BUSONI, Ferruccio (Benvenuto Michelangelo Dante)
Nato a Empoli il 1º apr. 1866 da Ferdinando, anch'egli empolese d'origine corsa, apprezzato clarinettista, e da Anna Weiss, triestina di famiglia bavarese, valente pianista e musicista colta e sensibile, nota negli ambienti musicali italiani per la sua attività concertistica, svolta sia come solista sia in duo con il marito, fu avviato allo studio della musica e alla conoscenza dei capolavori della tradizione classica dalla madre, che si dedicò interamente alla sua educazione musicale e, pur costretta a continue peregrinazioni attraverso l'Italia, seppe creare intorno al figlio l'atmosfera necessaria a favorirne le precocissime ed eccezionali attitudini musicali. Intrapreso lo studio del pianoforte, il B. rivelò presto il proprio talento interpretativo: nel 1873 a Trieste, ove la famiglia risiedette dal 1871 al 1878, apparve per la prima volta in pubblico insieme con i genitori, che, consapevoli delle reali possibilità del ragazzo, non esitarono a sfruttare le sue singolari doti di virtuoso della tastiera e lo avviarono a una intensa e faticosa carriera concertistica, spinti dal desiderio di veder realizzate nel figlio quelle aspirazioni che la routine professionale, cui si erano sottoposti nel corso della propria carriera, aveva loro negato. Le speranze non andarono infatti deluse e nel 1874 il giovanissimo B. si esibì come solista, iniziando una carriera luminosa, che, nonostante le pesanti e sempre più frequenti tournées, non gli impedì di dedicarsi ancora fanciullo anche alla composizione.
Nel 1876, recatosi a Vienna, riscosse il suo primo grande successo, consacrato ufficialmente dalla critica più autorevole, rappresentata in quegli anni da E. Hanslick e A. W. Ambros. Nel 1876-77 ricevette a Gmunden le prime lezioni di composizione da J. E. Habert e da K. Goldmarck, ma si trattava di un insegnamento alquanto discontinuo che non poteva soddisfare le sue esigenze di giovanissimo allievo, desideroso di approfondire la propria preparazione e mettere in evidenza i doni della sua musicale natura. Finalmente nel 1878, stabilitasi la famiglia a Graz, poté iniziare lo studio serio e metodico dell'armonia, del contrappunto e della strumentazione con Wilhelm Mayer (W. A. Remy), valoroso e intelligente insegnante, che non soltanto seppe fornire al B. le nozioni necessarie al raggiungimento di una solida preparazione musicale, ma ne curò peraltro la formazione spirituale, iniziandolo allo studio di Bach e di Mozart e avviandolo nello stesso tempo ad una più approfondita conoscenza dei grandi compositori romantici. I frutti di questa esperienza, sviluppata nel breve arco di quindici mesi, non tardarono a mostrarsi e il B., che aveva già rivelato la genialità della sua fantasia creativa componendo alcuni pezzi sacri e i Cinque pezzi per pianoforte op. 3, scrisse una Messa a 6 voci a cappella. Nel 1881, terminati gli studi, riprese l'attività concertistica dapprima in Italia, poi in Austria; nello stesso anno compose il primo Quintetto per archi op.19 enel 1882, a conclusione di un trionfale ciclo di concerti a Bologna, l'Accademia filarmonica gli conferì il diploma di composizione, nominandolo, inoltre, accademico pianista. Nel 1883, ancora a Bologna, sotto la direzione di L. Mancinelli venne eseguita il 2 marzo al teatro Comunale la cantata IlSabato del villaggio (sutesto di G. Leopardi): opera che gli procurò nuovi ammiratori e soprattutto destò l'interesse di A. Boito. Recatosi l'anno successivo a Vienna, vi conobbe A. G. Rubinstein e Brahms, cui dedicò i suoi studi per pianoforte op. 16 e 17. Ebbe inizio da questo momento una nuova fase della sua formazione musicale: nacquero i primi progetti teatrali e musicò alcuni brani del libretto di F. Schanz, Sigune oder Das versunkene Dorf, ispirato a un lavoro di R. Baumbach; tuttavia difficoltà sorte nell'ambito familiare lo costrinsero a trascurare la composizione per dedicarsi all'attività concertistica. Venne a sollevarlo dai problemi di carattere economico il generoso aiuto di Giovannina Lucca e della baronessa Todesco e nel 1886 il B. poté recarsi a Lipsia, ove gli fu possibile entrare in rapporti con i più grandi nomi del mondo musicale europeo (risale a questo periodo l'amicizia con Henri Petri, violinista del Gewandhaus, il cui figlio Egon diverrà poi uno dei suoi allievi prediletti). Avvicinò, infatti, Čajkovskij, Grieg, Mahler e soprattutto F. Delius e H. Riemann, il quale, grazie anche alla fama di concertista del B., raccomandò nel 1888 la sua nomina a insegnante di pianoforte nel conservatorio di Helsingfors (Finlandia), ove conobbe J. Sibelius.
Trasferitosi nel 1890 a Mosca, il B. vi ebbe per interessamento di Rubinstein la cattedra di pianoforte nel locale conservatorio e vinse il premio Rubinstein con il Konzertstück op. 31 a, per pianoforte e orchestra. A Mosca conobbe Gerda Sjöstrand, figlia dello scultore svedese C. Aeneas, che divenne poco dopo sua moglie e fu preziosa collaboratrice nelle sue molteplici attività e gelosa custode della sua memoria per i molti anni che gli sopravvisse.
Ricevuto nel 1891 un invito dalla casa Steinway a recarsi negli Stati Uniti, dopo qualche esitazione il desiderio di conoscere nuovi ambienti musicali lo spinse a partire per Boston, ove rimase fino al 1894 quale insegnante di pianoforte nel New England Conservatory. L'esperienza americana, sebbene dapprima non del tutto positiva sul piano didattico per il modesto livello degli allievi, diede gradualmente i suoi frutti e valse comunque a consolidare la sua fama di concertista. La lontananza dall'Italia non gli impedì di seguire la vita musicale del suo paese e nel 1893 lo studio della partitura del Falstaff di Verdi, eseguito nello stesso anno a Berlino, servì ad aprirgli nuovi orizzonti non soltanto sulle sue scelte di compositore in campo teatrale, ma gli delineò, anzi, il cammino sul quale avrebbe potuto svilupparsi l'evoluzione della musica italiana, purtroppo ancora vincolata a schemi tardoromantici e comunque limitata a una produzione esclusivamente melodrammatica.
