FIASELLA, Domenico, detto il Sarzana
Nacque a Sarzana (La Spezia), ove fu battezzato il 12 ag. 1589, da Giovanni e da Chiara Locatelli. Il padre (1564-1630), appartenente ad una famiglia originaria di Trebiano di Arcola, esercitava la professione di orefice ed era in contatto con i Cibo Malaspina di Massa e con G. B. Salvago, vescovo di Luni-Sarzana: fu lui a fornirgli i primi rudimenti del disegno mettendogli a disposizione "in abbondanza stampe, dissegni, e rilievi" sui quali esercitarsi (Soprani, 1674, p. 245). Inviato a Genova, dopo una breve permanenza nella bottega del pisano A. Lorni, divenne allievo di G. B. Paggi, rientrato da poco da Firenze.
Attorno al 1607 ebbe inizio un soggiorno a Roma; reca la data 1608 e l'espressa indicazione dell'esecuzione in Roma un dipinto firmato raffigurante Un suonatore e una cortigiana (Trieste, Lloyd Adriatico). Nel 1615 il F. risiedeva nella parrocchia di S. Lorenzo in Lucina (Longhi, 1943). Per il marchese Vincenzo Giustimani eseguì alcuni dipinti, fra i quali i due Miracoli di Cristo del Ringling Museum of art di Sarasota (Florida).
Il 4 marzo 1616 i protettori dell'Opera di S. Maria di Sarzana lo incaricarono dell'esecuzione di una pala d'altare per la chiesetta del lazzaretto; il dipinto, raffigurante S. Lazzaro che implora la Vergine per la città di Sarzana, è oggi conservato nella parrocchiale suburbana di S. Lazzaro (Neri, 1876, pp. 4-6). Ritornò a Genova attorno al 1617, "con pensiero però di non fermarvisi" (Soprani, 1674, p. 247), ma si convinse dell'opportunità di risiedere stabilmente nella città ligure a seguito dell'incontro con G. Lomellini, futuro doge, che gli affidò l'incarico di decorare il suo palazzo, nei pressi della Zecca, con episodi tratti da La Reina Esther, poema di A. Cebà, apparso a Genova nel 1615. Il 14 sett. 1621, forse già vedovo, sposò Sebastiana Marabotti detta Angela, che morì nel 1639 dopo avergli dato otto figli, la maggior parte dei quali morti in tenera età.
Nel 1622 firmò e datò il Martirio di s. Barbara per l'altare della Confraternita dei bombardieri della chiesa genovese di S. Marco al Molo; nel 1624 firmò e datò la pala d'altare con S. Orsola e la Sacra Famiglia, oggi nella parrocchiale di S. Quirico nell'entroterra genovese. Ben tre sono i dipinti firmati e datati 1626: si tratta dell'Annunciazione, oggi presso le agostiniane di Genova-Sturla, della Giuditta con la testa di Oloferne del Museo civico di Novara e del pannello raffigurante le Ss. Apollonia, Lucia e Barbara della cappella delle Reliquie nella cattedrale di Sarzana (commissionato, assieme ad un pendant, il 15 luglio dello stesso 1626).
Reca la data 1632 la solenne Assunzione della Vergine eseguita per il coro del santuario francescano di Nostra Signora del Monte, presso Genova, per incarico del Saluzzo; l'anno successivo, come attesta un pagamento di 300 lire in data 17 settembre, partecipò all'allestimento di un arco trionfale in onore di Ferdinando, infante di Spagna (Magnani, 1988, pp. 204 s.). Da quel momento il F. fu chiamato sempre più spesso a far fronte ad incarichi pubblici, fino a divenire una sorta di iconografo ufficiale della Repubblica di Genova; allorché la città decise di eleggere solennemente a sua "regina" la Vergine (25 marzo 1637), il F. fornì cartoni e disegni per l'apparato allestito nella cattedrale di S. Lorenzo e per la statua di culto, opera di G. B. Bissoni.
L'iconografia della Madonna regina di Genova, divulgata capillarmente dalle monete, che a partire dallo stesso 1637 ne recarono l'effigie, divenne in breve motivo d'orgoglio fra le nazioni genovesi attivamente presenti in altre città, come dimostrano le tele che il F. inviò a Napoli (oggi nella chiesa del Turchini: cfr. Bologna, 1980) e a Palermo (quest'ultima, però, interamente riferibile alla bottega).
Fra il 1635 e il 1637 lavorò per Carlo I Gonzaga Nevers duca di Mantova: delle cinque tele ricordate dalle fonti, la sola identificata è il S. Giuseppe avvisato dall'angelo, oggi a Goito (Soprani-Ratti, 1768, p. 234; Marinelli, 1988).
