Festa
Festa (dal latino festa, femminile dell'aggettivo festus, "solenne, festivo", che si ritiene connesso con feria, "feria") indica il giorno destinato alla celebrazione di eventi religiosi, sociali e naturali di particolare rilevanza per l'individuo e la comunità. La separazione di un tempo sacro da quello profano, che si realizza attraverso pratiche simbolico-rituali e forme istituzionali di comportamento diverse da quelle abituali, viene interpretata nella prospettiva antropologica come la risposta psicologica dell'uomo alla propria condizione di precarietà e di finitezza. Talvolta legate a occasioni episodiche, le feste sono più spesso strettamente connesse al calendario proprio di ciascun popolo, il quale, a sua volta, è espressione del tipo di civiltà (agricola, urbana, di caccia e raccolta). Nel mondo moderno si distinguono soprattutto le feste religiose, di carattere prevalentemente commemorativo, e quelle civili. L'obbligo dell'astensione da certi lavori nei giorni di festa è imposto da varie religioni e costituisce, per i cristiani, parte del precetto festivo.
Non vi è, né vi è mai stata, società umana che non abbia dato posto, nella vita comunitaria, alla festa. Sul piano storico e antropologico questa può essere considerata come una categoria autonoma della cultura, che rappresenta la rivalsa dell'uomo nei confronti della propria condizione di limitatezza esistenziale. Non vi è senso nell'esperienza di festa se non la si mette in contrapposizione dialetticamente, riferendola al più ampio contesto del vissuto umano, a tutto ciò che rientra nella sfera del quotidiano, dell'ordinario, della routine: e quindi anche del dolore, del male, della conflittualità. La festa costituisce il tempo dell'extra-ordinario positivo in opposizione all'ordinario, come potenziale o attuale negatività. A tale dimensione la società oppure il gruppo in festa allude, in maniera implicita e secondo un linguaggio simbolico (il linguaggio del rito e quello del corpo), valorizzando il 'diverso', in vista di un riscatto dal male.
La prassi della festa comporta la celebrazione di un rito collettivo di rinnovamento, di rinascita simbolica per la comunità dei partecipanti. Questo significato di recupero di energia trova la sua espressione immediata, spontanea, nel linguaggio stesso di cui si appropria la festa nell'unità organica e costitutiva di psiche e soma, mente e corpo, di tutti gli attori della performance festiva, la quale non può essere altro, nelle sue innumerevoli varianti, se non un abbandonarsi alla sensualità, alla gaiezza, all'autoidentificazione nella solidarietà del gruppo in festa. In un clima siffatto è predominante l'uso di un linguaggio simbolico che si basa sulla 'commedia' del 'come-se'. Vi si rappresenta quasi teatralmente un ribaltamento di ruoli (lo schiavo fatto pari al padrone, l'affamato che mangia a sazietà); vi si ricrea un mondo alla rovescia, che prevede persino, in molte società tradizionali con struttura gerarchica e monarchia sacra, la destituzione e (finta) aggressione della persona del re e un (finto) disordine sociale. A volte il soggetto ricopre corpo e volto con la maschera, rinnegando per il tempo della festa la sua identità ordinaria e assumendone una alternativa, comunque 'altra'; ciò gli consente una libertà insolita nei rapporti interpersonali, cioè la licenza di usare la propria persona come gli sarebbe inibito nel tempo fuori della festa, al di là di ogni remora e coercizione: è un esempio paradigmatico del tema ludico-festivo del mondo alla rovescia. Tutto ciò si attua come rappresentazione di un teatro popolare di origini e tradizioni arcaiche, attraverso l'esecuzione di azioni, movimenti e gesti, in una gamma di espressioni corporali d'immediata significatività.