Nel 1895 fece ritorno in Europa e si stabilì a Berlino, ove rimase fino al 1913, pur assentandosene periodicamente per tournées di concerti e corsi di perfezionamento in vari centri del continente e d'America. Fu infatti dapprima in Inghilterra (1897), poi a Weimar (1900-01), ove gli venne offerta la "Meisterklasse" di pianoforte, a Bruxelles e ad Amsterdam (1900); poco dopo intraprese a Berlino l'attività direttoriale a capo dell'Orchestra filarmonica e fino al 1909, poco curandosi delle critiche ostili e dello scarso successo presso il grande pubblico, incluse nei suoi programmi composizioni di autori contemporanei, come Schönberg, Bartók e D'Indy. Alternò, frattanto, l'attività pianistica alla composizione e dopo un memorabile ciclo di concerti in cui volle illustrare l'evoluzione del concerto per pianoforte e orchestra da Bach a Liszt, preferì dedicarsi all'attività prediletta, componendo alcune tra le sue opere più significative, quali ad esempio il Concerto in re maggiore per violino e orchestra,op. 35 a (1896-97) e il monumentale Concerto op. 39 per pianoforte,coro e orchestra, eseguito per la prima volta nel 1904, anno di una sua prima tournée di concerti negli Stati Uniti, ove tornerà ancora nel 1911. La composizione lo attraeva sempre di più e se non rallentò la sua attività concertistica, ove peraltro si rivelò interprete eccelso, fu soltanto per necessità economiche; sentiva di aver ormai trovato la sua strada come compositore e non desiderava che isolarsi nel suo mondo spirituale per esprimere nell'attività creativa le istanze più profonde e meditate della sua concezione musicale. Nel 1905 iniziò la composizione della Turandot-Suite e l'anno successivo pubblicò in lingua tedesca il suo saggio d'estetica musicale, Entwurf einer neuen Aesthetik der Tonkunst, mentre sentendo rinascere in sé un rinnovato interesse per il teatro decise di accingersi alla composizione di un'opera italiana: la scelta cadde invece su una commedia di E. T. A. Hoffmann, Die Brautwahl, rappresentata con scarso successo nel 1912 ad Amburgo. Perduto il padre nel 1909 e a pochi mesi di distanza anche la madre - cui dedicherà la deliziosa Berceuse Elégiaque (1910) - il B. riprese l'attività concertistica senza concedersi soste; nel 1911 commemorò il centenario della nascita di Liszt con un ciclo di sei concerti e compose la prima versione della Fantasia contrappuntistica. Nello stesso periodo, pur senza rinnegare le opere giovanili, decise di rivedere la numerazione del catalogo delle sue composizioni, ma l'impre sa si rivelerà tutt'altro che facile e la confusione sorta da una classificazione non sistematica lo indurrà a pubblicare molte composizioni della maturità senza numero d'opera. Risale a questi anni la sua attività di librettista; dopo vari abbozzi avrebbe voluto realizzare il progetto di un'opera ispirata alla figura di Leonardo da Vinci in collaborazione con Gabriele D'Annunzio; tuttavia un incontro avvenuto a Parigi nel 1913 tra i due artisti non diede i risultati sperati; dopo un intenso quanto inutile scambio epistolare il B. si rese conto che la mancanza di affinità spirituali con il poeta avrebbe reso impossibile ogni tentativo di collaborazione, e preferì rinunciare al progetto. Frattanto la lettura dell'Urfaust di Goethe aveva suscitato in lui una profonda emozione e nella sua mente andò profilandosi l'idea di realizzare un nuovo tipo d'opera: a questo progetto, a lungo meditato e in cui farà convergere gli intenti e le aspirazioni fondamentali della sua poetica, si dedicherà con entusiasmo fino agli ultimi giorni di vita.
Intanto i primi anni del periodo berlinese si riveleranno decisivi per la sua esperienza artistica e umana: al B. si guarderà da questo momento come a una delle personalità più vive del mondo musicale europeo, e artisti di diversa nazionalità e appartenenti a correnti musicali tra le più disparate riconosceranno in lui non soltanto il compositore geniale e l'interprete d'eccezione, ma il "maestro" per eccellenza, cui schiere di allievi si rivolgono sia per essere iniziati ai valori più alti della tradizione classica, sia per cogliere l'essenza di una concezione musicale, che si sottrae al rigido dominio di aride regole normative e pur senza rinnegare il passato viene proiettata nel futuro, conducendo l'artista verso più consapevoli e spontanee forme d'espressione musicale. Ciò nonostante, il messaggio artistico del B. non venne raccolto in Italia, dove ci si ricorderà di lui soltanto nel 1913 per offrirgli la direzione del liceo musicale di Bologna. Il B. accolse l'incarico con entusiasmo nonostante l'amara constatazione del modesto livello della cultura musicale italiana, ancora stretta entro la morsa d'un avvilente e reazionario provincialismo. Risalgono infatti a questo periodo dolorose considerazioni sulle condizioni della musica in Italia, troppo chiusa entro gli angusti confini d'una tradizione esclusivamente teatrale dominata dalle figure di Puccini, Mascagni, Giordano e soprattutto di Verdi, con cui invano tentano di cimentarsi le forze nuove del mondo musicale, rappresentate in quegli anni da Sgambati, Martucci, M. E. Bossi e Pizzetti, artisti che stenteranno ad affermarsi e saranno a lungo ignorati o incompresi dal pubblico italiano, le cui preferenze andranno, se mai, ad artisti stranieri. Comunque, l'esperienza bolognese venne presto interrotta dallo scoppio della prima guerra mondiale, e da una parte il suo attaccamento all'Italia, che in realtà ben poco aveva fatto per lui, dall'altra i legami di riconoscenza verso la Germania, ove aveva trovato non soltanto il pieno riconoscimento al suo talento d'artista, ma soprattutto l'ambiente favorevole all'attuazione delle sue teorie innovatrici in campo creativo e didattico, lo indussero a rifugiarsi in Svizzera. Nel 1915 si stabilì a Zurigo e vi rimase fino al 1920. Del resto in Italia, dove non di rado gli venivano rivolte accuse di germanofilia, non avrebbe potuto avere la serenità necessaria per continuare il suo lavoro, e pertanto il volontario esilio si rivelò un sicuro rifugio in cui, pur con tutta l'amarezza di sentirsi isolato in un ambiente che era tanto lontano dal suo mondo spirituale, poté continuare a produrre. Appartengono a quest'epoca il Rondò arlecchinesco op. 46 per orchestra (1915), che costituisce una sorta di studio preliminare all'opera Arlecchino del 1917, e la Fantasia indiana per pianoforte e orchestra del 1911 cuifarà seguito il secondo libro dell'Indianisches Tagebuch (Gesang vom Reigen der Geister) op. 47 del 1915. Procede frattanto la revisione del secondo libro del Clavicembalo ben temperato e viene così portato a compimento l'intero ciclo della monumentale revisione del capolavoro bachiano, a conclusione di un lavoro cui si era dedicato con umiltà e devozione fin dal 1895. Nel 1917 vennero rappresentate a Zurigo le opere Arlecchino e Turandot (anch'essa preceduta dalla Suite orchestrale della musica per la Turandot di Gozzi,op. 41, per una rappresentazione della commedia andata in scena al Deutsches Theater di Berlino nel 1911). Nel settembre dello stesso anno intraprese con la composizione del Doktor Faust il suo progetto più ambizioso. Negli ultimi anni del soggiorno zurighese, interrotto soltanto da giri di concerti a Milano (1916), Londra (1919), Edimburgo (1920) e ancora a Milano, ove apparì per l'ultima volta in pubblico ai concerti della Società del quartetto, compose ancora tre sonatine per pianoforte e il Concertino op. 48 per clarinetto e orchestra (1919).
