FIBRE TESSILI
(XV, p. 209; App. I, p. 588; II, I, p. 932; III, I, p. 608; IV, I, p. 783)
Fibre chimiche. - In questi ultimi anni le f. chimiche hanno conosciuto periodi di diversa fortuna: alcune sono diminuite d'importanza, mentre altre hanno subito incrementi di produzione anche rilevanti; alcune hanno trovato nuovi campi d'applicazione al di fuori di quello tessile grazie alle notevoli caratteristiche meccaniche, di resistenza al calore e agli agenti chimici, al favorevole rapporto prestazioni/peso, ecc.
Sono state studiate nuove f., specie per applicazioni non tessili, come polibenziimidazolo (PBI), poliimide, polifenilensolfuro, ecc.; si tratta di f. dalle caratteristiche elevate destinate a impieghi speciali, alcune già in produzione, modesta (dell'ordine del centinaio di t/anno e anche meno), altre ancora nella fase di ricerca.
Il consumo mondiale di f. chimiche (cellulosiche e sintetiche) dal 1975 al 1988 è passato da 10,6 a 18,6 milioni di t/anno. Un aspetto importante, accentuatosi continuamente in questi ultimi anni, è rappresentato dalla presenza di nuovi paesi produttori di f., specie nel campo di quelle di massa, a minore contenuto tecnologico. Così Cina, Corea del Sud, Taiwan raggiungono ora, insieme, produzioni superiori ai 2 milioni di t/anno di sole f. sintetiche, mostrando ritmi di crescita elevatissimi (in 8 anni hanno quasi triplicato la produzione, come mostrano i dati in tab. 1). La produzione di questi paesi è in larga parte esportata, anche in paesi tipicamente produttori come quelli europei, che sono stati costretti ad applicare forti dazi protettivi e a ricorrere anche all'embargo di alcuni tipi di f., non solo da questi paesi asiatici, ma anche da Messico, Romania, Turchia, Iugoslavia, ecc.
La produzione dei paesi maggiori produttori (USA, Giappone, Europa occidentale), che nel 1979 rappresentava il 64% del totale, è scesa costantemente in questi anni arrivando nel 1987 a meno del 48%; all'incirca le stesse percentuali si riscontrano se ci si riferisce alle sole f. sintetiche: dal 68% si passa al 50% circa. Spostamenti importanti nelle aree di produzione si sono verificati anche per le f. cellulosiche: dal 1977 al 1987 la loro produzione mondiale si è accresciuta appena dell'1%, passando da 3,21 a 3,34 milioni di t/anno; però mentre nel 1977 i paesi diversi da USA, Giappone, Europa occidentale fornivano meno del 50% di questa produzione, nel 1988 tale percentuale è salita quasi al 60%. Oltre agli spostamenti nelle aree geografiche di produzione, in questo ultimo decennio sensibili sono state anche le variazioni nella produzione delle singole classi di f., come si può rilevare dai dati della tab. 3.
Tecniche di filatura. − I sistemi di produzione delle f. t. sono stati contrassegnati in questi ultimi anni da un aumento di disponibilità delle materie prime filabili, da un'elevata velocità delle operazioni di preparazione dei singoli filati, dalla filatura ai trattamenti di finitura, condotti in impianti per lo più a marcia continua. Per le f. sintetiche la filatura può essere fatta per estrusione attraverso filiera del polimero fuso o di sue soluzioni; in questo secondo caso si distinguono l'operazione ''a secco'' e ''a umido'', a seconda se il filamento uscente dalla filiera viene consolidato passando attraverso una camera percorsa da aria che asporta il solvente oppure la filiera si trova immersa in un liquido a contatto del quale la soluzione si coagula, dando un filato che attraversa diversi bagni di finitura, mentre il solvente viene ricuperato dalla soluzione di coagulo.
La filatura allo stato fuso è possibile quando il polimero fonde senza decomporsi o alterarsi (ossidazione a contatto dell'aria); in questi casi il procedimento è preferibile per la maggiore semplicità, per le elevate velocità di filatura conseguibili e quindi per le elevate produttività degli impianti. Questo tipo di filatura si presta anche a essere unito direttamente alla produzione del polimero (si parla in questo caso di filatura diretta). Ai sistemi a bassa velocità (meno di 30 m/secondo) che danno f. non orientate, prevalentemente abbandonati, si sono sostituiti quelli con velocità di 35÷70 m/sec. con f. parzialmente orientate e ancor più quelli con velocità di 75÷100 m/sec con fili completamente stirati. Lo stiramento viene operato avvolgendo il filo su rocchetti con velocità di rotazione superiore a quella di filatura. In ogni caso occorre operare un'accurata filtrazione del polimero fuso da inviare alla filiera, cosa che si ottiene con filtri a fibre metalliche, o a masse con porosità calibrate.
Nel sistema a secco di filatura da soluzioni, la filiera si trova in testa a una camera percorsa da aria calda, che provvede a far evaporare il solvente; questo non deve avvenire con eccessiva rapidità, altrimenti la f. si consolida superficialmente trattenendo all'interno solvente che non riesce a fuoriuscire; una certa percentuale comunque rimane e si eliminerà in seguito; la sua presenza eserciterà un'azione plastificante durante la successiva operazione di stiro.
Un'importante innovazione riguarda la filatura a gel adottata per ottenere filamenti con elevate caratteristiche meccaniche. Filando soluzioni diluite del polimero ad alto peso molecolare le catene non tendono ad aggomitolarsi ma si dispongono in maniera parallela all'asse della f., prima che avvenga la cristallizzazione. Nel caso del polietilene si ottengono f. a elevata resistenza e modulo elastico partendo da soluzioni in decalina, al 20% circa, che vengono fatte passare attraverso la filiera a 120÷130°C; l'evaporazione del solvente è operata dall'aria calda che circola nella camera di filatura; alla filatura segue lo stiro, effettuato a una temperatura di 70÷75°C.
La filatura a umido comporta velocità di filatura piuttosto ridotte, e richiede impianti ingombranti e costosi; si rende necessaria quando il solvente usato per sciogliere il polimero non è volatile. Il sistema ha subito in questi ultimi tempi notevoli miglioramenti: adozione di filiere con un numero molto grande di fori (anche 50.000 e più) per aumentare la produttività; studio delle condizioni per una coagulazione ottimale della soluzione (composizione del bagno, temperatura, velocità di attraversamento, ecc.); adozione dei sistemi continui comprendenti tutte le operazioni, dalla filatura alla finitura, all'avvolgimento finale.
