FERROVIA (fr. chemin de fèr; sp. ferrocarril, camino de hierro; ted. Eisenbahn; ingl. railway, railroad)
In questo nome si riassume quello che è insieme uno strumento tecnico di eccezionale importanza e un grande istituto economico, sotto il cui esclusivo dominio si sono svolti gli scambî terrestri di tutto il mondo civile per un intero secolo. La ferrovia nasce in Inghilterra ai principî dell'Ottocento e solo dopo la guerra mondiale, che diede impulso all'automobilismo, trova una concorrenza apprezzabile nel veicolo con motore leggiero a scoppio o a combustione interna, usato su strade ordinarie perfezionate.
Tre sono gli elementi tecnici della ferrovia: il binario, che con le sue qualità di levigatezza e resistenza, consente le velocità elevate e i forti carichi, la locomotiva che permette l'impiego, pressoché illimitato come potenza, della forza meccanica nella trazione, e la regolarità del tracciato, che porta a proporzionare con curve e pendenze adeguate i pesi da trasportare ai bisogni economici del territorio servito. Questi tre elementi sono stati introdotti nell'ordine con cui li abbiamo nominati. Prima si ebbero le rotaie, che riducevano lo sforzo anche per la trazione animale; poi questa fu soppiantata dalla locomotiva, ma il tracciato rimaneva imperfetto; infine si perfezionò la costruzione delle strade ferrate all'aperto o in galleria, differenziandone lo scopo e fissandone le caratteristiche, ingrandendo e ordinando le stazioni.
Naturalmente la ferrovia ha approfittato di tutti i progressi dell'ingegneria. Si è giovata dello sviluppo della metallurgia nelle sue svariate applicazioni, del perfezionamento dei ponti metallici e delle costruzioni di ogni sorta, dei miglioramenti introdotti nella produzione della forza motrice, dell'avanzamento generale nelle conoscenze meccaniche.
Ma non si avrebbe un'idea adeguata della ferrovia se non si tenesse conto di un altro elemento immateriale che le diede importanza ed efficienza, vale a dire l'organizzazione. Le ferrovie, dopo gli eserciti, sono il primo esempio di aziende in cui vengono utilizzati insieme uomini e strumenti in quantità rilevante per uno scopo unico. Con la ferrovia nasce l'impresa, intesa nel senso moderno. Il carattere di pubblico servizio è poi preminente in essa, considerata sempre come istituto statale, direttamente esercitato o delegato a private imprese.
Cenno storico (p. 123); Definizione delle ferrovie (p. 124); Classificazione delle ferrovie (p. 125); Tracciato delle ferrovie (p. 127); Esercizio tecnico delle ferrovie (p. 129) - Ferrovie elettriche (p. 130); Disposizione generale degli impianti di trazione elettrica (p. 133); Ragioni e convenienza dell'elettrificazione ferroviaria (p. 143) - Ferrovie speciali (p. 144) - Legislazione delle ferrovie (p. 148) - Economia ferroviaria (p. 149) - Statistica ferroviaria (p. 151) - Cenno sullo sviluppo delle ferrovie nel mondo (p. 152) - Le ferrovie in Italia (p. 154) - Trasporti ferroviarî militari (p. 158).
Cenno storico. - I primi tentativi per la creazione delle ferrovie furono fatti, come si è avvertito, in Inghilterra: altri ne seguirono poco dopo in Germania e negli Stati Uniti d'America. Per fissare le idee possiamo riconoscere come periodo d'incubazione del grande ritrovato il primo quarto del sec. XIX e considerare come prima linea fornita di tutti i requisiti tecnici, compresa una regolare organizzazione dei trasporti, quella fra Stockton e Darlington, in Scozia, aperta pubblicamente all'esercizio il 27 settembre 1825, lunga 32 km., sorta sotto la direzione di G. Stephenson, che guidò personalmente la locomotiva del treno inaugurale. Lo Stephenson, che può considerarsi il padre della ferrovia, fu non solo colui che perfezionò la locomotiva, ma anche il pioniere della costruzione delle prime linee inglesi, in quanto seppe con l'ingegno e la tenacia vincere gli ostacoli creati dai pregiudizî. Questa prima ferrovia è ancora in uso per la più gran parte del tracciato primitivo. A Darlington la celebre East Coast Route fra Londra e la Scozia traversa a livello la vecchia strada. A Stockton si vede ancora il fabbricato ove fu venduto il primo biglietto di ferrovia (fig. 1); a York è conservato il registro in cui si teneva nota dell'avanzamento dei lavori, l'originale del rapporto steso dallo Stephenson nell'ottobre 1821 sul progetto della linea. Finanziatore di questa prima ferrovia, fu Eduardo Pease (fig. 2).
Le prime rotaie si fecero di ghisa e di limitata lunghezza: qualche metro o poco più (fig. 3). Esse erano poggiate su blocchi di pietra e spesso avevano la forma a ventre di pesce o a solido di eguale resistenza: le forme attuali sorsero quando fu introdotto quello speciale trattamento dell'acciaio (dei metalli in genere) che si chiama laminazione e serve alla fabbricazione di oggetti in cui ha grande prevalenza la dimensione in lunghezza. Alla ghisa successe il ferro, al ferro l'acciaio. Le prime locomotive erano imperfette e di piccolissima mole; anche i veicoli erano di piccola portata e nei primi tempi non si fecero distinzioni nell'uso: sia le merci sia i viaggiatori erano caricati in carri scoperti; chi voleva viaggiare con relativa comodità faceva caricare il proprio equipaggio su un carro. Pare che la prima vettura ferroviaria di lusso o di prima classe sia stata la vettura costruita nel 1826 e battezzata Experiment perché rappresentava un tentativo, ispirato in modo evidente alle carrozze a cavalli (fig. 4). In seguito si cominciò a costruire vetture con molle metalliche del tipo attuale.
Ricordi esatti sulla velocità raggiunta dai primi treni non ne rimangono. In via di congettura si può ritenere che si toccassero i 20 km. l'ora. Fu nel 1829 che Stephenson con la sua locomotiva The Rocket raggiunse sulla Liverpool-Manchester i 32 km., e sembrò cosa tanto straordinaria che vi fu chi predisse le peggiori conseguenze. Si narra che in Germania (la prima ferrovia tedesca fu aperta fra Norimberga e Furth nel 1821; ma questo non toglie il primato all'Inghilterra ove lo sviluppo fu più rapido e completo) le autorità abbiano prescritto di nascondere i treni alla vista dei passanti, recingendo la ferrovia da ambo i lati con alte palizzate. Del resto, poiché il cavallo, l'animale più veloce sino allora adoperato nella trazione, non supera nel trotto i dieci o dodici km. l'ora, l'aver raddoppiato tale velocità era cosa che doveva far impressione sulle folle.
Un fenomeno di cui i primi costruttori di ferrovia non sapevano darsi ragione era quello per il quale, ove non esistesse una data proporzione fra il carico trascinato e il peso della locomotiva, questa non procedeva oltre, pur continuando le sue ruote a girare. Mancava, come si dice, l'aderenza fra ruote e rotaie e le ruote giravano rimanendo ferme allo stesso posto. Il fenomeno fu poi spiegato e padroneggiato mediante l'accoppiamento degli assi su cui poggia la locomotiva, il cui peso può essere interamente utilizzato per creare una reazione contro la superficie di appoggio allo sforzo di trazione occorrente per trascinare il treno. Analoga origine ebbe la disputa che sorse fra i primi macchinisti di locomotiva, alcuni dei quali volevano dar l'olio alle rotaie, mentre altri si opponevano. Naturalmente furono i secondi che ebbero infine ragione, giacché la lubrificazione delle rotaie sarebbe servita sì ad abbassare lo sforzo di trazione, ma nello stesso tempo avrebbe ridotto l'aderenza, indispensabile per la locomozione.
Tornando alle opposizioni e ai timori che la ferrovia destò al suo sorgere, se è solo leggenda che Napoleone, informato della novità che si andava apprestando mentre la sua gloria declinava, l'abbia con timore e disprezzo definita opera diabolica, appartiene alla storia il giudizio di L. A. Thiers che chiamò la ferrovia "un jouet d'enfant" e sono note le diatribe pronunciate alla Camera francese dal fisico J. F. D. Arago, il quale non riusciva a rendersi ragione che due "liste di ferro" potessero, come alcuni (fra gli altri il poeta e deputato Lamartine) con spirito profetico prevedevano, mutare il mondo e prediceva il mal di petto a coloro che si fossero attentati ad attraversare le gallerie ingombre di fumo pernicioso per la respirazione. Naturalmente molto colpirono le fantasie i primi accidenti ferroviarî, con la loro terribile teatralità. Ai primi che si verificarono sorsero vive proteste contro i concessionarî e un giornale umoristico propose, richiamando la favola di Mazeppa, che due direttori ferroviarî dovessero a garanzia del pubblico viaggiare legati a ogni locomotiva. Molti preferirono per lunghi anni i loro equipaggi o i servizî di posta. L'ossessione per i disastri era tale che D. Lardner, professore di fisica e astronomia dell'università di Londra impartiva ai suoi allievi ben quattordici regole per salvarsi dai pericoli delle ferrovie, regole che erano quanto di più ingenuo si possa immaginare. Eccone una, la IX: "Allorché un cappello vola via, e quando cade un involto, bisogna guardarsi dal cedere alla tendenza naturale di slanciarsi a raccoglierlo". Ma gli spiriti illuminati ebbero presto il sopravvento. La Germania trovò in F. List, economista dei suoi maggiori, un attivo antesignano della ferrovia e l'Italia si giovò dell'opera appassionata che alla diffusione del nuovo ritrovato diede l'alta mente del Conte di Cavour. Re Carlo Alberto in un suo messaggio, accennando a nuove costruzioni ferroviarie, aveva scritto fin dal 1842: "Son persuaso di non poter meglio utilizzare le sempre crescenti risorse e il fiorente credito delle regie finanze, che col procurare ai popoli da Dio commessi al mio affetto, un nuovo elemento di generale prosperità".
Non è facile farsi un'idea dei prezzi di trasporto adottati all'inizio del sorgere delle ferrovie, ma forse non differivano gran che dagli attuali. Comunque va notato qui che fu la ferrovia a diffondere i viaggi fra le classi povere poiché il trasporto in ferrovia costò subito meno che in diligenza. D'altra parte si temette il monopolio delle ferrovie e varie disposizioni intese a limitare i prezzi furono adottate dai governi. Una delle prime leggi emanate a proposito di ferrovie dal parlamento inglese obbligava i concessionarî a fare dei treni con tariffe non eccedenti un penny per miglio (km. 1,60), i quali si dissero cheap trains (treni a buon mercato).
Definizione delle ferrovie. - Non è agevole definire la ferrovia. La ferrovia rientra nei "sistemi di trasporto" e presenta, rispetto agli altri sistemi, caratteristiche le quali possono essere differentemente espresse secondo che si mira al risultato oppure ai mezzi con cui questo viene raggiunto. Nel primo caso si può dire che "la ferrovia è un sistema di trasporto terrestre che permette lo spostamento contemporaneo di grandi masse di persone e di cose ad elevata velocità"; nel secondo caso si dirà: "la ferrovia è un sistema di trasporto che si avvale di sede metallica e dell'impiego di forze meccaniche". Nessuna delle due definizioni è perfetta perché la prima potrebbe riferirsi anche ad un qualsiasi altro sistema che raggiungesse l'elevato grado di perfezione cui è pervenuta la ferrovia e con questa potesse gareggiare in potenzialità, e la seconda ci porta a comprendere tra le ferrovie anche quei sistemi che, pur avendo sede metallica e ricorrendo alla forza meccanica, non raggiungono i grandiosi effetti delle ferrovie vere e proprie (tramvie, brevi linee a dentiera per scopi turistici, funicolari, raccordi industriali, ecc.).
Dobbiamo perciò rinunciare a una definizione unica e dire che per ferrovia, in senso largo, s'intende il mezzo di trasporto che ha per prerogativa il contemporaneo impiego delle rotaie e della forza inanimata, mentre la ferrovia, in senso ristretto, è il mezzo di trasporto che, ricorrendo ai due indicati espedienti, consente di effettuare lo spostamento di grandi masse ad altissime velocità.
Quest'ultima definizione è ancora incompleta perché non pone in evidenza un altro punto caratteristico delle ferrovie, vale a dire la loro organizzazione accentrata con unità di direzione che non si riscontra negli altri trasporti terrestri, liberamente esercitati da chiunque su una strada aperta a tutti, mentre nelle ferrovie non si ha più di un esercente per linea e si può giungere al concentramento massimo di un'azienda governativa che eserciti tutte le linee di uno stato. Per tener conto di quest'ultimo carattere, diremo, dunque, che la ferrovia è "un'impresa la quale ha per scopo l'effettuazione dei trasporti terrestri in grandi masse e ad elevata velocità, mediante l'impiego di sede metallica e di mezzi meccanici di trazione".
Classificazione delle ferrovie. - Può essere fatta in base a cinque criterî: importanza del movimento (ferrovie principali e secondarie); modalità del tracciato (linee di pianura e linee di montagna); numero dei binarî (ferrovie a binario semplice e a doppio binario); scartamento del binario (ferrovie a scartamento normale e a scartamento ridotto); specie del motore (ferrovie ad aderenza naturale e ad aderenza artificiale; ferrovie con trazione a vapore e con trazione elettrica).
Ferrovie principali. - Sono quelle in cui il traffico ha tanta importanza quantitativa e qualitativa che per soddisfarne le esigenze si deve raggiungere il massimo carico e la massima velocità consentiti in un dato momento dal progresso tecnico.
Ferrovie secondarie. - Sono quelle in cui, per la scarsa importanza del traffico, si hanno carichi limitati, velocità ridotte e in conseguenza norme di esercizio più semplici. Il concetto di ferrovia secondaria è espresso con molti sinonimi. Si dice anche "ferrovia economica" o "locale" o "d'interesse locale" come contrapposto alla ferrovia d'interesse generale e in alcuni paesi le ferrovie secondarie sono chiamate ferrovie vicinali (chemins de fer vicinaux, in Francia, Nebeneisenbahnen in Germania) o leggiere (light railways in Inghilterra) o piccole (Kleineisenbahnen in Austria).
Linee di pianura. - Sono quelle sulle quali non è oltrepassato un dato limite di pendenza. Naturalmente, pur non essendo escluso che si possano costruire linee piane in località montuose ricorrendo a lunghe gallerie, grandi viadotti, ecc., poiché le linee di montagna abbondano nei paesi in cui prevalgono i terreni accidentati, non si può partire in tutti i paesi dallo stesso limite di pendenza per distinguere le linee di pianura da quelle di montagna. In Italia si ammette che il limite massimo di pendenza caratterizzante una linea di pianura stia intorno al 10 per mille; in paesi a prevalenza piani, come la Germania, non si va oltre il 5 per mille. Da tener presente che se in una linea di pianura è intercalata una breve rampa di pendenza alquanto superiore al limite indicato non per questo la linea perde il suo carattere, giacché una breve salita si può superare per forza viva, senza che ne resti alterata la velocità media, fermo restando il carico dei treni e perciò senza che ne soffra danno la potenzialità di trasporto. È, infatti, la maggiore potenzialità di trasporto che rende più apprezzate le linee di pianura rispetto a quelle di montagna, intendendosi per potenzialità di trasporto la quantità di viaggiatori e di merci che può aver passaggio su una linea in un dato periodo di tempo. Le linee piane consentono naturalmente anche velocità maggiori.
Linee di montagna. - Presentano generalmente curve in maggior numero e di più stretto raggio di quelle di pianura: si può dire che su linee di pianura solo eccezionalmente si ricorre a raggi inferiori a metri 500. Poiché le curve hanno lo stesso effetto della pendenza per quanto concerne la resistenza al moto e quindi la limitazione dei carichi, e la resistenza è tanto maggiore quanto più il raggio è ridotto, giova sempre eliminare, per quanto è possibile, le curve o tenerne elevato il raggio. In terreni accidentati è difficile evitare curve strette senza ricorrere a costosissimi lavori. Si tenga ad ogni modo presente che quando si parla di raggio minimo di curve s' intende sempre alludere alle curve in piena linea: se qualche eccezione è necessaria si consiglia di limitarla agli approcci delle stazioni. Nelle stazioni propriamente dette si ricorre anche su linee principali a raggi più bassi: 150 a 120 m. e meno. Ciò che consente di tollerare curve così strette nelle stazioni è il fatto che sui binari di corsa esse sono percorse a velocità ridotta, salvo dai treni che non fermano, ai quali però si assegnano binarî rettilinei o a curve di grande raggio, e sui binarî secondarî non si hanno che movimenti di manovra.
Linee a semplice o a doppio binario. - Su una linea a doppio binario, facendo sì che tutti i treni viaggianti in una direzione percorrano un binario e quelli della direzione opposta percorrano l'altro, la distanza alla quale i treni si possono seguire è ridotta al minimo mentre per le linee a semplice binario bisogna che i treni si seguano in maniera che quelli di opposta direzione possano incontrarsi (incrociarsi) nelle stazioni. Quando la distanza delle stazioni si mantiene intorno alla media di sei chilometri, su una linea a semplice binario non possono praticamente trovar passaggio più di quindici a venti coppie di treni al giorno, mentre su una linea a doppio binario si possono far passare in condizioni favorevoli fino a 80 e 100 coppie di treni. Si parla di coppie anziché di numero di treni perché di solito tanti treni viaggiano in un senso quanti ne viaggiano nell'altro; per i viaggiatori ciò è esatto alla lettera, perché il movimento che giornalmente ha luogo fra due centri generalmente si equilibra, e ad ogni modo non si può fare a meno di mantenere la circolazione del materiale con movimenti successivi di andata e ritorno sullo stesso tronco di linea. Per le merci la cosa è meno esatta perché in generale a correnti di trasporti in un senso non corrispondono correnti di eguale intensità in un senso opposto e il materiale che ritorna a vuoto, rappresentando un peso assai più basso, si può raggruppare in minor numero di treni.
Si può dire che oltre le lire 400.000 di prodotto chilometrico l'anno il semplice binario non sia più sufficiente. Talora nel fare i calcoli preventivi per una linea da costruire si riconosce che il limite di prodotto chilometrico previsto come massimo per il semplice binario non possa essere sorpassato se non dopo un certo numero di anni. In tali casi, senza costruire senz'altro la linea a due binarî, sapendo che trasformare una linea dal semplice al doppio binario, costa, tenuto conto della spesa originaria, assai più che costruire fin da principio la linea a due binarî, si ricorre all'espediente di eseguire le espropriazioni per la sede doppia e le opere d'arte importanti (gallerie, grandi ponti, ecc.) in maniera che possano permettere l'impianto del secondo binario allorché ne sorge il bisogno. In tal modo una parte della spesa d'armamento viene procrastinata.
Linee a scartamento normale. - Intendendosi per scartamento del binario la distanza tra le facce interne dei funghi delle rotaie, scartamento normale (o internazionale) è quello che viene osservato da quasi tutti i paesi del mondo e che per la massima parte degli stati d'Europa è reso obbligatorio da un accordo preso fra i governi allo scopo di rendere possibile lo scambio dei veicoli e quindi il passaggio attraverso le frontiere dei treni viaggiatori e merci senza la necessità del trasbordo. Lo scartamento normale per tutti i paesi europei è di m. 1,435. Fino al 1° aprile 1931 in Italia si è usato lo scartamento di m. 1,445: attualmente si sta provvedendo alla trasformazione. La piccola differenza non costituiva ostacolo allo scambio dei veicoli con le altre reti, ma accresceva il giuoco fra ruote e rotaie, che favoriva, specialmente con le velocità elevate, i movimenti anormali o parassiti dei convogli (serpeggiamento). La dimensione indicata vale per i tronchi in rettifilo, mentre nelle curve il binario è assoggettato a un piccolo allargamento crescente col decrescere del raggio (sino a m. 1,465 per i raggi minimi).
Linee a scartamento ridotto. - Scartamento ridotto si dice qualsiasi scartamento inferiore al normale. Si possono avere scartamenti ridotti a m. 1,10, 1, 0,75, 0,60, ecc. Però lo scartamento ridotto più comune è quello detto genericamente di un metro, il quale, del resto, corrisponde anch'esso a una doppia misura, giacché alcuni computano il metro fra le facce interne delle rotaie, altri fra gli assi delle rotaie. In Italia è stabilito che le linee a scartamento ridotto di un metro debbano presentare una distanza fra i bordi interni delle rotaie di m. 0,95.
Lo scartamento ridotto presenta il vantaggio rispetto allo scartamento normale di essere meno costoso sia per l'impianto sia per l'esercizio. Il minor costo d'impianto è dovuto, oltreché alla minore ampiezza della sede, al fatto che si possono adottare curve più ristrette in confronto allo scartamento normale (a parità di raggio, la resistenza delle curve si abbassa col diminuire dello scartamento). L'esercizio diventa più economico principalmente perché il materiale ha un peso minore a pari capacità. Lo scartamento ridotto non consente però lo scambio dei veicoli e quindi, ai punti in cui una linea a scartamento ridotto si congiunge con una rete a scartamento normale, viaggiatori e merci debbono subire il trasbordo. Si è tentato, è vero, di ricorrere ad espedienti che consentono di far passare carri a scartamento normale su linee a scartamento ridotto, cioè a carrelli trasportatori che, muniti di ruote a distanza ridotta, possono portare veicoli a scartamento normale, ma questi espedienti hanno un campo d'azione assai ristretto e non si può, quindi, dire che riescano ad eliminare in maniera generale l'inconveniente. Ad ogni modo il trasbordo costituisce un grave incaglio se il traffico è notevole, mentre è tollerabile se il traffico è limitato e finché siamo in queste ultime condizioni conviene affrontare il trasbordo con l'inerente spesa per godere il vantaggio che offre lo scartamento ridotto come economia di costruzione e di esercizio. Tutto sta, dunque, nel farsi un'esatta idea dell'entità del traffico.
Lo scartamento ridotto è specialmente indicato quando si tratti di una rete non destinata per naturali condizioni a congiungersi con altre. Tale è il caso delle isole italiane e specialmente della Sardegna, ove sarebbe stato assai opportuno ricorrere per tutte quante le linee allo scartamento ridotto anziché, come si è fatto, costruirne parte a scartamento normale, mentre il traffico è dappertutto limitato. Provvedimento opportuno è stato invece quello di adottare lo scartamento ridotto sulla vasta rete di linee in corso di costruzione nella Calabria e la Basilicata, rete tutta a traffico limitato, che, se eseguita a scartamento normale, avrebbe richiesto spesa sproporzionata alla sua funzione. Lo scartamento ridotto è pure assai indicato per le ferrovie coloniali, cioè per le ferrovie di paesi nuovi, non ancora aperti alla civiltà, dove, salvo eccezioni rarissime, il traffico per molti e molti anni dalla costruzione si mantiene scarso e dove non esistono vere e proprie reti, ma linee isolate che si prolungano per centinaia di chilometri in una sola direzione.
Elemento caratteristico delle ferrovie, connesso alla misura dello scartamento, è la sagoma limite di carico pel materiale mobile cui corrisponde la sagoma delle opere d'arte o dello spazio libero. La sagoma limite serve a fissare le dimensioni del profilo trasversale del materiale mobile e dei carichi fatti su veicoli aperti, nel senso che quando il veicolo è nella posizione mediana su binario in rettifilo, nessun suo punto deve superare le misure indicate nella fig. 6, a e b, la prima delle quali rappresenta la sagoma limite normale italiana, l'altra la sagoma limite internazionale. Naturalmente, poiché i veicoli sono destinati a circolare anche nelle curve, allorché queste scendano al disotto di un certo raggio e la lunghezza dei veicoli stessi ecceda certe prestabilite distanze fra gli assi delle ruote (o pernî dei carrelli) e fra le ruote e gli estremi della cassa (parte in falso) le dimensioni trasversali debbono subire una riduzione rispetto alla sagoma. Teoricamente la riduzione sarebbe necessaria per qualsiasi curva anche del raggio più ampio, ma finché l'invasione della sagoma da parte del veicolo rimane entro i limiti di pochi centimetri si usa tollerarla approfittando del fatto che vi è sempre un margine fra la sagoma del materiale e quella delle opere d'arte (ponti, gallerie, ecc.). La sagoma delle opere d'arte o dello spazio libero è infatti tracciata aumentando la sagoma del materiale di 9 cm. in altezza e di 15 cm. in larghezza da ciascun lato. Per le gallerie, i cavalcavia, ecc., l'altezza si porta a m. 6,50. Per le ferrovie a scartamento ridotto, la sagoma viene fissata su dimensioni meno ampie, senza però che la larghezza dei veicoli sia ridotta rispetto alla normale nello stesso rapporto degli scartamenti.
Ferrovie ad aderenza naturale o ad aderenza artificiale. - Perché si possa ottenere la locomozione è necessario che la reazione opposta dalle rotaie (aderenza) superi lo sforzo di trazione. Se la pendenza non eccede un dato limite si potrà utilizzare tutto lo sforzo di trazione della locomotiva con la sola aderenza che si verifica fra le superficie della rotaia e della ruota per effetto delle loro naturali asperità; se invece, la pendenza eccede certi limiti, con l'aderenza naturale non si potrebbero trasportare che carichi assai ridotti. Conviene allora ricorrere alla trasmissione per ruota dentata applicata al motore con dentiera applicata al binario, oppure alla trazione con fune (v. sotto, Ferrovie speciali).
Ferrovie con trazione a vapore. - È in uso sulla grande maggioranza delle ferrovie (v. locomotiva; dove si parlerà anche dei tentativi fatti per sostituire la trazione a vapore col motore a combustione interna).
Trazione elettrica. - Sorse circa quarant'anni addietro (è del 1890 la prima applicazione fattane in Europa sulla tramvia Firenze-Fiesole) ma assunse subito grande diffusione. Per ora è estesa a pressoché il 5 per cento della rete mondiale. La trazione elettrica ha lo svantaggio di richiedere un costo d'impianto alquanto superiore a quello della trazione a vapore e di costituire un legame tra gl'impianti fissi e le macchine di trazione che non esiste per la locomotiva a vapore, la quale può spiegare maggiore autonomia.