Si riaccese intanto nel B. il desiderio di fare ritorno in patria, e certo egli non avrebbe esitato a partire immediatamente per l'Italia se soltanto gli fosse stato rivolto un invito anche di carattere non ufficiale; sentiva di non essere amato proprio nel suo paese ed esprimerà l'amarezza di questa constatazione in una lettera indirizzata il 27 giugno 1920 da Londra ad Arrigo Serato. Frattanto, anche la Svizzera sentì il dovere di tributargli un riconoscimento ufficiale, e nel 1920 l'università di Zurigo gli conferì la laurea honoris causa in filosofia. Ma troppo forte era il richiamo che gli giungeva dalla Germania e nel settembre dello stesso anno il B. partiva per Berlino, accettando la "Meisterklasse" di composizione presso l'Akademie der Künste. Dopo aver composto il Tanzwalzer op. 53 per orchestra (dedicato alla memoria di Johann Strauss), la Toccata e altri pezzi per pianoforte, tra cui la Sonatina super Carmen (1921), riprese l'attività di concertista e direttore d'orchestra attraverso l'Europa e nel 1922 si recò anche a Roma, ove venne nominato commendatore della Corona d'Italia. Tornato a Berlino, dopo aver trascritto per due pianoforti la Fantasia contrappuntistica, lavorò intensamente alla partitura del Doktor Faust, e due pezzi preparatori, Sarabande e Cortège, vennero eseguiti sotto la direzione di W. Furtwängler. Tuttavia il suo organismo, ormai fiaccato dagli sforzi d'una carriera sfibrante iniziata fin dagli anni della prima infanzia e soprattutto debilitato per le complicazioni sorte in seguito a un'affezione renale, non resse a una crisi più acuta del male e il 27 luglio 1924 il B. moriva a Berlino nella sua casa della Luisa-Viktoria Platz.
Lasciava incompiuto il Doktor Faust, poi completato dall'allievo Philipp Jarnach e rappresentato per la prima volta all'Opera di Dresda il 21 maggio 1925, e irrealizzato il desiderio di tornare in patria, con l'autorità e il potere necessari per mettersi alla guida di un radicale rinnovamento della musica italiana; una testimonianza di quanto gli stesse a cuore tale progetto ci viene offerta da un'altra lettera all'amico Serato, cui, in occasione della nomina di A. Casella a insegnante di pianoforte nel liceo musicale di Santa Cecilia in Roma, scriveva: "...mi addolora di essere tenuto lontano da un movimento di cui, per le mie massime musicali, dovrei trovarmi alla testa; mi addolora di veder abbreviarsi di ora in ora il tempo che la vita mi lascia a disposizione per un tal compito e temo che si faccia tardi. Mi addolora e mi inacerbisce di assistere da molti anni al governo musicale degli stranieri nella capitale d'Italia e di apprendere nuovamente che un decrepito cosacco sarà preferito... ad un bravo italiano..." (Zurigo, 17 ott. 1915).
Figura complessa e non di rado sconcertante per le non infrequenti contraddizioni che si ritrovano nell'ambito delle sue molteplici attività, peraltro tutte connesse alle sollecitazioni che gli provenivano da una eclettica e tormentata personalità d'artista, quello del B. si presenta come uno degli esempi più tipici di compositore, la cui affermazione, in quanto tale, fu oscurata o quanto meno ritardata dalla fama di grande interprete che lo accompagnò per tutta la vita e si protrasse poi anche dopo la morte, ostacolando la valutazione critica della sua opera, che soltanto di recente ha potuto acquistare una più serena e oggettiva collocazione nell'ambito d'una prospettiva storica. Non diversamente da Mahler (cui nocque la celebrità raggiunta quale impareggiabile direttore d'orchestra), mentre fu esaltata in B. la personalità del pianista, venne quasi del tutto trascurata la produzione originale, cui peraltro va riconosciuto il merito di aver contribuito in maniera tutt'altro che marginale alla creazione e al consolidamento di una nuova fase della musica del nostro secolo, non soltanto italiana. Osserva il Pannain (1954): "è luogo comune l'asserire che B. fu sommo pianista e mediocre compositore; distinzione a buon mercato, assai comoda per lavarsene le mani. B. è pianista, pensatore e creatore, non per arbitrio di scelta o per opportunità pratica, ma il pianista, il pensatore, il creatore sono tre facce d'un medesimo prisma spirituale". E a ribadire questo concetto G. M. Gatti (1924), che nell'attività di critico militante aveva potuto seguire il cammino artistico del B. a pochi mesi dalla sua scomparsa, intuendo quale pericolo si insinuasse nel voler eternare su di un piano di esaltazione mitica le qualità dell'interprete a tutto danno delle doti del compositore, affermava: "Quando si è detto che con F. B. è scomparso uno dei più grandi pianisti che mai siano stati... si è detto soltanto una parte di verità..." e come per Liszt "il quale, vivente, non fu per la maggioranza se non un magnifico, incomparabile pianista... e fu necessario che il pianista fosse scomparso perché i suoi ammiratori... si avvicinassero con maggior rispetto e serenità alle sue opere..." anche per il B., "il quale, per ironia del destino, fu prima compositore che pianista", venne a porsi lo stesso problema se pure in termini diversi, in quanto non si ritrovano nell'artista italiano quegli atteggiamenti di natura prevalentemente virtuosistica e spettacolare, che furono sotto certi aspetti tipici della personalità lisztiana.
