FERRUCCI, Francesco, detto del Tadda
Figlio di Giovanni e nipote abiatico di Taddeo (dal quale gli derivò il soprannome Tadda), nacque a Fiesole nel 1497 e, secondo la tradizione familiare, fu indirizzato all'attività scultorea. Inesistenti risultano le informazioni biografiche fino al 1527, anno in cui è documentato a Roma come "bombardiere di papa Clemente settimo" (Razzi, ms. sec. XVII). Da una testimonianza autografa del F. apprendiamo che durante il suo soggiorno romano fu contagiato dal morbo della peste e che guarì prodigiosamente grazie all'intervento miracoloso di fra Girolamo Savonarola (ibid.).
Su incarico di papa Clemente VII fu convocato, al seguito di N. Tribolo, di Raffaello da Montelupo, di S. Cioli e di altri scultori toscani, nella chiesa della S. Casa a Loreto per ultimare l'ornato della "Santa Cappella" (Vasari, 1568; Baldinucci, 1681-1728), rimasto incompiuto alla morte di A. Sansovino, avvenuta nel 1529. Sempre per ordine di Clemente VII rientrò a Firenze "cogli altri maestri, per quivi sotto la scorta del Buonarruoti dar fine a tutte quelle figure, che mancano alla sagrestia e libreria di San Lorenzo ... col mancare della vita di Clemente, mancò altresì l'impulso a seguitare l'opera; e restò la sagrestia colle sole statue del gran Michelagnolo, e colle due di s. Cosimo e s. Damiano, che al presente vi si veggiono" (opera del Montorsoli, Angelo di Michele in religione Giovanni Angelo e di Raffaello da Montelupo: Baldinucci, 1681-1728, pp. 533 s.).
I contatti intercorsi tra il F. e il Montorsoli durante la commissione medicea favorirono l'intervento del F. nella "cavatura" e nella scelta dei marmi a Carrara e nell'esecuzione dei "lavori di quadro e d'intaglio" al Monumento funebre di Iacopo Sannazzaro in S. Maria del Parto a Napoli (Vasari, 1568). L'opera, che vide l'intervento anche di B. Ammannati, era stata commissionata al Montorsoli intorno al 1537, anno in cui è documentato l'acquisto dei marmi (Campori, 1873).
Come selezionatore e intagliatore di marmi il F. è menzionato ancora dal Vasari (1568), che lo segnalava tra gli esecutori del Monumento funebre di Baldassare Turini nella cattedrale di Pescia, allogato Pierino da Vinci.
Da un libro di bottega di B. Cellini apprendiamo che tra il 1550 e il 1551 il F. eseguì lo zoccolo del celebre Perseo in piazza della Signoria a Firenze. A questa commissione seguì, poco oltre il 1554, la realizzazione del Monumento funebre di Francesco Vegio per il Camposanto di Pisa (Totti, ms. 1593). Il complesso scultoreo di questa sepoltura (costituito da un sepolcro su cui posa la figura semidistesa del giurista pisano, da un'edicola con al centro uno stemma, da due obelischi e da alcuni vasi) rimase danneggiato gravemente in un incendio nel 1944 ed è oggi conservato, in parti smembrate, nei magazzini dell'Opera del duomo a Pisa. Prima commissione autonoma del F., il monumento, che rivela la dipendenza stilistica dall'Ammannati nella statua di Vegio, fu ispirato probabilmente, nel suo insieme, a disegni del Tribolo o di Pierino da Vinci (Casini, 1987).
"Avendo l'anno 1555 il signor duca Cosimo condotto ... una bellissima acqua nel cortile del suo principale palazzo di Firenze, per farvi una fonte di straordinaria bellezza, trovati fra i suoi rottami alcuni pezzi di porfido assai grandi, ordinò che di quelli si facesse una tazza col suo piede per la detta fonte" (Vasari [1568], 1878, I). Ubicata nel primo cortile in palazzo Vecchio, l'opera fu eseguita tra il 1555 e il 1557. La fontana, progettata da Vasari e da Ammannati, fu adornata infine con il noto Putto col delfino del Verrocchio (Allegri-Cecchi, 1980).
