Fiaba
La fiaba è un racconto di avventure in cui domina il meraviglioso, tanto negli episodi come nei personaggi, e che ha di solito come protagonista un essere umano, nelle cui vicende intervengono spiriti benefici o malefici, demoni, streghe, fate. Rispetto alla favola, in cui in genere i protagonisti sono animali o esseri inanimati e il cui scopo è quello di comunicare una verità morale o un insegnamento di saggezza pratica, la fiaba ha carattere decisamente più fantastico ed è di norma priva di un fine morale. Gli studi d'impostazione psicoanalitica danno una lettura in chiave simbolica dei temi e delle figure della fiaba, sino a farne dei veri e propri archetipi.
Le fiabe presentano alcuni dati comuni e ricorrenti. Non sono collegate a luoghi geograficamente conosciuti o riconoscibili, ma introducono piuttosto siti che hanno connotazioni simili in ogni paese, ambienti naturali, quali boschi, foreste, fiumi, vallate e montagne. Il racconto prende spesso avvio in un luogo che dovrebbe essere rassicurante e familiare - la casa, il paese natio -, per poi spostare l'azione in una zona ostile o almeno ignota all'eroe, ove accadono fatti che non erano prevedibili all'inizio. Una costante di molte fiabe è dunque il viaggio (di scoperta, d'iniziazione). Inoltre, il tempo della storia, grammaticalmente affidato all'indicativo imperfetto, non è mai determinato. Le fiabe classiche sottolineano infatti la loro voluta vaghezza temporale e spaziale sin dal demarcatore d'inizio: 'C'era una volta ...', 'Al tempo in cui gli animali parlavano ...', 'In un paese lontano lontano ...'. Dati questi elementi comuni di fondo, è facile comprendere come le fiabe si prestino a varie interpretazioni di ordine psicologico, ognuna delle quali presenta lati suggestivi. Le ipotesi più seducenti concernono sia i contenuti dei racconti, sia la loro stessa origine, sia, naturalmente, i luoghi e i personaggi, le cui caratteristiche peculiari si adattano bene a essere lette in chiave simbolica. Per quanto concerne l'origine, gli studiosi della letteratura favolistica si sono divisi da tempo tra sostenitori della poligenesi delle fiabe (i testi si somigliano, perché le storie narrate sono comuni a tutti i popoli e sono nate da esigenze simili) e fautori di una visione monogenetica, oggi meno accettata, secondo la quale le fiabe si sarebbero sviluppate di preferenza in certi luoghi, e di qui trasferite ad altre popolazioni.
La teoria junghiana avvalora la tesi secondo cui le fiabe, come altri prodotti della mente umana, quali i sogni, i miti, le credenze, sarebbero parte dell'inconscio collettivo e apparterrebbero all'umanità intera, in quanto create dalla psiche, al pari di altri archetipi o immagini primordiali, in un eterno susseguirsi, indipendentemente dai luoghi e dal tempo.
Si tratterebbe, quindi, di creazioni universali che si ritrovano dappertutto pur con certe varianti. Inoltre, in ogni fiaba che non sia letta nella sua forma scritta, qualsiasi narratore tende ad aggiungere od omettere qualcosa di proprio, contribuendo così a elaborare ogni volta una nuova, personale narrazione di una storia appartenente a un lontanissimo passato. Al tempo stesso, si può dire che la fiaba risponda a un'intima esigenza della psiche: narrare o ascoltare storie affascina, diverte, stimola la creatività individuale e collettiva. E, secondo varie scuole di psicologia, può anche avere una funzione psicoterapeutica. Quest'ultima concezione, per altro, non è un'invenzione del 20° secolo: già nell'antica medicina indù veniva praticata una simile forma di 'cura dell'anima'. Le persone con problemi di ordine psichico si rivolgevano a un guaritore riconosciuto, e questi sceglieva dal proprio repertorio di fiabe (ricco di centinaia di storie imparate a memoria) quella che gli pareva più adatta alle circostanze e ai problemi del richiedente: la meditazione su tale storia avrebbe aiutato il 'paziente' a superare i propri disturbi e conflitti emotivi. La stessa fiaba-cardine delle Mille e una notte, quella della bella Sharazad che per mille e una notte di seguito racconta una storia al suo re, Shahriyar, sofferente per una grave depressione, può essere interpretata come un efficace modello di psicoterapia. Infatti, dopo tre anni circa - mille notti - il sovrano riacquista l'equilibrio mentale (Bettelheim 1976; Giani Gallino 1987).