Particolare cura è stata rivolta al miglioramento delle condizioni di filatura per ottenere fiocco. In questo caso si adottano filiere con numero elevato di fori (nelle poliolefine si arriva a 40.000÷50.000); si cerca di realizzare sistemi compatti nei quali si accoppiano più operazioni: filatura, stiro, testurizzazione fino a trattamenti di finitura, per terminare al taglio. Il filato viene di solito ritagliato in frazioni da 6÷18 mm, per i prodotti più corti, da 30÷45 mm per quelli destinati a impianti di tessitura adatti per il cotone, e di 60÷150 mm per quelli usati per miscelazione con f. di lana. Una larga parte del fiocco viene usata nei materiali compositi (v. compositi, materiali, in questa Appendice) ed è posta in commercio sotto forma di feltri (ottenuti per pressatura delle f.) rivestiti da fogli di plastica e arrotolati.
Per tessuti-non tessuti con f. termoplastiche (poliolefine, poliestere, ecc.) si adottano sistemi di produzione continui, compatti, costituiti da filatura (allo stato fuso) seguita da raffreddamento e stiro (con getti di aria inviati sul filamento all'uscita dalla filiera); le f. che risultano sotto forma di nastro vengono poi allentate, separate con un getto di aria sotto pressione e depositate su un nastro trasportatore che le convoglia alla pressatura; può seguire un consolidamento ottenuto mediante punti di cucitura o incipiente fusione delle f. in alcune zone della superficie. Si preparano così nastri continui, larghi anche 4÷5 metri, di peso da poche decine di grammi fino a circa 1 kg/m2.
Tecniche di finitura. − Alla filatura delle f. seguono i trattamenti di finitura necessari per adeguare le f. alle esigenze poste dal loro impiego nella tessitura. Essi comprendono lo stiro (se non effettuato in modo sufficiente all'atto della filatura) e la crespatura (o crettatura o testurizzazione) che provoca sul filo liscio la comparsa di ondulazioni più o meno fitte allo scopo di aumentare il volume del filato, di migliorarne l'elasticità e di facilitarne la lavorazione nelle macchine tessili usate per le f. naturali.
Molti sono i sistemi seguiti; parte di quelli impiegati nel periodo 1950-60 sono stati abbandonati e sostituiti da altri più efficienti, più adatti alle linee caratterizzate da elevate produttività, in grado di produrre ondulazioni che risultino più resistenti allo stiramento meccanico, agli aumenti di temperatura, ecc.
La formazione di ondulazioni durante l'avvolgimento del filo sul rocchetto consentiva in precedenza solo velocità dell'ordine di 5 m/sec.; a questo sistema, inadeguato per poter essere inserito in linea nei processi di filatura ad alta velocità (specie per f. poliestere e poliammidiche), si sono sostituiti sistemi a frizione a tre dischi nei quali il filo durante la corsa passa attraverso una serie sovrapposta di tre dischi (in materiale ceramico o in plastica) disposti orizzontalmente, e che ruotano su piani sfalsati, tutti nello stesso senso, attorno ad assi paralleli a quello della f. alla quale conferiscono una sequenza di curvature. Si hanno anche sistemi nei quali le curvature sono create dal moto di due cinghie elastiche disposte in senso trasversale o di due anelli. L'operazione di testurizzazione si realizza anche facendo attraversare al filamento una camera verticale percorsa da aria a elevata turbolenza; il sistema è adatto per filati di qualsiasi diametro, può essere inserito in linee a marcia continua e ha il vantaggio di non provocare azioni di sfregamento sul filo. Crespature permanenti si realizzano formando f. bicomponenti, ottenute filando insieme due polimeri con caratteristiche diverse (v. App. IV, i, p. 787).
Fibre poliestere. − Le f. che hanno fatto registrare il maggiore incremento produttivo sono le f. poliestere; nel 1987 la produzione è stata di 7,6 milioni di t con una previsione di 8 milioni nel 1990. Le più usate, fra i diversi tipi, sono ancora quelle ottenute dalla policondensazione di glicole etilenico e acido tereftalico; in passato la reazione si effettuava fra il glicole e l'estere dimetilico dell'acido, data la difficoltà di ottenere l'acido libero a elevato grado di purezza; si trattava quindi di una transesterificazione catalitica, con formazione dell'estere dell'acido col diglicole, che poi per policondensazione, a pressione ridotta e in presenza di catalizzatore, forniva il polimero.
Con i sistemi attuali è possibile ottenere l'acido tereftalico con grado di purezza sufficientemente elevato per procedere all'esterificazione diretta del glicole, a circa 260°C sotto pressione, senza intervento di catalizzatore e con sensibile semplificazione. Il polimero si fila allo stato fuso; spesso si usa un sistema continuo di polimerizzazione che consente di avere il prodotto allo stato fuso, potendolo così inviare direttamente alla filatura; il metodo è adottato specialmente per prodotti con caratteristiche standard e di largo consumo (filo continuo, fiocco).
All'uscita dalla filiera il filamento è investito da aria calda e avvolto su rulli ruotanti a velocità elevata dalla quale dipendono grado di orientazione e cristallinità del polimero, caratteristiche che sono legate anche al tipo di raffreddamento operato, al peso molecolare del polimero, alla temperatura di filatura, ecc. Il grado di cristallinità viene scelto anche in funzione delle operazioni di finitura che il filato deve subire e della loro modalità.
Con lo stiro (a circa 90°C) il filo viene allungato del 300÷500%, poi viene stabilizzato termicamente (150÷200°C); si ottiene così un aumento del grado di cristallinità e una stabilizzazione dimensionale che evita possibilità di alterazioni in seguito a riscaldamento (stiratura, ecc.). L'aumento di cristallinità, se da una parte migliora le caratteristiche meccaniche, dall'altro ha un effetto negativo sulle caratteristiche di colorabilità del prodotto (con l'aumento di cristallinità diminuiscono le zone amorfe attraverso le quali il colorante riesce meglio a penetrare nelle fibre).
