FETO
(XV, p. 172)
Chirurgia fetale. - Le moderne acquisizioni in tema di fisiopatologia feto-neonatale, di teratologia, di genetica e la disponibilità sia di sofisticate tecniche diagnostiche intrauterine sia di metodologie operatorie fini e ormai sperimentate su diversi modelli animali (microchirurgia, laser a bassa energia-Nd-YAG o CO2), hanno condotto, in tempi recenti, alla nascita e allo sviluppo di una disciplina nuova: la chirurgia fetale.
La salute del cosiddetto unborn child da sempre ha destato interesse e timore etico, come già riportato dalla medicina antica (Celso e Ippocrate) e come applicato dalla cosiddetta lex Romanis (30 a.C.), che stabiliva il diritto giuridico alla nascita di quei f. altrimenti racchiusi per sempre nel grembo di madri decedute durante la gravidanza. Tuttavia di primi interventi chirurgici condotti sul f. si può parlare a partire dai primi anni Sessanta, quando A. W. Liley poteva dimostrare che un'emotrasfusione percutanea intraperitoneale curava con successo l'idrope secondaria a un'isoimmunizzazione Rh. Ciò che sino allora era ritenuto impossibile era quindi divenuto attualità terapeutica, reale quanto utile per la vita di quel f. che in seguito veniva accostato per l'esame del cariotipo (1966), per la diagnosi di alcuni dismetabolismi (1968) e per il dosaggio di parametri (alfa-fetoproteine) essenziali nella diagnostica di alcune neuropatie congenite (1972).
Negli anni Settanta, l'introduzione clinica della fetoscopia consentiva di effettuare biopsie cutanee mirate; contemporaneamente facevano la loro comparsa i primi tentativi di cefalocentesi in f. idrocefalici di 24÷26 settimane (1978). Ma la reale novità di questi anni e di quelli successivi è rappresentata dall'ecografia prenatale, prima gray scale e poi real time, che nel 1982 consentiva al gruppo danese guidato da J. Bang di effettuare la prima emotrasfusione guidata direttamente nel tratto epatico della vena fetale ombelicale.
L'ecografia considerava essenzialmente due gruppi di anomalie: quelle dovute a incompleta formazione e chiusura dei tessuti embrionali (gastroschisi, onfalocele, ernia diaframmatica, spina bifida) e quelle conseguenti a fenomeni ostruttivi (idrocefalo, idroureteronefrosimegavescica, atresia intestinale). L'interesse più immediato era rivolto al drenaggio di queste raccolte fluide intrauterine e pertanto compaiono i primi interventi di derivazione (shunt) ventricolo-amniotica per idrocefalo e alcune manovre di decompressione per uropatia ostruttiva fetale: drenaggio vescico-amniotico, nefrostomie bilaterali (1982, 1983). Più recentemente, l'ecografia si è indissolubilmente legata alla diagnosi prenatale delle malformazioni congenite organiche (v. anche genetica medica: Diagnosi prenatale, in questa Appendice) e con essa allo studio di quelle raccolte liquide intra-extra fetali che, spesso, ne costituiscono la spia (idrope, idrotorace, polidramnios e altre).
Appare peraltro evidente che quelle patologie neonatali ben conosciute e descritte presentano generalmente una prognosi tanto peggiore quanto più precoce è stata la loro diagnosi intrauterina. Pertanto, il tempo d'intervento, la necessità di procedere a una considerazione caso per caso, di scegliere criteri guida nella selezione delle unità materno-fetali su cui intervenire e i problemi, non secondari, legati alla morbilità materna e ai costi e all'organizzazione, costituiscono attualmente i principali temi di discussione in ambito di chirurgia fetale, senz'altro preminenti rispetto ai temi puramente tecnici.
Il chirurgo fetale cerca infatti di comprendere se la terapia intrauterina ha maggior successo di un intervento neonatale e se il suo apporto è valido nel diminuire un ritardo terapeutico altrimenti deleterio per la maturazione dei principali apparati: tra di essi, quelli cerebrale, renale e respiratorio sono particolarmente compromessi da alcune patologie oggetto di una diagnosi prenatale ecografica precoce, come l'idrocefalo, le uropatie ostruttive e l'ernia diaframmatica congenita.