Essa però presenta i due seguenti vantaggi, che, secondo i casi, assumono maggiore o minore importanza: a) la trasmissione dell'energia per mezzo dell'elettricità, quando si ricorra alle alte tensioni, ha luogo con perdite assai basse; è quindi possibile produrre l'energia in grandissimi impianti (che permettono di ridurre la spesa di produzione) e poi distribuirla nei punti ove deve essere utilizzata. Queste grandi officine di produzione possono anche essere costituite da impianti idroelettrici che, se posti in favorevoli condizioni, producono la forza a buon mercato. Il vantaggio dell'accentramento è ancora maggiore quando l'impianto è utilizzato in modo costante e uniforme; si spiega così il successo dell'elettricità nelle tramvie urbane, ove si hanno molte piccole unità in continuo movimento; b) il peso del motore, che costituisce nella trazione ferroviaria, come negli altri sistemi di trasporto, un peso morto, cioè un peso che deve essere trasportato senza profitto diretto, è più basso che nella trazione a vapore (un locomotore elettrico del sistema trifase pesa 30:.40 chilogrammi per cavallo; una locomotiva a vapore, tenuto conto del tender, ne pesa circa cento). Di più, nei treni elettrici si risparmia il peso degli approvvigionamenti delle locomotive portato dal tender. Questo spiega perché alla trazione elettrica si attribuisce una speciale attitudine per le linee a forte pendenza. Siccome, infine, la spesa d'impianto per la trazione elettrica è press'a poco costante quale che sia il traffico o varia limitatamente con questo, mentre il risparmio dell'energia elettrica di fronte al carbone è tanto maggiore quanto più elevat0 è il numero dei treni, si suole giustamente affermare che la trazione elettrica, a parità di altre condizioni, è indicata principalmente per le linee a forte pendenza e ad elevato traffico, cioè a forte consum0 chilometrico di carbone (v. anche appresso il paragrafo: Ferrovie elettriche).
in cui h è il dislivello totale, lc ed ic i tratti in curva con le resistenze relative ridotte a pendenze fittizie da addizionarsi alle reali. Per linee in discesa eguale o maggiore del 4 per mille si fa:
ritenendosi che su una discesa non richiedente sforzo di trazione vi sia un consumo di energia pari al quinto di quello che si ha sull'orizzontale.
Il ragionamento predetto limita il confronto del tracciato alla pura considerazione del consumo di energia; ma le spese di esercizio contengono altri e più importanti elementi variabili col numero dei treni e perciò, se si vuol fare un calcolo più esatto, bisogna ricorrere a più complicati raffronti. Un metodo suggerito dalle Convenzioni ferroviarie italiane del 1885 parte dal concetto che, potendo considerarsi costante la spesa per treno-chilometro, la spesa per tonnellata trasportata cresce tanto più quanto maggiore è la pendenza e più ridotto il peso del treno. Il peso lordo (compresa macchina e tender) del convoglio (p) per ogni tonnellata netta dipende dalla pendenza (i), dal coefficiente di aderenza e dal rapporto fra peso aderente e peso totale della locomotiva. Supposto eguale a 120 kg. per tonnellata l'aderenza, facendo il peso totale della locomotiva eguale a 1,5 del peso aderente, di kg. 6 la resistenza media al moto, si ha:
Il confronto è fatto con linea in pianura, considerata tale quella in cui la pendenza massima è del 10 per mille (p − 1,25). Si ammette un traffico eguale nei due sensi. Per avere la lunghezza virtuale di una linea che contenga pendenze superiori a 10, si prendono in esame tutti i tronchi sui quali il peso del treno rimane costante. Si calcola il valore di p per la livelletta massima del tronco. Indi per ciascuna livelletta si desume la lunghezza virtuale (lv) equivalente alla reale (lr) con la formula:
chiamato β il coefficiente di virtualità (rapporto fra lunghezza virtuale e lunghezza reale).
Per il caso della trazione elettrica potendosi elevare l'aderenza a 170 kg. per tonnellata e ridurre il rapporto fra peso totale e peso aderente del locomotore a 1,20, il coefficiente di virtualità riuscirà minore. Ciò conferma che la trazione elettrica si adatta meglio di quella a vapore alle pendenze elevate.
Il coefficiente di virtualità si può calcolare anche per via statistica, cioè paragonando la spesa di esercizio corrispondente a linee di diversa pendenza a quella ottenuta su linea piana. Va da sé che calcoli di questo genere vanno riveduti su elementi aggiornati. Ecco i coefficienti di virtualità (β) risultati da studî dell'ing. Jacquier:
Esercizio tecnico delle ferrovie. - Numerosi sono i problemi dell'esercizio delle ferrovie, anche riguardati dal solo punto di vista tecnico.
Orarî (v. anche orario). - La composizione o impostazione degli orarî esige una conoscenza profonda dell'intensità e della distribuzione del traffico. Il problema dell'orario non si potrebbe risolvere a priori; né d'altra parte ciò è necessario perché un orario è sempre suscettibile di modifiche per modo che alla soluzione si può giungere con successivi adattamenti. Anzi in tutti i paesi si usa sottoporre gli orarî a modificazioni periodiche a principio dell'estate (15 maggio-10 giugno) e a principio dell'inverno (15 ottobre-10 novembre). La contemporaneità delle modificazioni facilita l'accordo per le coincidenze fra i treni delle diverse reti.
Il primo criterio da tener presente è quello della opportunità di distribuire sia il servizio viaggiatori sia quello merci fra treni celeri e treni lenti, i primi destinati a servire il traffico a lunga distanza, i secondi quello a breve distanza. La celerità dei treni (intesa nel senso commerciale, come comunemente si dice, vale a dire rapportata al tempo impiegato in un vero e proprio viaggio) non dipende solo dalla velocità di marcia, ma anche dal tempo speso nelle fermate, che molte volte ha una notevolissima influenza; d'altra parte al traffico a lunga distanza le fermate intermedie non servono e per quelle a breve distanza le grandi velocità, che sono costose, non giovano. È perciò conveniente fare due categorie, quella dei treni a elevata velocità che si fermano soltanto in alcune stazioni (diretti) e quella dei treni a velocità limitata che si fermano in tutte le stazioni (omnibus). Esistono anche categorie affini o intermedie per le quali si adottano i nomi di rapidi (express), direttissimi, accelerati, ecc.; ma ciò non altera il concetto di affidare a treni distinti il traffico secondo che vada a lunga o a breve distanza. Le denominazioni di diretti e di omnibus con le caratteristiche corrispondenti valgono non solo per i viaggiatori, come è generalmente noto, ma anche per le merci.
Gli orarî si possono rappresentare numericamente e graficamente. Per gli orarî destinati al pubblico si preferisce la rappresentazione numerica, per quelli destinati a scopi tecnici l'esposizione numerica è sostituita o sussidiata dalla rappresentazione grafica.
Gli orarî grafici (fig. 14) si stabiliscono ricorrendo a due assi coordinati, uno dei quali è destinato ai tempi, l'altro alle distanze fra le stazionì successive. I treni risultano rappresentati da linee più o meno inclinate secondo la loro velocità media. Queste linee segnano sulle coordinate corrispondenti l'ora di passaggio per le diverse stazioni; son così subito messi in evidenza gl'incroci e le precedenze. (Si dice incrocio il contemporaneo passaggio per una stazione di due treni correnti in senso opposto su una linea a semplice binario; precedenza il passaggio contemporaneo di due treni marcianti nello stesso senso tanto su linea a semplice quanto su linea a doppio binario, dei quali quello giunto prima deve cedere il passo all'altro giunto dopo).
Segnali (v. anche questa voce). - Se si potesse ammettere l'ipotesi di treni che rispettino esattamente gli orarî, nient'altro occorrerebbe; ma questo non sempre avviene e in ogni modo bisogna garantirsi che i treni abbiano ad entrare nelle stazioni soltanto su binarî liberi. Occorre dunque che il personale a terra sulle linee o nelle stazioni sia messo in grado di corrispondere con quello posto a scorta dei treni, ciò che esige la creazione di un linguaggio convenzionale ottenuto con segnali, i quali debbono prestarsi a comunicazioni assai semplici, ma che è indispensabile riescano chiare, esplicite, rapide: tali da evitare ogni incertezza o equivoco e da non dar luogo ad alcuna conseguenza dannosa nel caso d'inevitabili guasti o quando, per una ragione qualsiasi, il funzionamento dei meccanismi venga a mancare.
Le funzioni di maggiore importanza nella segnalazione ferroviaria spettano ai segnali di protezione della linea (sistema di blocco; v. blocco, sistema di) o delle stazioni. Questi segnali, situati in posizione fissa, hanno l'ufficio di arrestare i treni quando la via non sia libera. Debbono perciò, in generale, poter dare una doppia indicazione: o quella che ordina la fermata in corrispondenza al segnale (segnale chiuso o a via impedita), o l'altra che consente il moto oltre il segnale (segnale aperto o a via libera). Ma con le alte velocità attuali un solo segnale non garantisce la fermata e perciò il segnale principale è sempre preceduto da un segnale di avviso che ne ripete l'indicazione.
Una delle forme classiche del segnale è quello a disco costituito da una colonna metallica sormontata da una vela di forma circolare colorata in rosso che, grazie alla rotazione di un albero posto all'interno della colonna stessa, si può disporre o in senso normale al binario oppure in senso parallelo; nel primo caso segna la via impedita, nel secondo la via libera. Ma il disco tende ad essere abbandonato per il segnale a semaforo. Un albero verticale porta uno o più braccia o ali che, con la loro diversa posizione rispetto all'albero stesso, possono dare comandi differenti. Anche le ali dei semafori sono dipinte in rosso dalla parte dove dànno comando dì pericolo. Di notte la via impedita è segnata da una luce rossa, la via libera da una luce verde. Per il preavviso si ricorre alla luce gialla (aranciata). È stabilito che l'ala orizzontale indichi via impedita e l'ala inclinata indichi via libera. Resta a vedere se il braccio debba essere applicato a destra oppure a sinistra dell'albero e se per la posizione inclinata dell'ala si debba utilizzare il quadrante superiore o quello inferiore. Nei paesi che preferiscono sul doppio binario la circolazione a sinistra (Italia, Inghilterra, Francia) il braccio che comanda è quello ehe si vede a sinistra, in quelli che adottano la circolazione a destra (Germania, Austria, ecc.) il braccio che comanda è quello visibile a destra. In America invece del quadrante inferiore, come da noi, si utilizza il quadrante superiore.
I segnali e anche gli scambî (apparecchi che collegano i binarî fra loro) vengono manovrati elettricamente a distanza secondo sistemi introdotti da qualche decennio e che ora soltanto si vanno diffondendo (fig. 15).
Regolamento della circolazione. - Per regolare la circolazione dei treni, all'infuori dei segnali si ricorre in generale a un sistema prestabilito di accordi fra le varie stazioni che si trovano sul percorso e che sono preavvisate di ogni irregolarità della marcia; al che si prestano il telegrafo o il telefono. Conviene anzi dire che la circolazione ferroviaria poté sin da principio diventare intensa perché prima delle ferrovie era stato inventato il telegrafo.
Ma si può anche ricorrere a un sistema diverso: quello di accentrare le funzioni inerenti alla circolazione in una sola stazione o in un solo agente. Il sistema del concentramento della dirigenza è assai diffuso in America ove prende il nome di train-dispatching, e train-dispatcher è chiamato l'agente incaricato di dirigere il movimento dei treni su una linea. Esso si va diffondendo anche nei paesi europei; in Italia, ove viene chiamato, secondo le varie modalità, sistema del dirigente centrale o unico, ha già avuto parecchie applicazioni (v. anche treno).
Ferrovie elettriche.
Cenno storico. - L'idea di applicare l'energia elettrica per azionare le tramvie e le ferrovie risale agli anni 1876-1880 e gli esperimenti si iniziarono quasi contemporaneamente in America e in Europa. Nel 1879 fu visto per la prima volta, in Germania, un piccolo tram elettrico all'Esposizione industriale di Berlino, e la prima tramvia elettrica americana fece la sua prima apparizione a Menlo Park nel 1880. In Europa lo sviluppo delle tramvie elettriche subì quasi un'interruzione sino al 1890, mentre l'America al riguardo progredì molto, intensificando gli studî e le applicazioni. Nello svolgersi di queste, l'America stessa indicò la via per risolvere il problema della trazione elettrica sulle grandi linee ferroviarie. Ispirandosi alle tramvie, s' impiegò naturalmente anzitutto la corrente continua 550 volt, e la General Electric Company fornì nel 1894 per l'elettrificazione del traforo di Baltimora una locomotiva elettrica del peso di 96 tonn., equipaggiata con quattro motori da 360 HP ciascuno (l'alimentazione avveniva con la terza rotaia). Occorreva però ancora del tempo per passare alla grande trazione ferroviaria, e ciò soprattutto a causa della tensione troppo bassa, così che, pur avendo intrapreso con successo la trazione elettrica sulle metropolitane e sulle ferrovie suburbane, si dovevano attendere i primi anni del nuovo secolo prima di poter parlare di vera trazione elettrica ferroviaria per lunghi percorsi e per traffico merci pesante (v. anche elettrotecnica).
Sistemi di trazione elettrica. - Il problema di trasformare l'energia elettrica in energia meccanica a scopo di trazione può essere risolto in varî modi che si basano essenzialmente sull'impiego del motore Pacinotti (sistema a corrente continua e a corrente alternata monofase) e sull'impiego del motore trifase a campo rotante Ferraris (sistemi trifase e monotrifase). Sono riportate qui sotto succintamente le caratteristiche di ciascun sistema, rimandando ad altre voci per la speciale descrizione dei macchinari, fissi e mobilii della trazione ferroviaria (v. elettrica, energia; dinamoelettriche, macchine).
Sistema a corrente continua. - Utilizza la corrente continua ricavata in apposite stazioni di conversione, le quali possono essere rotanti se per la trasformazione della corrente da alternata in continua impiegano commutatrici o gruppi motori-dinamo; ovvero statiche se invece impiegano raddrizzatori a vapore di mercurio. La corrente viene addotta alla locomotiva a tensione più o meno elevata (ad es. 750; 1500; 3000 volt) per mezzo della linea di contatto, la quale può essere aerea o del tipo a terza rotaia. In quest' ultimo caso la tensione varia normalmente da 650 a 800 volt; essa però raggiunge talvolta i 1500 volt (Francia), e in America vennero fatti esperimenti fino a 2400 volt. Nel caso di linea aerea, invece, sono frequenti le applicazioni a 3000 volt, e va anzi ricordata anche l'elettrificazione della Torino-Ciriè-Lanzo-Ceres a 3600 ÷ 4000 volt. Il circuito di ritorno (come in tutti i sistemi di trazione) è formato dal binario di corsa.
I motori di trazione impiegati nella corrente continua sono generalmente del tipo con eccitazione in serie; i motori eccitati in derivazione vengono impiegati quasi esclusivamente nella trazione ad accumulatori. Le locomotive elettriche equipaggiate con motori con eccitazione in serie hanno il vantaggio di funzionare analogamente alle locomotive a vapore, vale a dire che la velocità aumenta col diminuire dello sforzo di trazione e viceversa. I motori inoltre non risentono delle variazioni di tensione, anche notevoli, che per effetto dei carichi si possono verificare sulla linea di contatto, conseguendone soltanto variazioni proporzionali alla velocità. Questa, a sua volta, può essere variata, sia disponendo differentemente l'alimentazione dei motori di trazione (in serie, in parallelo), sia variando l'eccitazione, sia infine - negli avviamenti - inserendo adeguate resistenze nel circuito principale di alimentazione.
Tali principî valgono in generale tanto per la trazione a corrente continua a bassa tensione quanto per quella ad alta tensione, con la differenza però che in quest'ultima non potendosi, almeno finora, costruire i motori di trazione per una tensione superiore ai 1500 volt, le locomotive vengono equipaggiate con due o più motori collegati tra loro in serie, in modo che ciascuno di essi venga alimentato a una tensione di 750 ÷ 1000 o al massimo a 1500 volt, pur avendosi sulle linee di contatto una tensione di 3000 volt.
Il motore con eccitazione in serie non si presta, di per sé solo, al ricupero o rigenerazione dell'energia, giacché una generatrice eccitata in serie, data la sua particolare caratteristica, non potrebbe funzionare in modo stabile, essendo sensibile alle variazioni di tensione della linea di alimentazione. Nella trazione ferroviaria il ricupero d'energia non rappresenta soltanto un vantaggio economico (minori consumi di energia e di materiale), bensì una sicurezza nell'esercizio, potendo riuscire di valido aiuto ai freni specialmente nelle lunghe discese. Varî sistemi sono stati escogitati, anche da italiani (Somaini, Della Riccia) per rimediare a questa deficienza del motore in serie rispetto a quello con eccitazione in derivazione o indipendente, e anche a quello trifase a induzione. Nelle locomotive di grande potenza il ricupero si ottiene mediante l'impiego di una generatrice a bassa tensione (che può servire anche per i servizî ausiliarî), la quale alimenta i circuiti di eccitazione dei motori di trazione in modo che questi possano funzionare come dinamo a eccitazione indipendente. Il principio è stato applicato da varie case (General Electric Co.; Westinghouse, ecc.) con dispositivi diversi (es. resistenza di stabilizzazione), tendenti a garantire il buon funzionamento specialmente nei riguardi della regolazione della corrente immessa sulla linea di contatto; i risultati finora ottenuti, pur essendo certamente soddisfacenti, non sono però tali da dichiarare definito, almeno nel campo degli studî, il problema del ricupero sulle linee elettrificate con corrente continua.
Sistema monofase. - La caratteristica essenziale di questo sistema è l'uso dell'alta tensione e della bassa frequenza. La tensione della linea di contatto ordinariamente si aggira tra gli 11.000 e i 15.000 volt e talvolta raggiunge anche i 20.000 volt; essa permette di mantenere poco elevata l'intensità della corrente e di estendere in tal modo il raggio d'azione d'una sottostazione di alimentazione oltre che di limitare la sezione dei conduttori. La frequenza normalmente usata è di 16,7 periodi (Europa) oppure di 25 periodi (America). La corrente primaria monofase, ad altissima tensione e bassa frequenza, o viene generata direttamente in centrale e trasportata con proprie linee alle sottostazioni di trasformazione statica che alimentano la linea ferroviaria, oppure viene ridotta dalla frequenza industriale alla frequenza ferroviaria in appositi centri di trasformazione rotante, mediante gruppi di conversione composti ciascuno ordinariamente di un motore asincrono trifase a frequenza industriale coassiale con un generatore sincrono monofase a bassa frequenza. Da questi centri la corrente a 16,7 periodi viene trasportata alle sottostazioni di trasformazione statica alimentanti la linea di contatto. Talvolta (ad es. in Svezia) questi centri di conversione della frequenza alimentano essi stessi direttamente la linea di contatto.
Le locomotive del sistema monofase sono equipaggiate con motori a collettore eccitati in serie; la tensione di alimentazione di essi - almeno allo stato attuale della tecnica - non supera però normalmente i 500 volt, e perciò a bordo di ogni locomotore esiste uno speciale trasformatore statico o autotrasformatore che riduce atale valore la tensione della linea di contatto. Il motore monofase a collettore ha la stessa costituzione elettromeccanica di quello a corrente continua con eccitazione in serie, salvo particolarità costruttive (ad es. nuclei induttori lamellati, circuito di compensazione, indotto più voluminoso, commutatore più grande, ecc.) rese necessarie per impedire che la corrente alternata produca un'eccessiva dissipazione di energia sotto forma di calore nei nuclei e un troppo forte scintillio al collettore, e per ottenere dei flussi magnetici induttori abbastanza intensi. In alcuni impianti americani, anzi, i locomotori vengono alimentati ora a corrente continua ora a corrente alternata monofase. Le caratteristiche elettromeccaniche quindi sono analoghe a quelle del motore a corrente continua eccitato in serie; rispetto a questo offrono però un minore rendimento e una minore potenza specifica, oltre a un'incostanza della coppia meccanica, dovuta alla periodicità della corrente, che si risente soprattutto all'avviamento. Anche la regolazione della marcia dei locomotori si effettua sostanzialmente come nella corrente continua, con la differenza che le variazioni di tensione, anziché effettuarsi mediante il reostato, o il vario collegamento dei motori di trazione, si ottengono variando il rapporto di trasformazione del trasformatore statico o autotrasformatore che si trova sulla locomotiva. Nel motore monofase a collettore occorre una tensione di alimentazione non troppo elevata e una bassa frequenza, così da permettere una buona commutazione della corrente alle spazzole; sono stati anche adottati dei dispositivi per migliorare la commutazione stessa.
Il ricupero dell'energia nelle discese si può ottenere facendo funzionare il motore come generatore eccitato indipendentemente dal econdario dello stesso trasformatore principale; però anche per il monofase si presentano le stesse difficoltà pratiche della rigenerazione di corrente del sistema a corrente continua.
Sistema trifase. - È stato anche chiamato sistema italiano, essendo stato adottato e perfezionato quasi esclusivamente in Italia. Si distingue in trifase a bassa frequenza e tensione 3700 volt circa e trifase a frequenza industriale e tensione a 10.000 volt circa.
a) Il trifase a bassa frequenza è di gran lunga più usato; anche qui, come per il monofase, l'energia o viene generata direttamente nelle centrali di produzione e trasportata con proprie linee alle sottostazioni di trasformazione statica che alimentano la linea ferroviaria, oppure viene ridotta dalla frequenza industriale alla frequenza ferroviaria in appositi centri di trasformazione rotante, mediante gruppi di conversione composti ciascuno, ordinariamente, di un motore trifase asincrono a frequenza industriale coassiale con un generatore sincrono trifase a bassa frequenza. La corrente viene addotta alla locomotiva mediante due fasi aeree, la terza essendo formata dal binario di corsa; opportuna disposizione è data alle fasi negl'incroci e negli scambî, per mantenere l'isolamento delle fasi e nello stesso tempo permettere l'alimentazione costante della locomotiva (v. sotto: Linea di contatto).
Il motore trifase usato nella trazione è quello asincrono a induzione, basato sul principio del campo rotante Ferraris. Le locomotive trifasi sono equipaggiate con due motori, che sono collegati fra loro meccanicamente ed elettricamente e vengono alimentati direttamente dalla linea di contatto. L'avviamento si ottiene mediante l'inserzione e la variazione di una resistenza ohmica, liquida o metallica, nell'avvolgimento del secondario dei motori, potendosi in tal modo produrre la coppia meccanica capace di assegnare al treno l'accelerazione necessaria per raggiungere la velocità di corsa. La caratteristica del motore a induzione non permette per sé stessa variazioni di velocità, rimanendo questa praticamente costante per qualunque variazione di carico. Vengono però applicati correntemente alcuni dispositivi che permettono di ottenere due velocità, 25 e 50 km/ora per le locomotive-merci; e quattro velocità, cioè 37,5, 50, 75, 100 km/ora, per le locomotive-viaggiatori.
Le velocità fondamentali si ottengono alimentando i motori in parallelo oppure in cascata; altre due velocità si possono conseguire con la commutazione dei poli. Il dispositivo in cascata consiste nell'alimentare lo statore di uno dei due motori (secondario) non direttamente dalla linea di contatto, bensì attraverso il rotore dell'altro motore (primario); si ottiene in tal modo una velocità pari, praticamente, alla metà di quella che si ottiene alimentando i motori in parallelo. Inoltre, poiché la velocità del motore a induzione è in ragione inversa del numero dei poli, si ottiene un'altra coppia di velocità alimentando i motori in cascata e in parallelo e commutando i poli, ad es., da 8 a 6.
Il ricupero automatico dell'energia nella discesa è una proprietà esclusiva del sistema trifase. Quando il treno con la sua forza di gravità accelera i motori e fa loro superare la velocità di sincronismo, i motori cessano di essere tali e divengono generatori asincroni, dando energia alla linea di contatto; la discesa dei treni si effettua inoltre a velocità costante e nelle migliori condizioni di sicurezza, riducendo al minimo l'uso dei freni.
Il numero dei giri di un motore trifase è direttamente proporzionale alla frequenza e inversamente proporzionale al numero dei poli; nell'esperimento ferroviario della Valtellina fu limitata la frequenza a 15 periodi, per togliere nei locomotori la necessità di una riduzione di velocità per mezzo d'ingranaggi e per non essere costretti ad adottare motori provvisti di un eccessivo numero di poli. D'altra parte la preoccupazione di evitare cadute di tensione e sfasamenti eccessivi contribuì anch'essa fortemente alla scelta della bassa frequenza. Anche oggi il sistema trifase a bassa frequenza (che si è sviluppato quasi esclusivamente in Italia), per esigenze pratiche di uniformità di macchine e semplicità di esercizio, mantiene in sostanza le medesime caratteristiche di trenta anni fa, risultando la piccola variazione di frequenza, da quella primitiva a 15 a quella attuale a 16,7 periodi, dalla necessità di avere un numero di periodi sottomultiplo della frequenza industriale così da permettere rifornimenti e scambî di energia.
b) Recentemente è stato esperimentato il sistema a frequenza industriale, elevando anche la tensione tra fase e fase da 3700 volt a 10.000 volt. L'aumento di frequenza dà il vantaggio di ridurre il peso dei trasformatori e del macchinario degl'impianti fissi, semplifica e rende più economico l'approvvigionamento e lo scambio di energia con le reti industriali. La più elevata tensione alla linea di contatto, resa necessaria anche per compensare le maggiori cadute di tensione dovute all'aumento d'impedenza, permette di ridurre le sezioni dei conduttori di linea o di distanziare maggiormente le sottostazioni. Salvo il maggiore isolamento, l'attrezzatura è identica a quella del sistema trifase a bassa frequenza.
I locomotori differiscono da quelli del sistema a 16,7 periodi per avere a bordo un trasformatore statico e gl'ingranaggi riduttori della velocità. Il trasformatore è interposto tra la linea di contatto e i motori di trazione; esso serve anche all'alimentazione dei servizî ausiliarî e permette inoltre alla locomotiva una certa indipendenza dalla tensione della linea, consentendo ad es. di elevare la tensione di alimentazione dei motori quando questi funzionano in cascata, e così migliorando notevolmente la coppia. La trasmissione del moto dai motori alle ruote per mezzo d' ingranaggi permette l'interposizione di un mezzo elastico, evitando le sollecitazioni anormali che possono provenire da fenomeni di urto. Essa inoltre consente di adottare un tipo di locomotiva unico a velocità diverse mediante il semplice cambio del rapporto.
Altri sistemi di trazione. - I tre sistemi di trazione sopra descritti rappresentano la quasi totalità dell'elettrificazione ferroviaria. Vi sono però alcune linee elettrificate in modo da sfruttare le caratteristiche di un sistema sulla linea di contatto e di un altro sistema sulla locomotiva; così, ad es., il sistema monotrifase, il quale unisce i pregi della semplicità della linea di contatto monofase con quelli del motore trifase. Esso ha avuto notevole sviluppo negli Stati Uniti dove è stato applicato su linee d'intenso e pesante traffico merci e minerario (ad es. Virginian Railway), sulle quali non importa avere più di due velocità di marcia.
La corrente monofase della linea di contatto ha caratteristiche identiche a quelle del sistema monofase usato in America 11.000 volt e 25 periodi; per alimentare i motori di trazione trifasi delle locomotive, queste sono munite, oltre che dei trasformatori di tensione, anche di trasformatori di fase. Questo sistema è più semplice di quello trifase per quanto si riferisce all'attrezzatura della linea di contatto; è però più complicato nelle locomotive, le quali risultano anche più pesanti di quelle monofasi: particolarità questa che, se può giovare nel caso di linee che sono percorse da treni molto pesanti (anche 5000 - 6000 tonn.) come quelle americane, è certamente svantaggiosa nel caso di linee percorse da treni di peso normale, come ad es. sono le ferrovie europee.
Recentemente è stato esperimentato, pure in America, il sistema monocontinuo allo scopo di sfruttare il vantaggio offerto da una più alta tensione sulla linea di contatto, togliendo ai motori a collettore gl'inconvenienti, accennati più sopra, di un'alimentazione a corrente alternata monofase. Per la trasformazione della corrente alternata in corrente continua le locomotive hanno a bordo un gruppo sincronodinamo che alimenta i motori di trazione.
