FESTE LITURGICHE
Con l'espressione f. liturgiche si intende comunemente un complesso di solenni ricorrenze religiose andato codificandosi nel corso della storia della cristianità orientale. Articolate in f. fisse o mobili, in ragione della loro posizione all'interno dell'anno liturgico ortodosso, le f. liturgiche celebrano eventi salienti della vita di Gesù Cristo, della Vergine e della storia della Chiesa bizantina; periodi di preghiera e riti particolari precedenti (proeórtia) e successivi (meteórtia) la data esatta della celebrazione sottolineano la notevole importanza che viene attribuita a queste festività.In campo artistico, con la definizione f. liturgiche o con analoghi termini quali Grandi f. o Dodici f. (Dodekáorton) - dal numero complessivo di ricorrenze di cui generalmente, ma non imprescindibilmente, si compongono - si suole far riferimento a determinati programmi decorativi, svolti nei diversi media (pittura, scultura, arti applicate), in cui sono riunite singole rappresentazioni di fatti della vita di Cristo e della Vergine connessi in maniera più o meno esplicita con le maggiori festività dell'anno liturgico. Le ricorrenze che di norma compongono il ciclo sono: annunciazione, natività, presentazione al Tempio, battesimo, trasfigurazione, risurrezione di Lazzaro, ingresso a Gerusalemme, crocifissione, anastasi, ascensione, pentecoste e dormizione della Vergine; assai frequentemente si registrano all'interno di questo gruppo elisioni e sostituzioni con altre festività. Tanto la definizione del rapporto concreto che lega tra loro le singole immagini, quanto la comprensione del nesso intercorrente tra il complesso di raffigurazioni da un lato e l'interpretazione liturgico-simbolica dall'altro restano quindi materia di contendere.Le prime fonti sull'esistenza di un nucleo definito di f. liturgiche risalgono al sec. 8° ca.; infatti, anche se riferita all'età di Giustiniano, la notizia della donazione da parte di quell'imperatore di suppellettile aurea per le Dodici f., tramandata dalla Narratio de Sancta Sophia, sembrerebbe dipendere dall'epoca di compilazione (sec. 8°-9°) di questo fantastico racconto sulla costruzione della Santa Sofia di Costantinopoli. In un sermone sull'ascensione, erroneamente attribuito a Giovanni Crisostomo ma in realtà databile al sec. 8°, vengono enumerate sette f. di Cristo (natività, battesimo, pasqua, anastasi, ascensione, pentecoste, risurrezione dei morti) che sono rapportate dall'anonimo omileta ai giorni della creazione. Sempre nel sec. 8° Giovanni di Eubea elenca, in un'omelia sulla concezione della Vergine, dieci f. principali indicandone le affinità simboliche con il decalogo delle beatitudini e con il numero di lógoi nella preghiera del Signore. Con Gregorio di Corinto, grammatico bizantino attivo nel sec. 10° e autore di dodici epigrammi sulle f. conservati in un codice di Vienna (Öst. Nat. Bibl., theol. gr. 128; Hunger, 1982), comincia ad affermarsi il numero di f. liturgiche divenuto poi canonico: tra queste, oltre alle ricorrenze più frequentemente attestate, vengono citate la deposizione e l'incredulità di Tommaso. Ugualmente dodici sono le festività cui è dedicato un poemetto in versi giambici attribuito dubitativamente a Teodoro Prodromo (prima metà del sec. 12°) o a Giovanni Mauropode (sec. 11°), ripreso nel sec. 14° da Niceforo Callisto Xantopulo, mentre un caso isolato e non particolarmente rilevante è costituito dal Typikón del monastero del Pantokrator di Costantinopoli (sec. 12°), in cui sono enumerate disordinatamente diciotto f. liturgiche (méizonas).Tranne gli esempi più antichi tratti da contesti omiletici, negli altri casi risulta evidente la derivazione del tema poetico dalla conoscenza diretta di rappresentazioni figurate del ciclo delle f. liturgiche, come è ancora il caso per il carme di Manuele File su un'icona musiva con le Dodici f. (sec. 14°), oppure per la serie di epigrammi anonimi, conservati in due codici degli inizi del sec. 12° (Venezia, Bibl. Naz. Marciana, gr. Z. 507; Athos, Vatopedi, 36), che potevano eventualmente avere un vincolo materiale con l'opera d'arte, come commento o cartiglio correlato all'immagine (Hörandner, 1992).Un esplicito riferimento a opere d'arte oggi perdute è contenuto in alcune fonti di carattere storico o archivistico: come despotikái heortái - la definizione che con maggior frequenza ricorre nei testi bizantini per designare le f. liturgiche - sono infatti ricordate da Niceta Coniate (Thesauròs orthodoxías; Miller, 1866) le immagini sbalzate sulle placche d'argento che, fino al 1082, rivestivano le porte della chiesa della Theotokos di Chalkoprateia a Costantinopoli; diversi inventari (per es. l'inventario dei beni del monastero della Theotokos di Xylorgos, datato al 1142) e altri documenti monastici attestano altresì la presenza di singole icone o di epistili di iconostasi similmente decorati (Belting, 1990).Le fonti che trattano delle f. liturgiche, e che sono opera di grammatici come Gregorio di Corinto o di poeti di corte come Manuele File, non possono di certo essere lette come il riflesso, neppure indiretto, di dettami o convincimenti espressi dai sinodi o da altri organi ufficiali dell'autorità religiosa circa i criteri da seguire nell'allestimento di decorazioni figurate. È altresì evidente in tutti i casi che i singoli fatti cristologici non si uniformano all'ordine fissato dal calendario liturgico, bensì seguono naturalmente lo svolgersi della vita di Cristo secondo un criterio cronologico, enucleandone i momenti più significativi per la storia della redenzione umana: l'associazione del ciclo delle f. liturgiche a mero calendario illustrato dei momenti salienti dell'anno liturgico bizantino si dimostra pertanto fortemente riduttiva.L'osservazione delle prime rappresentazioni artistiche note di cicli compositi e organicamente intesi, relativi ai fatti principali della vita di Cristo, sembra confermare grosso modo il processo di formazione e di evoluzione che emerge dall'esame delle fonti: i primi manufatti artistici eventualmente identificabili come forme embrionali di f. liturgiche - in cui è ancora evidente la mancanza di uniformità nella selezione e nella disposizione delle scene - sono riconoscibili, secondo Weitzmann (Catalogue, 1972), in opere del sec. 10°, come alcuni avori (per es. Parigi, Louvre, trittico con Natività al centro, Ingresso a Gerusalemme e Anastasi nel pannello di sinistra, Ascensione disposta su due registri in quello di destra) e pitture da cavalletto (S. Caterina sul monte Sinai, Mus., tavola con Battesimo e Anastasi relativa a un trittico che in totale doveva comprendere otto scene). Sempre al sec. 10° Weitzmann riporta però tre placchette eburnee con l'Incredulità di Tommaso (Washington, Dumbarton Oaks Research Lib. and Coll.), Risurrezione di Lazzaro (Berlino, Mus. für spätantike und byzantinische Kunst) e Dormizione della Vergine (Houston, Mus. of Fine Arts), intorno alle quali lo studioso propone di ricomporre un dittico o un trittico comprendente un ciclo completo di Dodici feste.Sicuramente attribuibili al sec. 11° sono altre pitture su tavola del monastero sinaita, come un dittico nel quale, per linee orizzontali, si susseguono dodici scene in cui la Dormizione della Vergine - che solo in un secondo tempo trova uno spazio fisso nel ciclo - è sostituita dall'Apparizione alle pie donne o Cháirete (Sotiriu, Sotiriu, 1956-1958, I, figg. 39-41) e una tavola in cui la serie di f. liturgiche è preceduta dalla raffigurazione di Cristo in trono con la Vergine, s. Giovanni Battista, gli angeli e gli apostoli (ivi, figg. 57-61).La disomogeneità nel formato dei riquadri che separano le singole scene delle f. liturgiche in alcune tavole dipinte del sec. 11° viene comunemente intesa come prova indiretta della derivazione del ciclo da diversi prototipi miniati; sorprende pertanto che nell'ambito della miniatura si conosca un solo ciclo completo di f. liturgiche, contenuto non già in un lezionario - secondo alcuni studiosi la fonte originaria dei cicli cristologici (Weitzmann, 1950) - bensì in un salterio (Roma, BAV, Vat. gr. 752) datato al 1059, in cui la composizione, che consta di tredici scene, occupa tre pagine, con l'aggiunta delle Pie donne al sepolcro e la collocazione fuori sequenza della Risurrezione di Lazzaro (De Wald, 1942).In realtà risulta difficile stabilire la priorità di un medium artistico nella creazione del ciclo delle f. liturgiche; più che altro è evidente la predilezione per tale genere in talune classi di oggetti quali, nella pittura da cavalletto, le tavole dipinte e le travi d'epistilio delle iconostasi e, nell'intaglio, i pannelli singoli o composti di avorio e steatite, articolati in riquadri per ospitare le singole scene. Nel corso dei secc. 11° e 12° si moltiplicarono infatti gli esempi, tra i quali, per citare solo alcuni casi, le icone e gli epistili nel monastero di S. Caterina sul monte Sinai (Sotiriu, Sotiriu, 