Idrocefalo congenito (ventricolomegalia). − È più comunemente causato da una stenosi dell'acquedotto di Silvio, secondaria a un processo di atresia, imperforazione o di forking: quest'ultimo termine identifica un tipo particolare di atresia acqueduttale, in cui l'unica comunicazione tra il 3° e il 4° ventricolo è rappresentata da multipli e minuscoli condotti bifidi (forked channels). È attualmente stabilito che i candidati per uno shunt ventricoloamniotico intrauterino debbono rispondere ai seguenti criteri: ventricolomegalia progressiva e diminuzione dello spessore del mantello cerebrale; immaturità importante per un parto e per una susseguente correzione post-natale; nessuna grave anomalia associata; cariotipo non patologico; prove virologiche negative; immaturità polmonare. Gli studi controllati che rispondono a questi requisiti hanno dimostrato che uno shunt intrauterino (solitamente di Silastic e con valvola unidirezionale) può salvare la vita di f. che altrimenti decederebbero precocemente; tuttavia riulta elevato il rischio di un handicap neurologico grave permanente (presente nel 50% dei casi secondo i dati dell'International Fetal Surgery Registry). Complessivamente, nonostante gli sforzi tesi a evitare una dislocazione dello shunt (uso di valvole protesiche suturate alla galea aponeurotica e capaci di aprirsi a una pressione liquorale eccedente i 60 cm H2O), il beneficio apparente di questa tecnica è assai lieve e la catamnesi ancora immatura per giudizi definitivi.
Uropatie ostruttive fetali. - Sono più comunemente causate dalla persistenza di valvole dell'uretra posteriore. Tuttavia, un'idronefrosi fetale può conseguire ad altre uropatie, ivi comprese le stenosi del giunto pieloureterale, i reflussi vescicoureterali, le ostruzioni del collo vescicale, le atresie uretrali e la sindrome di Prune-Belly. I criteri di selezione dei pazienti ammessi a un trattamento urologico decompressivo intrauterino sono i seguenti: epoca gestazionale inferiore alla 32a settimana; ostruzione bilaterale con segni ecografici (aspetti renali cistici) e biochimici (dosaggio del cloro, sodio e dell'osmolarità delle urine fetali) indicanti una nefropatia progressiva. Ricordiamo a tale proposito che le urine del f. sono costituite da un ultrafiltrato sierico, reso ipotonico per effetto di un riassorbimento tubulare selettivo di ioni sodio e cloro che rende costante la composizione idroelettrolitica delle urine fino al termine della gravidanza. Pertanto, quei f. che hanno urine isotoniche presentano sempre una displasia renale severa, per effetto di una compromissione postostruttiva delle funzioni glomerulo-tubulari e conseguente incapacità di riassorbimento di ioni sodio e cloro. Sulla base di questi meccanismi fisiopatologici, vengono considerati criteri prognostici negativi i seguenti parametri biochimici urinari: sodiuria superiore a 100 mEq/mL; calciuria superiore a 90 mEq/mL; osmolarità superiore a 210 mosm; filtrazione inferiore ai 2 ml/ora; oligoidramnios: ricordiamo che dal momento che la produzione di urine costituisce il maggior apporto fetale alla costituzione del liquido amniotico, un'uropatia ostruttiva per definizione è associata a una riduzione più o meno marcata di fluido; cariotipo non patologico; anomalie associate non gravi. Nonostante queste indicazioni all'intervento chirurgico fetale, alcuni autori hanno evidenziato una prognosi non buona in caso di aspetto renale-cistico globale bilaterale, di oligoidramnios severo e di valori di osmolarità urinaria superiori ai 210 mOsm, anche in caso di decompressione così precoce.
La ragione fondamentale per un intervento di chirurgia fetale nel caso di uropatie ostruttive consiste nel prevenire la progressione dei danni nefropolmonari, riducendo contemporaneamente la natimortalità, attribuibile per il 90% a un'ipoplasia polmonare. Pertanto, il compito essenziale di un intervento intrauterino è quello di migliorare la funzionalità renale e di aumentare il volume di liquido amniotico, fino a consentire un normale sviluppo polmonare. Il posizionamento percutaneo ecoguidato di uno shunt vescico-amniotico è gravato da un minimo rischio materno e da una mortalità del 4÷5%. La tecnica non presenta complicanze, che possono però intervenire durante il funzionamento dello shunt: occlusioni da inginocchiamento o da tappi di detriti cellulari (13%), dislocazioni osservabili durante l'accrescimento del f. e causa di travaglio prematuro (12%), ascite urinosa (8%), corioamnionite (7%). Meno frequentemente si possono verificare perforazioni intestinali ed emorragie placentari. Altre metodiche analizzate per la decompressione delle vie urinarie fetali sono l'ureterostomia percutanea, la vescicostomia e le aspirazioni ripetute vescicali e renali.