Ritenuto l'inventore "d'una certa acqua atta a temperare i ferri per lavorare la pietra... detta porfido" (Baldinucci, 1681-1728, p. 535), il F. iniziò un'intensa attività, realizzando, con questo tipo di pietra, opere destinate prevalentemente alla corte medicea, "al Re Cattolico, et al Papa" (Razzi, ms. sec. XVII). Risale al 1560 l'esecuzione di un ovale a bassorilievo con Cristo Redentore, pubblicato nel catalogo del Rudolphinum di Praga (Rudolphinum..., Praha 1889, p. 313). La scultura, identificabile con la "testa di Cristo" mandata a Roma da Cosimo I de' Medici e "veduta con molto maraviglia da Michelagnolo, il quale la lodò assai" (Vasari [1568], 1878, I), fu replicata varie volte dall'artista. Delle repliche eseguite dal F. sono conosciute attualmente una versione passata sul mercato antiquario inglese e proveniente dalla collezione Trivulzio (Mannerist paintings..., 1970; Di Castro Moscati, 1987) e un'altra nella chiesa di S. Croce a Bosco Marengo (Bellesi, 1995).Abbiamo notizia infine di una redazione in pietra serena in collezione privata a Figline Valdarno e di una copia in porfido firmata da Matteo Ferrucci, nipote del F., conservata nell'Ottocento a Lugo in Romagna (Zobi, 1853) e al momento non identificata.
In un periodo di poco posteriore all'esecuzione del Cristo di Praga, furono scolpiti gli ovali con i ritratti di Cosimo I, di Eleonora di Toledo, di Giovanni di Bicci, di Cosimo il Vecchio, di Piero il Gottoso, di Lorenzo il Magnifico, di Alessandro duca di Firenze, di Leone X e di Clemente VII (Langedijk, 1981-1983; Di Castro Moscati, 1987).
I pezzi, menzionati per la prima volta nell'edizione delle Vite di Vasari del 1568, sono ricordati anche nell'inventario di palazzo Pitti del 1570: "Nove teste di baso rilievo di porfido comeso in serpentino delli illustri di casa medici di mano di Franc.o del dada" (cfr. Langedijk, 1983). Descritta in tutti gli inventari granducali, la serie, già ubicata negli appartamenti di Pitti, è conservata oggi nelle collezioni del Museo nazionale del Bargello a Firenze.
Ultimata la realizzazione di questo gruppo di ovali, il F. ebbe l'incarico di scolpire un nuovo ritratto di Cosimo I. L'opera, che porta l'iscrizione "Cosmvs Medices Magnivs Dvx Etruriae", fu eseguita dopo l'elevazione al titolo granducale (1569). Menzionata nelle raccolte di palazzo Pitti dal 1574(ibid.), essa pervenne successivamente nel Victoria and Albert Museum a Londra, dove è tuttora conservata (Maclagan, 1913-1914).
Nel 1569 il F. iniziò l'esecuzione di un fonte battesimale per la chiesa di S. Alessandro a Fiesole (Bargilli, 1883). Collocato in loco il 5 apr. 1572, esso rimase nell'antica basilica fino al 1737,anno in cui fu trasferito nella cripta della cattedrale fiesolana.
L'opera, adornata all'estremità superiore con una statuetta settecentesca con S. Giovanni Battista (Giglioli, 1933), risulta costituita da due blocchi di "pudinga o pietra serena a grossi elementi impropriamente chiamati granitelli" (Repetti, 1835).
Nel 1573 il nome del F. compare in un registro di "campioni" delle decime della città di Firenze (Poligrafo Gargani, sec. XIX), e allo stesso anno risaliva la stesura del suo testamento.