Questa prospettiva sposta il centro del discorso sui contenuti e sui personaggi presenti nella fiaba. Già S. Freud aveva rilevato l'importanza che le fiabe avevano nella vita dei bambini e come, crescendo, proprio gli avvenimenti in esse narrati venissero a sostituire nell'adulto certe memorie d'infanzia, assumendo talvolta il ruolo di ricordi di copertura (Freud 1913a). Freud (1913b) aveva anche sottolineato che certe fiabe apparentemente semplici nascondevano motivi simbolici, i quali richiedevano un'adeguata interpretazione psicologica o psicoanalitica. Anche O. Rank (1909) ha riportato i contenuti di alcune fiabe, per es. Cappuccetto Rosso, alla sua teoria del trauma della nascita. Al contrario, la fiaba Hänsel e Gretel, secondo questo autore, riprendeva piuttosto, da un lato, il motivo della primitiva madre cattiva (la strega), dall'altro, la simbologia del ventre materno che accoglie e nutre durante la gravidanza. Infine, altri racconti in cui compariva la figura del 'principe azzurro' sembrano a Rank maggiormente connessi a successive fasi di crescita e di maturazione: quelle dell'adolescenza e della vita amorosa; così la liberazione della principessa da parte del principe era da intendersi, per es., come una nuova nascita dell'eroe (Rank 1924).
Già si è detto come C.G. Jung abbia interpretato la fiaba quale prodotto dell'inconscio collettivo e come luogo privilegiato degli archetipi, per cui nei miti e nelle fiabe, come nel sogno, l'anima 'testimonia di sé stessa' (Jung 1946). Certe figure o personaggi che s'incontrano nelle fiabe, o anche in un sogno fatto dal protagonista, sono da intendersi quali personificazioni di determinate cognizioni che il giovane eroe non possiede ancora. Per es., il 'vecchio saggio', portatore d'aiuto e consiglio, che compare in un momento di difficoltà e si offre come guida al protagonista, è un archetipo che rappresenta sia la saggezza e la prudenza, sia qualità morali come benevolenza e sollecitudine. Lo stesso si può dire dei contenuti: l'intera trama e anche solo parti di essa celano significati simbolici, che Jung ha individuato in varie narrazioni. I suoi studi sugli archetipi presenti nelle fiabe dei fratelli Grimm, per es. Lo spirito nella bottiglia (Jung 1954), sono poi stati ulteriormente approfonditi da M.L. von Franz (1970, 1972). Infine, gli stessi 'luoghi' possono prefigurare modelli archetipici, come la foresta che trasmette la paura di perdersi, il castello incantato in cui si può rimanere prigionieri, il fiume o il ponte che rappresentano simbolicamente un passaggio verso l'Altrove.
Lo studioso che ha dato i maggiori contributi a un'interpretazione psicoanalitica della fiaba, e persino a un suo rilancio dopo un periodo di relativo rifiuto, è stato B. Bettelheim (1976). Secondo questo autore, il compito più importante che si pone a chi alleva un bambino è quello di aiutarlo a trovare un significato alla vita, trascendendo i confini piuttosto angusti di un'esistenza egocentrica. La fiaba popolare, come pure il racconto di fate, offrono un contributo essenziale in quest'ambito, a differenza della moderna letteratura infantile che, sempre a suo parere, manca di stimolare le risorse di cui un bimbo ha più bisogno per affrontare i suoi difficili problemi interiori. Le fiabe toccano tutti gli aspetti della personalità in formazione e, in particolare, offrono nuove dimensioni all'immaginazione. è importante sottolineare che il contributo di Bettelheim all'analisi delle fiabe è avvenuto in un periodo in cui si riteneva che esse non avessero più alcun significato in una moderna società di massa, e che trasmettessero anzi modelli superati e negativi. Molti genitori rifiutavano le fiabe in quanto, a loro avviso, inducevano troppo alla fantasticheria, trascurando le realtà della vita quotidiana. Oppure temevano che i bambini piccoli fossero spaventati da certi personaggi, come le streghe, i lupi cattivi, i mostri o i draghi. Altrettanto inaccettabile appariva l'immagine femminile stereotipa, convenzionale e sfavorevole alla donna vera, troppo abusata nella favolistica tradizionale.