Per aumentare lo spettro delle caratteristiche realizzabili con le f. poliestere sono state studiate diverse varianti (alcune già indicate nella IV Appendice), cambiando uno o entrambi i componenti del polimero o aggiungendo additivi con caratteristiche specifiche. Così si preparano copolimeri nei quali parte dell'acido tereftalico è sostituito da isoftalico o da isoftalico solfonato o da acidi alifatici (adipico, azelaico). Questi copolimeri possono essere di diverso tipo a seconda della distribuzione nella macromolecola delle singole unità (distribuzione regolare o irregolare). La formazione di copolimeri consente di variare la viscosità dei prodotti, la temperatura di transizione, la tendenza alla cristallizzazione, ecc.
Fra i prodotti ottenuti variando i componenti, particolare importanza hanno raggiunto quelli ottenuti dalla condensazione dell'acido tereftalico con il butandiolo (indicato come polibutilentereftalato, PBTF); nella catena polimerica, fra i gruppi aromatici s'intercalano quattro gruppi metilenici (-CH2−) anziché due, e ciò conferisce al prodotto maggiore flessibilità, una più bassa temperatura di transizione e di transizione vetrosa, una maggiore tendenza alla cristallizzazione, una più grande facilità a tingersi.
Il polimero si ottiene condensando l'acido tereftalico con il butandiolo che si prepara in diversi modi (dall'acetilene, dal diclorobutene, dall'anidride maleica, dall'acetato di allile, dal butadiene, ecc.).
Fibre poliammidiche. − Le f. poliammidiche si possono ottenere da un solo componente, per policondensazione di un acido amminocarbossilico, o per policondensazione di una diammina e di un diacido.
I prodotti del primo tipo, i nailon 1-5 ottenuti dal monomero contenente fino a 5 gruppi metilinici intercalati fra i due funzionali, non hanno raggiunto importanza pratica, sia per il costo delle materie prime necessarie, sia per le difficoltà nell'ottenere un polimero con caratteristiche di filabilità. I nailon 6, 7 e 11 sono già stati citati nella IV Appendice. Il nailon 8 ottenibile per polimerizzazione idrolitica del caprolattame presenta temperatura di fusione di circa 200°C e basso assorbimento di acqua (ciò conferisce alle f. la capacità di conservare le elevate caratteristiche meccaniche anche allo stato bagnato).
Il nailon 11 presenta potenzialmente un elevato interesse in quanto dalla materia prima per la sua preparazione, l'olio di ricino, è facilmente ottenibile l'estere metilico che per idrolisi fornisce l'acido 11-amminoundecanoico, H2N-(CH2)10−COOH, che policondensa facilmente in presenza di opportuni catalizzatori. Il nailon 11 assomma diverse favorevoli proprietà, quali: stabilità dimensionale; elevate caratteristiche meccaniche in diverse condizioni d'impiego; basso assorbimento d'acqua dovuto alla presenza di una catena piuttosto lunga di -CH2 ; bassa densità, ecc. Le difficoltà derivano dalle incerte possibilità di disporre di un continuo e regolare approvvigionamento della materia prima.
Maggiore interesse presenta il nailon 12, che può essere ottenuto da una materia prima, il butadiene, legata alla carbochimica o alla petrolchimica. Il nailon 12 deriva dalla policondensazione dell'acido ω−amminododecanoico, H2N-(CH2)11−COOH, che avviene rapidamente a temperatura relativamente bassa e a pressione atmosferica, in assenza di catalizzatori.
Esso presenta caratteristiche analoghe a quelle del nailon 11; alcune sono inferiori a quelle del nailon 6 o 6,6 se misurate su prodotti essiccati, ma risultano superiori nel caso di misure effettuate su f. in equilibrio con l'umidità atmosferica (dato lo scarso assorbimento di umidità); la densità di questo nailon, inoltre, è sensibilmente inferiore a quella del 6 o del 6,6. L'amminoacido necessario per questo polimero si ottiene dal ciclododecatriene che si prepara per ciclopolimerizzazione catalitica del butadiene che a sua volta si può avere dall'acetilene o da gas di lavorazioni petrolifere. La SNIA ha studiato un sistema di preparazione del nailon 12 da laurolattame, ottenuto da ciclododecatriene, con modalità analoghe a quelle seguite per il nailon 6 da caprolattame.
Fra le f. poliammidiche ottenibili da diammine e acidi bicarbossilici (di solito sotto forma di cloruri) il nailon 6,6, il primo a essere prodotto, conserva ancora grande importanza pratica. Fino ad alcuni anni addietro esso rappresentava la f. poliammidica più largamente prodotta nel mondo; da alcuni anni è stato di poco superato dal nailon 6, che presenta all'incirca uguali caratteristiche, ma richiede una sola materia prima, di costo più contenuto.
Il nailon 6,10 si prepara in maniera analoga al nailon 6,6 (policondensazione di esametilendiammina e acido sebacico ottenibile dall'olio di ricino), ma il suo costo risulta piuttosto elevato. Si usa in quantità limitata e poco per usi tessili, mentre per il basso assorbimento di acqua (il prodotto conserva le proprietà meccaniche e l'elasticità anche se bagnato) trova impiego come monofilamento nella preparazione di spazzole, articoli sportivi, ecc.
È allo studio la produzione della f. poliammidica 4,6, ottenibile da 1,4diamminobutano e acido adipico, che presenta proprietà migliori sia rispetto al nailon 6 che a quello 6,6: più alto punto di fusione (280÷290°C), buone caratteristiche meccaniche e stabilità dimensionale anche ad alte temperature.
Da segnalare, inoltre, la produzione di co-poliammidi, cioè di miscele di monomeri diversi, che consentono di concentrare in un unico prodotto le caratteristiche proprie di polimeri diversi; si possono in tal modo ottenere prodotti con più basso punto di fusione, con maggiore solubilità, con minore assorbimento di acqua, ecc. Un copolimero interessante, dotato di particolare flessibilità e trasparenza (si usa per reti da pesca), è quello ottenuto da esametilendiammina e una miscela di acido caproico e adipico oppure da una miscela di caprolattame e acido amminoundecanoico.