Redatto dal notaio A. Lupivecchi il 19 ottobre, il rogito fornisce notizie interessanti sui suoi eredi e sulla sua attività di scultore. Tra i beni lasciati per fidecommisso al figlio Vincenzo si ricordano anche i "marmi porfidi, figure, teste, medaglie abbozzate, o, finite .. che doppo la sua morte ... si ritroveranno nella sua bottega o in qualunque altro luogo a lui spettanti e appartenenti" (Arch. di Stato di Firenze, Notarile moderno n. 430, cc. 80v - 82r).
Poco oltre la metà dell'ottavo decennio il F. eseguì il proprio Monumento funebre, realizzato in porfido e in marmi bianchi e policromi, destinato alla chiesa di S. Girolamo a Fiesole.
Rimasto nella sua ubicazione originaria per quasi tre secoli, esso fu smantellato nel 1854, ed è oggi parzialmente conservato nella cattedrale di S. Romolo (Giglioli, 1933). Il monumento, comprendente un ovale a bassorilievo con l'effigie dello scultore, una cornice e uno stemma, presenta nella parte centrale una targa in marmo bianco dove compare l'iscrizione commemorativa e la data "MDLXXVI".In S. Girolamo è conservata ancora la lastra tombale con lo stemma della famiglia Ferrucci.
Al bassorilievo in porfido con il proprio autoritratto, realizzato dal F. per il monumento, possiamo avvicinare un modello preparatorio in terracotta, ascrivibile al figlio Romolo, conservato attualmente nelle collezioni del Victoria and Albert Museum a Londra. L'opera, catalogata come di "scuola fiorentina della seconda metà del XVI secolo" (Pope-Hennessy, 1964), evidenzia affinità stilistiche stringenti con la scultura toscana coeva, soprattutto con le composizioni di B. Bandinelli (Bellesi, 1995).
L'amore dello scultore per la cittadina natale è attestato, oltre che dalla scelta della chiesa di S. Girolamo per il suo riposo eterno, anche da alcuni lasciti e donazioni. A tale riguardo è importante segnalare la commissione allogata all'orafo G. Spigliati nel 1560 e relativa all'esecuzione di una croce processionale per S. Maria Primerana (Giglioli, 1933).
Da una testimonianza autografa del F. del 1578 apprendiamo, tra l'altro, che l'artista aveva "lavorato di scarpello nell'Opera di S. Maria del Fiore a Firenze" e che aveva eseguito in porfido un ritratto di Fra Girolamo Savonarola per le raccolte granducali (Razzi, ms. sec. XVII), oggi perduto; tra le altre opere non identificate dobbiamo menzionare ancora un bassorilievo con l'immagine della Vergine (Zobi, 1853).
Si giunge finalmente al 1581, anno in cui fu ultimata l'esecuzione della maestosa statua della Giustizia, l'opera più impegnativa dell'intera attività del Ferrucci. La collocazione di questa scultura sopra la colonna granitica in piazza S. Trinita a Firenze è ricordata nelle cronache del tempo ed è descritta minuziosamente nel Diario di F. Settimanni (cfr. ibid.).
Eseguita in stretta collaborazione con il figlio Romolo, erede del segreto della lavorazione del porfido, l'opera rappresenta uno dei raggiungimenti artistici più interessanti nell'ambito della committenza medicea nella seconda metà del Cinquecento a Firenze. Sebbene la durezza della pietra non abbia consentito la caratterizzazione espressiva del volto e la resa morbida delle pieghe dei panneggi, la scultura evidenzia uno schema armonioso e calibrato e un modellato liscio e perfettamente levigato, che attesta la perizia esecutiva degli autori.
Tra le opere in porfido, prive di riferimenti documentari certi, ascrivibili al F. o alla sua bottega possiamo ricordare ancora una testa di Alessandro morente e una di Giulio Cesare, montate rispettivamente su busti in alabastro e in marmo bianco (Firenze, Opificio delle pietre dure e Galleria degli Uffizi; Di Castro Moscati, 1987). A queste possiamo aggiungere uno Stemma mediceo con putti nel Museo dell'Opificio delle pietre dure a Firenze (Pampaloni Martelli, 1978); una testa di Alessandro morente (Firenze, Bargello), già riferita all'ambito dello scultore (Di Castro Moscati, 1987), risulta invece ascrivibile al nipote Matteo (Bellesi, 1995).