II B. "chiedeva al suo pubblico di non pensare a lui come a un interprete che si dilettasse a comporre musica..., ma di penetrare la sua unità estetica, il suo spirito musicale e di apprezzarlo nella sua manifestazione totale. Quella unità di cui negli ultimi anni aveva fatto l'attributo essenziale della musica egli voleva che il pubblico la riconoscesse innanzi tutto in sé" (ibid.). E quanto la sua arte interpretativa fosse grande, oltre che dai giudizi di chi l'ascoltò, è concesso stabilire attraverso le numerosissime trascrizioni e revisioni di opere di altri compositori, di cui assimilava il linguaggio, ricreandone la maniera espressiva mediante un procedimento non del tutto intuitivo, ma raggiunto, oltre che per naturale disposizione, anche attraverso una lenta, meditata e pur personalissima maniera di sentire l'arte del passato, ove il musicista, l'interprete e il filologo divenivano un tutt'uno inscindibile. Questa sua attività, la cui vastità non fu inferiore a quella di compositore, è legata soprattutto alla monumentale trascrizione delle opere di Bach: testimonianza veramente sorprendente e per mole e per geniale interpretazione della personalità artistica che più vicina sentiva alla sua è, infatti, la poderosa edizione nota sotto il nome di "Bach-Busoni" in sette volumi, terminata nel 1920 a coronamento di oltre venti anni di duro lavoro (scrive il Pannain [1954]: "egli è tuttora lì, nelle sue trascrizioni: una cosa sua, un che di nuovo, un'altra forma d'arte alla quale non conviene chiamarsi in modo così abusato e volgare. Perché la trascrizione che Busoni ti fa di Bach è una realtà nella quale Bach e B. vivono sullo stesso piano d'interesse e di sensività. È la personalità di Bach che diventa idea di B., cioè B. che si riconosce in Bach. Un mondo passato nel tempo ma che B. porta in sé, vivo e attuale nell'anima").
D'altra parte, se molte tra le sue elaborazioni, oggi ingiustamente dimenticate, presentano difficoltà tecniche non sempre agevolmente superabili è perché la tecnica, divenuta conquista e padronanza assoluta dello strumento, era pervenuta a tal punto da esaurirsi come tale, senza ombra di virtuosuosismi o inutili acrobazie sonore. Una lettera alla moglie del 28 luglio 1907 da Berlino documenta l'atteggiamento del B. di fronte allo studio del pianoforte di cui, pur essendo chiaramente consapevole delle proprie possibilità, non diverrà mai schiavo e anzi, a distanza di anni, nel rievocare la carriera trionfale cui soprattutto era legata la sua fama, quando ormai raggiunto il vertice della maturità d'artista sarà costretto a riprendere l'attività concertistica, non potrà che dolersi di questo suo dono, da lui accettato piuttosto come un peso, che lo distoglieva dall'attività del comporre, verso la quale sentiva di essere naturalmente portato. E ancora quando in un suo scritto all'inizio del 1910 (Ciò che si richiede dal pianista), che venne pubblicato sulla rivista Signale di Minneapolis (è ora riedito in Scritti e pensieri...), rivelando una profonda e salda coscienza professionale, cercherà di puntualizzare il compito di un pianista, pur esortando i suoi allievi ad impadronirsi d'una tecnica posta su solide basi, non potrà esimersi dall'affermare: "una tecnica perfetta in sé e per sé la troviamo in tante pianole ben costruite. Eppure un grande pianista dev'essere prima di tutto un forte tecnico, ma la tecnica, che è in fondo soltanto una parte dell'arte pianistica, non sta solo nelle dita e nelle articolazioni, o nella forza e nella resistenza... Al grande artista inoltre occorre una intelligenza non comune, cultura, una vasta educazione in tutte le discipline musicali e letterarie, e nelle questioni di vita... Si aggiungono ora sentimento, temperamento, fantasia, poesia... Ma prima di tutto si tenga presente una qualità essenziale: Coluiper la cui anima non è passata una vita,non dominerà mai il linguaggio dell'arte".
È in queste parole (Gatti, 1924) che più chiaramente viene espressa la convinzione che se l'opera d'arte è veramente tale, la sua espressione esaurisce completamente l'intuizione fino ad identificarsi con essa ed è dovere dell'esecutore sforzarsi per riprodurre in sé il momento estetico del creatore innanzi tutto e soprattutto. L'interpretazione diveniva pertanto un atto creativo raggiungibile soltanto dal vero artista e in determinate condizioni spirituali.