Fibre aramidiche. − Il grande progresso di questi ultimi anni nel campo delle f. poliammidiche è rappresentato dalla preparazione di polimeri derivati da composti aromatici e per questo indicati come f. aramidiche. Nella IV Appendice è già stato citato il prodotto 6T (per metà alifatico e per metà aromatico) e la f. Nomex (poliammide completamente aromatica), derivata dalla policondensazione di m-fenilendiammina e cloruro dell'acido isoftalico. Il prodotto è caratterizzato da elevate proprietà meccaniche (resistenza a trazione, modulo elastico, ecc., che si conservano anche dopo prolungata permanenza ad alta temperatura) e da elevata resistenza alla fiamma. Per queste caratteristiche è stata usata per i vestiari dei vigili del fuoco, per materiali compositi anche strutturali, nell'isolamento elettrico (trasformatori, ecc.). Più di recente la Du Pont (prima produttrice della f. Nomex) ha scoperto che condensando gli stessi composti, ma nella forma isomera para (p-fenilendiammina e acido tereftalico), si ottiene un polimero che presenta una cristallinità elevata, in quanto gli anelli benzenici giacciono nello stesso piano dei gruppi -CO-NH-, e ciò favorisce la formazione di strutture lineari, rigide, parallele, che conferiscono al polimero caratteristiche elevate.
Già all'atto della loro formazione, in soluzione, le catene assumono un elevato grado di allineamento e di addensamento formando cristalli liquidi; le loro soluzioni, ad alta percentuale di solido, spinte attraverso una filiera danno filamenti nei quali le macromolecole, già preorientate nel liquido, presentano un ulteriore orientamento. Il prodotto, con un grado di cristallinità del 90% e più, presenta caratteristiche meccaniche elevate dovute alla formazione di catene lineari, con atomi tenuti insieme da forti legami covalenti, addensate per lo stabilirsi di legami d'idrogeno con le catene adiacenti.
Il polimero si forma per policondensazione dell'acido e della diammina in soluzione (di dimetilacetammide) addizionata con sali inorganici (LiCl, CaCl2, ecc.) che fanno aumentare la solubilità; il polimero viene poi precipitato per aggiunta di acqua. Il prodotto si scioglie in acido solforico concentrato, caldo; le soluzioni, col 20% circa di solido, passano attraverso filiere immerse in bagno di coagulo; il filamento ottenuto si neutralizza (con soda) e si lava; costituisce il prodotto commercialmente noto col nome depositato di Kevlar 29. Se viene sottoposto a un leggero stiramento, a caldo, la f. presenta un sensibile incremento di modulo elastico costituendo il Kevlar 49. Queste f. non si usano per tessili normali, ma solo per usi particolari, per es. giubbotti antiproiettile (per la resistenza all'urto, per la leggerezza), e trovano il loro impiego soprattutto nella preparazione di compositi (usati in applicazioni militari, aerospaziali), nella fabbricazione di pneumatici, in sostituzione dell'amianto nelle pastiglie per freni e per frizioni per auto, ecc. La f. è difficile da tingere e viene messa in commercio con colorazione gialla (sono in via di produzione anche f. colorate in verde e in nero). F. analoghe al Kevlar sono in produzione da parte della ditta olandese Akzo, col nome di Twaron, e da parte della giapponese Tejin (questa f. è un po' diversa contenendo anche 3,4-diammino-difeniletere).
Il consumo nel 1988 è stato valutato in 17.000 t, ma la crescita procede annualmente con ritmi del 15÷20%; la capacità di produzione è di circa 27.000 t per la Du Pont, 5000 per la Akzo e 500 per la Tejin.
Fibre acriliche. - La produzione mondiale di f. acriliche è salita da 1,4 milioni di t nel 1974 a 2,33 nel 1984 e a 2,5 nel 1988. Questa produzione costituisce il 15% circa delle f. sintetiche. Si distinguono diversi tipi di f. acriliche, continue o discontinue (fiocco), in base alla finezza dei filamenti che possono variare da 0,5 a 10÷15 dtx, in base alla natura dei coloranti coi quali si possono tingere (acidi, basici, ecc.), alla idoneità a essere impiegate in miscela con cotone, lana, ecc. Date le difficoltà di filatura e di tintura di tali f., si producono f. contenenti comonomeri con funzioni diverse; nelle f. acriliche questi non superano il 10÷15% e sono costituiti da monomeri non ionogeni (esteri metilici dell'acido acrilico o metacrilico, acrilammide, acetato di vinile) che agiscono da plastificanti interni, e da 0,5÷1% di comonomero ionogeno che modifica le proprietà di tintura. I tipi più usati sono quelli che si tingono con coloranti basici e quindi contengono comonomeri di tipo acido, molecole con gruppi solfonici, ecc.; quelle che si tingono con coloranti acidi contengono comonomeri ionogeni basici, come vinilpiridine, amminoalchilmetacrilati.
L'altra varietà di f. acriliche è quella con contenuti dal 15 al 50% di comonomero, che ha la funzione di variare le proprietà del polimero, specialmente la resistenza alla fiamma; si aggiungono infatti monomeri clorurati (cloruro di vinile o di vinilidene) o in parte anche composti inorganici, come alogenoderivati dell'antimonio, dello stagno. Queste forti aggiunte causano naturalmente l'abbassamento delle caratteristiche meccaniche del polimero acrilico.
Poiché il polimero acrilico si decompone prima di arrivare a fusione, la filatura non si può fare che usando il prodotto in soluzione, di solito in dimetilformammide o dimetilacetammide, in concentrazione del 15÷30%; tali soluzioni, accuratamente filtrate e deaerate, vengono filate a umido o a secco; in questo secondo caso la filiera, o le filiere, sono poste nell'alto di una camera cilindrica e il filo all'uscita della filiera viene investito da una equicorrente di gas a 300÷350°C che provoca l'evaporazione del solvente; per ottenere lo stiramento, il filo viene avvolto con velocità superiore a quella di filatura. Nella filatura a umido la filiera è immersa nel bagno di coagulo, formato da composti organici o inorganici, mantenuto caldo per favorirne la migrazione all'interno del coagulo e contemporaneamente la fuoriuscita del solvente. Il filamento spugnoso è stirato ed essiccato in modo da fornire una struttura compatta, con l'eliminazione dei residui di solvente.