La festa - come osserva L.J. Kirmayer (1992) a proposito dei processi di somatizzazione - implica una modalità che dà preminenza alla prassi del corpo in quanto metafora di valori sociali, stati emozionali ed espressioni non verbali; è una forma peculiare che condensa in sé la manifestazione materiale dell'esperienza mente-corpo, in quanto componenti inscindibili (Beneduce 1996). Lo dimostrano le innumerevoli e talora esasperate manifestazioni nelle quali il corpo dei partecipanti alla festa è protagonista di momenti sensuali ed esaltanti, ma anche di dolore e catarsi, morte e rinascita. Questa complessità dialettica si esprime, per es., nei rituali della Pasqua, legati alla rappresentazione della Passione e della seguente Resurrezione; o anche nelle feste d'iniziazione caratteristiche delle culture cosiddette primitive. Presso alcune tribù papuase, i giovani, dipinti di bianco (come morti), sono d'improvviso violentemente sottoposti a una (finta) aggressione da parte di anziani: saranno poi liberati e fatti 'rinascere' come iniziati, cioè come uomini adulti ormai in grado di fruire di pieni diritti sociali. Il rito di passaggio dunque marchia sul corpo dei giovani il segno della loro acquisizione. Tra gli aborigeni australiani, il passaggio iniziatico allo status di adulti è caratterizzato da prove dolorose inflitte sul corpo degli iniziandi: percosse, bruciature, mutilazioni sessuali, come la circoncisione e la subincisione, sono pratiche che intendono vagliare la forza, il coraggio, la resistenza al dolore, requisiti indispensabili per ottenere nuovi diritti di genere nella società (matrimonio, caccia, conoscenza dei miti e delle tradizioni sacre). Non a caso questi rituali costituiscono una delle più importanti occasioni festive a livello comunitario nelle società tradizionali. Le feste d'iniziazione, come quelle di nascita, di matrimonio e funebri - presenti, queste ultime, in ogni tipo di società, primitiva o moderna, rurale o urbana -, coinvolgono gruppi o settori della società che si esprimono in comportamenti carichi di connotazioni simboliche ed emotive, implicanti una partecipazione intensa della persona: mente e corpo. Il banchetto, il simposio, allestiti per celebrare una nascita, oppure un rito nuziale in un assembramento di persone, fisicamente riunite, concorrono a rinsaldare i vincoli di solidarietà, di amicizia, nell'imprimere al rito di passaggio un forte segno augurale contro ogni negatività del futuro.
2. Feste funebri e calendariali
Il rapporto esistente tra evento funebre e festa appare particolarmente significativo nelle culture di tipo etnologico, oltre che in quelle dell'antichità e del Medioevo, in quanto espressione di modelli di comportamento arcaici, indice di un sentire e anche di un reagire alla morte che appare ormai perduto nei costumi della civiltà moderna, e tuttavia di enorme rilevanza psicologica a livello subconscio.
Nelle società tradizionali extraoccidentali sono innumerevoli gli esempi dell'uso di celebrare il morto organizzando, a livello di collettività tribale, una grande festa con danze, accompagnate da canti, ritmi strumentali, e integrate da manifestazioni orgiastiche di tipo alimentare e sessuale. Fra i betsileo e i merina, nativi del Madagascar, durante la veglia funebre, che si protrae per più notti, i giovani di ambedue i sessi si abbandonano a un'orgia sfrenata, in una promiscuità senza regola. Si tratta di un rituale catartico, inteso come apportatore di effetti benefici per l'intera comunità, capace di vincere l'effetto debilitante indotto dall'evento luttuoso. Appare evidente che il rito costituisce la risposta e la controsfida corporalmente segnata della collettività allo shock psichico che viene provocato dall'esperienza del lutto (Lanternari 1953-54).