A tali intuizioni teoriche corrispondeva poi sul piano pratico una originale e rivoluzionaria maniera interpretativa, che non di rado destava perplessità e veniva messa in discussione da chi, legato a certa tradizione staticamente codificata, vedeva in lui un dissacratore del passato. Così il suo Chopin - di cui eseguiva di preferenza i lavori di maggior mole - acquistava sotto le sue dita un ardore virile e drammatico ben lontano da certe malinconiche e sdolcinate interpretazioni, che allora come oggi si persiste a mantenere in vita per una erronea e stereotipata tradizione esecutiva di derivazione romantico-decadente. Osserva il Guerrini (1944) suo allievo a Firenze: "anche con Beethoven si permetteva libertà non indifferenti. Più che altro in esso amava opporsi al convenzionale, al manierato, allo scolastico. Rendeva generalmente la composizione sotto veste strumentale, possedendo come nessuno la facoltà di trasformare il pianoforte in una orchestra". Tale era l'interprete e il trascrittore, il compositore non gli fu inferiore e tutta la sua opera sta a dimostrare l'ininterrotto cammino, che attraverso un incessante travaglio spirituale lo condusse all'enunciazione di quella che egli chiamò "Junge Klassicität", un ideale che a lungo frainteso venne interpretato come una sorta di neoclassicismo, cioè un ritorno a uno stile del passato considerato come classico; la nuova classisicità è per B. "creazione di un 'nuovo' stile che integri tutte le conquiste del passato, spingendole al massimo delle loro possibilità nei modi più lontani da ogni schematismo, e al tempo stesso in uno spirito di olimpica serenità, più alta di qualsiasi romantico fervore" (D'Amico). Questa sua concezione, frutto di un meditato e lungo ragionare sul significato dell'opera d'arte, è del resto chiaramente illustrata in una lettera a Paul Bekker: "in ogni tempo ci furono - ci dovettero essere - artisti che si aggrappavano all'ultima tradizione, e altri che cercavano di liberarsene. Questo stato crepuscolare mi sembra essere stabile; autore e piena luce diurna sono considerazioni prospettiche di storici che amano fare riassunti e arrivare presto a fatti importanti. Anche l'apparire di esperimenti singoli che sfociano nella caricatura è un segno che sempre accompagna le evoluzioni: bizzarra scimmiottatura di atteggiamenti vistosi di coloro che valgono qualcosa; protervia o ribellione, satira o stoltezza... Ma l'esagerazione diventa generale... e ciò indica la chiusura di un periodo; e il prossimo passo, che lo spirito d'opposizione deve incoraggiare e arrecare, è quello che porta al nuovo classicismo. Per "nuovo classicismo" intendo il dominio,il vaglio e lo sfruttamento di tutte le conquiste d'esperienze precedenti: il racchiuderle in forme solide e belle" (Zurigo, gennaio 1920).
Traspare da queste considerazioni la consapevole visione della situazione musicale di quegli anni e dei pericoli che si celavano nel desiderio di innovazione proprio delle "avanguardie" e, quasi a mettere in guardia gli esponenti più impegnati nel rinnovamento del linguaggio musicale del primo Novecento, il B. dichiarava non senza una punta di spirito polemico: "non vale abbattere qualcosa di vecchio che esiste, ma occorre creare qualcosa di nuovo che "può esistere" È necessaria una nuova arte classica. Classico = Bello, ben costruito, prezioso, duraturo, semplice, efficace. Tutti gli esperimenti fatti nel XX secolo debbono essere sfruttati, ma a questi occorre aggiungere nel futuro qualcosa di definitivo". Sotto tale aspetto il B. si mostrerà sempre coerente con se stesso e non assumerà mai atteggiamenti distruttivi, anche quando sarà portato a negare e rifiutare la tradizione. Così anche negli esperimenti realizzati nelle opere della maturità il B. cercherà sempre di pervenire al raggiungimento di nuovi orizzonti espressivi non per amore del nuovo, ma esclusivamente per una profonda e sentita necessità interiore. Tale appare il passaggio dal sistema tonale di sette note a quello in cui l'ottava veniva a consistere di dodici suoni, constatazione con cui profeticamente si preannunciava l'avvento della teoria dodecafonica e alla quale, osserva il Pannain (1954), si aggiungeva l'intuizione del dualismo modale, per cui il rapporto tra maggiore e minore diveniva l'espressione d'un modo unico e veniva pertanto annullata ogni relazione antitetica. E a questo proposito scriverà lo stesso B.: "è strano che si mettano in antitesi maggiore e minore. Tutt'e due i modi hanno la medesima sembianza, a volte, più serena o più cupa; una leggera pennellata basta a passare dall'uno all'altro. Ma noi sappiamo che maggiore e minore costituiscono una identità del duplice significato e che le ventiquattro scale sono la trasposizione di quelle prime due avvenuta undici volte. Così giungiamo senza sforzo alla verace conoscenza dell'unità del nostro sistema modale... Noi abbiamo una scala sola. E questa è una ben povera cosa". Queste parole rivelano quanto urgente fosse per lui l'esigenza di allargare gli orizzonti sonori in previsione del radicale rinnovamento del linguaggio musicale che di lì a poco il divenire della musica europea avrebbe reso storicamente maturo. Si spiega così la relazione sui terzi di tono, che, formulata fin dal 1906 in Entwurf einer neuen Aesthetik der Tonkunst (Trieste 1907), fu cautamente ma non definitivamente, annunciata nell'agosto 1922, quando nella rivista Melos dichiarò: "Se c'è qualche cosa di altrettanto dannoso che voler ostacolare il progresso, ciò è volerlo forzare sventatamente... da quando fissai teoricamente il principio di un possibile sistema basato sui terzi di tono... non mi sono deciso ad annunciarlo definitivamente. Perché? Perché il compito di porne le prime basi mi addossa una responsabilità di cui ho coscienza... Rimane però mia convinzione che questo progresso deve costituire un arricchimento e non un mutamento dei mezzi". Alla lucida consapevolezza che gli faceva sentire quanto premature potessero essere alcune delle innovazioni proposte non sempre corrispondono certe teorie metafisiche come quella di voler considerare la musica come una sorta di religione al di sopra della sfera terrestre: "La musica" - affermerà - "è la più misteriosa delle arti. Intorno ad essa dovrebbe aleggiare qualcosa di solenne e di festivo. L'accesso ad esso dovrebbe avere la formalità e il mistero d'un rito... L'ingresso in una sala da concerto dovrebbe promettere le cose più impensate e condurre gradatamente dalla vita profana a quella interiore. Passo passo lo spettatore dovrebbe venir condotto nello straordinario" (23 dicembre 1910). Ma sono queste contraddizioni o per meglio dire esasperazioni che rientrano nel quadro della sua complessa personalità, in cui il musicista coesiste con il pensatore, l'esteta, il filosofo. Per queste ragioni, ritenendo di poter giungere a una più intima e pura coscienza della vera essenza della musica e soprattutto della sua unità, non ammetteva che si potesse fare distinzione tra musica e musica a seconda della sua destinazione, e per dimostrare la validità di questa sua teoria riconosceva in Mozart la più eloquente manifestazione di quella "unità della musica", per cui Mozart più di tutti realizzò il miracolo, qualunque fosse la sua destinazione della musica che egli doveva scrivere, di avere uno stile unico e sempre identico (A. Casella, L'épera pianistica di Mozart, in La Rass. musicale, XIV [1941], nn. 9-10, pp. 305 ss.).