Oltre ai filati e al fiocco normale, con diversi gradi di finezza, si usano anche tipi di f. acriliche dotate di caratteristiche particolari quali le f. assorbenti, bicomponenti, retraenti. Queste ultime sono f. che hanno subito uno stiro a temperatura inferiore a quella di transizione vetrosa e poi sono state raffreddate; se in seguito vengono riscaldate al disopra di detta temperatura, specie se in presenza di acqua o di vapore, esse si contraggono sensibilmente (a seconda dei tipi si possono raggiungere valori di contrazione del 15÷24 o anche del 24÷40%). Se una f. di questo tipo viene lavorata insieme a una normale e il tutto è trattato con acqua bollente, con vapore o con aria calda, la f. acrilica si accorcia mentre quella normale non subisce accorciamenti e ciò provoca sul tessuto delle sporgenze ad anello verso l'esterno che conferiscono un rigonfiamento (f. ad alta voluminosità). Arricciature irreversibili si possono ottenere dalla filatura di f. bicomponenti, scegliendo opportunamente il componente da accoppiare alla f. acrilica. Tessuti con f. assorbenti (dell'umidità, del vapore) danno una sensazione confortevole in molti casi; si possono avere f. che assorbono umidità rigonfiando e altre che non rigonfiano. In questo secondo caso si tratta di f. porose; una rete di pori si può ottenere in diversi modi, per es. inglobando nelle soluzioni da filare composti che si possono eliminare successivamente, oppure mettendo nei bagni di coagulo sostanze capaci di diffondersi nel filamento ancora in fase di gel ed essere poi asportabili dalla f. consolidata. F. rigonfiabili possono essere ottenute inglobando nelle f. comonomeri con gruppi idrofili.
Fibre poliuretaniche. − Le f. poliuretaniche furono ritenute in un primo tempo competitive rispetto a quelle poliammidiche, ma si è visto poi che non consentivano questa possibilità, mentre hanno cresciuto la loro importanza nella preparazione di f. elastomeriche (v. App. IV, i, p. 784), nelle quali si sono ottenuti diversi sviluppi. Al poliestere usato come prepolimero si sono affiancati polieteri, che rispetto ai precedenti sono più resistenti all'idrolisi e all'azione degli alcali, e in grado di conferire migliori caratteristiche a bassa temperatura; conferiscono però una minore resistenza all'ossidazione atmosferica, all'azione del cloro, ecc. Il prepolimero più usato è quello che si ottiene da glicole etilenico e poliossimetileni derivati dal tetraidrofurano per apertura dell'anello. Anche l'altro componente dei poliuretani, il toluendiisocianato, usato agli inizi, oggi è stato quasi totalmente sostituito dal 4,4′metilen-bis-fenile isocianato al quale si può aggiungere un po' di 1,6esandiisocianato che conferisce una migliore filabilità. Come allungatore (o estensore) della catena si usa di solito una diammina; ne sono state sperimentate diverse; le più usate sono 1,2-diamminoetano e 1,2diamminopropano che conferiscono buona resistenza al calore.
Dei possibili sistemi di filatura il più impiegato, anche perché consente di ottenere più rapidamente fili sottili, è quello da soluzione, a secco con aria calda. Si fila la soluzione, in dimetilformammide (o dimetilacetammide), e s'investe il filamento con aria calda che asporta il solvente (poi ricuperato e riciclato); le numerose f. che formano il multifilamento vengono stirate avvolgendole con velocità superiore a quella di filatura.
Fibre idrocarburiche. − La produzione di f. poliolefiniche (idrocarburiche) costituite da polietilene ad alta densità e da polipropilene, usate sia singolarmente che in miscela o sotto forma di copolimeri, è aumentata notevolmente in questi ultimi anni, passando dai 371.000 kg del 1977 a 650.000 t nel 1985 (di cui 250.000 in Europa occidentale); questa affermazione è stata favorita da un relativamente basso costo della materia prima e dal sistema di produzione che comporta costi d'investimento modesti e mano d'opera contenuta.
Formate da una struttura idrocarburica, queste f. sono insensibili all'acqua, agli agenti chimici (acidi, alcali), leggere; tuttavia sono difficili da tingere. La mancanza di gruppi polari riduce la coesione fra le catene macromolecolari, e le elevate tenacità si raggiungono con strutture ordinate e con pesi molecolari elevati. Le f. propileniche isotattiche mostrano, a seconda delle condizioni di filatura, gradi di cristallinità dell'ordine del 50% circa (e anche del 70%). Le caratteristiche meccaniche variano notevolmente al crescere dell'orientamento delle catene polimeriche.
La filatura di queste f. avviene dal polimero allo stato fuso (addizionato di agenti stabilizzanti, di pigmenti, ecc.) e le f. sono sottoposte a forti stiramenti; il sistema consente velocità di filatura di 10÷20 m/secondo. Le operazioni successive alla filatura comprendono un ulteriore stiramento del filo riscaldato e la testurizzazione, al fine di impartire voluminosità e coesione alle f., particolarmente quelle destinate a fiocco.