1956-1958, I, figg. 87-116; Weitzmann, 1984, figg. 1-14), i dittici eburnei del sec. 11° del Tesoro del Duomo di Milano e dell'Ermitage di San Pietroburgo (Goldschmidt, Weitzmann, 1934, nrr. 42, 122) e il rilievo in steatite del tesoro della cattedrale di Toledo, datato al sec. 12° (Kalavrezu-Maxeiner, 1985, nr. 52), in cui il ciclo delle f. liturgiche, pur nelle peculiarità di ciascuna compilazione, è sempre più chiaramente definito e riconoscibile. Nell'ambito degli smalti un esempio importante è costituito dalla serie di placche della zona superiore della Pala d'oro di Venezia, di probabile provenienza costantinopolitana.In età tardobizantina si susseguirono le attestazioni del ciclo delle f. liturgiche in pittura (Sotiriu, Sotiriu, 1956-1958, I, fig. 220; Weitzmann, 1984, figg. 15-17), nel mosaico portatile (Firenze, Mus. dell'Opera di S. Maria del Fiore, icona musiva a due valve del sec. 14°), nei rilievi in steatite (Athos, Vatopedi, sec. 14°: Baltimora, Walters Art Gall., sec. 14°-15°; Kalavrezu-Maxeiner, 1985, pp. 217-231).Per quanto riguarda la pittura monumentale, il discorso è più complesso: le fonti relative alle f. liturgiche descrivono assai spesso manufatti artistici mobili le cui figurazioni vengono definite con una ben determinata e circoscritta terminologia (heortái, despotikái heortái, méizonas) che, per converso, non è dato trovare nelle fonti riguardanti i programmi decorativi figurati degli edifici religiosi. È quindi lecito domandarsi se l'allargamento della definizione di f. liturgiche ai cicli pittorici monumentali dovesse apparire tanto ovvio al fedele bizantino quanto risulta esserlo agli esegeti moderni, i quali, sulla scia degli studi di Demus (1947), riconoscono nel complesso di rappresentazioni di fatti della vita di Cristo campite sulle pareti e sulle volte delle chiese bizantine il ciclo di f. liturgiche andato formandosi in età posticonoclasta e codificatosi compiutamente nel corso del sec. 11° con la decorazione dei grandi katholiká greci di Hosios Lukas, Nea Moni e Dafni. In realtà persino i programmi decorativi di questi tre grandi santuari si discostano da qualsiasi schema preordinato: a Hosios Lukas si annoverano infatti solo poche scene; a Nea Moni, dedicata alla Dormizione della Vergine, non compare proprio questa scena insieme all'Ascensione e alla Pentecoste; a Dafni sono inclusi nel ciclo alcuni episodi relativi alla vita della Vergine.In tutte le chiese medio o tardobizantine esiste un ciclo cristologico più o meno sviluppato in cui sono riprese le caratteristiche tipiche del ciclo delle f. liturgiche (selezione dei fatti più importanti della vita di Cristo, disposizione delle scene secondo una sequenza che ne faciliti la lettura cronologica), ma ciascuno di questi esempi si distingue per alcune particolarità, quali l'esclusione di eventi fondamentali, la loro collocazione in aree secondarie dell'edificio e l'inserimento nella sequenza narrativa di scene appartenenti a cicli particolari, come quelli della Passione (v. Cristo) e dell'Infanzia di Maria (v.). Secondo un recente studio di Kitzinger (1988), di tutti i cicli monumentali noti, solo quello della modesta chiesa cipriota della Panaghia Amasgu di Monagri (sec. 12°) corrisponde allo schema classico delle f. liturgiche.La grande maggioranza degli studiosi tende a imputare alle difficoltà imposte dall'articolazione spaziale delle chiese mediobizantine la mancanza di uniformità dei cicli narrativi rispetto a uno schema 'canonico' delle f. liturgiche: in realtà, di uno schema rigidamente fissato non si può parlare nemmeno per gli oggetti mobili, mentre la maggior libertà dei cicli monumentali può essere spiegata dalla più ampia gamma di possibilità compositive che proprio lo sviluppo spaziale dell'edificio religioso offriva, anche in ordine a determinate istanze, legate alla dedicazione della chiesa o all'intervento nell'ideazione del programma iconografico da parte della committenza, in primo luogo quella imperiale, come è evidente nel caso della decorazione della Cappella Palatina a Palermo (Kitzinger, 1989) e come è suggerito da una recente lettura del ciclo della Nea Moni sull'isola di Chio (Maguire, 1992).La composizione del ciclo narrativo avveniva infatti sulla base di un'ampia rosa di soggetti, comprendenti gli eventi più importanti della vita di Cristo, all'interno della quale l'iconografo con una certa libertà selezionava i temi che riteneva più adatti a tradurre in immagini