Pertanto quando affermava che "la musica resta dove ed in qualunque forma essa si presenti, esclusivamente musica", sostenendo l'autonomia della musica nel campo delle arti, negava ogni possibilità di collaborazione e di integrazione, nel caso specifico dell'opera composita di teatro (si veda a questo riguardo il Saggio di una prefazione al Doktor Faust del 1921, apparso in Italia col titolo Schizzoper un'introduzione alla partitura del "Dottor Faust" con alcune considerazioni sulle possibilità dell'opera, in Scritti e pensieri sulla musica, Firenze 1941). E negli ultimi anni, allorquando nel raccogliere i suoi scritti vorrà ribadire la sua concezione unitaria della musica, pubblicherà le sue teorie sotto il titolo di Von der Einheit der Musik, in cui riassume il suo pensiero e la somma delle sue aspirazioni, che si tradurranno poi soprattutto nella realizzazione delle opere teatrali, ove meglio si attua la sua poetica.
Compositore fecondo e attivo in ogni campo della creazione musicale, il B. ha lasciato una produzione complessiva di circa un centinaio di opere tra numerate e senza numerazione, comprendente lavori teatrali, composizioni vocali, strumentali, cameristiche, pezzi per pianoforte, organo, violino e altri strumenti, Lieder, oltre a numerose trascrizioni, revisioni ed elaborazioni di opere di altri autori. Mentre per l'elenco completo delle composizioni originali si rimanda al catalogo generale indicato più avanti, così come per gran parte degli scritti e delle opere teoriche, si menzionano soltanto le opere teatrali e alcune tra le composizioni strumentali (già in parte sommariamente citate nel corso di questo scritto), che si rivelano più significative per la comprensione della sua poetica o che comunque appaiono fondamentali nell'evoluzione del suo iter stilistico. La prima opera teatrale, Die Brautwahl èquella che rimane più estranea alla "nuova estetica" e, se pur risente di certi influssi verdiani (in particolare del Falstaff), mostra accenti di originalità soprattutto in certe intenzioni satiriche e nella struttura ritmica e timbrica di certe pagine, come l'ouverture, ove per la vivace e ironica atmosfera si riconoscono atteggiamenti stilistici di derivazione chiaramente italiana. Tuttavia, come osserva l'Abbiati, èlavoro non perfettamente riuscito e vi si ritrovano le contraddizioni suggeritegli dal "suo spirito profetico che gli fece anticipare i tempi", mentre "troppo lo fece ragionare l'irrequieto e paradossale spirito filosofico e polemico, poco osare la sua sensibilità perpetuamente progressiva". Più decisi e individuabili appaiono gli aspetti della sua concezione in Arlecchino, da B. stesso definito "capriccio teatrale", ove, per certi intenti ironici ispirati alla commedia dell'arte, si scorgono chiari accenni alla tradizione italiana, cui tuttavia l'artista era probabilmente pervenuto non direttamente ma attraverso la mediazione dell'opera mozartiana di derivazione italiana. In realtà l'opera, in cui non mancano accenti di grande modernità, appare ricca di situazioni paradossali e si manifesta come una sorta di parodia musicale nei confronti di taluni aspetti della vita come di certi convenzionalismi del teatro in musica e in special modo del melodramma italiano. A questo spirito ironico, che non di rado si tramuta in amaro sarcasmo, si adatta una musica che non si allontana da certe soluzioni strutturali di derivazione "classica", riconoscibili nell'adozione delle forme chiuse, nella scorrevolezza ritmica, nella sobrietà dei mezzi orchestrali, come nell'uso d'una lineare struttura polifonica e nell'impiego degli elementi melodici e armonici, tutti ugualmente caratterizzati da una ammirevole eleganza discorsiva e da un perfetto senso delle proporzioni.
Lavoro ancor più maturo, e da alcuni considerato il capolavoro del B., si rivela Turandot, soprattutto per certe intuizioni stilistiche che contribuiscono a ricreare il fascino ambiguo proprio della fiaba del Gozzi; la vicenda si snoda, infatti, in un'atmosfera fantastica ed eterogenea, in cui confluiscono elementi satirici e popolareschi di tono tipicamente settecentesco e allo stesso tempo temi di piccante attualità. È stato osservato come in quest'opera si possa riconoscere un lavoro di sintesi tra il "teatro dell'arte" italiano e il sinfonismo tedesco; in realtà l'accettazione di certe forme melodrammatiche si rivela orientata più decisamente verso la tradizione italiana, soprattutto settecentesca, e se mai viene operata una fusione tra l'elemento comico e quello drammatico con sfuggevoli intenzioni parodistiche, per cui la fiaba del Gozzi, pur nell'intento caricaturale, acquista una singolare realistica vivacità. Sotto il profilo musicale l'opera presenta pezzi strofici, recitativi accompagnati che si alternano al parlato, cui, pur nel taglio di stile prettamente italiano, si affiancano altri elementi come il Lied e il balletto: il tutto realizzato con una sorprendente varietà ritmica ed armonica che si traduce mediante un linguaggio spigliato e discorsivo. Lo stesso carattere esotico di alcune pagine, ottenuto attraverso l'adozione di motivi orientali e di scale pentatoniche, risponde a una funzione puramente espressiva e rimane pertanto estraneo ogni desiderio di superficiale colorismo timbrico. Domina peraltro sull'opera un tono umoristico satirico e cerebrale, che contribuisce a creare, anche mediante l'oculata scelta del materiale tematico affidato al canto, qua e là interrotto dal parlato, un'atmosfera astratta e irreale, ben diversa da quella tragica e passionale dell'omonima opera pucciniana.