Studi sperimentali condotti sulla pecora dimostrano che una decompressione intrauterina è responsabile di un arresto del processo involutivo e anzi renderebbe reversibili gli aspetti displastici renali. Meno rigorose, anzi talora solo ipotetiche, sono le considerazioni inerenti il rapporto tra decompressione intrauterina e cambiamenti della funzionalità polmonare: ciò è da ricondurre alla mancanza di segni bioumorali prognostici nei confronti dell'attività respiratoria, che è propria della vita neonatale ma non appare nel feto. Attualmente, tra il candidato a una chirurgia intrauterina (f. con oligoidramnios e displasia renale bilaterale accertata) e quello che certamente non richiede una terapia fetale (modica ostruzione mono-bilaterale e normale volume di liquido amniotico) esistono numerose situazioni intermedie. La scelta accurata dei criteri di selezione per una chirurgia fetale e uno studio (trial) randomizzato che confronti la sopravvivenza di f. con uropatia ostruttiva e oligoidramnios (classe di pazienti a maggior rischio) sottoposti o no a shunt intrauterino dovranno essere oggetto d'indagine nei prossimi anni.
Ernia diaframmatica congenita. - È più probabilmente conseguenza di un anomalo sviluppo delle membrane pleuroperitoneali o di un prematuro ritorno intestinale nella cavità addominale (attraverso l'ernia ombelicale fisiologica) quando il canale pleuroperitoneale è ancora pervio. Tale evento embriologico è conseguenza di una diversa rapidità di accrescimento dell'ansa intestinale primitiva (''intestino medio'') e della cavità addominale che a partire dalla 6a settimana di vita intrauterina diviene temporaneamente inadatta per volume a contenere completamente le circonvoluzioni intestinali. Pertanto queste ultime trovano spazio nel celoma extraembrionale, che raggiungono attraverso il cordone ombelicale. Si realizza in tal modo un'ernia ombelicale fisiologica che si riduce spontaneamente durante la 10a settimana di vita intrauterina. Se tale evento si completa precocemente, può ostacolare la formazione dell'emidiaframma sinistro, la cui chiusura è più tardiva rispetto al controlaterale. Ciò può spiegare la maggiore frequenza con cui le ernie diaframmatiche posterolaterali, di Bochdalek, compaiono da questo lato.
Le altre teorie che sono state proposte per motivare la comparsa di un'ernia diaframmatica congenita comprendono: un'incompleta migrazione mioblastica (muscolarizzazione tardiva); l'eccessiva azione di spinta esercitata dagli organi endoperitoneali sui forami di Bochdalek (aree deboli del diaframma in via di sviluppo); l'anormale ed eccessiva persistenza di tessuto polmonare all'interno dei canali pleuroperitoneali nel periodo della loro chiusura; un anormale sviluppo dell'abbozzo polmonare e del mesenchima epatico. In rari casi la precoce sequestrazione di gemme polmonari intrao iuxta-diaframmatiche spiega la persistenza di forami di Bochdalek pervi (per incompleta muscolarizzazione) e quindi l'insorgenza di ernie diaframmatiche associate a un sequestro polmonare extralobare.
Il paziente per il quale è richiesto un intervento di chirurgia fetale è rappresentato dal f. ad alto rischio, che possieda le seguenti caratteristiche: ernia diaframmatica isolata, contenente stomaco e intestino; marcato spostamento dell'asse mediastinico ed elevata riduzione del quoziente polmone/torace; polidramnios; diagnosi ecografica antecedente alla 28a settimana di vita intrauterina; mancanza di anomalie congenite associate; cariotipo normale. Le manovre preoperatorie comprendono una premedicazione con indometacina e l'anestesia generale inalatoria (con alotano). L'esposizione dell'utero avviene previa laparatomia trasversa bassa; susseguentemente si preserva il liquido amniotico aspirato e si esegue un'ecografia intraoperatoria con strumentario sterile per individuare la placenta e quindi decidere la sede dell'isterotomia (di preferenza posteriore e condotta per circa 4 cm). L'isterotomia non deve essere troppo vicina alla placenta poiché durante la chiusura chirurgica è molto difficile includere le membrane nella sutura, con rischio di notevoli perdite successive di liquido amniotico. Intraoperatoriamente sono essenziali il monitoraggio ossimetrico e cardiologico del f. e una profilassi antibiotica (v. fig. a sinistra). Nel periodo postoperatorio il monitoraggio della tocolisi rappresenta uno dei problemi più difficili, data l'irritabilità uterina postisterotomia. L'intervento, che può essere eseguito anche in f. di 19 settimane, viene tuttavia considerato meno a rischio se viene eseguito tra la 22a e la 30a settimana di gravidanza, poiché a quest'epoca i tessuti fetali sono più maturi. Attraverso l'isterotomia viene esposto dapprima il braccio e poi l'emitorace sinistro. Quindi si esegue un'incisione sottocostale e si riducono i visceri erniati: si ripara primariamente o con interposizione di un patch di teflon la breccia diaframmatica. La cavità pleurica omolaterale viene quindi riempita con una soluzione salina tiepida di Ringer-lattato. Si esegue poi un'addominoplastica di ampliamento con P.T.F.E. (politetrafluoroetilene espanso): questa protesi viene rimossa in seguito, verso la fine della 2a settimana postoperatoria (v. fig. a destra). Tutte le manovre chirurgiche devono essere caute per non compromettere il flusso ematico ombelicale. La sintesi uterina viene quindi eseguita con suturatrici automatiche e agraffes riassorbibili.
