FESTA POPOLARE.
– Il dibattito italiano e la trasformazione delle feste popolari. La festa popolare come patrimonio immateriale. Bibliografia
Il dibattito italiano e la trasformazione delle feste popolari. – La nozione di ‘festa popolare’ rimanda a quell’ampio universo di eventi rituali collettivi che ricadono sotto la denominazione festa, la cui definizione ha interessato tanto le scienze sociali quanto quelle umanistiche. Intesa come particolare forma di organizzazione del tempo distinta dal quotidiano svolgersi delle attività, la festa è presente in ogni società umana ed è caratterizzata da alcuni elementi, non tutti compresenti, come la ripetitività, la socialità, il gioco, il conflitto, la dimensione simbolica, religiosa, economica, politica, corporea, musicale o trasgressiva. Come tale è stata interpretata entro modelli teorici di tipo etnoantropologico, storico-religioso e sociologico.
Nella sua dimensione ‘popolare’ in Italia la festa è stata definita principalmente negli studi demoetnoantropologici, dove ha prodotto un ambito specifico di indagine e ampia documentazione dei suoi aspetti legati al calendario agricolo e religioso nel mondo agropastorale. Nel secondo dopoguerra gli studi di tradizione popolare sulla festa hanno ricevuto un impulso entro una lettura meridionalistica che si ispirava alla visione marxista e di classe proposta da Antonio Gramsci nelle sue Osservazioni sul folclore (in Letteratura e vita nazionale, 1950, pp. 215-21). Come altre espressioni della cultura popolare, anche la festa contadina, inscritta nel calendario agricolo e religioso cristiano, è stata ricondotta nella dialettica egemonia/subalternità, diventando espressione di classi subalterne caratterizzate da miseria e da arretratezza culturale (A. Rossi, Le feste dei poveri, 1969). Questa lettura politica e sociale delle f. p., soprattutto meridionali, ha prodotto un ampio dibattito in ambito demologico legato ai nomi di Luigi Maria Lombardi Satriani, Annabella Rossi, Lello Mazzacane, Alfonso Maria di Nola, Vittorio Lanternari e Clara Gallini (Satta 2007). Tuttavia ha costituito anche l’asse portante di quel vasto movimento di riscoperta e riproposta della cultura popolare (folk revival) da parte di movimenti di base di sinistra, che ha visto nei comportamenti devozionali popolari (pellegrinaggi, culti liturgici ed extraliturgici, credenze magico-religiose) l’espressione di un’alterità socioculturale contrapposta alla cultura borghese e alla Chiesa cattolica ufficiale.
A partire dagli anni Settanta del Novecento, con l’ingresso massiccio della cultura del consumo, il mondo contadino si è avviato verso una profonda trasformazione, scomparendo come forma di vita coesa. Parallelamente, anche la nozione di ‘popolare’ ha finito per perdere la sua connotazione politico-sociale legata a specifici ceti subalterni.
Negli stessi anni, tuttavia, con la riscoperta del folk e della dimensione locale, le f. p. sono andate incontro a un processo di rivitalizzazione – per alcuni di mercificazione – entro uno scenario sociale ed economico profondamente mutato. Non più inscritte nel calendario agricolo, queste feste si sono trasformate adattandosi sia alle esigenze del mercato turistico e dei media, che ne hanno esaltato le dimensioni spettacolari a volte impoverendole della dimensione espressiva, sia alle politiche del territorio attente al ritorno economico, politico e di immagine. Nuove feste sono state inventate al fine di produrre nuove dimensioni di socialità e di identità. Tra queste, le sagre hanno rappresentato la diffusione di una nuova concezione del tempo libero svincolata dalla dimensione del sacro e finalizzata alla valorizzazione di prodotti enogastronomici del territorio. Ampia diffusione hanno avuto anche le feste cosiddette neomedievali presenti oggi in quasi tutte le regioni italiane, che hanno visto la riscoperta e a volte l’‘invenzione’ di particolari tradizioni storiche. Si tratta di feste dove la rievocazione del passato spesso assume una connotazione ludica e carnevalesca, con cortei storici in costume e competizioni agonistiche che riscuotono grande successo a livello identitario e di pubblico. Nel contempo, le vecchie feste tradizionali – mutate sia nelle forme sia nella partecipazione – sono andate incontro a un processo di valorizzazione che ha investito strati diversi della società in una nuova domanda di visibilità e di ridefinizione identitaria, sempre più proiettata verso una dimensione globale.