il messaggio teologico: in questo modo il ciclo delle f. aveva un significato liturgico, non perché commemorasse le festività del calendario della Chiesa orientale, ma in quanto giocava un ruolo fondamentale nel rinnovarsi del sacrificio eucaristico. Questo aspetto è chiarito in particolare dalle illustrazioni del rotolo liturgico di Gerusalemme (Greek Orthodox Patriarchate, Lib., Staru 109), del sec. 11°, in cui sono contenute le preghiere che l'officiante recita durante la messa, dalla 'piccola entrata' fino al termine della celebrazione: molte delle miniature del rotolo corrispondono a scene delle f. liturgiche e la loro posizione rispetto al testo istituisce una serie di rimandi simbolici, dettati dal senso della preghiera o dalla fase della funzione nel corso della quale tale preghiera veniva letta (Grabar, 1954; Spieser, 1991).L'epitome della vita terrena di Cristo fornita dal ciclo delle f. liturgiche era quindi lo strumento più idoneo per illustrare compiutamente il programma di salvezza predisposto da Dio per l'umanità; la contemplazione della storia di Dio fattosi uomo e del suo sacrificio per la redenzione del genere umano offriva "i pioli della scala" per mezzo della quale il fedele poteva ascendere misticamente fino a Dio, come recita il citato carme di Manuele File sulle Dodici feste.Kitzinger (1988) ha riesaminato i cicli cristologici effigiati su un'articolata serie di manufatti di origine siropalestinese (le ampolle di Terra Santa dei secc. 6°-7°; il reliquiario dipinto del Sancta Sanctorum del sec. 6°, Roma, BAV, Mus. Sacro) o pertinenti ad altre aree (Palermo, Mus. Archeologico Regionale, anelli ottagonali con raffigurazioni religiose del sec. 7°; Sofia, Nat. archeologitcheski muz., croci pettorali con decorazioni a niello, probabilmente del sec. 9°) riconoscendovi le radici iconografiche da cui si sarebbe sviluppato il ciclo delle f. liturgiche mediobizantino.Tra le rievocazioni dei loca sancta nelle ampolle palestinesi e le raffigurazioni delle f. liturgiche nelle icone e negli avori mediobizantini le affinità sono in effetti notevoli: analoga attenzione al significato simbolico del numero di scene rappresentate, medesima compiutezza nella sintetica narrazione della vita di Cristo, stesso senso di esemplarità e di astrazione temporale nello svolgimento del ciclo, nonostante il rispetto dell'ordine cronologico nell'esposizione dei fatti. La forte connotazione apotropaica degli esempi citati da Kitzinger, quasi tutti relativi a oggetti di uso strettamente personale (anelli, bracciali, croci pettorali), solo in qualche caso però è riscontrabile, in egual misura, nei cicli di f. liturgiche mediobizantini; un esempio è offerto dalle miniature del citato salterio vaticano (Roma, BAV, Vat. gr. 752), nel quale le immagini accompagnano una preghiera con cui l'autore richiede la protezione divina per sé e per il possessore del libro (De Wald, 1942).Il concetto delle f. liturgiche come strumento per ottenere la salvezza è presente anche in un sermone di Michele Psello sulla Crocifissione (Gautier, 1991). L'intento del committente di intervenire sul programma decorativo per esprimere l'aspirazione alla salvezza individuale determinava però assai spesso un allontanamento dai canoni iconografici, con l'inclusione di scene della Passione, in rapporto eventuale con l'effigie del committente stesso o con il suo luogo di sepoltura (Teteriatnikov, 1993).Il significato più importante del ciclo delle f. liturgiche era la proclamazione della natura umana e divina di Cristo, tema centrale del messaggio ecumenico di salvezza, che proprio nell'immagine trovava un veicolo espressivo ideale anche come arma polemica nei confronti dell'eresia iconoclasta; in tali cicli infatti tanto le scene commemoranti gli eventi maggiori (Natività, Trasfigurazione, Ascensione) quanto quelle rievocanti episodi apparentemente minori (per es. Incredulità di Tommaso) rappresentavano in pari modo i momenti in cui più chiaramente era espressa la compresenza delle due nature di Cristo, quella umana e quella divina, e in cui era dimostrata la circoscrivibilità della sua figura e di conseguenza la liceità di diffondere e venerare la sua immagine (de' Maffei, 1974). Per questo motivo il ciclo delle f. liturgiche trova la sua ragion d'essere proprio a partire dalla fase di ricostituzione dell'arte religiosa figurata dopo la conclusione della crisi iconoclasta.
Bibl.:
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