amuleti")
Secondo Esodo, XIII, 9 e 16; Deuteronomio, VI, 8-9 e XI, 18 le parole divine devono essere per il fedele segni sulla mano e ricordi appesi fra gli occhi; saranno scritte sulla soglia e la porta della casa. Dall'interpretazione letterale di questi passi derivò tra i Giudei in epoca non bene precisata (cfr. però Cantico, VIII, 6; e, secondo gl'interpreti giudei, Proverbî, III, 3 e VI, 21) l'uso di recare i cosiddetti filatterî (cfr. Gius. Fl., Ant., IV, viii, 13; Giustino, Dial. c. Tryph., 46), cioè pezzi di pergamena, recanti passi della legge (Esodo, XIII, 1-10 e 11-16; Deuter., IV, 4-9 e XI, 13-21), chiusi in capsule di cuoio che mediante corregge venivano legate rispettivamente al braccio sinistro e al capo, quest'ultima in modo che la capsula venisse a trovarsi in mezzo agli occhi. Sono questi i tephillīn del Talmūd, a differenza dalle mezuzüth, collocate sulle porte: recanti parole della Bibbia, erano ritenuti sacri al pari di questa. Il nome greco indica chiaramente che si tratta in sostanza di amuleti (v.); i farisei li portavano di misure maggiori del consueto. V. anche bibbia, VI, p. 910.