L'interpretazione di Bettelheim ha condotto invece a comprendere come, anche se è importante raccontare ai fanciulli storie realistiche e contemporanee, non debbano essere trascurate le fiabe, le quali contengono messaggi nascosti che parlano all'inconscio del bambino e contribuiscono a fargli superare i problemi di crescita: il bisogno di essere amati o la paura di non essere considerati, l'amore della vita e la paura inconscia della morte, o quei conflitti profondi che traggono origine dai nostri impulsi primitivi e da violente emozioni interiori. Tutte sensazioni presenti, ma difficilmente esprimibili, che agiscono in noi a nostra stessa insaputa e creano angosce di cui non si conosce la genesi. È comunque opportuno rilevare che il riferimento esplicito e ripetuto ai bambini non deve far ritenere che l'importanza delle fiabe riguardi soltanto il periodo infantile. Nell'ottica psicologica, l'infanzia è attualmente considerata la fase di gran lunga più importante per la formazione della personalità umana e per ogni successivo sviluppo cognitivo, creativo e socioemotivo. Le carenze o gli errori psicologici, come le esperienze negative riguardanti i primi anni di vita, saranno molto difficili da compensare o rimediare nell'età adulta. Per questo motivo, nella visione di Bettelheim, condivisa peraltro nelle sue linee essenziali da vari studiosi, la conoscenza delle fiabe (avvenuta o mancata) in età infantile avrà ripercussioni importanti nel successivo arco di vita. Mentre ascolta la fiaba il bambino, cioè l'individuo in sviluppo, acquisisce delle idee sul modo in cui dare un ordine a quel caos primigenio che è il suo mondo interiore, arriva a comprendere certi universali che fanno parte dell'ambiente esterno, ad accettarne i principi di fondo e a stabilire priorità e categorie. Naturalmente, per ottenere simili risultati non sarà sufficiente una sola fiaba, ma bisognerà conoscerne molte, anche se ognuno potrà poi identificarsi, in particolare, in un certo personaggio, in una situazione, presenti in una determinata e singola storia. In quest'ottica, personaggi, luoghi e situazioni fiabesche possono persino essere utilizzati come test proiettivi (Giani Gallino 1981).
Più recentemente, con il crescere della sensibilità per gli aspetti psicologici e l'estendersi dell'interpretazione simbolica, certe fiabe sono state lette come metafore di particolari comportamenti, condizioni di vita, malattie della psiche. Così, per es., una fiaba della raccolta dei fratelli Grimm (1812-22), Pierino Porcospino (o Gian Porcospino), può essere ricondotta emblematicamente al problema del bambino che nasce con un handicap o malformazione fisica, che lui e la sua famiglia dovranno affrontare. Cappuccetto Rosso e Pelle d'asino, che si ritrovano già nei Racconti di Mamma Oca di Ch. Perrault (1697), ci riportano al grave problema dell'abuso dei minori, della violenza sessuale sui bambini e dell'incesto. Mentre altre fiabe conosciutissime, come per es. Hänsel e Gretel o La Bella Addormentata nel bosco, oppure altre storie nelle quali il cibo o il rifiuto del cibo (o il venir meno dell'alimentazione) rivestono una certa importanza, sono state collegate da più autori alla problematica molto attuale dell'anoressia mentale e della bulimia.
A tale proposito, occorre sottolineare che nelle fiabe di magia il corpo assume spesso un suo ruolo specifico. E anche questo è un elemento da interpretare in chiave psicologica, soprattutto in rapporto all'infanzia e alla preadolescenza. Si tratta infatti di due fasi della vita durante le quali non solo il corpo subisce profonde e rapide trasformazioni, ma si desidera uscire presto da una condizione di 'piccolezza', intesa anche come inferiorità e dipendenza dagli adulti, per diventare 'grandi' e avere più potere, su sé stessi e sugli altri. Non a caso, questi aspetti si ritrovano comunemente nelle fiabe e, ancora una volta, possono essere letti in termini simbolici. Si pensi, per es., al rilievo che assumono le 'trasformazioni per incantesimo' o per magia nei racconti di fate, e che trovano la loro lontana origine nel romanzo 'iniziatico' di Apuleio (2° secolo d.C.), l'Asino d'oro e, ancora prima, nei miti greci. Così, a causa di un sortilegio, il bel principe può essere trasformato in un ranocchio, o in un animale mostruoso e ripugnante; oppure i corpi dei protagonisti possono ingrandirsi a dismisura, o divenire piccoli piccoli; in altri casi ancora, un corpo può venire inghiottito, o scomparire per ricomparire altrove. L'immaginario e il meraviglioso non hanno limiti, né psichici né fisici.
B. Bettelheim, The uses of enchantment. The meaning and importance of fairy tales, New York, Knopf, 1976 (trad. it. Il mondo incantato, Milano, Feltrinelli, 1977).
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T. Giani Gallino, La famiglia in versione fiabesca, "Psicologia contemporanea", 1981, 47, pp. 2-7.
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C.J. Jung, Über die Archetypen des kollektiven Unbewussten, "Eranos-Jahrbuch 1934", 1935 (riveduto in Von den Wurzeln des Bewusstseins. Studien über den Archetypus, Zurich, Rascher, 1954; trad. it. in Id., Opere, 9° vol., Torino, Boringhieri, 1977).
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