Filamenti di polimeri olefinici si possono ottenere, oltre che per estrusione, attraverso filiera anche partendo da film sottile che viene ritagliato, stirato e fibrillato meccanicamente. Il sistema, già proposto verso il 1940, è stato ripreso in considerazione e applicato solo in questi ultimi anni. Il film, di solito ottenuto per soffiaggio, viene stirato (1:6÷1:10), sia prima che dopo il taglio. Dopo lo stiramento il prodotto viene stabilizzato per ricottura (breve riscaldamento) a temperatura un po' più bassa rispetto a quella usata nello stiro. Si eliminano così tensioni residue che potrebbero causare ritiri incontrollati o indesiderati. Se il prodotto finale dev'essere fibrillato le strisce passano su di un rullo, munito in superficie di aghi, che ruota a velocità controllata nello stesso senso di marcia delle strisce e produce una rete di sottili fibrille. Questa operazione non si effettua sempre (di solito solo per fili destinati alla preparazione di corde, di rinforzi in tappeti, ecc.). Le strisce, fibrillate o no, sono avvolte, accoppiate e ritorte. Trovano impiego in tessuti che richiedono elevate caratteristiche meccaniche, per tessuti d'impiego industriale, per tappeti, corde, ecc. Anche per le f. poliolefiniche si preparano varietà ad alto carico di rottura e modulo elastico (per es. Spectra) che si ottengono cercando di ridurre la presenza di zone amorfe nella struttura delle f., incrementando l'orientamento ordinato delle macromolecole, ciò che si ottiene solubilizzando il polimero, prima della filatura, in modo da favorire il districarsi delle catene. Si possono anche aumentare le azioni di stiramento e partire da polimeri a più alto peso molecolare (1÷2 milioni e oltre); ciò porta a una maggiore lunghezza delle catene e quindi a un minore numero di terminazioni, responsabili di difetti strutturali. Lo stiro si può fare sia sul filato già solidificato (riscaldato a temperatura inferiore a quella di fusione, ma sufficiente per lo scorrimento e riallineamento delle macromolecole), sia, con risultati migliori, usando un sistema di filatura a umido a gel partendo da soluzioni concentrate ad alta viscosità e sottoponendo il filato a più fasi di stiro. Con rapporti di stiro dell'ordine di 1÷30 si riescono a ottenere, per polietilene ad alta densità, moduli elastici di circa 50 GPa e, per il polipropilene, di 20 GPa. Per il polietilene il modulo è inferiore a quello del Kevlar, però la sua densità è più bassa del 30% circa, ciò che riduce il divario fra le prestazioni specifiche. Rimane a favore del Kevlar una notevolmente più alta temperatura di fusione. Recentemente la DSM da un gel di polimero ad alto peso molecolare, in solvente, ha ottenuto filamenti gelatinosi che stirati e riscaldati forniscono f. (Dineema) con caratteristiche meccaniche notevoli. Queste f. polietileniche di elevate caratteristiche meccaniche trovano impiego in manufatti per i quali anche il peso è elemento importante (giubbotti antiproiettile, guanti sterilizzabili) o in compositi leggeri (elmetti, caschi, ecc.).
Molti altri materiali plastici, oltre a quelli fin qui ricordati, trovano impiego nella preparazione di f.; si tratta però di prodotti d'impiego limitato, o per il costo elevato o perché, presentando proprietà non del tutto soddisfacenti, si debbono mescolare ad altri per sfruttarne le caratteristiche positive. Fra queste f. vanno ricordate le seguenti.
Fibre poliviniliche e polivinilideniche (o fibre clorurate). − Il cloruro di polivinile è una materia plastica che trova notevoli impieghi, ma solo in scarsa misura come f., soprattutto per la bassa temperatura di fusione che ne limita l'uso, mentre il suo tenore di cloro le conferisce un'elevata ininfiammabilità. Le f., preparate per estrusione del polimero fuso, debbono subire un forte stiro (600÷800%) per incrementare le caratteristiche meccaniche, e una stabilizzazione per riscaldamento (ricottura), che riduce la tendenza a riprendere la primitiva lunghezza. Si preparano anche f. con caratteristiche di ritiro abbastanza marcato. Le f. vengono utilizzate per tessuti d'arredamento, ma anche per coperte, per indumenti, ecc.
Oltre al polimero normale, atattico, si preparano filamenti anche dal prodotto sindiotattico; i tessuti che se ne ottengono possono essere lavati con acqua anche bollente, cosa che non si può fare con quelli in f. atattica. Questo prodotto, con elevato grado di cristallinità, si ottiene per polimerizzazione del monomero a bassa temperatura.
Il cloruro di polivinile contiene il 57% di cloro e il polimero può essere ulteriormente clorurato (teoricamente si può arrivare al 73%). Di solito si prepara un cloruro di polivinile con il 63÷65% di cloro che si scioglie in acetone dando soluzioni filabili; le f. presentano caratteristiche analoghe a quelle di polivinile, con più accentuata ininfiammabilità, con maggiore tendenza al ritiro, ma anche minore resistenza chimica.
Le f. di polivinilidene, che si possono ottenere per estrusione del polimero fuso, sono caratterizzate, oltre che da un'elevata ininfiammabilità, da buone proprietà meccaniche e da brillantezza. Data l'elevata temperatura di fusione del polimero e la sua bassa solubilità nei vari solventi, si ricorre di solito alla formazione di copolimeri o all'uso di plastificanti per facilitare la produzione di filati. Le f. clorurate sono usate per lo più in miscela per integrarne le favorevoli caratteristiche di ininfiammabilità con quelle di cui mancano.
Fibre da alcool polivinilico. - Oltre alle f. viniliche clorurate occorre ricordare anche quelle derivate dall'alcool vinilico che si preparano per filatura a umido di soluzioni acquose al 15% circa del polimero, usando come bagno di coagulo soluzioni saline concentrate (solfato di sodio, alcali, ecc.); per monofilamenti si usano anche sistemi a secco. Il filo viene poi stirato e talvolta acetilato, cioè trattato con formaldeide (in soluzione o sotto forma di vapore) che blocca gran parte dei gruppi alcolici secondari riducendo la sensibilità all'acqua.
Le f. coagulate in bagni alcalini e trattate con piccole quantità di acido borico (che agisce collegando trasversalmente le catene polimeriche), sottoposte a forte stiro (anche maggiore di 1:10), sono caratterizzate da elevata tenacità e modulo (maggiori rispettivamente di 9 cN/dtex e 177 cN/dtex). Le f. di alcool polivinilico, poco usate in Europa, sono prodotte e impiegate essenzialmente in Giappone, Corea, Cina, ecc., dove si ha una produzione di circa 200.000 t/anno.
Fibre fluorurate. - Una f. che ha interesse essenzialmente per applicazioni industriali è quella ottenibile dal politetrafluoroetilene, caratterizzata da un'elevata resistenza agli agenti chimici e alla combustione; conserva caratteristiche fino a temperatura di poco inferiore ai 300°C. Si hanno però difficoltà alla filatura che non può essere fatta per estrusione del polimero fuso perché occorrerebbero temperature alle quali il prodotto si decompone, e neppure in soluzione poiché non si conoscono solventi adatti. Il polimero si disperde in cherosene, che agisce da plastificante e consente, per estrusione, di foggiare sottili nastri; questi vengono poi sintetizzati, ottenendo film sottili che sono ritagliati in filamenti anche di un centinaio di dtex.
