fiele (fele; felle)
Nel significato di " bile " è attestato, in conformità di una larga tradizione poetica (Guittone Altra fiata aggio 141 " è tal, come se fele / rendesse ama de mele "), come termine di paragone per l'espressione di un'amarezza fisica o morale, in Fiore XVI 2 lo Schifo... / che solev'esser più amar che fele, e CCV 12 (Iacopone Audite una 'ntenzone 5 " d'uno figlio c'avea, / impio e crudele, più amaro che fele "; cfr. inoltre Cino da Pistoia Ben dico certo 13). Ha un singolare ufficio predicativo in Fiore XI 14 con umiltà tosto l'avra' maturo [lo Schifo] / già tanto non par fel né san pietanza, dove il rapporto di paragone si risolve in quello metaforico, come è confermato dal già citato XVI 2.
In certo modo simile è il caso di Pg XX 89 veggio rinovellar l'aceto e 'l fiele, dove si ha un'accezione in cui rimane integro il valore semantico originario, con il riferimento storico alla passione di Cristo (Matt. 27, 34), ma se ne sviluppa altresì il valore simbolico di " amarezza " nel significare i maltrattamenti nuovamente inflitti a Cristo nella persona del suo vicario Bonifacio VIII.
Ancora nel senso figurato di " cosa amara ", ma con un preciso indirizzo morale, in quanto si riferisce al travaglio di redenzione del pellegrino D., è attestato in If XVI 61 Lascio lo fele e vo per dolci pomi, dove D., nel rispondere agl'interrogativi dei tre Fiorentini (vv. 31-33), sintetizza, con le immagini del f. e dei dolci pomi, linea e natura del suo cammino attraverso l'Inferno.
Significa " veleno " o " pericolo ", in Pd IV 27 pria / tratterò quella [questione] che più ha di felle (in rima con stelle e velle): la dottrina platonica, intesa alla lettera, contraddice il dogma dell'anima creata da Dio e da lui infusa nel corpo, perciò è " quella che puote tenere vizio, e tiene di resìa " (Ottimo).