L'antichità greco-romana riservava, nelle feste funebri, grande spazio al clima di esaltazione collettiva, come tratto saliente dell'espressione del lutto. Era di norma il banchetto, che s'imponeva come rito ufficiale, con danze, musiche e rapporti sessuali promiscui: un istituto che in Grecia faceva obbligo ai convitati di bere fino all'ubriachezza. In ambiente romano, feste come i Floralia, dedicate a Tellus e Cerere, comprendevano elementi di ebbrezza collettiva, con forte significazione funeraria nel loro sostrato. La religiosità misterica appare impregnata del medesimo complesso ideologico agrario-funerario-sessuale, sebbene variamente arricchito di valori catartici. Ma nelle cerimonie specificamente dedicate ai morti (Parentalia), sia durante il funerale sia nelle successive commemorazioni, quando l'esperienza del lutto era viva e attuale, o quando era riattualizzata nella memoria, dopo sacrifici e libagioni, i partecipanti erano impegnati in movimenti sfrenati. La presenza di elementi osceni nel culto dei morti rivela la stringente unità di lutto e riscatto sessuale. Che riti propriamente pagani fossero quelli che nel 4° secolo si praticavano in onore dei morti, dando luogo a smodatezze di ogni genere, lo testimoniano con dovizia di particolari i Sermones di sant'Agostino; toni accesi di invettiva rivolgeva sant'Ambrogio contro le forme di esaltazione collettiva spinta fino agli atti osceni. Nonostante la condanna dei Padri della Chiesa, però, libagioni, feste diaboliche e canti indecorosi continuano a essere attestati dal Concilio di Arles nel 524. Ancora nel 1343 il Concilio di Londra parla di 'fornicazioni e adulteri' commessi in occasione dei riti funebri; e in epoca relativamente recente, il Concilio di New York del 1861 riporta indicazioni di 'eccessi e schiamazzi scomposti' durante i funerali americani.
L'insieme di questi elementi orgiastici in uso nel culto funerario antico, e la sua persistenza nei secoli malgrado la polemica condotta dalla Chiesa, è un dato significativo della resistenza della cultura popolare nel dar corso a comportamenti che oppongono all'angoscia del lutto strumenti offerti dal corpo nella sua strutturale vitalità. Qui entra in gioco il rapporto contrastante tra psiche e corpo, secondo un processo psicologico inconscio e ambiguo, che si può definire di somatizzazione dell'angoscia e di controsomatizzazione della risposta data. Il corpo si trova al centro di tale processo bipolare nel reagire all'esperienza di lutto in una crisi che E. De Martino (1958) ha chiamato di destorificazione della morte. La risposta è una controsfida che, riconfermando il 'valore-vita' contro il 'disvalore-morte', segna la rivalsa psicologica dell'uomo. Proprio nel culto dei morti che diviene festa funebre si può individuare uno dei più elementari e universali indici del conflitto mente/corpo, psiche/soma, che nelle grandi occasioni festive, calendariali e stagionali, rinnova il ricorso ai comportamenti di riscatto.
Questi atteggiamenti non sono estranei alle civiltà industriali avanzate. Presso le odierne popolazioni statunitensi, a livello di ceto medio - dunque non fra contadini, né fra persone ufficialmente arretrate - si registra un modo speciale di 'trattare' il corpo del defunto prima della sepoltura. Il principio sotteso alla procedura della festa funebre consiste nel non ammettere che il cadavere tradisca, rivelandola nelle proprie fattezze, la realtà della morte. L'operazione di imbalsamazione del cadavere mediante ingredienti chimici che vengono iniettati per via arteriosa, il 'restauro cosmetico' dei tratti del volto, l'abbigliamento raffinato, l'impiego di tecniche sofisticate in grado di conferire al corpo un aspetto attraente e, ancora, la sontuosità degli apparati floreali e del corteo che accompagna il morto 'fintamente non morto' (Huntington-Metcalf 1979), sono tutti segni di un atteggiamento di illusoria negazione della morte, di un eterno sfuggire a un suo confronto.