L'omonimia del F. con un nipote abiatico scultore, Francesco di Giovan Battista del Tadda, ha generato alcuni equivoci attributivi che è doveroso chiarire. A quest'ultimo spettano infatti una parte dei restauri effettuati nel 1581 nella chiesa di S. Maria della Spina a Pisa (Tanfani, 1871) e nel 1584 nella cattedrale di Volterra (pulpito; Leoncini, 1869) e ancora un ritratto di CosimoI de' Medici, eseguito in commesso di pietre tenere nel 1598 e oggi conservato nell'Opificio delle pietre dure a Firenze (Langedijk, 1983).
Tra le opere ascritte erroneamente al F. dovremo menzionare infine la Fontana del carciofo in palazzo Pitti. Eseguita nel Seicento da G. F. Susini e adornata con putti marmorei scolpiti da alcuni artisti coevi, l'opera è stata frequentemente riferita al F. e confusa, fraintendendo il testo di Vasari (1568),con la fontana in palazzo Vecchio (Pizzorusso, 1989).
Il F. morì a Firenze e fu inumato il 29 maggio 1585 a Fiesole nella chiesa di S. Girolamo (Necrologio Cirri, sec. XIX), dove era già stato eretto il suo monumento funebre.
Dei figli del F. che seguirono l'attività paterna si ricorda, oltre a Romolo, GiovanBattista. Nato a Fiesole presumibilmente nel quarto decennio del Cinquecento, lavorò nel 1565 alla decorazione in stucco delle colonne nel primo cortile in palazzo Vecchio, eseguita in collaborazione con altri scultori, e nel 1570 scolpì due festoni in marmo bianco per il salone dei Cinquecento (Allegri-Cecchi, 1980). Inviato a Carrara nel 1574 su incarico di don Pietro de' Medici per "cavare dei marmi" (Campori, 1873),l'artista è documentato a Pisa nel 1581, dove con il figlio Francesco eseguì alcuni restauri in S. Maria della Spina (Tanfani, 1871).A questi incarichi seguì nel 1587 l'esecuzione di un ritratto di Cosimo Ide' Medici, identificabile con un busto che fu collocato nel primo cortile in palazzo Vecchio (Langedijk, 1987). Nel 1589realizzò alcuni ornati nella grotta del cortile di palazzo Pitti (Morandini, 1965). Giovanni Battista morì a Firenze e il 5 maggio 1617 fu sepolto nella chiesa di S. Maria del Carmine.
Fonti e Bibl.: Firenze, Bibl. Riccardiana, B. Cellini, Libro di opere fatte per S. Eccellenza...(ms., sec. XV), n. 2787, c. 28 d.; Pisa, Arch. capitolare, c. 88, G. B. Totti, Descrizione del Campo Santo pisano nella forma di dialogo (ms., 1593), cap. IV, c. 341;Firenze, Bibl. naz., II.3.172, S.Razzi, Vita di fra Girolamo Savonarola (ms., sec. XVII), cc. 165v-166v;Ibid., Necrologio Cirri (ms., XIX sec.), VII, c. 517; Ibid., Poligrafo Gargani, n. 804 (ms., sec. XIX), cc. n.n.; G. Vasari, Le vite ... (1568),a cura di G. Milanesi, I, Firenze 1878, p. 112; VI,ibid. 1881, pp. 129,638; VII, ibid., p. 260; F. Baldinucci. Notizie de' professori del disegno... [1681-1728],a cura di F. Ranalli, III, Firenze 1846,pp. 533-538 (pp. 538, 543 per Giovanni Battista); D. Moreni, Notizie istoriche dei contorni di Firenze, III, Firenze 1792, p. 115; A. M. Bandini, Lettere XX. Nelle quali si ricerca, e s'illustra l'antica e moderna situazione della città di Fiesole e suoi contorni, Siena 1800, pp. 134, 136, 