Il saggio più completo della sua concezione teatrale è tuttavia il Doktor Faust:in essa egli racchiude e sintetizza il suo pensiero e la molteplicità delle sue aspirazioni, mostrando una più stretta adesione alle premesse critiche enunciate nei precedenti lavori, a tal punto che da parte dei critici si è giunti senza difficoltà all'identificazione dell'autore con il protagonista dell'opera. In essa, riallacciandosi non tanto al poema goethiano quanto al Puppenspiel settecentesco della tradizione popolare tedesca, il B. perviene a una sua deformata visione della leggenda originaria nell'intento di creare soluzioni operistiche che gli permettessero di evitare situazioni melodrammatiche e sentimentali (non a caso viene eliminato il delicato e appassionato ruolo di Margherita, nel timore da parte del compositore di cadere in espressioni eccessivamente patetiche e malinconiche). Del resto anche il libretto, che egli stesso aveva approntato in lingua tedesca, suggerisce al musicista le soluzioni per realizzare il suo sogno: creare con quest'opera, in cui pur attraverso simboli diversi viene ripresa una vicenda che continuamente si rinnova nella storia dello spirito umano, una sorta di Gesamtkunstwerk, una fusione perfetta e completa tra musica pensiero e poesia, e, se non sempre l'intento è raggiunto, il lavoro resta pur tuttavia come una delle testimonianze più valide della sua personalità artistica e costituisce allo stesso tempo il suo credo spirituale e la conclusione di un anelito alla composizione di quel dualismo, che, come acutamente osserva il Gatti (1924), fu sempre alla base della creatività busoniana. La tavolozza orchestrale appare d'una ricchezza straordinaria, l'armonia si sviluppa con mirabile fluidità e dalla varietà delle sonorità timbriche, come dalla perfezione del contrappunto e dalle continue e brillanti libertà dinamiche, traspare il dominio completo dell'arte dei suoni, cui corrisponde una ben definita logica strutturale ove ogni elemento, per usare una definizione dello stesso B., viene sublimato nel raggiungimento dell'"illimitato nell'espressione musicale" (Guerrini, 1944).
Fanno parte dell'opera (strutturata in due preludi, un intermezzo e tre quadri) la Sarabanda e il Corteggio, due splendide pagine sinfoniche, tra le migliori della produzione busoniana, in cui si possono cogliere, per la mesta atmosfera soffusa di drammatico lirismo della prima e il vivace e spigliato andamento della seconda, espressioni tra le più intense e organiche della musica contemporanea. Accanto ad esse vanno ricordate, per novità di linguaggio e vigore espressivo, opere come la Fantasia indiana per pianoforte e orchestra op. 44 (1913) e il Rondò arlecchinesco op. 46 (1915); il primo lavoro, ispirato a temi musicali degli Indiani d'America è tra le partiture più vive del B.: vi dominano forme lineari che si contrappongono a vigorosi passaggi contrappuntistici, con una preferenza per temi semplici e di largo respiro, sottolineati da ritmi ben costruiti e sostenuti da una struttura armonica di grande originalità, cui si accompagnano ricercate sonorità timbriche; la parte solistica, in perfetto equilibrio con l'orchestra, si realizza con estrema ricchezza e libertà di linguaggio che denota un superamento rispetto alle precedenti esperienze e in particolar modo al Concerto per pianoforte e orchestra op. 39 del 1906. Non meno interessante appare il Rondò, sia per l'avvincente vivacità e la ricchezza dell'orchestrazione, sia per la gaia e umoristica atmosfera suggerita dalla maschera di Arlecchino, cui l'autore conferisce un tono allegro e scanzonato, poi trasferito nel capriccio teatrale di cui costituisce la preparazione.
È soprattutto da queste opere che meglio traspare il messaggio artistico del B., di un uomo che non avrebbe potuto realizzarsi al di fuori di un'espressione musicale libera da ogni vincolo con la materia; a essa pertanto viene conferito un significato cosmico che conduce all'aspirazione per una musica assolutamente antiprogrammatica, libera da ogni sollecitazione letteraria o sentimentale e senza mediazione alcuna. La sua musicalità viene così ad affrancarsi da ogni soggezione di forma in senso scolastico e il carattere della sua musica diviene a volte così marcato e prepotente da escludere ogni precisa e definita destinazione strumentale; tale concezione lo indusse alla composizione della Fantasia contrappuntistica, la sua più nota e importante creazione pianistica, che ispirata all'ultima fuga incompiuta dell'Arte della fuga di Bach, fu concepita come musica realizzabile di per sé, senza riferimenti alla tecnica o alle risorse specifiche di alcuno strumento.
A questo postulato si ricollega la sua opposizione da un lato al "sensibilismo come abbandono incontrollato all'impulso sentimentale", dall'altro al rifiuto di "formule e sviluppi tematici in favore di una melodia, come energia di movimento, atta ad infrangere la resistenza degli accordi e ad affermare decisamente la sua linea" (Gatti, 1924). Da tali considerazioni come da un'analisi delle opere più rappresentative della personalità del B., anche quando l'artista non perviene al raggiungimento dei suoi ideali, si possono individuare quegli elementi che, pur entro certi limiti, precisano e preannunciano i caratteri stilistici della musica del Novecento, come essa verrà a configurarsi nei suoi elementi costitutivi, differenziandosi decisamente da quella del periodo storico che l'ha preceduta.
Opere teatrali: Die Brautwahl (Lasposa sorteggiata), commedia fantastico-musicale in tre atti, libretto proprio da E.T.A. Hoffmann, Amburgo, teatro Nazionale, 12 apr. 1912; Arlecchino oder die Fenster, capriccio teatrale in un atto, libretto proprio, Zurigo, teatro Municipale, 11 maggio 1917; Turandot, fiaba cinese in due atti, libretto proprio da C. Gozzi, Zurigo, teatro Municipale, 11 maggio 1917; Doktor Faust, 1916-24, opera in tre atti, incompiuta terminata da Ph. Jarnach, Dresda, Opera di Stato, 21 maggio 1925.