Il polimero si può anche disperdere miscelandolo con poliglicoleteri e soluzione di viscosa; la massa omogeneizzata risulta filabile attraverso filiere con fori non troppo piccoli (almeno 0,15 mm) immerse in bagni di coagulo acido; il filo, dopo lavaggio ed essiccazione, è portato per breve tempo a circa 350°C in modo da far sinterizzare i granuli e bruciare la viscosa che è servita a tenere insieme i granuli durante la lavorazione; infine il filo subisce uno stiro, anche del 400÷800%, e una decolorazione (per eliminare i residui carboniosi della viscosa). Per sopperire alle difficoltà di lavorazione di questo polimero si può far ricorso anche all'uso di copolimeri (con altri composti fluorurati che conferiscono una maggiore fusibilità). Le f. sono utilizzate per tessuti, o tessuti-non-tessuti, per filtrazione di liquidi aggressivi, nell'isolamento elettrico, ecc.
Nuove fibre. − Alcune nuove f., con elevate caratteristiche meccaniche, destinate prevalentemente, almeno in un primo tempo, alla preparazione di compositi avanzati, sono ancora in fase d'introduzione nel mercato o allo studio per valutarne le possibili applicazioni.
In proposito meritano di essere ricordati i membri di una famiglia di polimeri aventi la catena formata da uno, o più, nuclei aromatici e nuclei eterociclici, del tipo:
Se Z=S (zolfo) si ha polibenzotiazolo (PBT); se Z=O (ossigeno) si ha polibenzoossazolo (PBO); se Z=NH (gruppo imidico) si ha polibenzimidazolo (PBI); in quest'ultimo caso, anziché un solo nucleo benzenico se ne hanno due.
Il polibenzimidazolo, PBI, che dovrebbe competere con le f. del tipo Kevlar nel campo dei compositi, presenta elevata resistenza agli agenti chimici e ai solventi, è incombustibile e le sue caratteristiche si conservano anche ad alta temperatura. Si è usato per tute per astronauti, per vigili del fuoco, per dispositivi rompifiamma. Ha un costo elevato, e per abbassarne il prezzo, senza compromettere troppo le prestazioni, si pensa di usarlo insieme ad altre f. di analoghe caratteristiche (per es. Kevlar). Se ne producono alcune centinaia di t/ anno.
Il polimero
si forma per policondensazione allo stato solido di difenilisoftalato e tetramminodifenile; i due componenti si riscaldano, in ambiente di azoto, fin verso i 250°C, che è la temperatura alla quale inizia la reazione e che viene poi innalzata fin verso i 300°C; si ottiene una massa porosa che, macinata e degassata, è nuovamente riscaldata a 380÷390°C; il prodotto si scioglie in dimetilacetammide (in ragione del 20÷25%) e la soluzione si estrude attraverso filiere disposte in ambiente percorso, in controcorrente al filamento, da azoto caldo che asporta il solvente; il filamento, dopo essere stato lavato con acqua, attraversa un forno a circa 400°C, dove viene riscaldato e stirato; esso conserva un elevato allungamento che può essere ridotto trattandolo, dopo lo stiro, con acido solforico.
PBT e PBO sono polimeri rigidi che si formano in soluzione, in acido polifosforico, e le soluzioni possono andare direttamente alla filatura, che si effettua in maniera particolare: in un primo momento a secco e poi a umido. Il filamento uscente dalla filiera subisce prima un allungamento, con parallelizzazione delle f. all'aria, poi entra in un bagno contenente un liquido non solvente, che provoca una coagulazione accompagnata da stiramento poiché il filo viene avvolto con velocità superiore a quella di filatura.
Queste f. presentano caratteristiche meccaniche superiori a quelle del Kevlar, unite a stabilità termica, buon assorbimento di umidità, bassa densità; si utilizzano sia da sole che in miscela con altre f., per es. di allumina, per dare compositi di elevate caratteristiche, anche strutturali.
Bibl.: L. Rebenfeld, in Encyclopedia of polymer science, New York 1986; Fibers, Synthetic organic, in Ullmanns Encyclopedia of industrial chemistry, 10, ivi 1987.
Caratteristiche e commercio. - La ricerca nel campo delle f. t. si è volta principalmente al miglioramento delle loro caratteristiche e alla creazione di f. destinate a impieghi speciali. Un esempio nell'ambito delle f. naturali è l'ottenimento di una lana superfina che allevatori australiani, con tecniche mirate di allevamento e di alimentazione, sono riusciti a produrre da pecore della razza merino Saxon: lana costituita da f. del diametro di 16÷17,5 micron, che si avvicina alla finezza del pelo di cashmere. Denominata Natural Sharlea, presenta anche una particolare morbidezza che la rende simile al cashmere.
Nel campo delle f. sintetiche è in atto una costante ricerca di miglioramento delle loro caratteristiche, e particolarmente dell'idrofilità delle f. che ha portato alla creazione di una nuova f. poliossiamidica, denominata Vivrelle, che presenta buone proprietà di assorbimento e trasferimento dell'umidità corporea e offre quindi un elevato grado di comfort quando va a costituire, da sola o mista con f. naturali o chimiche, capi di abbigliamento. Sono stati inoltre adottati opportuni processi produttivi delle f. sintetiche per ottenere prodotti speciali natural like, con aspetto e comportamento simili al cotone, alla lana o alla seta, come per es. il Terital Silk like.
Un aspetto delle f. che in questi anni è oggetto di particolare attenzione è la loro attitudine a bruciare e a propagare la fiamma; ciò ha stimolato la ricerca sull'ignifugazione delle f. naturali e sulla costituzione di nuove f. resistenti alla fiamma. Le f. t., essendo costituite in grande maggioranza da macromolecole organiche, sono intrinsecamente materiali combustibili. La loro combustibilità viene misurata, in prima approssimazione, in base al LOI (Limiting Oxigen Index) che indica il contenuto minimo di ossigeno nel gas comburente per portare alla combustione le f. in determinate condizioni di prova. Poiché la percentuale di ossigeno contenuta nell'aria è di circa il 21%, le f. aventi un LOI inferiore a 21 bruciano liberamente all'aria (tab. 3).