164; A. Ricci, Memorie delle arti e degli artisti della Marca di Ancona, II,Macerata 1834, p. 48; E. Repetti, Dizionario storico, geografico, fisico della Toscana, II,Firenze 1835, p. 125; A. Zobi, Notizie storiche sull'origine e progressi dei lavori di commesso in pietre dure che si eseguono nell'I. e R. Stabilimento di Firenze, Firenze 1853, pp. 93-100, 105-111; G. Leoncini, Illustrazione della cattedrale di Volterra, Siena 1869, p. 86 (per Giovanni Battista); L. Tanfani, Della chiesa di S. Maria del Pontenovo detta della Spina e di alcuni ufficidella Repubblica pisana, Pisa 1871, pp. 96, 229 (anche per Giovanni Battista); G. Campori, Memorie biografiche degli scultori, architetti, pittori ec. nativi di Carrara e di altri luoghi nella provincia di Massa..., Modena 1873, p. 317 (anche per Giovanni Battista); F. Bargilli, La cattedrale di Fiesole, Firenze 1883, pp. 125, 238; B. Croce, La tomba di Jacobo Sannazzaro e la chiesa di S. Maria del Parto, in Napoli nobilissima, I (1892), 5, p. 70; G. Conti, Il Palagio del Comune di Firenze, Firenze 1905, p. 44 (per Giovanni Battista); D. Brunori, Notizia intorno alla basilica ed al martirio di s. Alessandro, Fiesole 1911, pp. 12 s.; E. Maclagan, Two portrait reliefs in the Victoria and Albert Museum, in The Burlington Magazine, XXIV (1913-1914), pp. 261 s.; F. Schottmüller, in U. Thieme-F. Becker, Künstlerlexikon, XI,Leipzig 1915, pp. 491 s.; Catalogo delle cose d'arte e d'antichità d'Italia, O.H. Giglioli, Fiesole, Roma 1933, pp. 116 s., 121-123, 204, 258; J. Pope-Hennessy, Catalogue of Italian sculpture in the Victoria and Albert Museum, London 1964, II, pp. 448 s., 491 s. (come anonimo); III, pp. 281 n. 474, 311 n. 516 (come anonimo); F. Morandini, Palazzo Pitti. La sua costruzione e i successivi ingrandimenti, in Commentari, XVI (1965), pp. 40, 45 n. 37 (per Giovanni Battista); Mannerist paintings and sculptures (catal., Heim Gallery), London 1970, pp. 10 s.; A. M. Giusti - P. Mazzoni - A. Pampaloni Martelli, Il Museo dell'Opificio delle pietre dure a Firenze, Firenze 1978, pp. 272 s., 282, 286 s., 317; E. Allegri-A. Cecchi, Palazzo Vecchio e i Medici. Guida storica, Firenze 1980, pp. 262, 277, 282; K. Langedijk, in Palazzo Vecchio: committenze e collezionismo medicei (catal.), Firenze 1980, pp. 345-347; Id., The portraits of the Medici. 15th-18th centuries, I, Firenze 1981, pp. 232, 396 s., 477 s., 503, 703; II, ibid. 1983, pp. 729, 1002, 1163, 1335, 1337, 1378, 1422; III, ibid. 1987, p. 1530 (per Giovanni Battista); C. Casini, in Scultura a Pisa tra Quattro e Seicento, Firenze 1987, pp. 255, 259, 261; D. Di Castro Moscati, The revival of the working of porphyry in sixteenth century Florence, in Apollo, CXXVI (1987), pp. 242-248; C. Pizzorusso, A Boboli e altrove. Sculture e scultori fiorentini del Seicento, Firenze 1989, pp. 38 s., 73; B. Laschke, Fra Giovan Angelo da Montorsoli..., Berlin 1993, pp. 11 s., 23 s., figg. 29 s.; S. Bellesi, Gli inizi di Romolo Ferrucci e alcune considerazioni sulla bottega dei Del Tadda, in Paragone, XLVI (1995), in corso di stampa; Enc. Italiana, XV, p.160.