Musica per orchestra: Symphonisches Tongedicht op.32a (1893), composizione originale scritta nel 1888-89 come Konzert-Fantasie per pianoforte e orchestra; Zweite Orchester-Suite (Geharnischte Suite) op. 34a (1895-1903); Turandot-Suite op. 41 (1904); Berceuse élégiaque op. 42 (Des Mannes Wiegenlied am Sarge seiner Mutter)dedicata ad Anna Busoni-Weiss (1909); Nocturne symphonique op. 43 (1912); Suite da Die Brautwahl op. 45a (1906-12); Rondò arlecchinesco op. 46 (1915); Indianisches Tagebuch op. 47, per sei fiati, archi e timpani (1915); Sarabande und Cortège (Due studi per il "Doktor Faust"), op. 51 (1918-19); Tanzwalzer op. 53 (1920). Composizioni per strumenti solisti e orchestra: Concerto in re maggiore per violino op. 35a (1896-97); Concerto per pianoforte con coro finale per voce maschile op. 39 (1903-04); Indianische Fantasie per pianoforte op. 44 (1913); Concertino (Romanza e scherzoso) per pianoforte op. 54 (1921). Musica da camera: Quartetto n. 1 in do magg. per archi op.19 (1880-81); Quartetto n. 2 in re min. per archi op. 26 (1889); due Sonate per violino e pianoforte op. 29 (1890) e op. 36 a (1898); Albumblatt, per flauto e pianoforte (1917). Composizioni per pianoforte: Tre pezzi nello stile antico op. 10 (1881); Danze antiche op. 11 (1882); Six études op. 16, dedicati a J. Brahms (1883); Variationen und Fuge in freier Form über Fr. Chopins C-moll Präludium op. 22 (1884 e nuova vers. 1922); Gavotta op. 25 (1878); Elegien (1907); Fantasia contrappuntistica (3versioni 1910-1912; la quarta per due pianoforti, 1922); Zwei Kontrapunkutudien nach J. S. Bach (1917); Sei sonatine, tra cui: Sonatina ad usum infantis pro clavicembalo composita (1916); Sonatina in diem Nativitatis Christi MCMXVII (1917); Sonatina brevis: in signo Ioannis Sebastiani Magni (1919); Sonatina super "Carmen"(Fantasia sull'opera di Bizet)(1920); Toccata (1921); Fünf kurze Stücke zur Pflege des polyphonen Spiels (1923); Klavierübung, in dieci volumi (2 ediz. Leipzig 1925); inoltre per due pianoforti: Improvisation über Bachs Chorallied "Wie wohl ist mir,o Freund der Seele" (1916).
Scritti: Entwurf einer neuen Aesthetik der Tonkunst (Trieste 1907; 2 ediz., Leipzig 1910); Versuch einer organischen Klavier-Notenschrift (Leipzig 1910); Von der Einheit der Musik - Verstreute Aufzeichnungen (Berlin 1922); Lehre von der Übertragung von Orgelwerken auf das Klavier, appendice al "Clavicembalo ben temperato", libro I.
Gli scritti di F. B. sono stati parzialmente pubblicati in traduzione italiana in Scritti e pensieri sulla musica, a cura di L. Dallapiccola e G. M. Gatti, con una introduzione di M. Bontempelli, Firenze 1941 (2 ediz., Milano 1955), da cui sono tratte le citazioni riportate nel testo. Per il catalogo generale delle opere, oltre alle monografie fondamentali del Dent e del Guerrini, indicate in bibliografia, si rimanda anche alla voce su F.B. redatta da R. Vlad, in La Musica. Enciclopedia storica, I, Torino 1966, pp. 619-634.
Fonti e Bibl.: F. Busoni, Briefe an die Frau, a cura di F. Schnapp, Zürich-Leipzig 1935 (trad. ital. a cura di L. Dallapiccola, Milano 1955); Fünfundzwanzig B. - Briefe, a cura di G. Selden-Goth, Wien-Leipzig-Zürich 1937; F. B. - Briefe an H. Huber, a cura di E. Refardt, Zürich-Leipzig 1939; H. Leichtentritt, F. B., Leipzig 1916;H. Pfitzner, Futuristengefahr (replica all'Entwurf einer neuen Aesthetik), Leipzig 1917;G. Selden-Goth, F. B., Wien 1922; J. Wassermann, In memoriam F. B., Berlin 1925;H. Jelmoli, F.B.s Zürcher-Jahre, Zürich 1929;S. F. Nadel, F.B., Leipzig 1931;E. J. Dent, F.B., London 1933;A. Santelli, F.B., Roma 1939;G. Guerrini-P. Fragapane, Il Dottor Faust di F.B., Firenze 1942;G. Guerrini, F.B.: la vita,la figura,l'opera, Firenze 1944;R. Giazotto, B.: la vita nell'opera, Milano 1947;E. Debusman, F.B., Wiesbaden 1949;G. Pannain, F.B., in Musicisti dei tempi nuovi, Milano 1954, pp. 44-56, 246-248;R. Vlad, Destino di B., in Modernità e tradizione nella musica contempor., Torino 1955, pp. 107-122;G. Busoni, Erinnerungen an F.B., Berlin 1958;G. Selden-Goth, F.B., un profilo, Firenze 1964;G. Kogan, F.B., Moskya 1964;H. H. Stuckenschmidt, F.B. - Zeittafel eines Europäers, Zürich-Freiburg im Breisgau 1967.Saggi e articoli vari sono comparsi in riviste e numeri speciali dedicati a F.B.: E. J. Dent, B. e il pianoforte, in Athenaeum (Londra), 24ott. 1919;Id., B. compositore,ibid., 28nov. 1919; Id., Un'interpretazione di Chopin,ibid., 9luglio 1920;Id., Opere di B., ibid., 5marzo 1921;AA.VV., in Pianoforte, 15 giugno 1921 (numero ded. al B.); G. M. Gatti, In memoria di F.B., in Riv.musicale ital., XXXI (1924), pp. 565-580; Musikblätter des Ambruch (Wien), 1º-15 genn. 1931(numero speciale interamente ded. al B.); G. M. Gatti, F. B. operista, in Scenario, ottobre 1933, pp. 519-26;AA.VV., in La Rassegna musicale, XIII (1940), (numero intero dedicato al Busoni); P. Rattalino, Scritti giovanili di F.B., in Musica d'oggi, gennaio 1959, nn. 3 e 4;G. Busoni, Il mio incontro con F.B., ibid., gennaio 1960, pp. 8-20;O. Wessely, Fünf unbekannte Jugendbriefe von F.B.B., in Festschrift Walter Vetter, Berlin 1961, pp. 379-382;AAVV., in L'Approdo musicale, Torino 1966, n. 22 (numero interamente ded. af B.); AA.VV. in La Rassegna musicale, antologia, a cura di L. Pestalozza, Milano 1966, ad Indicem, p. 685. Si vedano inoltre: G. Pannain, F. B. e il Doktor Faust, in A. Della Corte-G. Pannain, Storia della musica, III, Torino 1952, pp. 1736-42;F. Abbiati, Storia della musica, IV, Milano 1968, pp. 131-37;H. Wirth, F. B., in Die Musik in Gesch. und Gegenwart, II, Kassel-Basel 1952, coll. 520-527;F. D'Amico, F. B., in Encicl. dello Spett., II, Roma 1955, coll.1400-1405; G. M. Gatti, in Encicl. della Musica Ricordi, I, Milano 1963, pp. 346 s.