Nel caso delle f. naturali, la possibilità d'intervento per diminuire la loro pericolosità al fuoco è limitata a trattamenti d'ignifugazione in fase di finissaggio mediante opportuni appretti (topical finishing).
Un finissaggio si definisce ignifugo quando, dopo l'allontanamento della fiamma che ha provocato l'ignizione di un manufatto, determina un evidente rallentamento della combustione rispetto a un altro non trattato; il comportamento ideale si avrebbe se il manufatto si spegnesse appena allontanata la fiamma, senza dare luogo a fenomeni di post-incandescenza, cioè di ossidazione senza fiamma ma ancora luminosa, spesso accompagnata da emissione di gas tossici, che può diventare causa di incendi secondari.
Per le f. chimiche cellulosiche il meccanismo d'ignifugazione è analogo a quello delle f. naturali, ma in questo caso si può intervenire a livello di filatura, aggiungendo le sostanze ignifughe nella massa filabile prima dell'estrusione attraverso la filiera. L'aggiunta, che si eseguiva inizialmente allo stato liquido con prodotti chimici fosforati liquidi, si effettua ora con additivi solidi aggiunti alla massa filabile o meglio con un meccanismo di ''graffaggio'', cioè graffando sulle catene polimeriche radicali chimici esplicanti funzioni ignifughe.
Tuttavia soltanto nel caso delle f. sintetiche si può parlare di f. intrinsecamente FR (Flame Retardant, ovvero ''a infiammabilità ritardata''), di f. in cui l'aggiunta del prodotto che impartisce le proprietà antifiamma (additivo o copolimero) si effettua al momento stesso della preparazione del polimero di base che darà poi origine alla fibra. Si tratta quindi di un'ignifugazione permanente, non soggetta ad alterazioni con il ripetersi dei lavaggi. Per le f. FR si parla di f. della seconda, terza e quarta generazione (alla prima generazione appartengono le f. t. normali, non FR). Alle f. FR della seconda generazione appartengono le clorofibre, le modacriliche e le poliesteri FR.
Le clorofibre sono costituite da polimeri del cloruro di vinile e/o di vinilidene (v. sopra: Fibre chimiche): i loro prodotti di pirolisi sono ricchi di composti alogenati che inibiscono la reazione di ossidazione. Le fibre modacriliche sono formate da copolimeri dell'acrilonitrile con monomeri alogenati, in proporzioni tali per cui le macromolecole contengano non meno del 50% e non più dell'85% di gruppi acrilonitrilici. L'introduzione di monomeri con caratteristiche FR nella catena polimerica dell'acrilonitrile rappresenta l'unico sistema valido di ignifugazione delle f. acriliche che sono tra tutte le più difficili da ignifugare, a causa dell'elevato calore di combustione e del fatto che i gas di pirolisi, costituiti da nitrili molto volatili, formano con l'aria già a basse concentrazioni una miscela combustibile. Le poliesteri FR sono f. costituite sostanzialmente da polietilentereftalato o polibutilentereftalato, modificati in fase di polimerizzazione mediante l'inserimento di monomeri con caratteristiche antifiamma contenenti fosforo.
Le f. che vengono definite comunemente ''della terza e quarta generazione'' o High performance fibres, sono f. resistenti al calore, studiate per impieghi tecnici specifici.
Vengono impiegate per tute antincendio per piloti di aviogetti o di auto da corsa, tute da lavoro (in grado di resistere anche a spruzzi di metallo), isolanti elettrici per motori di aerei o di elettrodomestici, nell'industria aerospaziale, per la protezione corazzata di sedili dei piloti di elicottero, per giubbotti di protezione contro i proiettili, per elmetti, articoli sportivi, ecc.
Le High performance fibres sono f. aramidiche costituite da poliaramidi, poliammide-immide, polifenilensolfuro, fenoli, poliimmide, polibenzimidazolo, ecc. (10, 11, 12, 13, 14). Le f. aramidiche sono le più utilizzate; sono a base di poliammidi aromatiche la cui formula di base, secondo quanto stabilito dall'ISO, è formata da macromolecole lineari costituite da anelli aromatici e da gruppi ammidici, l'85% almeno dei quali collegati a due anelli aromatici.
Sono ottenute dalla polimerizzazione di diammine e acidi bicarbossilici, il più comune dei quali è l'acido ftalico. Poiché possono derivare sia dall'acido isoftalico che dall'acido tereftalico, si hanno aramidi isoftaliche (la prima è stata la Nomex della Du Pont; v. sopra: Fibre chimiche), delle quali si può migliorare ulteriormente la reazione al fuoco con trattamenti di alogenazione o con l'aggiunta di sostanze ritardanti di fiamma; e aramidi tereftaliche, note principalmente con il nome di Kevlar (Du Pont), di cui esistono in commercio il Kevlar 29 (per tessuti antiproiettile) e il Kevlar 49, usato in particolare come rinforzo nei materiali compositi.
F. con caratteristiche superiori sono quelle a base di polibenzimidazolo (PBI), soprattutto per quanto riguarda la difficoltà d'innesco e la velocità di combustione. Sono ottenute per reazione di una bis-orto diammina aromatica e di un diacido aromatico, dalla cui policondensazione si forma l'anello del benzimidazolo che dà il nome al polimero. Sono utilizzate in impieghi in cui si richiede il massimo grado di sicurezza (uniformi speciali, abiti protettivi).
Produzione e consumi. − L'andamento della produzione di f. t., dopo aver segnato un notevole sviluppo negli anni Settanta, passando da quasi 22 milioni di t nel 1970 a quasi 30 milioni nel 1980, ha avuto un ristagno nei primi anni Ottanta, seguito da un nuovo incremento, seppure discontinuo. Analizzando il settore delle principali f. naturali, si nota un netto incremento nella produzione di cotone, mentre la lana rimane su quantitativi sostanzialmente costanti, pur diminuendo in peso percentuale. Il settore delle f. chimiche mostra una forte espansione negli anni Settanta e continua a espandersi, seppure a tassi più modesti, anche negli anni Ottanta per effetto della produzione crescente di f. sintetiche, mentre le artificiali mantengono una costanza di produzione. La domanda mondiale mostra negli anni Ottanta un incremento per il cotone e per le f. sintetiche, mentre la lana, la seta e le f. artificiali dimostrano una leggera flessione.