Anche la trazione ad accumulatori viene in qualche parte usata sulle ferrovie, quantunque tale genere di trasporto sia rimasto alquanto arretrato in confronto degli altri e non possa essere considerato come un vero e proprio sistema di trazione, ma rientri piuttosto in quello a corrente continua. La sua applicazione si limita in ogni modo soltanto a linee brevi di traffico non molto intenso, percorse da automotrici munite normalmente di una batteria di accumulatori avente una capacità tale da assicurarle un'autonomia di marcia non superiore ai 200 km. circa. Il motore normalmente usato (in genere in numero di due per ogni vettura) è del tipo con eccitazione in derivazione e la variazione di velocità viene fatta con le combinazioni "serie" o "parallelo" delle batterie e con l'uso di adeguate resistenze. Dato il suo particolare pregio di essere indipendente da linee di alimentazione e di potere utilizzare cascami di energia delle ore notturne per la carica delle batterie, questo sistema si presta molto per le manovre nelle stazioni ferroviarie, negli stabilimenti industriali, ecc. A questo scopo è molto utilizzato anche in Italia.
Un altro sistema di trazione, che può anche essere considerato come elettrico, è quello con automotrici Diesel-elettriche. Con la macchina Diesel si ha un motore primario a consumo di combustibile economico e dove praticamente non si ha bisogno d'acqua; nello stesso tempo risultano semplici la scorta e la distribuzione del combustibile. Però le caratteristiche generali di velocità e di coppia delle macchine Diesel sono inferiori a quelle della macchina a vapore. Per sormontare tali difficoltà è stata adottata l'elettricità come mezzo di trasmissione tra il motore Diesel e le ruote. Il sistema Diesel-elettrico si presta bene per essere sostituito al servizio a vapore sulle linee secondarie di debole traffico.
La questione del sistema e lo sviluppo delle elettrificazioni ferroviarie. - È stato spesso discusso quale sia il migliore sistema di trazione elettrica. La discussione non sempre mantenuta nel campo strettamente tecnico e ferroviario, ha spesso deviato in apologie di un sistema e denigrazioni di un altro; apologie e denigrazioni che lo sviluppo della tecnica ha talvolta fragorosamente demolito. Oggi molte opinioni sono cambiate rispetto a quelle di trenta, venti e anche dieci anni fa; tuttavia le discussioni non sono ancora del tutto sopite e recenti studî ed esperimenti farebbero pensare che non sia stata detta ancora l'ultima parola in fatto di sistemi di trazione elettrica.
Un fatto subito è da constatare: i tre fondamentali sistemi di trazione elettrica, a corrente continua, monofase, trifase, si sono mostrati tutti capaci di corrispondere alle richieste di un grande servizio elettroferroviario. Su circa 17.000 km. di ferrovie principali che risultavano elettrificate in tutto il mondo nel 1930, in cifra tonda il 13% spettano alla corrente continua bassa tensione (inferiore a 1000 volt); il 37% alla corrente continua alta tensione; il 40% alla corrente monofase; il 10% alla corrente trifase. Quest'ultima, applicata quasi tutta in Italia dalle Ferrovie dello stato e nella maggior parte con le caratteristiche a bassa frequenza, risulta come percentuale alquanto inferiore agli altri sistemi; però essa rappresenta un complesso tutto collegato di linee ferroviarie importanti per numero di treni e per intensità di traffico così da non essere inferiore ad alcun'altra elettrificazione ferroviaria del mondo, compreso anche il complesso a sistema monofase di linee ferroviarie svizzere, che in fatto di elettrificazione presenta un esempio unico di caratteristica organicità.
Oggi dunque sarebbero fuori luogo le obiezioni fatte in altri tempi per i varî sistemi di trazione. Si attribuiva, ad esempio, alla corrente continua lo svantaggio di utilizzare tensioni troppo basse e d'aver bisogno di sottostazioni di conversione rotante, il che richiedeva una forte spesa di impianto e di esercizio nonché elevati consumi specifici di energia. Il sistema monofase era criticato, oltre che per le speciali caratteristiche della corrente, che obbligavano a centrali e linee di trasporto proprie, anche per la complessità del macchinario locomotore da cui conseguiva una eccessiva soggezione nella delicatezza dei suoi organi e un elevato peso specifico nei riguardi della potenza utilizzata, e quindi forte spesa di acquisto e di manutenzione del macchinario stesso; anche per questo sistema i consumi specifici di energia non erano bassi. Al trifase infine si rimproveravano, oltre le speciali caratteristiche di frequenza, la complicata attrezzatura della linea di contatto e il limitato numero di velocità di marcia dei locomotori, la necessità del reostato di avviamento, il ridursi della coppia con gli abbassamenti di tensione, ecc.
Ma d'altra parte, di ogni sistema si vantavano i pregi: per la corrente continua la grande elasticità del motore in serie, la semplicità della linea di contatto e la mancanza di disturbi alle linee telegrafiche e telefoniche; per il sistema monofase i pregi del motore analogo a quello in serie della corrente continua, le sottostazioni statiche, e inoltre l'elevata tensione alla linea di contatto che permetteva un'attrezzatura più leggiera e ancor più semplice e quindi minori spese d'impianto e d'esercizio; per il sistema trifase, oltre le sottostazioni statiche, maggiore semplicità dei motori di trazione, dalla qual cosa conseguiva un basso peso specifico del locomotore e quindi un minor costo, la semplicità e la sicurezza del ricupero e infine il minor consumo specifico di energia rispetto agli altri sistemi.
La questione del sistema però non si limitava a semplici discussioni; accanto agli studî dei tecnici ferroviarî, le case costruttrici da parte loro sentivano che un vasto campo si apriva alla loro attività; per cui i tentativi, le esperienze e le prove nei primi anni del secolo sono numerosissimi e svariati, specialmente per quanto riguarda l'applicazione del motore monofase. Gli esperimenti si protrassero con varia fortuna per tutto il primo decennio del secolo; essi infatti non riuscirono subito, allora, ad attivare una vera trazione elettrica ferroviaria, nel senso cioè di non mutare le caratteristiche della trazione a vapore, aumentandone, anzi, le unità pesanti dei treni, come invece si era potuto effettuare con la trazione elettrica trifase in Valtellina e al Sempione.
Perciò nel 1910, per quanto riguarda l'Europa, le posizioni dei sistemi di trazione elettrica ferroviaria si possono riassumere così: affermazione del sistema trifase per la grande trazione; promettenti risultati raggiunti in varie parti dal sistema monofase; benevola fiducia per la corrente continua ancora a terza rotaia e a bassa tensione e applicata quasi esclusivamente per un traffico frequente e leggiero. È necessario tener presente anche questa circostanza, per rendersi ragione dell'applicazione quasi esclusivamente italiana del sistema trifase.
Quando si trattò infatti di elettrificare la linea dei Giovi, venne studiata l'applicazione di tutti i sistemi, naturalmente con le caratteristiche e le limitazioni che allora essi presentavano; esclusa la corrente continua perché ancora a bassa tensione e non adatta per un traffico merci intenso e pesante, e date anche le particolari condizioni del tracciato che rendeva del tutto superflua la prerogativa dei motori monofasi di offrire un'estesa scala di velocità, restavano a esclusivo favore del sistema trifase il vantaggio di un peso leggiero del locomotore e la possibilità di effettuare le discese coi motori sotto corrente e cioè col treno automaticamente frenato e con ricupero di energia. Il locomotore trifase da 2000 HP, che si ritenne occorrente per l'esercizio elettrico dei Giovi, risultò di un peso complessivo di sole 60 tonn.; per un'eguale potenza col sistema monofase sarebbe stato necessario un peso di macchina di circa 110 tonn.; quindi, con lo stesso consumo di energia, per treno in doppia trazione, il sistema trifase permetteva di rimorchiare circa 100 tonn. di più che non il sistema monofase. Naturalmente i buoni risultati ottenuti ai Giovi furono ragione per le Ferrovie dello stato, sia dell'estensione della trazione elettrica, sia dell'impiego del trifase nella medesima, anche per ovvia uniformità di tipo nelle apparecchiature fisse e nel macchinario mobile. Perciò nell'immediato anteguerra la posizione dei tre sistemi in Italia era questa: estensione vittoriosa per il trifase; piccola applicazione per il monofase su qualche linea secondaria (ad es. Roma-Civitacastellana); immutata posizione per la corrente continua.
All'estero, però, il monofase cominciava ad affermarsi, soprattutto in Svizzera e nei paesi tedeschi e scandinavi; la corrente continua da parte sua si preparava a far parlare assai di sé, e a rivoluzionare le idee a suo riguardo mediante l'elettrificazione a 3000 volt della linea Chicago-Milwaukee-Saint Paul, che avvenne nel 1914 e nella quale parve che la elettrificazione ferroviaria avesse a trovare il miglior modello da seguirsi per la razionale soluzione dell'arduo problema, soprattutto per il fatto che con l'applicazione dell'alta tensione alla linea di contatto (condizione fondamentale per un'estesa elettrificazione ferroviaria), si poteva finalmente effettuare anche con la corrente continua un vero e proprio servizio ferroviario sia di viaggiatori sia di merci.
La guerra fece sopire le varie discussioni in merito al miglior sistema, anche perché la tecnica e le case costruttrici, occupate per altri scopi, erano state distratte dagli esperimenti e dalle applicazioni di trazione elettrica. Qualche elettrificazione effettuata in quel tempo, in Italia e all'estero, rappresentava piuttosto una sistemazione complementare di un servizio elettrico (ad es. linea Sampierdarena-Savona) o, comunque, un'applicazione per ragioni del tutto contingenti (ad es. Cenisio).
Dopo la guerra invece fu un rifiorire di studî e di programmi in tutti i paesi; la Svizzera, la Germania e l'Austria svilupparono le loro elettrificazioni col sistema monofase, il cui esperimento, continuato durante la guerra al Lötschberg e ampliato sul Gottardo, aveva dato buoni risultati; in Francia, invece, dopo lunghe discussioni e l'invio di un'apposita commissione in America per studiare da vicino i risultati d'esercizio della ricordata linea Chicago-Milwaukee-Saint Paul, fu deciso per legge che l'elettrificazione venisse fatta a corrente continua 1500 volt (filo aereo o terza rotaia), costringendo a trasformare con tale sistema anche le linee del Midi, già elettrificate col sistema monofase.
Il sistema trifase, da parte sua, trovò largo campo di espandersi in Italia sulla rete delle Ferrovie dello stato, pur effettuandosi anche qui un esperimento col sistema a corrente continua 3000 volt.
Riassumendo, si può dire che ogni sistema ha i suoi pregi e i suoi difetti ehe praticamente si compensano, e che l'impiego di ciascuno ha un valore essenzialmente relativo, perché la convenienza dell'uno o dell'altro varia da paese a paese col variare delle condizioni locali. Certo, oggi, come si è visto più sopra, il sistema trifase ha una rete compatta ma è il meno applicato; quello monofase ha varie reti compatte di notevole importanza ed estensione con caratteristiche all'incirca identiche; quello a corrente continua è il più esteso di tutti, ma le sue caratteristiche sono talmente varie (bassa tensione e terza rotaia; alta tensione e filo aereo; raddrizzatori, convertitori rotanti, ecc.) da formare una tecnica di applicazione tutt'altro che omogenea. Probabilmente sarà il sistema che più si applicherà nell'avvenire, specialmente grazie all'impiego dei raddrizzatori a vapore di mercurio; ma forse speciali applicazioni di questi (raddrizzatori a vapore di mercurio con griglia polarizzata) potrebbero portare una tale rivoluzione nella tecnica, da far sorgere un nuovo sistema di trazione che sia la combinazione dei pregi dei varî sistemi attuali (ad es., un esperimento è stato eseguito a Baden dalla Brown-Boveri nell'ottobre 1931 con una locomotiva equipaggiata con motori monofasi senza collettore, alimentati attraverso raddrizzatori a vapore di mercurio con griglia polarizzata).
Disposizione generale degl'impianti di trazione elettrica. - Qualunque sia il sistema di trazione prescelto per l'elettrificazione d'una ferrovia, occorre sempre provvedere a quattro cose fondamentali: a) alla fornitura di energia e al trasporto di essa dai luoghi di produzione alla sede e lungo la linea ferroviaria; b) all'impianto di sottostazioni per la trasformazione dell'energia dalle caratteristiche di trasmissione a quelle necessarie per l'alimentazione della conduttura dì trazione; c) alla costruzione della linea di contatto per convogliare dalle sottostazioni alle locomotive l'energia elettrica ad esse occorrente; d) alle locomotive elettriche.
Fornitura di energia elettrica e trasporto di essa. - Durante il primo periodo della trazione elettrica si riteneva quasi impossibile che un servizio ferroviario potesse essere alimentato in parallelo con altri servizî, di luce e forza, a corrente industriale. Alla costruzione di proprie centrali obbligava spesso la speciale frequenza adottata per alcune linee, come ad es. in Valtellina e sui Giovi, in Italia, per le quali linee vennero costruite rispettivamente la centrale idroelettrica di Morbegno e quella termoelettrica della Chiappella a Genova. Ma anche per altre linee, dove per la corrente alternata non vi era questione di speciale frequenza, si ricorreva talvolta a proprie centrali; così ad es., anche in Italia, venne costruita la centrale termoelettrica di Tornavento per la produzione di energia a corrente alternata, che veniva trasportata sulle linee varesine per essere ivi trasformata in corrente continua a 650 volt.
In seguito, quando si vide che le richieste di energia, dovute al traffico ferroviario, potevano benissimo essere inserite nella zona di produzione di una centrale senza che l'alimentazione industriale ne risentisse disagio, e anzi, specialmente se la rete a trazione elettrica è notevole, conseguendone benefici per un più regolare andamento nella generazione e per una migliore utilizzazione del macchinario, la questione si portò sul campo della convenienza, e presto non si limitò alle sole centrali, ma si estese anche alle linee primarie di trasporto dell'energia. Quando poi avviene che le reti di trazione elettrica si allunghino sempre più e che, anche per sistemi a frequenza speciale, sia reso più facile l'approvvigionamento dell'energia utilizzando gruppi di conversione della frequenza, il problema non si può restringere soltanto in limiti di convenienza economica particolare dell'amministrazione interessata, ma assume altresì carattere di sicurezza per l'esercizio ferroviario stesso, e di economia generale per la nazione. È evidente infatti che un maggior grado di sicurezza si apporta all'alimentazione ferroviaria facendo concorrere a essa, attraverso opportuni centri di collegamento, tutte le fonti industriali della zona; e questo del resto per l'amministrazione ferroviaria può risultare anche più economico, giacché (per es. nel sistema trifase a 16,7 periodi) le spese incontrate per la costruzione di sottostazioni di conversione possono essere largamente compensate dalla mancata costruzione di linee di trasporto dell'energia a caratteristiche speciali, oltre che dalle minori perdite di energia durante l'esercizio. Questo non esclude naturalmente che talvolta, specialmente nel caso di centrali situate presso la sede ferroviaria, sia opportuno installare gruppi turbo-alternatori generanti direttamente energia alle caratteristiche ferroviarie.
Però è bene che una rete a trazione elettrica ferroviaria sia servita da un sistema di centrali e linee primarie collegate, in modo più o meno stretto, con la rete industriale, e questo non soltanto nei riguardi ferroviarî ma anche in quelli più generali del paese.
In pratica il problema è stato risolto in varî modi; naturalmente esso assurge a un interesse maggiore nel caso di elettrificazioni a frequenza speciale. In Italia le Ferrovie dello stato provvedono all'alimentazione con centrali proprie e con fonti di energia di società, con le quali reti elettriche quelle ferroviarie sono strettamente collegate in più punti.
In Svizzera invece le Ferrovie federali provvedono all'alimentazione esclusivamente con centrali proprie generanti energia a bassa frequenza, pur collegandosi in qualche punto con gl'impianti industriali; è peraltro da notare che le particolari caratteristiche topografiche del paese e l'applicazione quasi generale della trazione elettrica permettono di sfruttare pienamente e in modo del tutto soddisfacente quegl'impianti a frequenza speciale. In Germania e in Austria le amministrazioni ferroviarie provvedono con energia prodotta sia in centrali proprie sia private; e così pure si dica per le linee a corrente monofase a 25 periodi degli Stati Uniti. In Svezia invece le Ferrovie dello stato, che in un primo tempo (linea Luleå-Narvik) avevano provveduto all'alimentazione mediante la propria centrale di Porjus generante a tal uopo energia a bassa frequenza, recentemente, per l'elettrificazione della linea Stoccolma-Göteborg, hanno risolto il problema assorbendo energia a frequenza industriale dalle varie reti private della zona, e convertendola a 16,7 periodi in apposite sottostazioni rotanti, poste lungo la linea ferroviaria, dalle quali partono anche le linee di alimentazione della medesima.
Nelle linee ferroviarie dove il sistema di elettrificazione non esige una particolare frequenza (sistema a corrente continua, trifase a frequenza industriale), l'alimentazione può essere fatta da reti industriali della zona o anche da proprie centrali, le quali, per il fatto che generano energia a frequenza industriale, possono essere collegate con le reti private non solo a scopo di sicurezza d'esercizio, ma anche per fornire esse stesse energia a terzi. Un esempio è dato in Francia dai Chemins de fer du Midi che vende ai privati circa i tre quarti dell'energia prodotta nelle proprie centrali dei Pirenei; e in Italia dalle stesse Ferrovie dello stato che vendono alla Società Meridionale buona parte dell'energia prodotta nella centrale del Sagittario.
Le centrali che alimentano le ferrovie elettrificate, anche se generano direttamente energia a bassa frequenza o a corrente monofase, non differiscono dalle ordinarie centrali elettriche, salvo a comprendere talvolta qualche gruppo generatore speciale composto della turbina e di due alternatori, uno a caratteristiche industriali e l'altro a caratteristiche ferroviarie, allo scopo di meglio utilizzare il macchinario idraulico.
Le sottostazioni di conversione della frequenza, come si è accennato, hanno lo scopo di ridurre l'energia alle caratteristiche ferroviarie. La parte essenziale di questi centri di collegamento fra reti a frequenza diversa consiste nei gruppi convertitori. Fino a poco fa essi si componevano quasi esclusivamente di gruppi motore asincrono-generatore sincrono, muniti di regolatori reostatici di scorrimento (in Italia, ad es., le sottostazioni di Arquata della Edison, di Bologna delle Ferrovie dello stato, di Ligonchio della Società Adamello). Recentemente però, per la conversione della frequenza industriale in frequenza ferroviaria e più propriamente per il collegamento delle reti a frequenza diversa, si sono utilizzati gruppi costituiti da due macchine, una asincrona e l'altra sincrona, la prima delle quali è collegata in cascata con una macchina a collettore (dispositivo Scherbius), allo scopo fondamentale di permettere che una data potenza scelta a piacere possa trasferirsi da una rete all'altra indipendentemente, entro determinati limiti, dalle variazioni delle frequenze delle diverse reti. Tale dispositivo permette anche di migliorare il fattore di potenza della rete alimentatrice della macchina asincrona. Un gruppo del genere, da 9000 kVA, è stato installato in Italia nella centrale di Mezzocorona per lo scambio di energia tra la rete a frequenza industriale della Società Tridentina e quella a bassa frequenza delle Ferrovie dello stato; altri di potenza analoga verranno tra poco installati dalle Ferrovie dello stato in varî punti della loro rete trifase a 16,7 periodi. All'estero varî gruppi sono stati installati in America, in Svezia, in Germania e altrove; degno di menzione quello recente di Pfrombach in Baviera, collegante le rete trifase a frequenza industriale della società Mittlere Isar con quella monofase a 16,7 periodi delle ferrovie tedesche.
Sottostazioni statiche di trasformazione. - Nel caso di sistema a corrente alternata, supposte già ottenute le caratteristiche di corrente e di frequenza necessarie al sistema di trazione scelto, per avere la tensione di alimentazione della linea di contatto s'impiegano trasformatori statici abbassatori. Essi costituiscono la parte essenziale della sottostazione, la quale perciò non differisce sostanzialmente dalle analoghe sottostazioni per servizî industriali.
Per le sottostazioni del sistema trifase si può tener presente quanto è stato costruito finora in Italia dalle Ferrovie dello stato. L'energia è convogliata sulle primarie a 60 kV (a eccezione delle linee della Valtellina a 20 kV) e viene ridotta a 3,7 kV mediante trasformatori, ordinariamente del tipo monofase, in olio, collegati a triangolo tanto sul primario, quanto sul secondario. La maggior parte di essi è a raffreddamento naturale e la potenza varia da 600 a 1750 kVA ciascuno; su linee di maggior traffico sono installati trasformatori di più elevata potenza, pure monofasi, con raffreddamento dell'olio mediante circolazione d'acqua all'esterno del cassone. Le più recenti sottostazioni sono equipaggiate con quattro o con sei trasformatori; è stato preferito il tipo monofase perché la riserva può essere limitata a un solo elemento; inoltre in caso di guasti il servizio può essere facilmente continuato anche mediante il collegamento a V.
Una delle fasi del secondario è collegata, in tutte le sottostazioni, col binario di corsa; l'alimentazione della linea di contatto è fatta normalmente attraverso interruttori bipolari per 1200 ampère di tipo speciale corazzato. Per quanto riguarda lo schema dei circuiti elettrici, le sottostazioni più moderne si distinguono in tre tipi, e cioè: 1. tipo in derivazione; 2. tipo in serie; 3. tipo a due frequenze.
I macchinarî e le attrezzature sono tutti al coperto, in un fabbrícato in cemento armato che si compone di cinque parti: a) sala primaria a 60 kV; b) sala trasformatori; c) sala secondaria a 4 kV.; d) locali per ufficio e magazzini; e) sala riparazioni servita da gru. Recentemente per la linea Spezia-Fornovo sono state costruite sottostazioni del tipo all'aperto nelle quali, mantenendosi lo schema dei circuiti elettrici dei tipi suddetti, sono stati installati all'aperto i macchinarî e le apparecchiature dell'alta tensione, rimanendo al coperto i circuiti a 4000 volt.
Nelle sottostazioni in derivazione le terne primarie rimangono esterne alla sottostazione stessa e le sbarre collettrici vengono alimentate mediante derivazioni dalle terne stesse, attraverso interruttori in olio. Nelle sottostazioni in serie, invece, le sbarre collettrici sono in serie alle terne primarie, le quali pertanto attraversano la sottostazione e sono munite d'interruttori in olio all'entrata e all'uscita della sottostazione stessa. In tal modo è possibile sezionare la primaria sotto carico e individuare e isolare rapidamente i tratti di primarie guaste. La sottostazione cosiddetta a due frequenze è una variante del tipo in serie ed è equipaggiata con almeno sei trasformatori monofasi; essa ha la particolarità di poter essere divisa in due sezioni, sia sul lato 60 kV, sia sul lato 4 kV, funzionanti indipendentemente l'una dall'altra in modo da poter essere alimentata contemporaneamente da due centrali o gruppi di centrali non in parallelo fra loro. Le due sezioni sono connesse sul lato a 60 kV per mezzo di un interruttore in olio munito di relais a tensione minima che fa scattare l'interruttore ogni volta che in una delle due zone si verifica un'anormalità tale da ridurre la tensione oltre un certo limite, o quando una fase in un punto qualunque della rete va a terra. Queste particolari sottostazioni si sono mostrate di grande utilità pratica nell'esercizio della rete trifase delle Ferrovie dello stato, che comprende i tronchi ferroviarî elettrificati del Piemonte, Liguria, Toscana, Emilia, giacché all'alimentazione di essa provvedono normalmente dieci e anche più fonti, tra centrali e sottostazioni di conversione, collegate fra loro in parallelo da una vasta rete di linee primarie a 60 kV e 16,7 periodi dello sviluppo di oltre tremila chilometri di terna. Per mezzo delle sottostazioni a due frequenze la rete ferroviaria è divisa in zone, e si evita così che una perturbazione in un punto qualsiasi di una zona si ripercuota sulle sottostazioni delle altre zone e influisca sulla marcia dei treni che si trovano nelle medesime.
Infine per riserva delle sottostazioni fisse le Ferrovie dello stato possiedono sottostazioni ambulanti della potenza ciascuna di 2250 kVA. Esse sono montate su un carro speciale a due carrelli con sei ruote ciascuno e contengono un trasformatore trifase in olio a raffreddamento naturale, un interruttore automatico in olio a 60 kV e un altro a 4 kV.
In qualche zona d'intenso traffico, specialmente nelle grandi stazioni e nei parchi merci, sono state talvolta costruite speciali cabine le quali sono alimentate a 4 kV dalle più vicine sottostazioni e contengono quindi soltanto interruttori automatici in olio per smistare la rete secondaria e permettere l'alimentazione, l'inserzione e disinserzione a zone delle linee di contatto.
In modo analogo a quello sopra descritto sono equipaggiate e disposte le sottostazioni statiche del sistema trifase a frequenza industriale.
Nel sistema monofase le sottostazioni non differiscono sostanzialmente da quelle del sistema trifase; salvo, naturalmente, ad avere bipolari anziché tripolari le condutture primarie e secondarie; in quasi tutte le applicazioni fatte all'estero con questo sistema di trazione, le sottostazioni sono del tipo all'aperto e cioè soltanto il posto di distribuzione, l'impianto per i servizî ausiliarî, l'officina e il magazzino sono collocati in un fabbricato chiuso.
Le sottostazioni per le linee ferroviarie a corrente continua sono equipaggiate da interruttori sull'arrivo delle condutture primarie, da trasformatori per l'abbassamento della tensione, dagl'interruttori primari e secondarî relativi, dai macchinarî per la conversione della corrente alternata in corrente continua e dagl'interruttori a corrente continua per l'alimentazione delle varie zone della linea di contatto. Gli organi più importanti e caratteristici di queste sottostazioni sono le macchine per la conversione della corrente che possono essere rotanti (commutatrici o gruppi motore-dinamo) oppure statiche (raddrizzatori a vapori di mercurio).
Le commutatrici hanno il pregio di essere macchine di dimensioni e peso ridotti, di funzionare con elevato fattore di potenza e di dare un buon rendimento; hanno però qualche inconveniente, quale ad es. quello di andare soggette a colpi di fuoco al collettore in caso di corti circuiti, assai frequenti negl'impianti di trazione. Inoltre, almeno finora non possono essere costruite per tensioni superiori ai 1500 volt, per frequenza di 50 periodi.
I gruppi motore-dinamo sono costituiti in genere da un motore sincrono e da una o due dinamo collegate in serie; quest'ultima disposizione viene normalmente usata quando la tensione di esercizio è superiore ai 2000 volt. Rispetto alle commutatrici questi gruppi hanno un funzionamento più sicuro ed elastico e presentano un più largo campo di regolazione della tensione; i motori sincroni inoltre hanno il vantaggio di permettere il miglioramento del fattore di potenza delle reti ad alta tensione cui sono collegati. Anche per questa ragione, sebbene siano alquanto costosi e presentino un basso rendimento a carico ridotto, tali gruppi vengono preferiti talvolta ai raddrizzatori a vapore di mercurio da alcune amministrazioni (ad es. in Francia, rete Parigi-Orléans).