Sul finire del quarto decennio del secolo la sua fama era al culmine, come dimostra anche il Capricio poetico di C. Filippi (forse pseudonimo di L. Assarino), pubblicato a Milano nel 1640; in questo componimento si ricordano alcuni dipinti oggi irreperibili: fra essi una Cleopatra morente commissionata da F. M. Balbi e un Ero e Leandro eseguito per conto del re di Spagna Filippo IV e collocato al Buen Retiro. Evidentemente i suoi solidi legami con l'ala "repubblichista" dell'aristocrazia genovese, guardata con sospetto dai rappresentanti di Madrid, non gli impedivano l'accesso alle più lusinghiere commissioni per la monarchia spagnola, come dimostra altresì un documento del 27 luglio 1649 (cfr. D. F., 1990, p. 250), nel quale si registra il pagamento di ben 2.704 lire per aver dipinto e dorato "fiamulas gallardetes estandartes de damasco para la galera real".
Dal 1644 in avanti si intensificò la sua attività - iniziata nel 1634 - come fornitore di "invenzioni" per gli incisori incaricati di realizzare le antiporte di testi di varia natura (Leggi delle compere di S. Giorgio, Genova, Pavoni, 1634; G. A. Alberto, Il sole ligure nella casa Lercara, ibid., Calenzani, 1644; F. Federici, Della famiglia Fiesca, ibid., Faroni, [1646]; G. B. Veneroso, Il genio ligure risvegliato, ibid., Peri, 1650; Statuta criminalia Serenissimae Reipublicae Ianuensis, ibid., Guaschi, 1653; L. Assarino, Giuochi di fortuna..., Venezia, Giunti, 1655; A. Aprosio, La grillaia, Napoli, De Bonis, 1668).
Dal 1640 in poi la sua bottega diventò un punto di riferimento imprescindibile per i giovani genovesi che intendevano dedicarsi alla pittura: vi transitarono Valerio Castello e poi Gregorio De Ferrari; vi soggiornarono molti allievi, fra i quali spicca G.B. Casoni, il quale, nei primi anni del quinto decennio, fungeva da vero e proprio alter ego del F. e che rimase fino alla fine molto legato al Fiasella. Dal 1637 in poi è documentata un'intensa attività del F. come mercante d'arte, sia in proprio che per conto terzi, o come perito nella valutazione delle collezioni (cfr. D. F., 1990, pp. 249-252).
Il 12 ag. 1653 dettò il suo testamento, al quale aggiunse codicilli nel 1660, nel 1665 e nel 1668 (ibid., pp. 251-254); con esso nominò eredi universali le figlie Maria e Margherita (disposizione modificata nel 1660 a favore del nipote Giovanni Battista) ed istituì legati a favore della seconda - o terza - moglie Lucrezia Borsotto e della sorella monaca Deodata.
Quest'ultima faceva parte della comunità conventuale delle clarisse di Sarzana, per la cui chiesa il F. aveva dipinto nel 1648 una Vestizione di s. Chiara, firmata, oggi nella chiesa sarzanese di S. Andrea, nella quale compare un suo autoritratto.
I legami del F. con la città natale, del resto, non si interruppero mai: il 26 sett. 1653 i protettori dell'Opera di S. Maria deliberarono, in sua presenza, di incaricarlo dell'esecuzione di due lunettoni su tela raffiguranti la Strage degli innocenti e S. Andrea condotto al martirio, da collocarsi nella cappella delle Reliquie della cattedrale (i dipinti, consegnati due anni dopo, sono tuttora in loco). In quegli stessi anni lavorò assiduamente per Carlo I Cibo Malaspina e per il suo erede Alberico II; a quest'ultimo scrisse l'11 marzo 1662 per comunicargli l'intenzione di accompagnare di persona i due quadri eseguiti per la chiesa massese delle clarisse; uno di questi è la Predica di s. Antonio da Padova ai pesci (tuttora nella chiesa di destinazione; Sforza, 1896). Nel 1667 firmò e datò l'ultimo dipinto che di lui si conosca: si tratta della S. Chiara che mette in fuga i Saraceni, già nel convento genovese di S. Leonardo ed oggi nella parrocchiale di Montoggio.
Morì a Genova il 19 ott. 1669.