Come dimostrato negli animali da esperimento (pecora e macaco rhesus), il polmone fetale risponde rapidamente dopo la decompressione, ponendo i presupposti per la risoluzione di un'ipoplasia polmonare che altrimenti sarebbe progressivamente fatale; conseguentemente, anche la vasculopatia polmonare responsabile della persistenza di una circolazione fetale appare reversibile. Questi sono i presupposti. Se saranno mantenuti, solo le evoluzioni future potranno confermarlo, dato che la fase di applicazione clinica di questa tecnica di chirurgia fetale è assai giovane (M. R. Harrison e colleghi, 1989-90).
Altre indicazioni alla chirurgia fetale. - Ulteriori applicazioni delle tecniche operatorie intrauterine sono costituite dall'evacuazione di voluminose raccolte ascitiche (di natura urinosa, biliare, pancreatica, post-infettiva) o pleuriche (idrotorace, chilotorace). La fetoscopia ecoguidata consente aspirazioni ripetute oppure, ove necessario, il posizionamento di shunt: questi sono cateteri a doppia spirale, di nylon, radiopachi, dotati di estremità con fori multipli, che vengono inseriti sulla guida di una cannula posizionata per via transaddominale e transamniotica e poi rimossa. La manovra corretta è quella che consente di porre le due estremità del catetere rispettivamente in sede endoamniotica e in sede endotoracica o endoaddominale. Tutte queste manovre intrauterine hanno il duplice scopo d'impedire la compressione diretta su organi parenchimatosi (conseguente ipoplasia) e su visceri cavi: un'ostruzione cavale o una compressione cardiaca rappresentano infatti la causa principale dell'elevata mortalità perinatale nei f. affetti da idrotorace complicato da idrope (60%). Un'ulteriore applicazione di tecniche decompressive intrauterine comprende l'aspirazione di cisti ovariche voluminose (diametro superiore a 6 cm) talora responsabili di segni fetali d'insufficienza cardiocircolatoria, di cui l'ascite e l'aumento del diametro del cordone ombelicale sono una spia.
Un cenno a parte merita il trattamento intrauterino della malformazione adenomatoide cistica congenita polmonare (MACCP). Questa patologia d'incerta etiopatogenesi, amartomatosa congenita o secondaria a un'infezione intrauterina, come è stato proposto da studi più recenti, può essere associata, più spesso nella variante solida descritta come iii tipo da J. T. Stocker, a idrope fetale e ipoplasia polmonare. In questi casi, la MACCP è l'unico responsabile di un idrope non-immunitario, provocato da una grave compressione dei grossi vasi del mediastino e del cuore stesso. Una tempestiva lobectomia intrauterina è stata eseguita con successo da M. R. Harrison e coll., per una MACCP che aveva le ragguardevoli dimensioni di 6×4×2,5 cm in un f. alla 23a settimana di gravidanza.
Per concludere, sono in fase sperimentale gli innesti allogenici di tessuto osseo (macaco rhesus) feto-fetali e così pure l'utilizzo di paste ossee miste ad agar o ad altri substrati, che potrebbero colmare in utero i difetti scheletrici dei pazienti portatori di spina bifida. Ulteriori possibilità terapeutiche sono offerte dal trapianto fetale di cellule staminali per il trattamento di deficit enzimatici congeniti, di emoglobinopatie o di immunodeficienze.
In conclusione, bisogna sempre considerare che la chirurgia fetale per definizione opera sull'unità materno-fetale e che la madre è un ''paziente sano'', che è sottoposto a due tagli cesarei e sarà costretto a espletare un'eventuale gravidanza futura sempre nello stesso modo. I rischi operatori immediati a carico della madre sono rappresentati dalle emorragie, dall'amnionite, dalle infezioni, dalle trombosi venose profonde e dall'embolia polmonare. Tardivamente può comparire una rottura uterina, che conduce inevitabilmente a un parto prematuro e a un'isterectomia. I rischi operatori per il f. sono legati essenzialmente a emorragie, infezioni e ancora a un parto prematuro con l'eventuale exitus per immaturità (soprattutto polmonare). Pertanto, come è stato ben definito da K. C. Pringle, un intervento di chirurgia fetale selezionatissimo deve essere ''offerto'' alla gestante e non ''imposto'' e, soprattutto, la sua esecuzione deve avvenire solo dopo un'analisi accurata del rapporto reale rischio/beneficio, in modo che tale risulti favorevole a una migliore qualità e non solo a una maggiore quantità di vita futura.
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