I raddrizzatori a vapore di mercurio possiedono la caratteristica fondamentale di avere, nel cilindro, perdite costanti, essendo tali perdite dovute alla sola caduta di tensione nell'arco, la quale si mantiene eguale a circa 15 volt qualunque sia la corrente erogata e la tensione. Ne consegue che il rendimento si mantiene alto anche per i più bassi carichi, quali si verificano spesso negl'impianti di trazione. Altri pregi sono l'insensibilità ai corti circuiti rapidi; una messa in servizio e in parallelo molto rapida; un esercizio assai semplice riducendosi tutto a qualche controllo del vuoto durante il giorno; una spesa d'esercizio limitata; un piccolo peso e uno spazio d'ingombro molto ridotto. Per contro occorre che il trasformatore principale di alimentazione del cilindro sia d'una potenza circa il 40 ÷ 50% maggiore di quella corrispondente alla potenza richiesta lato corrente continua. Inoltre il gruppo non si presta finora al ricupero dell'energia, per quanto recentissimi esperimenti eseguiti in Svizzera dalla Brown-Boveri diano adito a grandi speranze anche in tal senso. Infine i raddrizzatori, poiché forniscono una corrente più o meno pulsante, possono dare luogo a disturbi su linee telefoniche vicine.
Sugl'impianti a corrente continua i corti circuiti possono arrecare gravi danni alle macchine ed essere causa d'interruzioni nell'esercizio. Perciò con questo sistema di trazione la protezione degl'impianti è affidata in massima parte al buon funzionamento degl'interruttori posti sulla corrente continua (interruttori ultrarapidi), la cui caratteristica più importante è la rapidità di apertura combinata con l'azione di un potente soffiatore magnetico.
Linea di contatto. - Si può suddividere in due tipi: terza rotaia e linea aerea.
a) La terza rotaia viene talvolta usata negl'impianti di trazione a corrente continua fino alla tensione di 1500 volt; in America è stata sperimentata fino a 2400 volt. Si presta assai bene specialmente per linee d'intenso traffico percorse da treni frequenti e leggieri. Essa ha generalmente la forma di una normale rotaia di corsa; talvolta però, per evitare i disturbi dovuti alle nevicate o al ghiaccio e per una maggior protezione delle persone, sono state usate rotaie di forma speciale, montate a rovescio. Viene disposta lateralmente al binario di corsa, posandola normalmente nell'interbinario nei tratti a doppio binario, ed è sostenuta e isolata dal suolo da speciali supporti, fissati sulle traversine ferroviarie. In corrispondenza degli scambî, incroci, passaggi a livello, ecc., essa è interrotta e la continuità elettrica è ottenuta mediante un cavo disposto sotto terra. Nelle stazioni e in generale nei punti ove il personale di servizio e il pubblico debbono attraversare i binarî, la terza rotaia viene opportunamente protetta per impedire qualsiasi contatto. Per evitare disservizî, che nel tipo a contatto superiore si possono verificare in occasione di abbondanti nevicate o di formazione di ghiaccio, si ha cura di spargere sopra di essa del sale greggio non appena si abbia timore della formazione di ghiaccio. Quando la tensione non è molto elevata (fino a 800 volt circa) la manutenzione ordinaria della terza rotaia può essere eseguita sotto tensione, isolandosi però dal suolo con una tavola di legno.
b) La linea di contatto aerea può essere a una sola fase (sistema monofase e a corrente continua) o a due fasi, e può essere montata in due maniere: con la sospensione trasversale o con quella longitudinale. Nella sospensione trasversale il conduttore di contatto convenientemente isolato è attaccato a un filo posto trasversalmente al binario; oppure, più frequentemente, è sostenuto da apposite apparecchiature attaccate alle mensole dei pali. Questi sono abbastanza vicini fra loro (al massimo 33 ÷ 35 m.) per non avere frecce della campata troppo grandi durante l'estate e anche per evitare oscillazioni e scintillamenti al passaggio dei locomotori, specialmente per le alte velocità. Nella sospensione longitudinale, invece, il filo di contatto è sostenuto in più punti da un secondo filo o più spesso da una fune detta "portante", alla quale è attaccato per mezzo di tirantini verticali o inclinati chiamati "pendini". Talvolta tra la fune portante e il filo di contatto vi è una seconda fune.
La fune portante è sostenuta dalle mensole dei pali innalzati a distanze variabili fra i 30 e i 60 m. a seconda dell'andamento del tracciato; in qualche caso anche a distanze maggiori. Il filo di contatto è generalmente sagomato ed è sostenuto dai pendini mediante morsetti che attanagliano il conduttore alla gola della sagomatura. Esso si mantiene a una quota praticamente costante dal piano del ferro; inoltre la sospensione risulta molto elastica e offre il vantaggio di mantenere un contatto migliore tra filo e trolley anche per lunghe campate e per grandi velocità, senza troppo sollecitare meccanicamente gl'isolatori e di conseguenza con un minor consumo del filo. Nella curva i pali di sostegno della catenaria debbono essere riavvicinati, essendo legata la posizione del filo di contatto dallo scartamento dell'archetto; spesso però, anziché restringere le campate della fune portante, esse vengono lasciate di ampiezza costante, e nella parte esterna della curva s'intercalano pali di minor dimensione di quelli di sostegno, i quali portano attaccati all'estremità degli appositi bracci isolati per la poligonazione, sia della fune sia del filo di contatto.
Dei due accennati tipi di sospensione, specialmente per linee percorse da treni rapidi, è generalmente da preferirsi quella longitudinale, sia dal punto di vista tecnico sia da quello economico. Però talvolta, specialmente per linee di montagna e con frequenti curve, può convenire la sospensione trasversale, che è quasi sempre necessaria nelle gallerie, dove, in ogni modo, per la sagoma delle stesse si dovrà ricorrere a speciali apparecchiature di sostegno della linea. È anche da tener presente che la sospensione trasversale rispetto a quella longitudinale risulta di più sicuro esercizio, giacché nel caso di rottura dei fili di contatto le conseguenze sono più limitate.
Nel sistema trifase la linea di contatto è bipolare e perciò aumentano nei suoi riguardi le difficoltà di un buon esercizio, data anche la limitata larghezza dell'archetto di presa di corrente. La larghezza dello strisciante in tutti i sistemi di trazione è quella che determina la posizione della linea aerea rispetto all'asse del binario, e quindi anche la posizione dei pali nelle curve; in particolare nel sistema trifase la presenza di due fasi aeree, il cui distanziamento reciproco deve essere rigorosamente assicurato, limita a sua volta l'ampiezza delle campate per evitare i ravvicinamenti pericolosi, provocabili sia dall'azione di forti venti, sia da eventuali moti perturbatori dovuti alla marcia dei locomotori o a piccoli cedimenti del binario, soprattutto alle grandi velocità. Per queste ragioni, quando nelle linee pianeggianti o in rettifilo vengono usate le sospensioni longitudinali, la campata supera difficilmente i 50 metri. La sospensione trasversale, che fino a qualche tempo fa era l'unica usata dalle Ferrovie dello stato nell'attrezzatura di contatto delle proprie linee, si presta d'altronde assai bene alle severe esigenze di tale sistema, specialmente per linee di montagna o anche pianeggianti ad andamento curvilineo, sulle quali i treni normalmente non oltrepassano la velocità di 75 km. l'ora. Quasi tutta la rete ferroviaria ligure-piemontese è attrezzata con sospensione trasversale, e il servizio si svolge regolare, anche con treni che percorrono qualche tratto a 100 km./ora, grazie agli accorgimenti e agl'ingegnosi dispositivi che la valentia dei tecnici ferroviarî ha saputo adottare. Questo soprattutto nelle stazioni dove, utilizzando adeguati tipi di pali tubolari sostenenti ai due lati attrezzature anche per otto o dieci binarî, la sospensione trasversale è la sola usata, per evitare le eccessive complicazioni che con la sospensione longitudinale si avrebbero negli scambî e nei sezionamenti.
Nelle figure riportate appaiono le disposizioni delle sospensioni, sia trasversali sia longitudinali. Negli ultimi tipi di isolatori adottati dalle Ferrovie dello stato è escluso qualsiasi pezzo cementato, avendo l'esperienza dimostrato che fissando gl'isolatori sulle parti metalliche con l'interposizione di guarnizioni di piombo si evitano le rotture che altrimenti sono molto frequenti. A evitare le quali si è dimostrata in pratica assai opportuna l'adozione di un dispositivo facilmente deformabile, interposto fra il morsetto di sospensione dei fili di contatto e gl'isolatori; in tal modo questi vengono sottratti agli urti diretti dei trolley e viene conferita alla linea una maggiore elasticità che permette un miglior esercizio e un minor consumo dei fili di contatto.
Degno di nota nell'attrezzatura aerea bipolare è l'uso dell'archetto che risulta opportuno nei tronchi in curva, permettendo, con un semplice spostamento dei punti d'attacco alla mensola, di disporre il piano, su cui giacciono i conduttori delle due fasi aeree, parallelo al piano delle rotaie (che nelle curve è inclinato all'orizzonte) e di mantenere in conseguenza un perfetto contatto tra i fili e gli archetti dei trolley.
Nelle linee a doppio binario le attrezzature aeree sono generalmente indipendenti fra loro per conseguire maggior sicurezza all'esercizio nel caso di guasti alla linea elettrica di un binario. Al particolare più difficoltoso delle condutture trifasi, cioè agli scambî aerei, i tecnici delle Ferrovie dello stato hanno rivolto sempre molta attenzione e sono arrivati a conciliare la massima semplicità possibile con l'assoluta sicurezza di regolare funzionamento. Gli scambî aerei trifasi contengono sempre dei tratti di conduttori isolati (fili di guida) opportunamente ormeggiati, che servono a guidare gli archetti dei trolley durante il loro passaggio sotto gli scambî; così pure contengono dei fili posati in un determinato modo per assicurare il contatto degli striscianti e la presa di corrente della linea (fili ausiliarî).
Dagli schemi riportati appare bene l'andamento di ciascuno dei fili interni ed esterni e la funzione dei fili ausiliarî, degli ormeggi e dei cavallotti di alimentazione. Si vede pure come uno scambio inglese e un'intersezione abbiano la medesima attrezzatura aerea e come quella di una comunicazione doppia si componga di quattro scambî semplici e di uno inglese. È da notare come il locomotore che passa sotto uno scambio viene per qualche tempo alimentato in diagonale da ciascuna coppia di archetti con una sola fase; questa è anche una delle ragioni per le quali il locomotore trifase richiede un doppio dispositivo di presa della corrente (in caso di bisogno però il servizio si può svolgere passando sotto gli scambî per forza viva).
Nelle gallerie è pure sempre usata la sospensione trasversale, adottando nella posa speciali accorgimenti per rientrare nella sagoma elettrica, e adoperando spesso il bronzo o il rame nelle parti più delicate delle attrezzature per evitare le rapide corrosioni che si verificano nelle parti metalliche, specialmente per l'umidità.
È infine interessante accennare che nella elettrificazione trifase di un riangolo ferroviario venono a risultare in un lato invertite le due fasi aeree. Occorre perciò costruire, in un lato dello stesso triangolo, un tratto isolato affinché il macchinista, preavvisato da appositi segnali attaccati ai pali, abbia la possibilità d'invertire il senso delle fasi prima di procedere oltre, dove le fasi stesse risulano invertite.
Sugl'impianti col sitema trifase 16,7 periodi 4000 volt delle Ferrovie dello stato, la sezione di rame normalmente usata di 200 mmq. per fase, ottenuta utilizzando due conduttori cilindrici o sagomati del diametro di m. 11,3. Tali conduttori sono ambedue di contatto nella sospensione trasversale; sono invece uno di contatto e l'altro portante nella sospensione longitudinale. Nelle stazioni la sezione del rame è ridotta a mmq. 100 per fase.
Le condutture di contatto sono sezionate all'estremità di ciascun tronco compreso fra due stazioni successive; perciò le condutture delle stazioni sono isolate da quelle della piena linea e il sezionamento avviene subito dopo gli scambî d'ingresso e d'uscita della stazione stessa. Per formare la continuità delle linee di contatto vengono impiantate delle condutture, dette di alimentazione, le quali sottendono le stazioni e dalle quali è derivata l'alimentazione di queste attraverso interruttori aerei. Nelle stazioni più importanti, ove lo sviluppo dei binarî è molto forte, le condutture di contatto sono pure sezionate nell'ambito della stazione, nella quale viene talvolta costruita un'apposita cabina con interruttori in olio. Nel sistema trifase a frequenza industriale la linea di contatto non differisce sostanzialmente da quella sopra descritta del trifase a bassa frequenza.
La linea aerea di contatto unipolare, usata nei sistemi monofase e corrente continua, risulta assai più semplice di quella del sistema trifase, specialmente in corrispondenza degli scambî, traversate, ecc. Per di più nelle stazioni, data la leggerezza oltre che la semplicità, per il sostegno delle condutture con più binarî, può essere adottato il tipo di sospensione detto "a portale" e anche quello longitudinale, con grande vantaggio della visibilità dei segnali. La conduttura di contatto (nella quasi totalità dei casi del tipo longitudinale) usata nel sistema monofase è analoga a quella del sistema a corrente continua alta tensione, variando solamente le dimensioni degl'isolatori e la sezione dei conduttori in dipendenza della diversa tensione realizzabile sulla linea coi due sistemi.
Il filo di linea, di rame sagomato, è appeso alla fune mediante pendini costruiti talvolta di filo bimetallico (filo di acciaio con rivestimento di rame), i quali vengono spesso snodati nel mezzo per opporre la minima resistenza allo spostamento verticale del filo di linea. Questo è teso, in genere, a 5 ÷ 6 kg./mmq., e questa tensione viene mantenuta per mezzo dei contrappesi di regolazione che vengono posti a una distanza variabile da 1000 a 1500 m. Le figure rappresentano i tipi di apparecchiature usate in varî impianti monofasi e a corrente continua.
Anche in questi impianti la linea di contatto è sezionata agl'ingressi delle stazioni e queste vengono alimentate per mezzo dei conduttori che assicurano la continuità dei circuiti medesimi attraverso interruttori aerei (corrente continua) o in olio (monofase), analogamente a quanto è stato detto per gl'impianti del sistema trifase.
In tutti i sistemi di trazione anche il binario di corsa viene elettrificato applicando nei giunti delle rotaie adatte connessioni di rame per conferire alle rotaie stesse una conveniente continuità elettrica, necessaria non solo per il buon funzionamento degl'impianti di trazione, ma anche dei coesistenti impianti d'acqua, gas, ecc., e in modo particolare dei circuiti a corrente debole (fenomeni di corrosione elettrolitica e fenomeni induttivi).
Sugl'impianti a corrente alternata è stata talvolta negata la necessità di dette connessioni ai giunti delle rotaie; ad es. nelle più recenti elettrificazioni monofasi della Germania e della Svezia esse non vengono applicate; è da notare però che per la protezione dei circuiti a corrente debole questi vengono sempre posti in cavo e che alle volte, per una maggiore attenuazione dei disturbi, vengono installati speciali dispositivi sugl'impianti di trazione (ad es. in Svezia i "trasformatori succhiatori"). D'altra parte la Svizzera, che ha il medesimo sistema di trazione e ha pure in cavo i circuiti a corrente debole, continua ad applicare le connessioni alle rotaie ritenendole per lo meno sommamente utili per la diminuzione dei fenomeni induttivi.
Le connessioni di rame usate consistono o in semplici fili saldati alle rotaie per mezzo di due blocchetti (sistema monofase) oppure in varie lamelle di rame anch'esse riunite all'estremità da due blocchetti che vengono saldati o semplicemente connessi alle rotaie e alle ganasce dell'armamento per mezzo di una ghianda, la quale introdotta a viva forza in un foro eseguito nei blocchetti di rame li allarga entro appositi fori che si trovano nella stecca e nella rotaia da collegare. Alle volte, specialmente sulle linee trifasi, vengono usati i giunti a pasta che sono ottenuti ripulendo molto bene, ad es. con getto di sabbia, le superficie delle ganasce d'armamento e delle rotaie da porsi a contatto, e spalmandole poi con una speciale pasta contenente polveri metalliche. Speciali connessioni vengono usate sulle linee a corrente continua nel caso che le rotaie servano anche per i circuiti dei segnali. Le rotaie di corsa vengono collegate elettricamente fra loro in corrispondenza degli scambî e anche in piena linea.
Infine, alle rotaie vengono connessi anche i pali di sostegno, i quali nella maggior parte degl'impianti sono anche collegati fra loro da una fune di ferro zincato (fune di guardia).
In tutti i sistemi di corrente la linea di contatto rappresenta una parte molto delicata; perciò, oltre a essere accuratamente installata, deve anche formare oggetto di diligente manutenzione se si vuole garantire un regolare esercizio ferroviario. Le revisioni quindi sono assai frequenti e vengono effettuate da operai specializzati, in determinate ore del giomo nelle quali, a turno, viene tolta la tensione in qualche parte degli impianti. La verifica non si limita soltanto agli isolatori, ai pendini, morsetteria, ecc., ma si estende anche, specialmente nel trifase, al controllo della disposizione relativa dei conduttori rispetto al binario e agli scambî di armamento. Sulle linee a doppio binario la revisione viene eseguita su un binario per volta; in ogni modo la divisione in zone separate da appositi "isolatori di sezione" permette di effettuare le revisioni, specialmente nelle stazioni, senza intralciare la marcia dei treni. Per evitare che i trolley di una locomotiva possano formare "ponte" fra due zone di linea di contatto che occorre mantenere indipendenti, le zone vengono alle volte isolate da brevi tronchi isolati detti "tratti tampone".
In modo analogo si procede per la riparazione dei guasti. Nell'un caso o nell'altro il personale prima d'iniziare i lavori si accerta che sia stata tolta la tensione chiedendo e ricevendo il cosiddetto "modulo di tolta tensione", e assicurandosi con un diretto "corto circuito" eseguito nelle immediate vicinanze del luogo di lavoro. Per l'esecuzione dei lavori si usano appositi motocarrelli o anche, ove sia sufficiente, semplici scale a carrello a mano.
Ragioni e convenienza dell'elettrificazione ferroviaria. - Sui primi tempi della trazione elettrica questa, più che per ottenere dell'economia rispetto alla trazione a vapore, venne applicata per ragioni eminentemente tecniche, come ad es. per abolire il fumo nelle gallerie, per aumentare la velocità dei treni, per conseguire una maggiore capacità di traffico della linea, ecc.; per ottenere insomma un miglioramento in tutto ciò che costituisce l'esercizio ferroviario. In seguito, e cioè nei primi anni del corrente secolo, parecchi stati (Italia, Svizzera, Svezia, ecc.) furono spinti da ragioni di carattere nazionale, oltre che tecnico, a iniziare l'elettrificazione delle loro ferrovie e precisamente dal desiderio di essere indipendenti da paesi stranieri quanto all'approvvigionamento del carbone e di sviluppare le risorse nazionali di energia idraulica. Sostituendo la trazione elettrica a quella a vapore ne conseguirono spesso anche benefici di carattere economico più immediato non solo là dove esistono (come in Italia e in Svizzera) forti salite, lunghe gallerie e intenso traffico, ma talvolta anche in casi dove questi tre fattori non sono di grande importanza. Ad es., l'elettrificazione della linea Stoccolma-Göteborg in Svezia non fu causata da forti salite o da gallerie, e neppure da intenso traffico, risultando la densità di esso di circa milioni 3,2 di tonn.-km. reali rimorchiate per km. di linea e per anno (il coefficiente delle principali linee elettrificate italiane è circa il doppio). Tuttavia nel 1928, dopo tre anni di esercizio, i risultati finanziarî sono stati talmente soddisfacenti da indurre a intraprendere l'elettrificazione di altre linee.
In altri stati invece, produttori di carbone, dove quindi la ragione nazionale dell'importazione del carbone non esiste, i motivi determinanti l'elettrificazione sono stati pure d'ordine economico, dato il prezzo elevato del carbone in confronto alla convenienza di utilizzare dell'energia idroelettrica. Così, ad es., in Francia e in Germania, dove per molte linee elettrificate esistevano ragioni di forte traffico o di accidentalità di tracciato; talvolta anzi (Germania: ferrovie del centro) la convenienza è stata aumentata dalla possibilità di produrre energia termoelettrica, sfruttando sul posto giacimenti lignitiferi che altrimenti sarebbero stati meno razionalmente utilizzati. Negli Stati Uniti, tutte le ragioni su esposte (salvo quella di evitare l'importazione del carbone) hanno contribuito allo sviluppo dell'elettrificazione; le reti, di carattere suburbano, dei grandi centri si cominciarono a elettrificare fin dai primi tempi della trazione elettrica a causa specialmente dell'aumento del traffico, che consigliò di cercare nell'esercizio elettrico una maggiore capacità di smaltimento di esso; mentre sulle ferrovie a lunga distanza o su quelle interessanti particolari distretti minerarî è stata, oltre il traffico forte, la presenza di dure salite e lunghe gallerie a spingere all'elettrificazione.
Grandi vantaggi non solo tecnici ma anche economici e igienici si possono ottenere applicando la trazione elettrica nelle stazioni per servizio viaggiatori delle grandi città, e in genere su quelle linee d'intenso traffico che interessano la zona urbana, evitando così tutte le noiose e costose conseguenze del fumo, specialmente sotto le tettoie. In America anzi la trazione a vapore in certi casi è proibita per legge, e perciò la trazione elettrica si presenta come unica soluzione. A Berlino, prima della recente elettrificazione della Stadtbahn, le locomotive a vapore circolanti sulle linee ora elettrificate scaricavano sulla città circa mille tonnellate di fuliggine all'anno. Il fumo e gli acidi delle locomotive a vapore anneriscono i fabbricati e corrodono le tettoie delle stazioni, costringendo a una più frequente e costosa manutenzione. Inutile poi parlare delle linee ferroviarie di carattere metropolitano e suburbano ove l'elettrificazione, più che una convenienza e una miglioria tecnica, rappresenta una vera necessità, tanto più che per alcune di esse, come si è accennato più sopra, l'elettrificazione è imposta per legge.
Come si vede non si può dare una regola generale che delimiti la convenienza o no di un'elettrificazione ferroviaria, né è facile elencare a priori tutti i vantaggi che comunque ne possono scaturire. Ogni paese dunque può avere una propria ragione a favore dell'elettrificazione ferroviaria e può ricavarne benefici anche inaspettati; anzi in uno stesso paese i motivi di convenienza possono variare da regione a regione e persino da tempo a tempo; tante e varie possono essere le circostanze d'ordine tecnico ed economico che influiscono sulla convenienza della trazione elettrica.
Anche da noi, in Italia, le ragioni che spinsero all'elettrificazione ferroviaria furono varie, e principalmente: la diminuzione delle spese di esercizio e l'indipendenza dall'approvvigionamento di carbone estero.
È naturale tuttavia che nello studio di un programma di elettrificazione si debba tener conto anche della convenienza economica risultante dalla trasformazione del sistema di trazione, se non altro per ragioni di preferenza tra l'una e l'altra linea da elettrificare. In tal caso il bilancio di confronto viene ordinariamente stabilito tenendo conto: per la trazione a vapore, del costo del carbone e delle spese d'esercizio e manutenzione dei depositi e officine, nonché della condotta delle locomotive a vapore; e per la trazione elettrica, delle quote annuali d'interesse e d'ammortamento, delle spese di manutenzione e d'esercizio degl'impianti fissi (linee primarie, sottostazioni, linee di contatto, ecc.), delle spese di acquisto di energia elettrica corrispondenti a un servizio di trazione elettrica identico a quello realizzato con la trazione a vapore, e infine delle spese d'esercizio e manutenzione dei depositi e delle officine nonché della condotta delle locomotive elettriche.
Per un preventivo di massima si può prescindere dagli oneri derivanti dall'acquisto delle locomotive elettriche, potendoli equiparare a quelli inerenti all'acquisto di locomotive a vapore; così pure, per una maggior prudenza nei confronti, questi vengono eseguiti senza tener conto dei vantaggi economicamente indiretti della trazione elettrica (maggiore capacità della linea e quindi aumento di traffico, minor consumo di materiale fisso e mobile, ecc.), vantaggi del resto difficilmente esprimibili in cifre.
Insieme con i vantaggi ricavabili dalla trazione elettrica occorre tener presenti, in uno studio generale di convenienza, anche gli inconvenienti che possono derivare dalla sostituzione di essa al servizio a vapore. Veramente, se si prescinde dal grande immobilizzo di capitali, gl'inconvenienti sono relativamente piccoli. Il primo di essi è questo, che un incidente nella fornitura di energia può fermare un certo numero di treni, il che non avviene con la trazione a vapore. L'esperienza dell'esercizio elettrico sta tuttavia a dimostrare che sono molto rari gl'inconvenienti di tal genere, specialmente là dove (come ad es. in Italia nella rete delle Ferrovie dello stato) l'alimentazione delle linee è fatta contemporaneamente da più fonti collegate in parallelo. Più seria può apparire la questione dal punto di vista della sicurezza nazionale, e certamente è indiscutibile che un servizio a trazione elettrica è più vulnerabile di un servizio a vapore; una tale considerazione è d'indole troppo particolare perché se ne possa tener conto in confronti di convenienza d'indole generale.
Infine la trazione elettrica generalmente arreca disturbi di carattere induttivo alle comunicazioni telefoniche e telegrafiche vicine. In quasi tutti i paesi del mondo la sede ferroviaria è normalmente usata anche per l'installazione dei circuiti aerei telegrafici e telefonici pubblici, per ovvie ragioni di facilità d'impianto e d'esercizio.
Fin dai primi tempi della trazione elettrica vennero eseguite molte prove per conoscere fino a quale punto fosse possibile la coesistenza delle linee telegrafoniche con le linee elettrificate, e anche per vedere se le modifiche da apportare ai circuiti a correnti deboli fossero tali da compromettere l'economia d'un'elettrificazione ferroviaria. Naturalmente tale questione ebbe notevole importanza anche nel campo della scelta del sistema di trazione, giacché si diceva che con l'elettrificazione a corrente continua non si sarebbero avuti disturbi induttivi sulle comunicazioni telegrafoniche e quindi nessuna spesa si sarebbe dovuto incontrare per modifiche ai circuiti a corrente debole. Questa anzi fu una delle ragioni per cui la Francia adottò il sistema a corrente continua 1500 volt, modificando in tal senso le esistenti elettrificazioni in monofase dei Chemins de fer du Midi. Oggi però, specialmente dopo il largo uso per la corrente continua dei raddrizzatori a vapore di mercurio, si può dire che tutti i sistemi di trazione elettrica arrecano disturbi di carattere induttivo sulle linee a correnti deboli; quindi occorre sempre provvedere in qualche modo alla eliminazione di essi, sia costruendo nuovi circuiti telegrafonici fuori della zona influenzata, sia mettendo i circuiti in cavo qualora non sia possibile allontanarsi troppo dalla ferrovia. Sono stati adoperati anche dispositivi speciali (es. trasformatori succhiatori, usati specialmente in Svezia) aventi lo scopo principale di riportare quasi completamente la corrente di ritorno nelle rotaie; ma il costo di essi è sempre molto elevato. Nei casi della corrente continua, per eliminare i disturbi induttivi prodotti dai raddrizzatori, vengono adoperati con successo dei filtri consistenti generalmente nell'impiego di una bobina di assorbimento in serie sul circuito principale a corrente continua e collegata con una capacità e con degli appositi circuiti risonanti, montati in derivazione.