Alle opere già ricordate occorre aggiungere almeno la Cena in casa del fariseo (Genova, Galleria di palazzo reale) e la Fuga in Egitto (Bob Jones University, Greenville, South Carolina), riferibili agli anni romani; la Barca di s. Pietro (Sestri Ponente, S. Maria Assunta), la Visitazione (Sarzana, cattedrale) e l'affresco raffigurante Sansone che stermina i Filistei (Genova, palazzo De Franchi), significativi della prima maturità. Si rimanda alla monografia di P. Donati del 1974 e al catal. del 1990 per l'elenco delle opere, numerosissime, delle quali alcune firmate, conservate per la maggior parte in chiese o altri edifici della Liguria.
Ancora incerti i contorni della sua attività di ritrattista, pur lodata dalle fonti; elevata la qualità del non vasto corpus grafico, studiato di recente dalla Galassi (in D. F., 1990, pp. 203-222); notevoli, in particolare, i disegni preparatori per il ciclo Lomellini.
Giovanni Battista, figlio del fratello del F., Giovanni Antonio, è ricordato dal Soprani (1674, pp. 252 s.) fra gli allievi meno brillanti del F., tanto che, constatata l'impossibilità di farne un pittore di sicuro avvenire, questi lo rimandò a Sarzana "con una debita assignatione". L'unica opera riferibile, in via ipotetica, alla sua mano è il Miracolo della mula (1650) della chiesa di S. Francesco di Sarzana. Dice il Soprani che morì "pochi mesi doppo il zio" (p. 253), lasciando la moglie e due bambini.
Fonti e Bibl.: R. Soprani, Le vite de' pittori, scoltori, et architetti genovesi..., Genova 1674, pp. 245-253; Id.-C. G. Ratti, Vite de' pittori, scultori ed architetti genovesi..., I, Genova 1768, pp. 224-239; A. Neri, Un quadro affatto ignoto di D. F., Sarzana 1876; G. Sforza, Il pittore sarzanese D. F. detto il Sarzana e la famiglia Cybo, in Giornale ligustico di archeologia, storia e belle arti, XXI (1896), pp. 415-428; R. Longhi, Ultimi studi sul Caravaggio e la sua cerchia, in Proporzioni, I (1943), pp. 31, 53 nn. 67 s.; V. Belloni, Pittura genovese del Seicento. Dal manierismo al barocco, Genova 1969, pp. 181-207; Pittori genovesi a Genova nel '600 e '700 (catal.), a cura di C. Marcenaro, Milano 1969, nn. 14-18; L. Alfonso, F. D., detto il Sarzana, in La Berio, gennaio-aprile 1971, pp. 38-44; P. Donati, D. F. "il Sarzana", Genova 1974; F. Bologna, in F. Bologna-V. Pacelli, Caravaggio, 1610: la "Sant'Orsola confitta dal tiranno" per Marcantonio Doria, in Prospettiva, 1980, 23, pp. 38-44; G. V. Castelnovi, La prima metà del Seicento: dall'Ansaldo a Orazio de' Ferrari, in La pittura a Genova e in Liguria, II, a cura di F. Boggero - F. Simonetti, Genova 1987, pp. 70-80 e ad Indicem; L. Magnani, Novus orbis emergat: iconografie colombiane per un arco trionfale, in Columbeis, III (1988), pp. 203-214; S. Marinelli, Mecenatismo e pittura nella Mantova dei Gonzaga Nevers, in Paragone, XXXIX (1988), 459-463, pp. 82 s.; Disegni genovesi dal XVI al XVIII secolo (catal.), a cura di M. Newcome Schleier, Firenze 1989, pp. 83-90; V. Belloni, D. F. (1589-1669) nel quarto centenario dalla nascita, in La storia dei Genovesi. Atti del Convegno di studi sui ceti dirigenti nelle istituzioni della Repubblica di Genova (1989), Genova 1990, pp. 139-154; D. F. (catal.), a cura di P. Donati, Genova 1990; G. Papi, Tre dipinti della fase giovanile di D. F., in Arte cristiana, 750, maggio-giugno 1992, pp. 199-208; A. Dagnino, in Genova nell'età barocca (catal., Genova), a cura di E. Gavazza - G. Rotondi Terminiello, Bologna 1992, pp. 183-186; Kunst in der Republik Genua, 1528-1815 (catal.), a cura di M. Newcome Sehleier, Frankfurt a.M. 1992, pp. 111 ss.; A. Drigo, Due tele del primo Seicento romano in una collezione triestina, in Arte in Friuli-Arte a Trieste, 1993, 12-13, pp. 143-148; P. Donati, Le storie di Ester, in Palazzo Lomellini Patrone, Genova 1995, pp. 46-99; U. Thieme-F. Becker, Künstlerlexikon, XI, pp. 527 s.