Considerando l'altro, più noto e rilevante ordine di feste, quelle calendariali, si trovano feste religiose folkloriche in onore dei santi patroni, pellegrinaggi a santuari, celebrazioni d'intenso significato di rinnovamento, come il Capodanno, la Pasqua o il Carnevale, con il suo spirito orgiastico e con i relativi valori simbolici di fine e di reinizio, di passaggio da un ciclo di vita a un altro, da una stagione sterile e d'attesa a un'altra fertile e di lavoro. Qui si amplia notevolmente il quadro delle manifestazioni che vedono emergere il ruolo e il significato del corpo come elemento chiave dell'esperienza festiva. In occasione della festa di san Giovanni, già culto agrario-solare e di rinnovamento stagionale, poi riplasmato in senso cristiano ma pur sempre carico di simboli di purificazione messi in opera sul corpo dei festanti, hanno luogo riti lustrali, come il bagno in un corso d'acqua e il salto di falò, con obiettivi che riguardano la rassicurazione interiore contro i mali. A sua volta una grande festa cattolica, la sagra dei Gigli, che si celebra a Nola, in Campania, in onore di san Paolino, è dominata da un antico spirito dionisiaco che investe l'intera cittadinanza tra musiche, grida, danze corali, e uno spettacolo scenografico con il trasporto in piazza delle strutture lignee dei Gigli. Nello stile ritmato, calibrato dei movimenti e dei passi delle squadre compatte, geometricamente disposte, dei portatori che procedono reggendo i blocchi delle monumentali strutture, trovano espressione l'abilità atletica e l'abnegazione sacrificale dei protagonisti nel sottoporsi in senso religioso e sacrale allo sforzo della performance.
Un altro esempio di sacrificio corporale e fisico cui si espongono gli attori del rito è rappresentato dalla 'festa dei battenti' a Guardia Sanframondi, sempre in Campania. Nella sfilata dei flagellanti, che procedono coperti da un saio bianco, con il volto celato da un cappuccio, in ottemperanza all'obbligo di mantenere il mistero, e percuotendosi con aghi acuminati, si concretizza il carattere penitenziale della festa. Alcuni attribuiscono al rito un significato terreno, quale segno di autosacrificio per ottenere benefici nell'esistenza collettiva; altri ravvisano in esso la memoria di un analogo rito del passato, messo in atto in periodi di siccità per favorire l'avvento di piogge. Torna dunque, accanto a quella del sacrificio, l'antica motivazione collegata con le esperienze della vita contadina nei suoi aspetti di insicurezza, di aleatorietà. Si tratta di un rituale plurisignificante e, nelle sue componenti cruente, di particolare rilevanza per quanto attiene al ruolo assunto dal corpo nelle feste religiose.
R. Beneduce, L'ostinazione del corpo alla ricerca di un significato, "Inventario di Psichiatria", 1996, 5, 18, pp. 6-12.
A Brelich, Introduzione allo studio dei calendari festivi, Roma, Ateneo, 1954.
E. De Martino, Morte e pianto rituale nel mondo antico, Torino, Boringhieri, 1958.
R. Huntington, P. Metcalf, Celebrations of death. The anthropology of mortuary ritual, Cambridge, Cambridge University Press, 1979 (trad. it. Bologna, Il Mulino, 1985).
L.J. Kirmayer, The body's insistence on meaning: methafor as presentation and representation in illness experience, "Medical Anthropological Quarterly", 1992, 6, 4, pp. 323-46.
V. Lanternari, Orgia sessuale e riti di recupero nel culto dei morti, "Studi e Materiali di Storia delle Religioni", 1953-54, pp. 5-30.
Id., La grande festa, Bari, Dedalo, 19762.
Id., La festa, in Id., Festa, carisma, apocalisse, Palermo, Sellerio, 1983, pp. 25-62.
Id., I riti dell'anno: Campania, in Le feste, le terre, i giorni, a cura di A. Falassi, Milano, Electa, 1988, pp. 152-65.