Altre specie di disturbi sono quelli di carattere elettrolitico. La corrosione elettrolitica è dovuta alle correnti vaganti, provenienti dagl'impianti elettrici a corrente continua, nei quali il ritorno della corrente si effettua per mezzo delle rotaie. Quando, ad es., un cavo telefonico, una condotta d'acqua o di gas, si trovano nella zona d'influenza di queste correnti vaganti (circa duecento metri di larghezza da una parte e dall'altra della linea), una parte di esse è assorbita e convogliata dall'involucro del cavo finché, a seconda della ripartizione del potenziale, ritornano, attraverso il terreno, alle rotaie. I pericoli di corrosione si presentano appunto in quelle parti di cavo o condotte donde una corrente vagante esce per rientrare nelle rotaie. Poiché la corrosione è proporzionale alla densità delle correnti vaganti, nonché alla differenza di potenziale tra le rotaie e il terreno, la maggior parte delle misure destinate a prevenire i fenomeni elettrolitici hanno lo scopo, sia di aumentare la conducibilità delle rotaie (e quindi speciale cura nelle connessioni elettriche ai giunti), sia di aumentare la resistenza di passaggio tra le rotaie e il terreno (traverse di legno, ballast ben drenato, ece.). Si può anche diminuire il pericolo di corrosione agendo sulla polarità dei fili di contatto e cioè connettendo il polo negativo alla linea di contatto e il polo positivo alle rotaie, come è stato fatto, sembra con successo, dalle ferrovie tedesche a Berlino nell'elettrificazione della Stadt-Ring-und Vorortbahn.
Dispositivi di protezione vengono usati anche da parte di chi è disturbato e specialmente nel caso di cavi telefonici (canalette di cemento o ferri Zores, armature di ferro, canalette di legno nelle quali il cavo viene posato circondato da apposita miscela isolante di bitume, cavi a a doppia armatura di piombo, giunti isolanti, ecc.) tendenti tutti a impedire che le correnti vaganti possano raggiungere l'involucro di piombo del cavo stesso. Con essi si può ottenere quasi sicuramente di essere protetti dai fenomeni elettrolitici.
Ferrovie speciali.
Prendono tal nome, in contrapposto a quello di ferrovie ordinarie o ad aderenza naturale, due tipi di strada ferrata diversi da quello comune: la ferrovia a dentiera o ad aderenza artificiale (fr. chemin de fer à crémaillère; sp. ferrocarril de cremallera; ted. Zahnbahn; ingl. rack railway) e la ferrovia funicolare (fr. chemin de fer funiculaire; sp. ferrocarril funicular; ted. seilbahn oppure Drahtseilbahn; ingl. ropeway, assai interessanti dal lato tecnico, ma d'uso molto limitato. Per es., in Italia contro 30.000 km. circa di ferrovia e tramvie ad aderenza naturale, si hanno soltanto km. 24,5 di ferrovie ad aderenza artificiale e km. 23,5 di funicolari, distribuiie queste ultime in 30 impianti. Per di più il campo d'applicazione dei due tipi di comunicazione considerati si va a mano a mano restringendo. Essi servono a superare in breve tratto grandi dislivelli, ma la tendenza attuale è di sostituirli con funivie, senza contare che la trazione elettrica permette di superare con l'aderenza naturale pendenze più elevate di quelle compatibili una volta con la trazione a vapore, e che in molti casi il problema della trazione meccanica si può risolvere con l'automobile su strada ordinaria.
Le ferrovie ad aderenza artificiale derivano la loro ragion di essere dal fatto che sulle ferrovie ordinarie col crescere della pendenza il rapporto fra peso utile trasportato e peso totale del treno, peso rimorchiato più peso del motore) si va abbassando sino a ridursi a zero (il motore non riesce che a trasportare sé stesso). Applicando la dentiera resta eliminata la limitazione inerente all'aderenza e il carico non dipende più che dalla potenza della macchina. Poiché si tratta di linee brevi (la brevità dello sviluppo è in parte conseguenza delle forti pendenze adottate), sulle quali la velocità non ha grande interesse, la potenza del motore può essere utilizzata con velocità bassa e carico notevole, superiore in ogni modo a quello compatibile con l'aderenza. Spesso la ferrovia a dentiera è riserbata al servizio di soli viaggiatori e costituisce ciò che si usa chiamare una ferrovia turistica. Esempio tipico la ferrovia della Jungfrau in Svizzera (fig. 34) che sale sino a 4093 m. s. m., permettendo di toccare con facilità una delle cime più elevate delle Alpi Bernesi. In Italia rispondono a questo stesso criterio la ferrovia a dentiera da Pugliano alla stazione inferiore della funicolare del Vesuvio (fig. 35) e la Stresa-Mottarone (fig. 36). Dal punto di vista storico va citata la ferrovia impiantata da J. B. Fell sulla strada del Moncenisio ed esercitata dal 1868 sino all'apertura della galleria del Fréjus, con l'estremo sud a Susa (m. 540 s. m.), quello nord a Saint-Michel (m. 753 s. m.) e il punto culminante a 2126 m. Le pendenze massime che si possono raggiungere sulle ferrovie a dentiera vanno sino al 250 e più per mille. Nel caso delle funicolari si tratta di superare pendenze così elevate che riesce opportuno rinunciare alla trazione per aderenza, sia naturale sia artificiale, e ricorrere a una macchina fissa la quale solleva il carico mediante una fune. Le funicolari servono spesso a mettere in comunicazione diversi quartieri di una stessa città, posti a forti differenze di livello, come per es. le funicolari di Genova, di Napoli, di Bergamo, di Losanna, di Lione, ecc.
Ferrovie a dentiera. - Il binario delle ferrovie a dentiera differisce dal comune per l'esistenza della dentiera che si pone in mezzo alle due rotaie e serve per ingranare con una o più ruote dentate di cui è munita la locomotiva o l'automotrice.
I tipi di dentiera finora adoperati sono parecchi, ma il maggior numero delle applicazioni l'ebbero quella inventata da N. Riggenbach, che l'adottò per primo sulla linea Svizzera del Righi, una delle più antiche ferrovie costruite ad aderenza artificiale, quella di R. Abt e quella di E. Strub. La dentiera Riggenbach, ormai abbandonata, è costituita da due ferri laminati a U, nelle cui costole sono infilati e ribaditi i denti, che sono formati da specie di pioli a sezione trapezoidale. La dentiera Abt (fig. 37) è invece a lame d' acciaio intagliate a denti. Più lame insieme collegate, in maniera però che i denti non si sovrappongano, costituiscono la dentiera. Cuscinetti di forma appropriata, interposti fra le lame, le tengono a una certa distanza fra loro e ne assicurano il parallelismo. Il numero delle lame è di due o di tre, secondo lo sforzo di trazione che debbono sopportare. Nel caso di due lame, esse sono collegate in modo che gli assi dei denti risultino spostati l'uno rispetto all'altro della metà del passo, vale a dire che al pieno di una lama corrisponda il vuoto dell'altra. Se le lame sono tre lo spostamento è di un terzo di passo. I denti sono tracciati a sviluppante di cerchio; vi è dunque sempre su ciascuna lama almeno un dente in presa e perciò in tutto due o tre denti secondo il numero delle lame. Questo sistema appare subito migliore del precedente perché permette un movimento più dolce e rende possibile una maggiore velocità; consente infine curve di raggio più ristretto.
Il tipo di più recente invenzione è la dentiera Strub (fig. 38) adoperata la prima volta sulla già citata ferrovia della Jungfrau nel 1899 e quasi esclusivamente adottata su tutte le linee costruite dopo. I denti di questa dentiera (si dice anche, ma scorrettamente, cremagliera) sono intagliati nel fungo di una rotaia tipo Vignole. I denti prendono forma cilindro-conica e fra due denti consecutivi l'anima della rotaia è tagliata così da rinchiudere un vuoto; il fondo di questa cavità è tracciato secondo una superficie cilindrica le cui generatrici sono perpendicolari al piano mediano della rotaia dentata. Questa è situata sull'asse del binario e fissata alle comuni traverse (sono in questi casi preferite le traverse metalliche). Una specie di tenaglia solidale al veicolo corre a breve distanza dal fungo e quando la ruota dentata si spostasse lateralmente o tendesse a sollevarsi, la tenaglia verrebbe a stringersi contro la dentiera impedendo lo sviamento. Questa tenaglia è utilizżata anche per la frenatura. La rotaia dentata ha un fungo largo intorno ai 60 millimetri, ciò che permette di avere una ruota motrice di larghezza sufficiente per assicurare un buon contatto.
Nelle ferrovie che hanno solamente qualche tronco a dentiera (ferrovie ad aderenza mista) occorre un pezzo speciale al punto di passaggio dal binario comune a quello munito di dentiera. Tale pezzo (fig. 39) è in generale costituito da una dentiera a denti degradanti in altezza, poggiata su molle, in guisa che la ruota dentata motrice possa, senza che la macchina si arresti, ingranare sulla dentiera.
Una locomotiva o un'automotrice per linea a dentiera può essere costruita in due modi. O si rinuncia ad avvalersi dell'aderenza naturale per la trazione e allora le ruote portanti possono essere folli sul loro asse; oppure si vuole utilizzare in quanto è possibile anche l'aderenza e allora le ruote portanti sono calettate, come nelle ferrovie comuni, sul loro asse e seguono il movimento della ruota dentata, la quale non sopporta così che una frazione più o meno grande dello sforzo motore. Il secondo sistema è preferito perché può essere adoperato anche sulle linee ad aderenza mista. Riferendoci sempre al secondo tipo diremo che, la ruota dentata essendo collegata con biella e manovella alle ruote portanti, tutte le ruote debbono avere lo stesso diametro e subire rotazioni eguali. Ora se è possibile far sì che il diametro del cerchio di rotolamento delle ruote portanti e quello del circolo primitivo della ruota dentata risultino, a nuovo, perfettamente uguali, questa condizione non sarà più rispettata dopo alcuni mesi di servizio quando i denti si saranno consumati. Si verificheranno allora degli strisciamenti sulla dentiera, di cui va tenuto conto, perché contribuiscono a far salire la resistenza al moto, da considerarsi pari al triplo della normale resistenza delle ferrovie ad aderenza (15 kg. invece di 5 per tonnellata).
Qualche volta nelle locomotive a vapore le ruote ad aderenza sono fatte comandare da una coppia di cilindri e quelle a dentiera da un'altra coppia per adattare meglio il meccanismo alla diversa velocità che si ha nei tronchi ad aderenza artificiale rispetto a quelli ad aderenza naturale. Ne consegue un aumento del peso morto da trasportare che non è cosa trascurabile, data l'elevatezza delle pendenze. I cilindri del meccanismo ad aderenza sono interni. La trasmissione del movimento dai cilindri alla ruota dentata non si può fare col semplice meccanismo di biella e manovella; il pistone agisce per mezzo di una biella su una delle estremità di una leva, che con l'altra estremità attacca mediante altra biella il bottone della manovella. In genere, essendo due le ruote dentate, il moto è trasmesso dall'una all'altra mediante biella. L'insieme del meccanismo delle ruote dentate è portato da un telaio speciale, appoggiato direttamente sugli assi portanti, in modo da evitare le variazioni prodotte dalla flessione delle molle nell'altezza dell'ingranamento.
A ciascun tipo di dentiera corrisponde naturalmente un diverso tipo di ruota dentata. Nel caso della dentiera Abt a ogni lama corrisponde un disco dentato, ma come sono solidali fra loro le lame così sono solidali i dischi. Apposite molle permettono peraltro un po' di giuoco fra disco e disco. Lo spessore di ogni disco dentato corrisponde alla distanza fra gli assi delle lame (mm. 55). Il passo generalmente adottato per una dentiera a tre lame è di 120 mm. Poiché vi è sempre in presa almeno un dente per disco, i contatti sono a distanza non maggiore di 40 mm.
Le locomotive a vapore sono state quasi del tutto abbandonate sulle ferrovie a dentiera dopo che si è perfezionata e sviluppata la trazione elettrica. Nei locomotori o nelle automotrici il motore è applicato sul telaio mediante alcune molle, e trasmette lo sforzo con falso albero alle ruote dentate.
La doppia trasmissione è necessaria perché la velocità sulle ferrovie a dentiera non supera di solito i 15 km. l'ora. In generale si ricorre alla corrente continua con motori eccitati in derivazione, oppure ai motori asincroni trifasi per approfittare delle proprietà che questo genere di motori godono di mantenere costante la velocità. I motori si lasciano in presa anche durante le discese, ciò che dà luogo a un effetto di frenamento a velocità costante.
I freni hanno naturalmente importanza capitale per le ferrovie a dentiera. Sulle linee a fortissima pendenza ogni veicolo è munito di freno a nastro o a ceppi agente su apposita ruota dentata che ingrana con la dentiera. Sono stati tentati varî sistemi di manovra ma ora è generalmente adoperata l'aria compressa con apparecchi Westinghouse. In qualche caso si pone la locomotiva in coda e il treno essendo spinto si evita il pericolo che, nel caso di rottura degli organi d'attacco in salita, una parte del treno retroceda. Talvolta si è ricorso ad apparecchi comandati da un regolatore a forza centrifuga che fa entrare automaticamente in funzione il freno non appena la velocità sorpassa un dato limite. Quasi sempre le automotrici e i veicoli sono muniti di più d'un tipo di freno, anche per effetto di disposizioni di legge.
Ferrovie funicolari. - Le ferrovie funicolari non approfittano dell'aderenza sulle rotaie o sulla dentiera, essendo mosse, come si è detto, da una macchina fissa che, agendo su un tamburo, fa svolgere alternativamente nei due sensi i capi di una fune, cui sono attaccate le vetture. Naturalmente mentre il sistema comporta le più elevate pendenze sino a toccare la verticalità (nel qual caso si trasforma in un ascensore) non può estendersi oltre un dato limite di sviluppo. Le funicolari esistenti vanno da uno a tre chilometri di lunghezza. Quando le distanze fossero maggiori si ricorrerebbe a due impianti posti in serie.
Lo sforzo che la macchina fissa deve esercitare è rappresentato dalla differenza fra la componente del peso della vettura montante e quella del peso della vettura discendente: si comprende quindi come abbia importanza la buona distribuzione delle pendenze, che può influire nel rendere lo sforzo della macchina minimo e nello stesso tempo costante. Sorge quindi il problema del profilo di equilibrio, profilo che non può essere quello a pendenza costante perché al peso delle vetture si aggiunge un elemento, il peso della fune, continuamente variabile a misura che la vettura sale o discende e niente affatto trascurabile, perché può in alcuni casi raggiungere lo stesso ordine di grandezza del peso della vettura.
Risponde alla condizione dello sforzo di trazione costante il profilo tracciato secondo una parabola che abbia la seguente equazione (Tajani):
in cui P è il peso della vettura ascendente, P′ è quello della discendente, ω il peso a m. l. della fune di trazione, H il dislivello massimo, L la distanza in orizzontale delle stazioni estreme. Questo profilo si traccia facilmente sostituendo ad esso una poligonale a pendenze crescenti. Partendo da
si ha che la pendenza del primo elemento sarà
e quella dell'ultimo
Il numero n di sezioni dev'essere grande perché il tracciato reale non si discosti troppo dal teorico (ogni sezione eguale a una rotaia). Non sempre le condizioni del terreno permettono di adottare il profilo teorico.
Le funicolari sono generalmente a semplice binario, con un raddoppio al punto di mezzo, perché possa avvenire lo scambio delle vetture. Alle rotaie si può dare la solita forma, mettendo in mezzo al binario una dentiera entro cui ingrana la ruota dentata del freno che normalmente gira folle, salvo a diventare solidale col telaio quante volte venga a mancare la tensione della fune (la fune si rompa). Infatti l'entrata in azione del freno è subordinata al funzionamento di un innesto comandato da un contrappeso a sua volta trattenuto da una leva collegata alla fune. Per risparmiare la grave spesa della dentiera gli impianti moderni sono muniti di rotaie con fungo a facce inclinate (fig. 40) su cui fa presa un freno a mascella comandato come si è detto innanzi. L'esistenza di un freno automatico sulle vetture è obbligatorio per prescrizione regolamentare.
La fune può essere di uno dei varî tipi a fili d'acciaio usati in commercio: essa deve essere calcolata su un coefficiente di sicurezza almeno eguale a 10, rispetto alla rottura dei fili. Un particolare importante è costituito dall'attacco della fune alla vettura, attacco che in generale si fa ingrossando l'estremo della fune con una speciale lega metallica fusa dopo aver fatto passare la fune stessa in un occhio praticato in una robusta squadra solidale al telaio.
La stazione motrice (fig. 42) consta di una serie di grandi pulegge su cui la fune è avvolta un numero di volte sufficiente ad evitarne lo scorrimento. Si ricorre o a una motrice a vapore oppure a un motore elettrico; oggi quasi esclusivamente a un motore elettrico. Anche l'impianto motore è munito di mezzi di frenamento. La velocità di marcia va da 1 a 4 m. al secondo.
Esistono funicolari automotrici a contrappeso d'acqua, sprovviste d'impianto motore. A ogni discesa si carica dell'acqua in un serbatoio della vettura superiore, che poi si scarica quando la vettura è giunta in basso. Esistono altresì tipi di schema più complicato (a doppia fune, ecc.), ma gl'impianti moderni tendono in genere alla semplicità nella quale è implicita anche una garanzia di sicurezza.
Legislazione delle ferrovie.
In tutto quanto riguarda le ferrovie (e i mezzi di comunicazione in genere) troviamo più o meno estesa l'ingerenza dello stato. Rendendoci ragione di questo tratto caratteristico della materia in esame, ci faremo un'idea delle basi su cui poggia la legislazione ferroviaria.
Cominceremo, a tal proposito, col notare che il trasporto è un bisogno che non si può soddisfare se non in forma associativa. Ai primordî della civiltà, delle correnti d'acqua naturali dovette esser lasciato libero l'uso a tutti i rivieraschi, e una sola località di comodo approdo dovette essere resa accessibile a tutte le barche di una comunità. Così allorquando si riconobbe l'opportunità di creare una strada o di gettare un ponte, ciò si dovette fare col concorso di tutti. Sicché corsi d'acqua, strade, ecc., caddero sotto la podestà regia, e col successivo trasformarsi delle forme di governo, vennero a far parte dell'attività propria all'ente Stato. Ma vi è un'altra ragione importantissima che giustifica l'ingerenza dello stato nelle comunicazioni ed è che servendo queste ad altri scopi pubblici, è interesse dello stato l'eseguirne o provocarne l'impianto. Ciò che si è detto in generale per tutti i mezzi di comunicazione vale in modo precipuo per le ferrovie che rappresentano senza dubbio il mezzo principe per il trasporto di persone e merci a lunga distanza.
I vantaggi che dall'ingerenza dello stato derivano allo sviluppo dei mezzi di locomozione e particolarmente delle ferrovie sono molteplici. Solo lo stato è infatti in grado: a) di eliminare gli ostacoli che la libertà individuale potrebbe opporre alla creazione e alla conservazione delle strade; b) di far sì che i mezzi di comunicazione riescano per quanto è possibile utili a tutti e nella stessa misura; c) di normalizzarne i caratteri tecnici e regolarne la distribuzione nel territorio, in modo che la loro utilità tenda al massimo; d) di destinarvi ingenti risorse tolte dai tributi imposti a tutti i cittadini. Questo potere dello stato può essere da lui delegato a un concessionario oppure a un ente autarchico locale (provincia, comune), ciò che serve egualmente a raggiungere lo scopo.
Le vie di comunicazione intese in senso lato (compresi cioè in tale denominazione i ponti, i porti, ecc.), fanno parte, secondo la nostra legislazione, del pubblico demanio. Per quanto le ferrovie non siano esplicitamente citate nella legislazione, la più corretta dottrina è che esse si debbano considerare comprese nel demanio, i cui caratteri fondamentali sono l'inalienabilità e l'imprescrittibilità.
Vediamo ora a quali istituti giuridici ed economici dia luogo l'ingerenza dello stato nei mezzi di comunicazione. A eliminare gli ostacoli che la libertà individuale può opporre all'impianto e alla conservazione delle comunicazioni, vale anzitutto l'istituto della "espropriazione per causa di pubblica utilità" in forza del quale il privato è obbligato a cedere tutta o parte della sua proprietà, che serva all'impianto di una comunicazione, mediante congrua indennità. La cessione può aver luogo a favore sia dello stato, sia dell'ente o persona cui sia stata delegata la facoltà di costruire una ferrovia, ecc. Per quanto concerne la conservazione delle opere valgono le norme dette di "polizia", mediante le quali lo stato impedisce ogni atto che possa dar luogo a danneggiamento dei mezzi di comunicazione e prescrive le regole con cui ne è ammessa la utilizzazione. Nel concetto di polizia ferroviaria s'innesta, all'infuori di quanto riguarda la conservazione e il buon uso della sede e delle macchine, la garanzia dell'incolumità delle persone (viaggiatori, addetti ai trasporti, estranei) che sono esposte a pericoli dall'intensità dell'esercizio (forti velocità, grandi masse in moto, frequenza dei treni). Qui si tratta di una azione che lo stato esercita a favore della pubblica salute, indipendentemente dalla funzione dei trasporti e si esplica con obblighi di diverso genere (uso del telegrafo o del telefono per preannunciare il passaggio dei treni; uso di segnali visibili a distanza, guardia ai passaggi a livello, ecc.).
Solo un ente il cui interesse si confonda con quello della massa dei cittadini, come lo stato, può fare o procurare che i mezzi di comunicazione riescano più che è possibile utili a tutti nella stessa misura. Ciò ha rapporto con la considerazione che i mezzi di comunicazione si trovano in una condizione di "monopolio di fatto", condizione che, lungi dal moderare, conviene, dal punto di vista della economicità, rafforzare ricorrendo a un "monopolio di diritto".
Perché le ferrovie, come le comunicazioni in genere, costituiscono un monopolio di fatto? Per andare da un punto a un altro di un territorio possono esistere più strade, ma una sola di esse rappresenterà la convenienza massima in quanto sia la più breve e la più piana. In realtà la differenza di convenienza fra questa strada più breve e le altre è sempre notevole. Il detentore della strada più breve è, dunque, in condizioni di monopolio per il trasporto fra i due punti considerati e potrebbe imporre ai cittadini o prezzi esorbitanti o materialmente impedire a chi gli piacesse l'uso della strada. Né converrebbe moltiplicare le strade perché in tal modo aumenterebbero bensì le spese d'impianto, ma non i proventi. Di più ferrovie, ognuna avrà una propria zona tributaria o d'influenza; se sorge una linea parallela ad altra esistente non per questo crescerà la zona; e non crescerà quindi il traffico, che si può considerare come un attributo del territorio che lo produce. Oltreché alle ferrovie questo concetto si applica ai porti, ai ponti, ai canali, ecc. Tentare, dunque, di eliminare questa condizione di monopolio per sostituirvi la libera concorrenza significherebbe incorrere in inconvenienti peggiori.
Il monopolio si lascerà dunque sussistere e l'intervento dell'autorità ne eliminerà le conseguenze dannose. Ciò porta o all'esercizio governativo delle comunicazioni in genere, delle ferrovie in specie, oppure alla concessione, vale a dire alla delegazione dei poteri col controllo da parte dello stato. La concessione in massima è applicabile a tutti i mezzi di comunicazione; ma l'applicazione maggiore è quella fattane alle ferrovie.
Solo con l'intervento di un potere superiore e centrale (unico) si può ottenere l'identità di alcuni caratteri tecnici, identità che accresce notevolmente l'utilità delle comunicazioni. Solo con questo intervento si può avere l'eguale e organica distribuzione delle linee nel territorio, lasciandosi guidare non solo dai bisogni locali e immediati ma anche da quelli generali e futuri.
Uno stato bene ordinato segue ciò che si dice una politica di trasporti, vale a dire un indirizzo prestabilito, anche per quanto concerne i rapporti fra i diversi sistemi (strade rispetto alle ferrovie, come strade di accesso alle stazioni, ferrovie rispetto ai porti come stazioni marittime, ecc.). L'utilità di rendere uniformi i caratteri delle comunicazioni, di raccordarle fra loro, di fare in modo che sorgano ordinatamente e non a caso, è tale che ha dato luogo a convenzioni internazionali. Come abbiamo detto, lo scartamento del binario è identico in quasi tutte le ferrovie di Europa (eccetto la Spagna ove misura m. 1,54 e parte della Russia ove si ha una distanza fra le rotaie di m. 1,52) e i veicoli di una rete circolano liberamente su tutte le altre.
Interessandosi lo stato delle comunicazioni, non avverrà che qualche punto del territorio ne resti sfornito o per difetto d'iniziativa o per difetto di mezzi. È vero che ove esistesse la convenienza economica presto o tardi l'iniziativa sorgerebbe; ma si sa che le comunicazioni hanno anche uno scopo sociale e politico, e questo non verrebbe mai raggiunto ove non si accoppiasse a un sufficiente interesse economico. Si aggiunga che il reddito di una strada ferrata è d'incerta previsione. Di più una volta impiegati i capitali per l'impianto di una ferrovia, non vi è mezzo di ritrarneli. Può quindi avvenire che una linea che i privati trascurerebbero per timore di non trarne frutto, costruita dallo stato divenga economicamente utile. Ma lo stato non solo può destinare le pubbliche risorse ai mezzi di trasporto e così moltiplicarli, ma può anche i proventi di alcuni riversarli su altri. Uno stato che tragga lucro dalle ferrovie principali, può tale lucro dedicare alle secondarie; ciò non avviene dove, come per esempio negli Stati Uniti, lo stato (ed è eccezione giustificata dall'eccesso di ricchezza esistente in quel territorio) lascia che le ferrovie sorgano per esclusiva iniziativa privata. Nel fatto gli stati moderni dedicano grandi risorse alle ferrovie o creando sempre nuove linee o, dove si stimi raggiunto tale grado di saturazione da rendere superflua la costruzione di linee nuove, perfezionando le antiche con l'ampliamento delle stazioni, l'adozione di materiale più perfetto, ecc.
Abbiamo detto che lo stato, anziché provvedere direttamente alle comunicazioni, può delegare i suoi poteri a un concessionario cioè a un privato o a una società che si assumano l'obbligo d'impiantare, mantenere e amministrare una via di comunicazione, con l'autorizzazione a percepire determinate tasse da coloro che se ne valgono. Il concessionario d'una ferrovia non ne è né proprietario, né usufruttuario, né locatario; non ha su essa alcun diritto reale perché il demanio pubblico non può far oggetto di diritti di questo genere. Tutte le concessioni sono a termine. Gli obblighi e i diritti del concessionario derivano contemporaneamente da contratti che sono obbligatorî per ambo le parti, e non possono essere modificati che di comune accordo, e da misure di polizia imposte dall'autorità in forza del suo diritto d'impero. Teoricamente questi due ordini di disposizioni differiscono in maniera assoluta; ma in pratica è assai difficile distinguerle. Si tenta di tenerle separate costituendo l'atto di concessione di due parti: di un contratto propriamente detto che contiene le clausole in cui lo stato interviene con diritto di gestione e di un capitolato che raccoglie le norme d'impero.