La festa popolare come patrimonio immateriale. – Gli studi demoetnoantropologici hanno dovuto fare i conti con le nuove dimensioni della f. p., concentrandosi ora sugli aspetti creativi e inventivi della festa, per es. sulle dinamiche che investono il carnevale e i nuovi carnevali (P. Clemente, Idee del carnevale, in Il linguaggio, il corpo, la festa. Per un ripensamento della tematica di Michail Bachtin, a cura di P. Clemente, P.G. Solinas, A. Vigorelli et al., 1983, pp. 11-35; Mugnaini 2009), ora sui risvolti politici che spesso la caratterizzano (Palumbo 2009). Parallelamente, la
f. p. è stata riconosciuta nell’ambito dei beni culturali all’interno della nozione di bene demoetnoantropologico, così come indicato anche a livello legislativo dall’attuale Codice dei beni culturali e del paesaggio. Mentre in ambito internazionale le feste tradizionali vengono oggi sempre più inscritte entro la nozione di patrimonio culturale immateriale (v. beni culturali: Beni culturali immateriali) secondo le indicazioni date dall’UNESCO nella Convenzione per la salvaguardia del patrimonio culturale immateriale del 2003. Un patrimonio immateriale dunque consapevole, luogo attivo di processi culturali, politici ed economici di cui i suoi portatori, non più subalterne espressioni di miseria culturale, ma spesso giovani professionisti e impiegati, attivamente valorizzano il desiderio di visibilità e di dialogo con il mondo entro dinamiche che interessano trasversalmente istituzioni locali e globali.
Lo scenario popolare contemporaneo vede affiorare un diffuso ‘senso di festa’ nella sfera del tempo libero, della politica, del turismo e delle culture giovanili. È il caso della Notte della Taranta, fenomeno musicale ormai di rilevanza internazionale, vera e propria f. p. di massa che, a partire dal noto rituale terapeutico del tarantismo del Salento già studiato da Ernesto De Martino negli anni Cinquanta, ha prodotto la riscoperta di un ballo popolare – la pizzica – divenendo oggi icona identitaria dell’intera regione Puglia.
In ambito religioso, un esempio rilevante di f. p. contemporanee è dato invece dalle grandi feste mariane o patronali, di cui è ricca la tradizione italiana. In particolar modo quelle feste che fanno largo uso di macchine processionali portate a spalla, in grado di attivare una forte partecipazione popolare e vivaci dinamiche identitarie tra spettacolarizzazione e condivisione. Alcune di queste feste hanno di recente guadagnato una notevole visibilità anche a livello internazionale. È il caso della Rete delle grandi macchine a spalla, un’associazione che riunisce le feste caratterizzate da grandi macchine processionali, che nel 2013 è stata iscritta nella lista UNESCO del patrimonio culturale immateriale. La festa di santa Rosa di Viterbo, con la sua macchina alta 30 m portata a spalla da circa cento ‘facchini’, la festa dei Gigli di Nola (Napoli) in onore di san Paolino, con i suoi otto gigli più una barca portati a spalla da più di cento ‘cullatori’, la Varia di Palmi (Reggio di Calabria) in onore della Madonna e portata a spalla da circa 200 ‘mbuttaturi’ e i Candelieri di Sassari, ceri simbolici di legno fatti danzare per l’Assunta, rappresentano solo alcune tra le più spettacolari f. p. italiane alle quali sono state riconosciuta dall’UNESCO una vitalità e una forza identitaria capaci di trasmettersi attraverso le generazioni come patrimonio culturale immateriale.
Anche i carnevali – e in generale le pratiche festive connotate da forme di mascheramento – rappresentano interessanti luoghi di trasformazione e di invenzione della festa popolare. Se i carnevali di tradizione contadina con le vecchie maschere e il legame con il ciclo dell’anno stanno andando incontro a processi di patrimonializzazione che ne vanno ridefinendo i contorni per salvaguardarne memoria e valori (Kezich 2015), i grandi carnevali urbani appaiono sempre più inseriti nella cultura dello spettacolo (per es., il Carnevale di Viareggio). Ma anche nuovi carnevali si vanno elaborando: da quelli contestativi e controculturali, come nel Lazio il Carnevalone liberato di Poggio Mirteto caratterizzato da una forte impronta politica e satirica anticlericale, a f. p. dove l’elemento carnevalesco appare svincolato dalladata calendariale. È il caso delle già citate feste neomedievali o di quei fenomeni contemporanei globalmente diffusi e a forte connotazione giovanile, come per es. il cosplay (contrazione dei termini inglesi costume e player, che indica la pratica di interpretare gli atteggiamenti di un personaggio conosciuto indossandone il costume) o i giochi di ruolo.
Bibliografia: M.M. Satta, Le feste. Teorie e interpretazioni, Roma 2007; F. Mugnaini, Sagre, fiere, feste e tradizioni, in Maremma (e altrove), «Lares», 2009, 2, pp. 223-48; B. Palumbo, Politiche dell’inquietudine. Passioni, feste e poteri in Sicilia, Firenze 2009; G. Kezich, Carnevale Re d’Europa. Viaggio antropologico nelle mascherate d’inverno, Scarmagno 2015.