Vediamo ora i concetti fondamentali su cui si basano le concessioni. Se l'iniziativa della costruzione vien presa da un privato (persona, ente, società) è lui che studia il tracciato e lo presenta all'approvazione governativa con la domanda di concessione. Questa domanda è accompagnata quasi sempre da un piano finanziario particolareggiato, la cui presentazione è obbligatoria quante volte si richieda un sussidio. Le concessioni sono, come abbiamo già detto, di durata limitata. Nelle leggi italiane vigenti è stabilito che la concessione di una ferrovia non possa durare più di 70, quella di una tramvia più di 60 anni. La durata di una concessione ferroviaria ha grande importanza. Da un lato interesserebbe che non fosse molto lunga per non creare vincoli allo stato nella sistemazione dei pubblici servizî; ma se si limita troppo la durata s'incorre nell'inconveniente che cresce di molto il tasso di ammortamento e quindi l'impresa diventa finanziariamente più difficile. Al 6 per cento basta il 6,02 per ammortizzare il capitale in 99 anni (massimo non superato nella durata delle concessioni) ma occorre il 6,08 per ammortizzarlo in 75 anni, il 6,34 in 50 anni e il 7,26 in 30 anni.
Il concessionario incorre in decadenza quando l'esercizio venga ad interrompersi, o abbia luogo con gravi e ripetute irregolarità, per modo che l'amministrazione pubblica, prese provvisorie misure a spese del concessionario per ristabilire l'esercizio o assicurarne la regolarità, sia indotta a prefiggere un termine per una definitiva sistemazione; questa non avendo luogo, sarà dichiarata la decadenza e posta all'asta la ferrovia.
La concessione può cessare non solo per il termine naturale del contratto, o per decadenza, ma anche per effetto di "riscatto". Avviene talvolta nello svolgimento delle concessioni, che esse siano condotte in maniera da non conseguire gli scopi per i quali furono accordate, o impediscano un maggiore sviluppo del traffico, o si presentino in condizioni tali da poter essere utilizzate meglio con pubblico vantaggio. In tutti questi casi si verificano ragioni d'incompatibilità col pubblico interesse che inducono a risolvere i rapporti fra lo stato e il concessionario: ma questo ultimo dev'essere sempre indennizzato di quanto per fatto altrui viene a perdere. Il diritto al riscatto non può essere esperito in qualunque tempo, altrimenti il concessionario non sarebbe garantito di poter cavar frutto dalla concessione almeno per un certo numero di anni. Secondo le nostre leggi debbono essere trascorsi almeno 30 anni dall'apertura dell'intera linea al permanente esercizio, salvo che un termine più breve o più lungo sia stato fissato nell'atto di concessione; previa in ogni caso diffida di un anno. La legge fissa pure il modo con cui si deve determinare il prezzo di riscatto: si calcolano, cioè, gli utili degli ultimi cinque anni, precedenti alla diffida; fra questi si scelgono i tre di maggior reddito e si fa la media, che rappresenta l'annualità da pagarsi fino al termine della concessione, annualità che può anche convertirsi in capitale.
Non bisogna dimenticare che all'esercente ferroviario è deferita una funzione che ha grandissima importanza economico-sociale. I servizî delle ferrovie debbono perciò essere esercitati con assoluta garanzia di continuità e con parità di trattamento verso tutti i cittadini. Dovendo il concessionario eseguire per legge tutti quanti i trasporti che gli vengano domandati, di regola egli non potrà mai eccepire mancanza di mezzi. Il difetto dei mezzi si manifesta di solito nel materiale mobile (locomotive, vetture, carri), meno frequentemente negl'impianti delle stazioni. Nell'atto di concessione il governo fissa la quantità minima di materiale mobile che il concessionario deve possedere, ma è detto esplicitamente che se questa non bastasse il concessionario dovrebbe aumentarla, sì da mantenerla sempre in proporzione ai bisogni; lo stesso obbligo illimitato ha il concessionario per quanto concerne gl'impianti fissi.
Gli orarî sono studiati dal concessionario, ma debbono riportare l'approvazione del governo. Interessa che gli orarî siano fatti in guisa da rispondere alle esigenze del pubblico per comodità di ore di partenza, per le coincidenze fra i treni delle diverse linee, ecc. Anche il numero giornaliero delle corse molto contribuisce nel rendere più o meno utile al pubblico il servizio ferroviario. Nell'atto di concessione è perciò fissato il minimo numero giornaliero di coppie che l'esercente deve obbligatoriamente fare. Elemento di capitale importanza è quello del prezzo dei trasporti. Nell'atto di concessione sono perciò fissate le tariffe massime che l'esercente può riscuotere. Apposite disposizioni tendono a impedire che il concessionario raggiunga con espedienti nascosti lo scopo di aumentare le tariffe. Il concessionario è libero di fare ribassi, ma deve renderli di pubblica ragione perché tutti ne possano approfittare, la parità di trattamento essendo insita nel carattere del pubblico servizio.
Economia ferroviaria.
Il trasporto è per sé un servizio che viene scambiato fra un produttore e un consumatore; i prezzi relativi si stabiliscono, dunque secondo le leggi economiche note, se pur richiedenti qualche speciale chiarimento. Si tratta, a ogni modo, di contrapporre la domanda, cioè il prezzo che il consumatore è disposto a pagare, all'offerta, cioè al prezzo cui il produttore è disposto a cedere il servizio. La domanda per un servizio di trasporti è rappresentata da ciò che si può dire il "valore d'uso" di un trasporto, cioè quella utilità che si calcola di poterne trarre. Si tratti di un viaggio o della spedizione di una merce o anche dell'invio di un semplice telegramma, l'operazione è, in ogni caso, preceduta da un giudizio di apprezzamento da parte di chi deve decidersi a compierla. Se ci proponiamo di comperare degli agrumi in Sicilia da vendere a Milano, sappiamo il prezzo che si può ottenere a Milano, chiediamo il prezzo preteso dal produttore di Sicilia; la differenza, depurata dell'utile, sarà il massimo che potremo destinare alla spesa di trasporto. Questa differenza è il valore del trasporto: se il prezzo reale è inferiore, tanto meglio; se superiore rinunceremo all'operazione. Questo ragionamento può apparire errato. Si osserverà che il prezzo degli agrumi a Milano è uguale al prezzo di Sicilia aumentato del prezzo di trasporto chiesto dalle ferrovie oltre, beninteso, quel margine medio di utile senza del quale nessuno commercerebbe. Si potrebbe quindi ritenere che questa concezione astratta del valore del trasporto non corrispondesse a realtà. Per persuaderci del contrario facciamo, sempre restando nel medesimo esempio, un'ipotesi. Supponiamo che degli speculatori trovino mezzo di far venire una certa quantità di agrumi dalla Spagna e la riversino sul mercato di Milano. Qui, allora, si formerà un prezzo che è certo del tutto indipendente dalla spesa di trasporto delle arance di Sicilia. Se ciò provocherà un ribasso, potrà avvenire che il costo degli agrumi all'origine, aumentato del prezzo effettivo del trasporto, superi il prezzo così determinatosi sulla piazza di Milano e allora non si potrà più dire che il prezzo degli agrumi a Milano è eguale a quello di Sicilia aumentato del prezzo di trasporto, mentre sussisterà il concetto generale di un valore del trasporto. È vero però che, se esiste un servizio regolare, il prezzo effettivo di trasporto reagirà sui corsi di mercato all'origine e a destino per modo che valore e prezzo del trasporto finiranno con l'equivalersi; ma sta di fatto che un eccesso di produzione all'origine o un aumento di richiesta a destino possono alterare i prezzi correnti della merce, indipendentemente dal prezzo del trasporto.
Il valore di trasporto di una data merce da un punto A ad un punto B, definito anche come il "dislivello dei prezzi" di quella merce fra B (punto di prezzo più alto) e A (punto di prezzo più basso) è infine il prezzo massimo che si può ottenere, nessuno essendo disposto a pagare per il trasporto più di quanto potrebbe ricuperare nella vendita.
Un ragionamento analogo si può fare per i viaggi. Chi per affari o per diporto o per ragioni familiari si sposta dalla sua residenza lo fa dopo aver fissato un limite di spesa, che non ha alcuna relazione col costo del biglietto, del soggiorno, ecc., ma con la speranza dei guadagni che il viaggio può fruttare, con le risorse di cui il viaggiatore dispone, con la possibilità che ha di sostituire altro viaggio o altro svago a quello progettato, con l'importanza delle ragioni che lo hanno determinato. Se il preventivo di spesa in base ai costi reali rimane in questo limite, il viaggio avrà luogo, altrimenti no. Anche in questo caso il valore del viaggio segna il massimo del prezzo.
In generale si può dire che il valore del trasporto è più elevato per le merci di grande che per quelle di piccolo valore proprio. Si tratti di merce che vale 2000 o 3000 lire la tonnellata e allora le differenze di prezzo fra due mercati lontani raggiungeranno facilmente le 100 o 200 lire, ciò che non può avvenire per una merce che di per sé vale soltanto 100 o 200 lire.
Sarebbe però erroneo considerare il valore del trasporto come una percentuale fissa del valore assoluto. Può darsi benissimo che il valore di trasporto di una merce che costa meno sia superiore a quello di una merce che costa più. Se il sale in Italia non fosse monopolizzato, nei pressi delle miniere di salgemma e nei paesi litoranei costerebbe quasi nulla, nei paesi interni avrebbe, per la necessità cui il suo uso risponde, un prezzo elevatissimo. Il grano è una merce relativamente costosa, ma molti paesi produttori di grano si fanno concorrenza rispetto a un centro di consumo; non può avvenire, dunque, che il valore del trasporto assuma quotazioni alte rispetto al valore assoluto. Considerazioni analoghe si possono fare circa i viaggi. Uno stesso viaggio ha valore diverso a seconda della disponibilità personale di chi lo intraprende. Una persona ricca non trova difficoltà a spendere in un dato viaggio una somma che sarebbe proibitiva per una persona di modeste risorse.
La lunghezza del tragitto non influisce sul valore del trasporto che in modo limitato perché le differenze nelle condizioni della produzione e del consumo non hanno relazione diretta con la distanza. Nessuno è disposto a pagare di più per una data merce solo perché viene di lontano, a meno che questa maggior distanza di origine corrisponda a un maggior pregio. La forza motrice prodotta da una tonnellata di carbone è sempre la stessa sia che la fabbrica si trovi a Sampierdarena presso il porto di Genova, sia che si trovi a Milano; perciò il massimo che si è disposti a pagare per il trasporto di una tonnellata di carbone è lo stesso nei due casi. Se però di fatto avverrà che si chieda un prezzo diverso, si costruiranno a Sampierdarena le fabbriche che hanno bisogno di forza motrice a buon mercato, a Milano quelle che possono pagar cara la forza e allora il valore del trasporto del carbone sarà un po' diverso, ma non in ragione della distanza, bensì della diversità dell'uso della forza prodotta col carbone. Per le derrate agricole la distanza misurata nel senso dei meridiani risponde a differenze nelle condizioni di produzione, le quali fanno sì che le differenze nei prezzi di mercato crescano con le distanze; lungo i paralleli, invece, le condizioni climatiche restando le stesse, non si possono avere differenze crescenti col crescere delle distanze.
Il valore del trasporto determina dunque la domanda. È poi evidente che due trasporti di peso identico non sono eguali se non vanno alla stessa distanza e se vanno a distanza identica non sono eguali se non hanno lo stesso peso. L'unità del trasporto è la "tonnellata-chilometro" (tonn.-km.) e per definire un trasporto bisogna moltiplicare il peso dell'oggetto per la distanza da superare. Per i viaggiatori si usa analogamente l'unità "viaggiatore-chilometro" (viagg.-km.). L'unità di peso usata dalle ferrovie è quasi sempre la tonnellata, più di rado il quintale; l'unità di distanza è sempre il chilometro, e una frazione di chilometro si considera come intero.
Vediamo adesso le condizioni dell'offerta, la quale evidentemente si determina in base alla considerazione che il produttore dei trasporti non può offrire i suoi servigi a meno di quanto effettivamente gli costano. In ogni sistema di trasporto vi sono due elementi di spesa: la spesa per l'impianto della comunicazione, e la spesa del servizio di trasporto propriamente detto. In alcuni casi la spesa dell'impianto della comunicazione è completamente distinta dalla spesa di trasporto. come per le strade ordinarie; in altri casi la distinzione è meno evidente come per le ferrovie, sulle quali, per ragioni tecniche, l'uso della sede non può essere lasciato libero a tutti e quindi, sia le spese d'impianto sia quelle d'esercizio fanno capo all'unico assuntore. In ogni caso le due categorie di spese si possono tener distinte nel costo dell'esercizio totale del trasporto e hanno un carattere economico diverso.
Un imprenditore, il quale si occupi soltanto del trasporto propriamente detto, ha delle spese che sono sensibilmente proporzionali al numero delle unità di traffico trasportate, cioè all'elemento rispetto al quale si fissano i prezzi; più esattamente si può dire che la spesa varia col numero dei veicoli messi in circolazione. Ogni nuova operazione dà luogo a una nuova spesa eguale a quella sopportata per ciascuna delle operazioni già eseguite. Insomma vi si nota la prevalenza delle spese proporzionali sulle spese fisse o generali.
Del tutto opposto è, da questo punto di vista, il carattere della spesa relativa all'impianto della comunicazione. Essa è, per la quasi totalità, rappresentata dall'interesse del capitale occorso per l'impianto. La spesa d'impianto non sarà eguale in tutti i casi; se il traffico si prevede scarso si ricorrerà a metodi meno perfetti; ma occorrerà sempre un minimo di spesa che, una volta fatta, non potrà più essere ridotta, anche se il traffico diventasse pressoché insignificante. È vero che, a seconda che vi sarà maggiore o minor traffico si richiederà una maggiore o minore spesa di manutenzione, ma la spesa di manutenzione si deve sempre fare e cresce di ben poco col crescere del traffico.
Il caso delle ferrovie è quello tipico in cui non vi è distinzione fra il detentore della via di comunicazione e l'esercente del trasporto. Abbiamo già detto che le ferrovie non possono essere messe a disposizione di tutti, come le strade ordinarie, e quindi spese di costruzione e di manutenzione e spese di trasporto propriamente dette fanno capo a un solo interessato. Ma in ogni caso vi sono spese fisse o generali e variabili o proporzionali.
Oltre la indicata differenza, altra ne esiste fra i due elementi del costo complessivo del trasporto: servizio di trasporto propriamente detto e fornitura della comunicazione. Facciamo dapprima il caso in cui il servizio di trasporto sia distinto dalla fornitura della comunicazione. Orbene, il trasporto propriamente detto è un servizio che si produce in condizioni di concorrenza. Se l'industria dei trasporti comuni per date relazioni si palesa redditizia, cioè fornisce guadagni superiori alla media, molti accorrono a quell'industria per approfittare dei maggiori guadagni; viceversa avviene se l'industria non rende: molti se ne ritirano. Esistono dunque quelle condizioni che sono specifiche alla concorrenza e che portano i prezzi press'a poco al livello del costo.
La fornitura delle comunicazioni risponde, invece, alla condizione del monopolio. Il detentore di una strada può fissare i prezzi a sua discrezione, salvo quei limiti che, trattandosi di un concessionario, gli siano stati imposti, come sempre avviene, nel contratto di concessione. Godendo di un monopolio, il detentore di una strada non è trattenuto nelle sue pretese se non dal timore di arrestare il traffico. Il suo interesse è di domandare a ciascun trasporto il pedaggio più elevato che possa essere percepito, avvicinandosi più che può al limite di là dal quale il viaggiatore o lo speditore non avrebbero più alcun vantaggio a utilizzare la strada, pur senza oltrepassarlo. Insomma egli cercherà di far pagare a ciascun trasporto "tutto quello che può pagare".
Se ora cerchiamo le condizioni necessarie perché un servizio di trasporti sia industrialmente vantaggioso, troviamo che esse sono due: a) ogni operazione deve rendere almeno quel che costa; b) l'insieme delle operazioni deve rendere tanto in più da pagare gli oneri dell'impianto. Abbiamo visto che per il trasporto propriamente detto ogni nuova operazione dà luogo a una spesa che non varia da operazione a operazione, o che varia poco in ragione delle unità del traffico ed è evidente che la spesa di ognuna di queste operazioni deve essere saldata. Quanto alle altre spese (quelle fisse della comunicazione) non è necessario che siano rimborsate operazione per operazione, cosa che non sarebbe neanche possibile perché a ogni operazione nuova la quota (ottenuta dividendo la spesa totale per il numero delle operazioni) si sposta; ma basta che nel loro complesso siano coperte.
Guardiamo la cosa dal punto di vista di un unico trasporto. Se questo è tale che non può pagare la spesa di esercizio, esso viene senz'altro abbandonato, giacché accettandolo bisognerebbe spendere più di quanto rende. Se invece non può pagare la sua quota di spesa d'impianto o può pagarne soltanto una piccolissima parte, non per questo sarà abbandonato perché anche se da tutti i trasporti non si riuscisse a ricavare l'interesse e l'ammortamento del capitale, l'impresa avrebbe piuttosto vantaggio a sussistere che a liquidare. La liquidazione di un impianto di comunicazione non è possibile se non con grandissima perdita; perciò fino a tanto che le spese giornaliere sono coperte conviene piuttosto continuare nell'esercizio che abbandonarlo.
Si può dunque concludere che il minimo dell'offerta è il "costo di esercizio", che la quota del "costo d'impianto" può scendere sino a zero e a ogni modo può essere inegualmente distribuita fra i varî trasporti per effetto delle condizioni di monopolio in cui si trova il detentore. Quando le economie cui fan capo le due prestazioni sono distinte, poiché il massimo che uno speditore può pagare per un trasporto è il valore del trasporto e poiché per il servizio del trasporto propriamente detto è percepito un compenso pari al costo, resta a favore del detentore della strada la differenza fra il valore e il costo del servizio. Se l'impresa è unica come nel caso delle ferrovie, il prezzo richiesto è unico anch'esso e verrà fissato press'a poco eguale al valore del trasporto; se nel prezzo totale si vuole immaginare una scomposizione analoga a quella che si avrebbe quando i due servizî facessero capo a due economie diverse, si deve considerare come prezzo del trasporto propriamente detto la somma necessaria per coprire il costo di ciascuna operazione e come pedaggio il resto. Qui è opportuno aggiungere che, se il monopolio del detentore è assoluto per quanto concerne la sua via, è però limitato, come ogni monopolio, dalla possibilità di cui gode il pubblico di raggiungere lo scopo con altri mezzi.
Per quanto si è detto innanzi sappiamo: a) che delle due prestazioni economiche: servizio del trasporto propriamente detto e fornitura della comunicazione, la prima corrisponde al carattere di spesa proporzionale, la seconda al carattere di spesa fissa; la prima si produce in condizioni di concorrenza, la seconda in condizioni di monopolio; b) che la spesa di impianto non si può ritirare e perciò un trasporto sarà accettato anche per quote piccolissime di pedaggio; c) che, però, svolgendosi la fornitura della strada in monopolio si potrà fare un'ineguale distribuzione delle quote fra i varî trasporti, sino a raggiungere, per ciascun trasporto, il massimo rappresentato dal valore del trasporto. Da ciò consegue che il minimo prezzo del trasporto sarà il costo del servizio propriamente detto; il massimo sarà il valore. Il pedaggio, quando non sia nullo, potrà andare da quote piccolissime sino ad assorbire tutta la differenza fra valore e costo del servizio.
Se l'esercente è unico, come nel caso delle ferrovie, il monopolio si estende a tutto quanto il servizio. Ma quanto ai prezzi le cose non cambiano. Il minimo del prezzo sarà in ogni caso il costo corrispondente alle spese variabili. Il massimo sarà il valore del trasporto; la quota di pedaggio potrà essere differente da trasporto a trasporto, cioè i prezzi complessivi potranno essere disuguali, anche quando si tratti di trasporti che abbiano un identico costo d'esercizio. Ciò non potrebbe però essere inteso senza restrizioni, le quali promanano o da disposizioni delle autorità o da ragioni di fatto. Tali restrizioni sono legate alla considerazione che, in un'attività la quale implica in maggiore o minor misura l'ingerenza dello stato con oneri a carico di tutti i cittadini, non sarebbe tollerabile una differenza di trattamento non giustificata. Perciò si ammettono soltanto le distinzioni oggettive e non le soggettive.
I criterî obiettivi utili alla differenziazione dei prezzi sono tuttavia numerosissimi. Per quanto concerne le merci si ricorre anzitutto a una "classificazione" nella quale esse sono ripartite in un certo numero di "classi" o "categorie" in base al massimo prezzo di trasporto che possono sopportare. Poiché il valore del trasporto non dipende, come si è detto, unicamente dalla natura della merce, si cerca di tener conto di tutti gl'indizî che possono svelare le differenze esistenti fra le varie spedizioni da questo punto di vista. L' importanza delle spedizioni, il loro modo d'imballaggio o altri segni dànno a questo riguardo preziose indicazioni. Così alcune merci sono messe in diverse categorie di prezzi secondo le condizioni nelle quali esse vengono spedite. Molte volte queste condizioni, nello stesso tempo che permettono di stabilire delle presunzioni sul valore del trasporto, giustificano l'abbassamento del prezzo per ragíoni che hanno rapporto con la spesa di trasporto. Così è delle clausole relative alla "velocità del trasporto" e alla "responsabilità del vettore". Queste clausole influiscono da una parte sul costo del trasporto rendendolo più o meno elevato secondo che maggiore o minore è la celerità della resa o secondo che il vettore assume a suo carico i rischi del viaggio; e rivelano, d'altra parte, la qualità dei diversi prodotti compresi sotto la stessa denominazione. Infatti il proprietario di una merce tanto più tiene a che la spedizione abbia luogo con sollecitudine e il vettore assuma la responsabilità dei danni, quanto più la merce è di valore. Subordinando alcune differenze di prezzo ad alcune differenze nelle condizioni di velocità e di responsabilità, s'inducono gli stessi speditori a fare essi una distinzione fra le merci dello stesso nome presentanti differenze di qualità che non si possono far figurare nella classificazione, chiedendo l'applicazione di questa o quella tariffa secondo che si tratta di spedizioni che possono o non possono sopportare gli aumenti di prezzo cui sono subordinati alcuni vantaggi.
Un sistema analogo è quello che si adotta per i viaggiatori, offrendo diverse classi di vetture fra le quali ciascuno sceglie secondo che le risorse di cui dispone gli permettono o no di pagare un prezzo più elevato per viaggiare con maggiore agio. Altre differenze sono subordinate alla qualità del viaggiatore (operaio, impiegato, militare, ecc.) o alle condizioni in cui ha luogo il viaggio (andata-ritorno, circolare, in abbonamento, ecc.). Sarebbe erroneo tentar di spiegare queste differenze con una differenza di costo del trasporto, mentre esse dipendono dalla diversa predisposizione del pubblico a pagare dati prezzi per procurarsi comodità maggiori o minori, e con la condizione monopolistica delle ferrovie.
Dal punto di vista del percorso, per poter stabilire tariffe che osservino il concetto della parità di trattamento bisogna ricorrere a regole che permettano di calcolare il prezzo in funzione della distanza. Per ciascun gruppo di merci o di viaggiatori, cui si ritiene di poter applicare una stessa tassazione, bisogna stabilire in base alla loro natura e alle condizioni del trasporto una formula che dia il prezzo adattabile alla maggior quantità delle merci comprese nel gruppo. In queste formule, tariffe o sistemi di prezzi, si parte da una "base" che è il prezzo per unità di traffico (tonn.-km.; viagg.-km.). Il miglior mezzo per rappresentare i prezzi è quello di seguirne le variazioni su due assi cartesiani (ascisse distanze, ordinate prezzi). La tariffa più semplice è quella detta "a base fissa" o "proporzionale", nella quale il prezzo cresce come cresce la distanza. Queste tariffe comportano spesso aggiunte invariabili con la distanza (diritti fissi, charges terminales, terminals) che dal punto di vista del costo d' esercizio servono a compensare le operazioni ai punti di partenza e di destinazione (carico, scarico, manovre, registrazioni) e dal punto di vista del pedaggio rappresentano un contributo agli oneri sostenuti per gl'impianti estremi (rimesse, stazioni, ecc.). La linea rappresentativa della tariffa fissa (fig. 43) è una retta più o meno inclinata all'orizzonte, a seconda che la base è più o meno elevata, staccandosi dall'asse delle ordinate a un'altezza minore o maggiore secondo l'entità del diritto fisso. Ma, crescendo come crescono le distanze, i prezzi diventerebbero presto proibitivi, specialmente per le merci di scarso valore. Occorre, dunque, fare che la base vada decrescendo con la distanza in modo che il prezzo, pur crescendo, cresca moderatamente. Questo sistema è tanto più applicabile in quanto il costo d'esercizio si abbassa col crescere della distanza per la migliore utilizzazione del materiale e del personale. Per ottenere questa decrescenza si ricorre alle tariffe differenziali a base belga (furono applicate nel Belgio per la prima volta), nelle quali a ciascun tratto del percorso si applica una diversa base (fig. 44): per esempio L. 0,50 per i primi 100 km., L. o,40 per i percorsi da 101 a 200 km., ecc. È il tipo di tariffa più usato sulle ferrovie. Esso permette una decrescenza o differenzialità più o meno rapida, in modo da adattarsi alle diverse condizioni della pratica. Vi sono poi le tariffe a zone (fig. 45) i cui prezzi variano in maniera discontinua mantenendosi costanti entro certi intervalli di distanza. Esse si applicano a piccoli percorsi. Queste tariffe non hanno pregi proprî ma presentano il vantaggio di una maggiore semplicità nel calcolo dei prezzi, i quali conservano il carattere differenziale in quanto a doppia distanza corrisponde sempre un prezzo minore del doppio e così di seguito.
Statistica ferroviaria.
Serve a porre in evidenza i risultati tecnici ed economici dell'esercizio, fornendo preziose indicazioni ai corpi legislativi, alle pubbliche amministrazioni, agli esercenti e ai privati che si servono delle ferrovie. I dati relativi agl'introiti, alle spese d'esercizio, all'andamento stagionale del traffico, alla percorrenza dei rotabili, ecc., costituiscono una guida indispensabile all'esame di tutti i problemi concernenti le ferrovie, valgono a stabilire i criterî direttivi delle aziende, ad additare provvedimenti atti allo sviluppo del traffico.
Indicheremo con la massima brevità gli argomenti che più di consueto formano oggetto d'indagine statistica. Può interessare anzitutto conoscere lo sviluppo delle ferrovie in un dato momento per ciascuno stato o regione. L'indicazione della lunghezza assoluta di ciascuna rete non avrebbe però gran significato: essa, quindi, suole essere rapportata all'estensione del territorio servito e alla popolazione, per ricavarne due indici atti a valutare la ricchezza ferroviaria del paese considerato. Naturalmente nei paesi a popolazione rada l'indice che segna il rapporto alla popolazione è piuttosto elevato mentre è scarso quello riferito all'estensione superficiale; viceversa avviene nei paesi a popolazione densa. Un giudizio comparativo non si può dare se non tenendo contemporaneamente conto di entrambi gl'indici. Volendo completare il paragone occorrerebbe misurare il traffico in viaggiatori e tonnellate di merci per chilometro. Naturalmente si avranno per questo titolo cifre medie, perché il traffico non è egualmente distribuito sulle linee, anzi le ineguaglianze sono notevolissime. Si comincerà con lo stabilire quale è il movimento annuo totale in viaggiatori-km. e tonnellate-km.: questi numeri saranno divisi per l'estensione chilometrica della linea o rete. P. es. sulla rete italiana esercitata dallo stato, lunga km. 17.000 circa, ogni chilometro è percorso in media da 503.000 viaggiatori e da 754.000 tonnellate di merce (media del periodo che va dal 1924 al 1930).
Un altro modo vi è per mettere in evidenza l'intensità di movimento di una linea ed è quello d'indicare il prodotto chilometrico annuale, ciò che di solito si fa tenendo separato il prodotto dovuto alle merci da quello dovuto ai viaggiatori. P. es. il reddito chilometrico della nostra rete di stato (F.S.) è di 280.000 lire per chilometro in cifra tonda, di cui circa un terzo dovuto ai viaggiatori e due terzi alle merci. Chi poi voglia giudicare il risultato della gestione farà il rapporto fra la spesa e l'introito, ricavando quello che si dice il coefficiente d'esercizio (in Italia, per le F.S. eguale a circa 0,89, dato precedente alla crisi). Può essere interessante stabilire quale sia il risultato dei trasporti merci a piccola velocità in confronto di quelli a grande velocità e come il movimento dei viaggiatori si ripartisca fra le classi. A quest'ultimo proposito è forse poco noto che la grande maggioranza dei viaggi ha luogo in terza classe (87%); molto scarsa è la frequenza della seconda classe (11%) e addirittura minima quella della prima classe (2%). Le percentuali indicate si riferiscono alla rete italiana; ma esse poco differiscono dai dati degli altri paesi. Si può dire, anzi, che più un paese è ricco, maggiore è la percentuale dei viaggi nella classe ultima, ciò che si spiega col fatto che ivi i viaggi sono più diffusi e vi ricorrono in maggior misura i meno abbienti.
Grande interesse presenta anche l'indagine sulla distribuzione stagionale del traffico. Le figure 46 e 47, che vogliono costituire anche un esempio di rappresentazione grafica delle statistiche ferroviarie, indicano in qual modo si distribuisce in Italia, durante le diverse stagioni dell'anno, il movimento delle merci e quello dei viaggiatori. Vi si nota chiaramente come l'attività dei trasporti si riduca al minimo nei mesi d'inverno e si accentui al massimo nell'autunno. Naturalmente la ineguale distribuzione del traffico nel tempo accresce le spese delle ferrovie, alle quali gioverebbe avere a che fare con un traffico costante, in modo da poter utilizzare sempre al completo personale e mezzi tecnici, anziché averne ora deficienza e ora abbondanza.
Entrando nel campo dell'utilizzazione del personale, delle macchine e dei veicoli, uno dei compiti affidati alle statistiche è quello di tenere in evidenza il numero di agenti impiegati su una linea o rete per stabilire in modo relativo (sarebbe difficile farlo in modo assoluto) se vi sia esuberanza (le spese di personale rappresentano dal 65 al 75% del costo totale dell'esercizio ed è perciò molto importante limitarle) rapportando il numero degli agenti al numero dei treni-chilometro, o degli assichilometro e simili, entità che rappresentano in qualche modo il lavoro ferroviario. Si suole pure tener conto, a titolo di controllo, del consumo di combustibile, di lubrificanti, di energia in rapporto ancora ai treni-chilometro o al percorso compiuto dalle locomotive. La conoscenza poi della percorrenza media annuale di ciascun carro, carrozza o locomotiva consente di stabilire se il materiale è stato regolarmente utilizzato, per via di confronti con altri paesi o con le risultanze degli anni precedenti.
Cenno sullo sviluppo delle ferrovie nel mondo.
È stato già detto che la data con cui ebbe inizio lo sviluppo della rete ferroviaria nel mondo è quel 27 settembre 1825, in cui fu inaugurata in Inghilterra la Stockton-Darlington. Precedentemente in molti paesi, così come in Inghilterra, esistevano linee con vagoncini trainati a mezzo di cavalli o macchine statiche, adibite specialmente al trasporto di materiali dalle miniere, ma esse non potevano considerarsi ferrovie nel senso tecnico odierno, mancando dei due requisiti fondamentali ad esse inerenti: la trazione meccanica e il trasporto di viaggiatori, che invece con la Stockton-Darlington fecero la loro apparizione.
Gli anni che vanno dal 1825 alla metà del secolo non segnarono un rapido moltiplicarsi delle ferrovie. Il nuovo mezzo di trasporto appariva ancora osteggiato dai più, incerto nei suoi risultati. Se ne discuteva molto la convenienza economica, la sicurezza, la capacità di adattamento ai traffici. Sembrava soprattutto che la costruzione di canali e di opere per la navigabilità di fiumi fosse ancora di gran lunga preferibile, e sono appunto canali e fiumi che in quel periodo più intensamente resistono, come mezzi di comunicazione, alla concorrenza delle ferrovie. Comunque, volendo fare una graduazione fra i varî paesi, può attribuirsi all'Inghilterra e agli Stati Uniti il merito di avere più largamente sviluppato il nuovo mezzo di trasporto.
Una questione che presto apparve in questo periodo e doveva lungamente dibattersi, fu quella se convenisse affidare allo stato o all'industria privata la costruzione e l'esercizio delle ferrovie. In verità, l'Inghilterra e gli Stati Uniti avevano lasciato all'iniziativa privata il compito di sviluppare il nuovo mezzo di trasporto: in Inghilterra si ebbe soltanto una legge (1832) che fissava il massimo di tariffe per il trasporto dei viaggiatori, e negli Stati Uniti solo qualcuna delle ferrovie fu costruita a spese degli stati; lo stesso principio della concessione gratuita dei terreni apparve dopo il 1850 e più per scopi di colonizzazione che per altro. Ma il Belgio e alcuni stati germanici, avevano attribuito allo stato il compito di costruire le ferrovie, mentre altri paesi sceglievano una via intermedia. Così, per es., la Francia, il cui parlamento dal 1837 al 1848 discusse la questione per ben sei volte, e con tale ricchezza e varietà di argomenti, che quelle discussioni rimangono fondamentali per un'esatta comprensione di tutti i problemi che l'introduzione del nuovo mezzo di trasporto andava sollevando. Prevalse, in quel paese, dapprima, il concetto di affidare le costruzioni all'industria privata, ma le molteplici difficoltà finanziarie che sorsero in seguito portarono a forme di attenuazione tali che in pratica le costruzioni furono il prodotto dell'iniziativa privata largamente sorretta dallo stato. Esaminando tuttavia le soluzioni adottate nel loro complesso, può ritenersi che in questo primo periodo la costruzione e l'esercizio privato delle ferrovie abbiano avuto prevalenza, in armonia del resto alle tendenze liberali dell'epoca.
Nel periodo 1850-70 le difficoltà e le obiezioni che avevano all'inizio ritardato lo sviluppo ferroviario si potevano dire in gran parte superate. La rete mondiale da 38.600 km. nel 1850 passava a 210.800 km. nel 1870 (tabella I). I maggiori paesi d'Europa e gli Stati Uniti avevano potuto costituirsi una fondamentale ossatura ferroviaria; quasi tutti gli altri paesi d'Europa e d'America, l'India l'Egitto, l'Algeria, l'Australia, progettavano e attuavano le prime ferrovie. Verso la fine del periodo gli Stati Uniti inaugurano anche la prima transcontinentale e la Russia la transcaucasica. È caratteristico di questo periodo il largo affluire del risparmio, prima guardingo, agl'impieghi per costruzioni ferroviarie, il moltiplicarsi delle iniziative, il perfezionarsi della tecnica, il fondersi, soprattutto dove dominava l'iniziativa privata, di molte piccole imprese in poderosi organismi, esercitanti reti di migliaia di chilometri. Come conseguenza di questi orientamenti si sviluppa un'eccessiva speculazione finanziaria sui titoli ferroviarî, un'aspra concorrenza fra le grandi compagnie, spesso seguita da accordi monopolistici, una discriminazione delle tariffe di trasporto a danno di determinate correnti di traffico. Problemi finanziarî e problemi tariffarî sorgono vastissimi.
Dal 1870 al 1900 la rete ferroviaria mondiale si sviluppa enormemente. I paesi dell'America segnano, in questo periodo, un aumento percentuale del 330%, i paesi dell'Asia del 528%, dell'Africa del 1045%, dell'Oceania del 1260%. Gli Stati Uniti costruiscono altre 4 ferrovie transcontinentali, sviluppando considerevolmente le comunicazioni fra l'Atlantico e il Pacifico; una linea del genere costruisce anche il Canada; notevole pure la costruzione della transcaspiana e della transiberiana in Russia. Più limitate sono invece nel trentennio le costruzioni europee. È in questo periodo che le complesse questioni nel campo della finanza, della concorrenza e delle tariffe che il precedente periodo aveva posto in luce, la necessità di costruire linee d'interesse locale, trascurate dalle imprese private perché poco redditizie, ma necessarie allo sviluppo omogeneo nei varî territorî, il porsi da punti di vista militari nella considerazione delle ferrovie, in conseguenza della guerra franco-prussiana, determinano un po' dovunque un più deciso intervento statale. Comincia la Prussia nel 1879 a statizzare le ferrovie. Seguono questa politica la Romania, la Serbia, la Bulgaria; mentre l'Ungheria, l'Austria, la Danimarca, la Russia, la Svizzera si limitano ad acquistare le principali linee ferroviarie. La Francia, a partire dal 1878, crea una piccola rete di stato. Fuori d'Europa, costiuiscono o gestiscono ferrovie di stato la Cina, il Giappone, la Turchia, il Chile, il Brasile, l'Argentina e altri. Solo in Inghilterra e negli Stati Uniti la rete rimane proprietà di privati, ma con controlli finanziarî e tariffarî dello stato sempre più estesi.
Dal 1900 al 1913 la rete mondiale passa da 790.000 km. a 1. 104.000 km. Intense sono le costruzioni nei paesi dell'Asia, dell'Africa e dell'Australia, mentre i paesi europei e gli Stati Uniti, pur non trascurandole, cercano soprattutto di dare una sistemazione tecnica alle reti ferroviarie. Comincia a diffondersi la trazione elettrica. Applicata fin dagli ultimi anni del secolo precedente al traffico suburbano, essa va estendendosi al traffico interurbano. Ragioni diverse da paese a paese, come convenienza di aumentare la capacità di una linea, di superare meglio i valichi, di eliminare il fumo, di raggiungere maggiore velocità, o d'indole economica, come convenienza di utilizzare forze idrauliche esistenti sul luogo, portano a questa innovazione tecnica.
Il periodo della guerra fu caratterizzato soprattutto da un più stretto controllo statale delle ferrovie in gestione privata. Si ricordano i provvedimenti del 1914 e del 1917, con cui si statizzarono le ferrovie dell'Inghilterra e quelli del Wilson del 1917 con cui si statizzarono le ferrovie degli Stati Uniti: provvedimenti eccezionali che ebbero fine qualche anno dopo la pace.
Gli anni recenti hanno segnato, più che una ripresa di costruzioni, un consolidamento e perfezionamento tecnico delle linee esistenti, e un più ordinato controllo degli stati sulle imprese ferroviarie private. Il riordinamento ferroviario si è reso anche necessario per attenuare gli effetti della grande concorrenza esercitata dai trasporti automobilistici, che vanno godendo ormai, in misura crescente e in determinate condizioni, il favore del pubblico. Un particolare progresso registra attualmente l'elettrificazione non soltanto sulle linee a carattere secondario, dove si può dire che vada generalizzandosi, ma anche sulle linee principali. Di queste ultime la Svizzera ha una lunghezza di circa il 60% della lunghezza totale della rete; in Italia (Ferrovie dello stato) la lunghezza delle linee elettrificate è all'incirca eguale a quella svizzera, la percentuale è però di poco superiore al 12% dell'intera rete. Nella tabella II sono indicate le lunghezze delle principali linee che risultavano elettrificate al 30 giugno 1931; per l'Italia la cifra si riferisce alle sole Ferrovie dello stato al 31 marzo 1932. Il sistema adottato prevalentemente è il monofase, con caratteristiche identiche in Austria, Germania, Norvegia, Svezia e Svizzera; pure largamente adottato è il sistema a corrente continua, a bassa tensione con terza rotaia come in Inghilterra e nella rete suburbana di Berlino o ad alta tensione, come in Francia e in moltissimi paesi extra-europei. In Italia si è usato il trifase ma si va introducendo il sistema a corrente continua. Negli Stati Uniti, dove si usava largamente quest'ultimo sistema, si propende oggi per il sistema monofase.
Un aspetto interessante dell'odierno sviluppo ferroviario nel mondo è dato dall'esistenza di un regime internazionale di regolamento di questioni tecniche e commerciali attinenti al nuovo mezzo di trasporto. Promosso dalla Svizzera fin dal 1874, questo regime si andò concretando attraverso una serie di conferenze tenute a Berna a partire dal 1878. Capisaldi di questo regime internazionale sono attualmente una serie di disposizioni riguardanti l'unità tecnica delle strade ferrate (protocolli finali 18 maggio 1907, 14 dicemble 1912, ecc.), con particolare riguardo allo scartamento, alle dimensioni trasversali dei veicoli e dei carichi e alla sagoma limite internazionale per carri merci; un regolamento per il reciproco uso dei carri in servizio internazionale (edizione più recente, Lucerna 1930); una convenzione internazionale per il trasporto delle merci per ferrovia, sottoscritta a Berna per la prima volta il 14 ottobre 1890, e modificata successivamente fino alla nuova convenzione 23 ottobre 1924; una convenzione internazionale per il trasporto dei vaggiatori e dei bagagli, sottoscritta pure il 23 ottobre 1924.
Le ferrovie in Italia.
Le strade ferrate apparvero in Italia con un certo ritardo rispetto a quelle di altri paesi. Fu primo il governo del Regno delle due Sicilie ad accordare a un' impresa francese la concessione di una ferrovia da Napoli a Nocera, con diramazione da Torre Annunziata a Castellammare di Stabia e da Nocera a Vietri sul mare: il primo tronco di 8 km., da Napoli a Portici, fu aperto all'esercizio il 4 ottobre 1839. Seguirono la MilanoMonza nel 1840; la Napoli-Capua e la Pisa-Livorno nel 1844; la PadovaVenezia nel 1846; la Torino-Moncalieri nel 1848; la Roma-Frascati nel 1857; la Piacenza-Confine del Piemonte nel 1860, ecc.
È ovvia la ragione di questo ritardo: gli otto stati in cui era suddivisa l'Italia non avevano interesse a creare una rete ferroviaria, che poteva diventare un elemento essenziale per l'unificazione della penisola; inoltre la molteplicità delle frontiere impediva di per sé uno sviluppo rapido del nuovo mezzo di comunicazione. Nello stesso Regno delle due Sicilie le ferrovie furono considerate più come un mezzo per allacciare alla capitale le varie residenze sovrane (Portici e Caserta) e le località con notevoli guarnigioni di truppe (Nocera, Capua, Avellino, ecc.), che come strumento per lo sviluppo dei traffici. Naturalmente il carattere disorganico e il frazionamento impresso fin dall'origine alle costruzioni ferroviarie pesarono per lungo tempo sul paese impedendo una razionale formazione della rete.
Soltanto dopo il 1840 cominciò in Italia la costruzione attiva di ferrovie di vero interesse commerciale. Il Piemonte, il Lombardo-Veneto e la Toscana furono gli stati che maggiormente diedero impulso alle costruzioni, creando piccole reti con linee orientate secondo le principali correnti di traffico.
Allo scoppiare della guerra per l'indipendenza del 1859 erano in esercizio appena 1758 km. di linee, così ripartite: Piemonte, km. 803; Lombardia, km. 202; Veneto, km. 298; Toscana, km. 256; Stati Pontifici, km. 101; Regno delle due Sicilie, km. 98. È meritevole di rilievo che gli 803 km. di linee del Piemonte si collegavano a Buffalora con i 500 km. del Regno Lombardo-Veneto, formando una rete di km. 1303, di notevole importanza commerciale e strategica: commerciale, in quanto i porti di Genova e di Venezia si trovavano riuniti con i più importanti centri del retroterra; strategica, giacché nella guerra del 1859 le ferrovie, con molta preveggenza fatte costruire dal Cavour, costituirono un elemento di prim'ordine delle vittorie di Palestro e di Magenta, permettendo il rapido concentramento e spostamento delle truppe francesi, in parte sbarcate a Genova e in parte venute per la via di Susa.
In questo primo periodo le ferrovie furono, in generale, date in concessione (per la costruzione e per l'esercizio) a imprese private, verso garanzia da parte dello stato di un dato interesse sul capitale impiegato, e fu questa una delle ragioni dcl lento progredire delle costruzioni, giacché non era facile trovare gl'ingenti capitali all'uopo occorrenti. Il Piemonte dichiarò linee principali del sistema ferroviario quelle da Genova a Torino (e Susa) per Alessandria, con diramazioni da Alessandria verso il Lago Maggiore e verso la Lombardia (Ticino), e ne decise la costruzione a cura e a spese dello stato; lasciando le linee o tronchi secondarî all'industria privata. Anche il Regno delle due Sicilie assunse direttamente la costruzione e l'esercizio di qualche linea. Dove venne applicato il regime delle concessioni, le società o ditte concessionarie fin dall'inizio della loro attività si trovarono, quasi tutte, in condizioni di grave disagio finanziario e qualcuna subì traversie, che condussero perfino alla vendita all'asta della linea, come accadde per la Lucca-Pisa.
Durante l'agitato periodo dal 1859 alla proclamazione del Regno d'Italia, un po' per iniziativa dei passati governi, e più ancora per il buon volere dei governi provvisorî, molte furono le concessioni di ferrovie, ma poche quelle che vennero tradotte in atto, sempre a causa delle difficoltà finanziarie del momento e degli oscillanti e non precisi criterî con i quali le concessioni venivano regolate. Fu all'incirca in questo periodo che si concretò l'idea di costruire un traforo alpino. Con legge 15 agosto 1857, il governo sardo, allo scopo di allacciare il Piemonte alla Savoia aveva decretato la costruzione, a cura e spese dello stato, del traforo del Fréjus.
Immediatamente dopo la proclamazione del regno la situazione delle ferrovie italiane era la seguente:
Fra i molti problemi che il nuovo regno doveva affrontare e risolvere, non ultimo apparve quello delle ferrovie, imponendosi ai governanti la necessità di porre ordine in quelle esistenti e di sviluppare le nuove costruzioni, giustamente ritenute come il miglior mezzo per cementare i vincoli unitarî della nazione e per avviare questa a migliori destini.
Le ferrovie esistenti si presentavano a gruppi, gestiti da numerose piccole società di scarsa potenzialità finanziaria; quelle dell'Italia settentrionale erano del tutto staccate da quelle dell'Italia centrale e meridionale; la Sicilia e la Sardegna ne erano affatto prive. Si cominciò in un primo tempo col rivedere e migliorare le concessioni affidandole a imprese di salde possibilità finanziarie (merita particolare menzione una concessione fatta con legge 21 agosto 1862 al conte Pietro Bastogi, dalla quale trasse origine la Società italiana per le strade ferrate meridionali, una delle più vitali società ferroviarie che continuò l'esercizio delle sue linee fino al riscatto del 1906). Si pervenne poi al riordinamento generale della rete con la legge del 14 maggio 1865, che costituisce una delle pietre miliari dello sviluppo ferroviario italiano. Con questa legge si stabilì: a) la cessione all'industria privata della rete statale piemontese, contro versamento di 200 milioni di lire; b) la ripartizione delle linee fra cinque società in modo da creare reti omogenee, d' importanza e d'estensione pressoché eguale (a prescindere dalla rete sarda, necessariamente più piccola delle altre); c) la concessione di sovvenzioni fisse, accoppiate con compartecipazioni da parte dello stato secondo il sistema della cosiddetta "scala mobile"; cioè con compensi che decrescevano a misura che i prodotti del traffico salivano.
Riferendoci al 1867, per tener conto delle variazioni susseguite alla liberazione del Veneto, la ripartizione sommaria delle linee fra le cinque società concessionarie risultò la seguente: a) alla Società delle strade ferrate dell'Alta Italia, le linee del Piemonte, della Lombardia, del Veneto e parte di quelle dell'Italia centrale: complessivamente km. 2205 in esercizio, 42 in costruzione e 206 allo studio; b) alla Società delle strade ferrate romane, le linee livornesi, maremmane, la Centrale Toscana e le pontificie, cioè km. 1610 in esercizio, 397 in costruzione e 321 allo studio; c) alla Società italiana delle strade ferrate meridionali, le linee già concessele nel 1862 aumentate di altri tronchi, prevalentemente sul versante adriatico della Penisola, con km. 1140 in esercizio, 288 in costruzione e 323 allo studio; d) alla Società Vittorio Emanuele (questa aveva tratto origine da una concessione fatta con la legge 23 maggio 1853 dal governo sardo al banchiere Laffitte per la costruzione di talune ferrovie nella Savoia), diventata poi la Società delle strade ferrate calabro-sicule, le linee prevalentemente del versante tirreno dell'Italia meridionale e della Sicilia, vale a dire km. 149 in esercizio, 271 in costruzione, 1054 allo studio; e) alla Compagnia reale delle ferrovie sarde, km. 147 in costruzione e 267 allo studio.
Ma a qualche distanza dalla legge del 1865, la guerra sopravvenuta, il grave disagio delle finanze dello stato, la crisi economica e varie altre cause, anche di natura politica e finanziaria, ridussero a mal partito alcune società, specialmente la Società delle strade ferrate romane (i cui capitali erano in buona parte francesi) e la Società Vittorio Emanuele; sicché nuove e diverse convenzioni dovettero con leggi 31 agosto 1868 e 28 agosto 1870 essere approvate per evitare il fallimento delle Romane e per mettere le altre società in grado di sviluppare il prestabilito programma di costruzioni. Comunque, nonostante non favorevoli vicende, il periodo dal 1865 alla conquista di Roma non andò perduto per lo sviluppo della rete ferroviaria nazionale, che si accrebbe di km. 1870. Le linee aperte al pubblico esercizio, che erano di km. 4306 nel giugno 1865, si accrebbero di km. 116 dal giugno al dicembre del 1865, di km. 705 nel 1866, di km. 194 nel 1867, di km. 370 nel 1868, di km. 190 nel 1869, di km. 295 dal gennaio all'agosto del 1870. La lunghezza complessiva delle linee salì così a km. 6176, e ciò fu senza dubbio assai considerevole per il nuovo stato, ancora ai primordî della sua costituzione.
Un altro importante problema veniva posto allo studio e risolto in questi anni, la costruzione di un secondo valico alpino atto a mettere in comunicazione l'Italia con la Svizzera e con la Germania. Gli studî e le trattative, durate a lungo, si conclusero con la legge 8 luglio 1871 che autorizzò il governo italiano a partecipare al Consorzio internazionale del S. Gottardo e delle relative linee di accesso: il traforo, sebbene situato totalmente in territorio svizzero, può a buona ragione considerarsi come una gloria italiana, per l'ideazione e per l'esecuzione; inoltre l'Italia concorse alle spese di costruzione della linea del Gottardo complessivamente con 58 milioni, contro 31 dati dalla Svizzera e 30 dalla Germania. I lavori, iniziati nel 1872, furono compiuti nel 1881 e la galleria risultò di m. 14.984.
Dopo il 1870 ha inizio un'accentuata attività dello stato per un assestamento delle società e l'acquisto in proprietà delle ferrovie. Con la convenzione del 28 ottobre 1871 esso affidò alla Società delle strade ferrate meridionali l'esercizio delle ferrovie calabro-sicule che era andato peggiorando. Con la convenzione del 17 novembre 1873 esso riscattò poi le Romane, che si trovavano in gravissime difficoltà finanziarie. Una convenzione stipulata il 22 aprile 1874 con la Società delle strade ferrate meridionali per il riscatto delle sue linee e per la concessione di esercizio delle Romane, delle Calabro-Sicule e delle stesse Meridionali non ebbe seguito per le vicende politiche e parlamentari del tempo.
Successivamente, per ragioni di carattere prevalentemente internazionale, il governo addivenne alla stipulazione della Convenzione di Basilea del 17 novembre 1875, con la quale - in esecuzione delle clausole del trattato di pace con l'Austria del 1866 - si stabiliva la completa e definitiva separazione delle linee del Lombardo-Veneto dalla restante rete della Südbahn austriaca, mediante il riscatto da parte dell'Italia. Le ferrovie dell'Alta Italia, pur permanendo in esercizio privato, passarono così in proprietà dello stato.
Dal succedersi dei riscatti operati nel periodo in esame può agevolmente dedursi che il concetto fondamentale cui si ispiravano i governi di quel tempo era che lo stato dovesse essere il proprietario delle ferrovie per poterle poi anche esercitare direttamente. E appunto in coerenza con queste vedute programmatiche che erano poi quelle della vecchia Destra favorevoli all'esercizio di stato delle ferrovie, i ministri Spaventa e Minghetti presentarono al parlamento il progetto di legge 9 marzo 1876, col quale si proponeva di sanzionare il riscatto delle ferrovie dell'Alta Italia, delle Romane e delle Meridionali (le ex- Calabro-Sicule erano già di proprietà dello stato) e di assumere l'esercizio diretto della rete, con impegno da parte del governo di presentare al parlamento, entro il termine di due anni, concrete proposte per il definitivo ordinamento dell'esercizio. In conclusione, si trattava di un radicale cambiamento della politica ferroviaria fino allora seguita. Ma, per quanto ispirato a concetti organici e razionali, esso era affatto prematuro, perché né l'opinione pubblica, né il parlamento erano preparati ad affrontare l'incognita di un esercizio statale, specialmente dopo le lunghe e complesse traversie che, soprattutto per ragioni finanziarie ed economiche, avevano condotto, come si è accennato, quasi tutte le precedenti società concessionarie sull'orlo del fallimento. Caduto il ministero Minghetti il 18 marzo 1876, il ministero di Sinistra, Depretis, succedutogli dichiarò esplicitamente che lo stato non avrebbe assunto l'esercizio delle ferrovie e in tal senso si pronunziò il parlamento nel 1876, in occasione dell'approvazione del progetto di legge per il riscatto delle ferrovie dell'Alta Italia.
La gravità del problema impediva, però, che si trovasse agevolmente una concreta soluzione, sicché dal 1876 al 1885 si andò innanzi con espedienti di carattere provvisorio: affidando per il biennio successivo al riscatto l'esercizio delle ferrovie dell'Alta Italia alla Südbahn austriaca provvedendo poi alla gestione di esse a mezzo di un'amministrazione statale semi-autonoma, prorogando i contratti di esercizio da parte delle Meridionali, e così via. Per trovare una soluzione definitiva fu nominata nel 1878 una commissione parlamentare presieduta dal senatore Brioschi, che presentò le sue conclusioni nel 1881. Il segretario di questa Commissione, on. Genala, divenuto ministro, ne attuò in gran parte le proposte addivenendo alla stipulazione delle convenzioni del 1885 (legge 27 aprile 1885). Con esse la maggior parte della rete ferroviaria italiana fu data in esercizio a tre società: a) quella delle Strade ferrate meridionali, che assunse l'esercizio della Rete adriatica (km. 4131); b) quella, appositamente costituitasi, delle Strade ferrate del Mediterraneo, che assunse l'esercizio della Rete mediterranea (km. 4046); c) quella, pure di nuova costituzione, delle Strade ferrate della Sicilia, che assunse l'esercizio della Rete sicula (km. 597).
Le linee continentali furono divise - con esatto criterio - in senso longitudinale fra le due società Adriatica e Mediterranea, avendo cura che press'a poco un eguale numero di chilometri e di transiti internazionali fosse assegnato all'una e all'altra.
Nel frattempo non si erano arrestate le costruzioni di nuove ferrovie o per conto diretto dello stato o in concessione, e, inoltre, veniva promulgata la legge 29 luglio 1879, che autorizzò la spesa di 1260 milioni per la costruzione di oltre 6000 km. di ferrovie complementari, suddivise in quattro categorie: 1. linee da costruirsi, per il loro carattere spiccatamente nazionale, per intero a carico dello stato (km. 1153); 2. linee che, pur avendo carattere nazionale, erano destinate altresì a servire un interesse regionale, da costruirsi per 9/10 a carico dello stato e per 1/10 a carico delle provincie interessate (km. 1304); 3. linee di minore importanza nazionale, ma di notevole importanza regionale, da costruirsi per 8/10 a carico dello stato e per 2/10 delle provincie interessate (km. 2070); 4. linee di carattere prevalentemente regionale, da costruire con un semplice concorso dello stato, in relazione col costo di costruzione, fino ad un massimo di L. 1000 per km., per 35 anni (km. 1530).
Nel quadriennio dal 1876 al 1879 si erano costruite ferrovie per soli km. 702; nel successivo quinquennio, dal 1880 al 1884, le costruzioni salirono a km. 1680, portando il totale della rete a km. 9920.
Il quadriennio dal 1885 al 1888 fu il più fecondo. Le nuove costruzioni raggiunsero la cospicua cifra di km. 2417, ma procedettero però in modo piuttosto tumultuario e senza che venisse stabilita un'opportuna graduatoria fra le linee previste dalla legge del 1879 sulle complementari. Sicché si trovarono in esercizio linee affatto secondarie o locali e furono trascurate, invece, linee molto importanti e d' interesse veramente nazionale. Inoltre l'insufficienza dei fondi stanziati (dipendente anche dalle errate previsioni di spesa) costrinse lo stato a intervenire nuovamente: furono, perciò, promulgate le leggi 24 luglio 1887 e 20 luglio 1888 per assegnare nuovi fondi alle costruzioni ferroviarie (specialmente del Mezzogiorno, rimasto piuttosto trascurato rispetto alle altre regioni italiane) e per affidare alle tre società esercenti la rete principale la costruzione di nuove linee; infine fu elevata fino al massimo di L. 3000, e per 70 anni, la sovvenzione chilometrica per le ferrovie d'interesse locale. La depressione economica verificatasi in Italia dopo il 1890 portò necessariamente a un rallentamento nelle costruzioni e a un minore intervento finanziario dello stato; si cercò di spronare maggiormente l'iniziativa privata elevando il massimo della sovvenzione chilometrica a L. 5000, poi a L. 6000, ma con scarso risultato.
Nel frattempo si faceva strada il convincimento della necessità di un nuovo valico alpino attraverso il Sempione: la prima idea di questa ferrovia rimonta al 1857, anno in cui si costituì anche una società francosvizzera denominata Société de la ligne d' Italie, par le Simplon; ma solo dopo studî, conferenze e proposte innumerevoli si addivenne alla stipulazione della Convenzione di Berna del 25 novembre 1895 fra l'Italia e la Svizzera, e successivamente alla concessione alla Società del GiuraSempione del tratto di ferrovia tra il confine e la stazione di Iselle. I lavori furono iniziati nel 1898 e compiuti nel 1905: il traforo risultò di m. 19.730 e questa lunghezza non è stata ancora superata da nessun'altra galleria.
Al 31 dicemhre 1902 la rete ferroviaria italiana era così costituita: 1. Grandi reti, km. 12.465: mediterranea, km. 5734; adriatica, km. 5652; sicula, km. 1079; 2. Ferrovie diverse, km. 3148: a scartamento ordinario, km. 1931; a scartamento ridotto, km. 1217.
Le convenzioni con le grandi reti erano state stipulate nel 1885 per la durata di 60 anni, divisi in tre periodi di 20 anni ciascuno. Alla scadenza del primo ventennio tanto il governo, quanto le società diedero disdetta ai contratti riconoscendo insieme che i patti del 1885 avrebbero dovuto essere modificati, per tener conto dell'esperienza maturatasi nel frattempo. Il governo, da parte sua, verso la fine del 1898, in previsione della scadenza dei contratti di concessione, aveva nominato una commissione con l'incarico di studiare gli effetti delle convenzioni del 1885 e proporre l'ordinamento più opportuno da attuare alla scadenza del primo ventennio. La commissione (presieduta prima dal senatore L. Gagliardo e poi dal deputato V. Saporito) lavorò di gran lena, ma quando al termine della sua lunga fatica propose la proroga dell'esercizio privato con le opportune modificazioni ai patti del 1885, trovò la situazione politica radicalmente mutata a favore dell'esercizio di stato. A determinare siffatto capovolgimento contribuirono in modo particolare le agitazioni del personale ferroviario, che, malcontento del trattamento usatogli dalle società esercenti, riuscì attraverso minacce di sciopero e di ostruzionismo, a far pendere la bilancia dalla parte dell'esercizio di stato. Si giunse così senza adeguata preparazione alla cessazione dell'esercizio privato. Con la legge 22 aprile 1905 lo stato assunse, dal successivo 1° luglio, l'esercizio di tutte le linee di sua proprietà (km. 10.586); con legge del 15 luglio 1906 riscattò con decorrenza 1° luglio 1906 le Ferrovie meridionali (km. 2221) e le incorporò alla rete direttamente esercitata; sicché al 1° luglio 1906 la rete di stato, compresi riscatti minori e nuove costruzioni, raggiungeva i km. 13.049.
Allo scoppiare della guerra mondiale, la rete esercitata dallo stato era costituita di km. 13.666 a scartamento ordinario, e di km. 116 a scartamento ridotto (tutti in Sicilia). Finita la guerra e riunite all'Italia la Venezia Giulia e la Venezia Tridentina, la rete dello stato si trovò costituita (30 giugno 1920) di km. 15.667 a scartamento ordinari0 (dei quali 14.587 entro i vecchi confini e 1080 nelle nuove provincie) e km. 589 a scartamento ridotto (dei quali 298 in Sicilia e 291 nelle provincie redente). È da notare però che col 1° gennaio 1920 furono riscattati i km. 423 delle linee già della Compagnia reale delle ferrovie sarde, nonché vari tronchi già della Società veneta, indispensabili per il collegamento delle linee della Venezia Giulia col resto del regno.
Al 31 dicembre 1931 la lunghezza totale di esercizio della rete italiana era di km. 22.554, dei quali km. 16.928 esercitati dallo stato e km. 5626 dall'industria privata. Erano a scartamento ordinario km. 18.544 (16.164 dello stato e 2380 dell'industria privata); a scartamento ridotto km. 4010 (764 dello stato e 3246 dell'industria privata). Del complesso, erano a trazione elettrica km. 3406, dei quali km. 1937 dello stato (tutti a scartamento normale) e km. 1469 dell'industria privata (dei quali km. 480 a scartamento ordinario e 989 a scartamento ridotto). Dalla tabella IV si può rilevare la ripartizione delle ferrovie statali e private, esercitate al 31 dicembre 1930, per regioni. Dai dati di lunghezza riferiti alla superficie e alla popolazione risulta l'intensità relativa di sviluppo della rete nelle regioni stesse.
La concessione di nuove ferrovie, che può riguardare la costruzione e l'esercizio, oppure la sola costruzione, è, di massima, regolata dal testo unico approvato con r. decr. 9 maggio 1912, n. 1447, che è stato modificato con varî successivi decreti, specialmente nei riguardi della misura massima del sussidio, fissata in L. 50.000 (elevabili a 58.000 per le linee a trazione elettrica) per il massimo di 50 anni (r. decr. 2 agosto 1929, n. 2150).
La rete ferroviaria nazionale può considerarsi virtualmente compiuta con l'esaurirsi delle costruzioni in corso, tanto più che il nuovo mezzo di trasporto affermatosi in questi ultimi anni (l'autoveicolo) consiglia di procedere con la massima cautela nella costruzione di nuove ferrovie secondarie, che esigono ingenti spese d'impianto, con scarse previsioni di traffico: anzi, l'automobile potrà più economicamente ed efficacemente sostituire il servizio oggi espletato da varie ferrovie secondarie e tramvie, lente e passive.
Circa lo sforzo finanziario fatto dallo stato per la costruzione della rete ferroviaria non esistono dati precisi e attendibili. La R. Commissione per lo studio di proposte intorno all'ordinamento delle strade ferrate calcolò che, soltanto per le linee costituenti le tre grandi reti, la somma dei capitali impiegati e dei debiti iniziali, nominali, contratti dallo stato sotto qualsiasi forma di emissione di titoli, o di sovvenzioni, ammontava al 30 giugno 1902 alla cospicua cifra di L. 6.492.961.554, delle quali soltanto L. 588.765.328 sostenute dal Tesoro a carico dei bilanci annui, senza ricorso diretto al credito.
E. Morelli, nel 1914, in base all'esame dei bilanci dal 1862 in avanti e di oltre 170 leggi di carattere ferroviario, calcolò in milioni 8652,26 il costo delle ferrovie italiane dal 1862 al 30 giugno 1913. A questa somma erano da aggiungere milioni 4461,25 per annualità da pagare dal 1° luglio 1913 al 1968, e milioni 1270 pagati a tutto il 30 giugno 1913 per garanzie e sussidî a società concessionarie di strade ferrate (costruzioni ed esercizio privati).
Secondo la Relazione dell'amministrazione delle Ferrovie dello stato per l'esercizio 1930-31, l'ammontare del patrimonio dell'azienda al 30 giugno 1931 (attività di natura industriale, escluse le attività finanziarie e le gestioni speciali) era di 19.986,7 milioni di lire non stabilizzate, delle quali milioni 7807 corrispondenti alle spese occorse per gl'impianti e i mezzi di esercizio avuti in dotazione dall'azienda statale senza oneri d'interessi e ammortamento, e milioni 12.179,7 esprimono l'ammontare degl'investimenti patrimoniali dall'azienda stessa effettuati dal 1° luglio 1905 al 30 giugno 1931.
Dati statistici sulle Ferrovie dello stato. - Al 31 dicembre 1931 la lunghezza reale d'esercizio delle ferrovie dello stato risultava di km. 16.928 di cui 15.827 di proprietà dello stato, 1070 esercitati dallo stato per conto di terzi, 31 di tronchi esteri di confine esercitati dalle ferrovie italiane (non sono compresi nel totale km. 69 di tronchi di confine italiani, esercitati da amministrazioni estere). Del complesso, km. 16.164 erano a scartamento normale (con 4081 a doppio binario), e 764 a scartamento ridotto (tutti a semplice binario). Erano esercitati a trazione a vapore km. 14.991 (88,5%), a trazione elettrica km. 1937 (11,5%).
Il materiale rotabile era costituito da 5520 locomotive a vapore, di 3 automotrici a vapore, di 827 locomotive elettriche, di 32 automotrici elettriche, di 5 automotori con motore Diesel elettrico, di 3 automotrici con motore a scoppio, di 6326 carrozze a carrelli, di 2064 carrozze a 2 o 3 sale, di 4302 bagagliai e carrozze postali, da 150.448 carri per merci e bestiame.
Il traffico sulla rete, distinto per merci, viaggiatori e bagagli, e i relaprodotti, risulta dalla tabelle V, VI, VII.
Il prodotto chilometrico varia sensibilmente a seconda dell'importanza delle linee; l'ultima statistica ufficiale pubblicata dalle Ferrovie dello stato è quella relativa all'esercizio 1927-28; da essa si rileva che per la rete a scartamento ordinario il massimo prodotto chilometrico si ha sulla linea Genova-Arquata (km. 43), che ha reso L. 627.000 col traffico dei viaggiatori e dei bagagli e L. 1.437.000 col traffico merci, in totale L. 2.064.000 per km.
II più basso prodotto chilometrico è stato quello della linea Golfo Aranci-Terranova Pausania (km. 21) ehe ha reso L. 5000 (L. 1000 per i viaggiatori e bagagli e L. 4000 per le merci).
Nei riguardi delle linee a scartamento ridotto della Sicilia il massimo prodotto è quello della linea Palermo-S. Carlo (km. 106), pari a L. 29.000 per km. (viaggiatori e bagagli L. 20.000, merci L. 9000); il più basso, quello della linea Filaga-Palazzo Adriano (km. 14), pari a L. 6000 (di cui L. 3000 per i viaggiatori e bagagli e L. 3000 per le merci).
I risultati finanziarî hanno variato dall'anteguerra al 1930-31 come dalla tab. VIII.
Dati statistici delle Ferrovie private. - Al 31 dicembre 1930 la lunghezza reale d'esercizio delle ferrovie private era di km. 5269, di cui 2237 a scartamento normale e 3032 a scartamento ridotto. Del complesso, km. 3871 erano a trazione a vapore, km. 1388 a trazione elettrica, 10 con automotrici a scoppio. Gli scartamenti ridotti variavano da 0,62 a 1, 10 con il maggior numero di km. (2632) a o,95.
ll materiale rotabile era costituiio da 634 locomotive a vapore, 111 locomotori elettrici, 191 automotrici elettriche, 24 automotrici speciali, 2467 vetture, 7879 carri merci. Il traffico ammontò nel 1930 a 76.190.478 viaggiatori, a 9.137.489 tonn. di merci.
I prodotti dell'esercizio al netto delle tasse erariali e di bollo furono (in lire):
Il prodotto chilometrico è molto variabile e va per le linee a scartamento ordinario da L. 893.826 sui 21 km. della linea Milano-Bovisa-Saronno a L. 8782 sui km. 54 della linea Siena-Monteantico; per le linee a scartamento ridotto, da L. 173.831 sui km. 43 della linea Napoli-BarraPompei-Sarno a L. 4021 sui km. 12 della linea Potenza-Pignola.
Le sovvenzioni dello stato all'industria privata per costruzione ed esercizio di linee ammontarono nel 1927 a L. 150.155.808, di cui 20.375.849 per ferrovie a scartamento normale e 129.779.959 per ferrovie a scartamento ridotto. Gl'introiti e partecipazioni dell'erario furono di 15.160.929.
Le ferrovie elettriche. - Nel 1897 una commissione di ingegneri ferroviarî incaricata d'indagare sulla convenienza dell'elettrificazione di alcune ferrovie propose al governo di eseguire quattro esperimenti: due sulle linee Bologna-S. Felice e Milano-Monza mediante vetture automotrici ad accumulatori; uno sulle linee della Valtellina (Lecco-Colico-Sondrio e Colico-Chiavenna) con corrente trifase ad alta tensione a bassa frequenza, e una a corrente continua, terza rotaia, sulla Roma-Frascati (sostituita poi con la Milano-Varese che aveva un traffico più importante).
Sulla Milano-Monza e sulla Bologna-S. Felice il servizio venne iniziato rispettivamente nel 1899 e nel 1901 ma cessò nel 1903. Sulla Valtellina il servizio fu iniziato nell'ottobre 1902 e fu stabilito in modo da adattare gl'impianti anche alle maggori esigenze di un completo servizio ferroviario di grande traffico, così da sperimentare in modo esauriente la convenienza del nuovo sistema di trazione. Sulla Milano-Varese l'esercizio venne iniziato nell'ottobre 1901 per soli viaggiatori applicando il principio dei treni frequenti e leggieri, con risultati molto soddisfacenti.
In seguito ai quattro esperimenti, sì vide chiaramente che l'applicazione della trazione elettrica invece che a linee di traffico limitato era più particolarmente adatta alle linee di traffico intenso che consentivano di ripartire e sfruttare meglio le spese di primo impianto. Quando poi nel luglio 1905, l'amministrazione dello stato subentrò alle società private nell'esercizio della rete, pensò di studiare in maniera più vasta il problema e soprattutto di stabilire la convenienza d'impianti elettrici per i grandi servizî merci. Fu scelta per i successivi esperimenti la linea dei Giovi, da Pontedecimo a Busalla, che in Europa è la linea di grande traffico di maggiore pendenza (35%). I risultati dell'esercizio elettrico su questa linea furono una brillante affermazione del sistema trifase, e una piena conferma della fiducia posta nella trazione elettrica per la risoluzione del problema dello smaltimento celere del traffico nei valichi. Nell'esercizio 1909-10, che fu l'ultimo completo a vapore, il movimento complessivo annuale del traffico fra Sampierdarena e Ronco (via Busalla) fu di 142.6 milioni di tonnellate-chilometro virtuali rimorchiate nei due sensi; nell'esercizio 1911-12, che fu il primo completo elettrico, tale movimento era salito a 279,4 milioni e, nel successivo esercizio 1912-13, a 312,2 milioni, con tendenza ad aumentare ulteriormente. In seguito a questi risultati fu deciso di applicare la trazione elettrica ad altri valichi, come la "Succursale" (v. sopra, p. 127) il Cenisio e la Savona-Ceva, ciò che avvenne fra il 1912 e il 1915. Si elettrificarono inoltre la Monza-Lecco e la Savona-Sampierdarena. Il beneficio dell'elettrificazione dei valichi apparie grande durante la guerra e soprattutto alla fine del 1917 quando, per le gravi necessità della difesa nazional, si dovettero intensificare al massimo grado i trasporti delle linee della Liguria e del Cenisio. Su quest'ultima, nel 1918 si giunse a trasportare 514 milioni di tonnellate-chilometro virtuali rimorchiate nei due sensi, mentre con la trazione a vapore se ne trasportavano circa 110 milioni.
Cessata la guerra, l'ascesa dei prezzi del carbone, il fervoroso risveglio delle opere civili, nonché opportuni provvedimenti legislativi (decretolegge 25 gennaio 1916) facilitanti le operazioni finanziarie, spinsero ad una più intensa applicazione del nuovo sistema di trazione. Le ferrovie provvedevano all'elettrificazione, sempre col sistema trifase, della linea Susa-Bussoleno-Torino-Ronco e linee accessorie verso Voghera, aprendole all'esercizio nel periodo dal 1919 al 1923, ed effettuando così un collegamento fra le reti elettrificate del Piemonte e della Liguria. Nel frattempo studiavano un programma più generale di elettrificazione, tenendo però presenti i perfezionamenti meccanici ed elettrici introdotti negli altri sistemi di trazione, e specialmente i risultati ottenuti in America con la corrente continua ad alta tensione. Si sperimentarono così il sistema trifase a frequenza industriale 10.000 volt sulla Roma-Sulmona e la corrente continua 3000 volt sulla Foggia-Benevento. Particolare studio fu rivolto anche a quanto concerne la fornitura e il trasporto dell'energia, per realizzare un più stretto e facile collegamento tra gl'impianti ferroviarî e quelli industriali.
Lo sviluppo che ha avuto nell'ultimo decennio l'elettrificazione sulla rete ferroviaria dello stato è veramente superbo. Al 30 giugno 1921 erano in esercizio km. 529,7 di linee elettriche con km. 1045 di binari; il traffico, per l'anno 1920-21, era risultato di 2393,7 milioni di tonnellate-chilometro virtuali rimorchiate, il consumo di energia di 75,9 milioni di kWh. Al 30 giugno 1931, dopo l'elettrificazione delle linee a intenso traffico, Torino-Ronco, Genova-Spezia-Livorno, Bologna-Porretta-Firenze e di altre, le linee elettrificate salivano a km. 1732,8 e i binarî elettrificati a km. 3535 con un traffico, per l'anno 1930-31, di 11.648,9 milioni di tonnellate-chilometro virtuali rimorchiate e un consumo di energia di 359,6 milioni di kWh. Le caratteristiche principali dei gruppi di linee in esercizio al 30 giugno 1931 erano le seguenti: 1. linee piemontesi-liguri-toscane-emiliane: km. 1186,5, trifase 3700 volt 16,7 periodi; 2. Bolzano-Brennero: km. 89,3, id. id.; 3. Monza-Lecco e Valtellinesi: km. 142,8, trifase 3400 volt 15,8 per.; 4. Roma-Avezzano: km. 103,4, trifase 10.000 volt 45 per.; 5. Foggia-Benevento: km. 101,4, continua 3000 volt; 6. Milano-Varese-Porto Ceresio: km. 72,5, continua 700 volt 3ª rotaia; 7. Napoli-Villa Literno: km. 36,9, id. id. Non sono compresi nei dati relativi al 1931 la Trento-Malè e la Brunico-Campo Tures, di proprietà privata esercitate dallo stato, rispettivamente di km. 59,5 e 15,3, a corrente continua 650 volt e la Domodossola-Iselle di proprietà dello stato, ma esercitata dalle Ferrovie federali svizzere, di km. 19,1 a corrente monofase 15.000 volt a 16,7 per. Risultavano in costruzione al 30 giugno 1931 la Spezia-Fornovo e S. Stefano-Sarzana (aperte nel marzo 1932) di km. 96 a trifase 3700 volt 16,7 per.; la S. Dalmazzo-Piena di 24,2 km. dello stesso sistema; l'Avezzano-Sulmona di 68,8 km. a trifase 10.000 volt 45 per.; la Benevento-Napoli (aperta nell'ottobre 1931) di 96,1 km. a corrente continua 3000 volt e la Firenze-Bologna direttissima, di 97,3 km. dello stesso sistema.
È importante notare che nelle nuove importanti costruzioni è applicato il sistema della corrente continua a 3000 volt, mentre il vecchio sistema trifase è applicato solo a quelle linee, ancora esercitate a vapore, che si trovano nelle zone elettrificate già con tale sistema o ad esse adiacenti.
La preferenza per la corrente continua non è da ascrivere a cattivi risultati dell'esercizio a trazione elettrica trifase. Questo si dimostra soddisfacente, sulla massima parte della rete elettrificata; e se l'elettrificazione si fosse contenuta per linee di montagna, percorse cioè da treni a velocità non troppo elevate, difficilmente si sarebbe avuto un cambiamento di sistema. Invece a far preferire il nuovo sistema è stato il duplice inconveniente del sistema trifase di mancare dell'elasticità di regolazione della velocità, che è necessaria soprattutto su linee percorse da treni rapidi; e di avere inoltre un'attrezzatura aerea un po' complicata, con la quale le altissime velocità (al disopra dei 100 km./ora) difficilmente si sarebbero potute mantenere.
D'altra parte i grandi progressi ottenuti in questi ultimi tempi nella costruzione dei raddrizzatori a vapore di mercurio, e i lusinghieri risultati conseguiti negli esperimenti sulla Benevento-Foggia, grazie agli studî fatti direttamente dai tecnici delle Ferrovie dello stato, sia nella parte degl'impianti fissi (sottostazioni, linea di contatto), sia nella parte del materiale mobile (locomotori), fanno prevedere per le linee che saranno elettrificate col sistema a corrente continua 3000 volt piena corrispondenza alle esigenze d'un traffico ferroviario pesante, intenso e veloce.
L'alimentazione delle linee elettriche ha luogo sia mediante centrali di proprietà delle Ferrovie dello stato, sia mediante centrali di proprietà privata. Un terzo circa dell'energia necessaria è fornita dalle prime, e cioè da quattro centrali idroelettriche (Morbegno, Bardonecchia, Pavana, Sagittario) e una centrale termica di riserva (Chiappella); è in corso di costruzione inoltre un grande impianto idroelettrico a Suviana per lo sfruttamento dei bacini imbriferi del Reno e delle Limestre. Il rimanente dell'energia è fornito da imprese private, sia direttamente alle caratteristiche ferroviarie, sia alla frequenza industriale per essere poi convertita alla frequenza ferroviaria in appositi centri di conversione favorevolmente situati a tale scopo (Arquata, Ligonchio, Bologna), in modo cioè da alimentare adeguatamente le ferrovie elettrificate, evitando le perdite dovute a lunghe linee di trasporto e assicurando in tutti i casi un'alimentazione sulla quale si possa fare sicuro assegnamento.
Per riserva delle sottostazioni fisse di trasformazione del sistema trifase le Ferrovie dello stato possiedono sedici sottostazioni ambulanti della potenza ciascuna di 2500 kVA e anche due sottostazioni ambulanti per corrente continua equipaggiate con un raddrizzatore a vapore di mercurio, della potenza di 2000 kW ciascuna.
Oltre alle linee elettrificate della rete F.S. vi erano, al 31 dicembre 1930, circa 1360 km. di ferrovie elettriche esercitate da società private, senza contare le tramvie elettriche urbane e suburbane. Di esse km. 379 erano a scartamento normale e km. 981 a scartamento ridotto. Le linee elettrificate rappresentano circa il 27% della rete ferroviaria privata (circa 5000 km.); però tale percentuale è in continuo aumento dato anche che su molte linee sono in corso miglioramenti agl'impianti per aumentarne il rendimento.
Dal punto di vista del sistema, nessuna linea è stata elettrificata col trifase (fa eccezione la linea Sondrio-Tirano che è attualmente in corso di elettrificazione col sistema trifase 3700 volt 16 per. trattandosi di una naturale continuazione delle linee Valtellinesi delle Ferrovie dello stato); e ciò perché si tratta di linee con prevalente movimento viaggiatori, e in ogni modo con traffico relativamente leggiero e di percorso breve, per cui la mancanza di elasticità dei motori sarebbe stata uno svantaggio non lieve. Si è preferito invece il sistema a corrente continua con motore a collettore eccitato in serie. Per qualche linea di più lungo percorso per sfruttare il vantaggio dell'alta tensione (Roma-Civitacastellana-Viterbo) si è applicato anche il monofase. Ma con i progressi segnalati nel campo della corrente continua anche questo sistema si è dimostrato superato, e la stessa linea Roma-Viterbo in cui è applicato sta per essere trasformata a corrente continua 3000 volt. In complesso il 14% delle linee sono elettrificate a corrente monofase e l'86% a continua con tensione che è andata crescendo fino a 2400-3000 e anche 3600 volt (Torino-Ceres).
Fra le linee ferroviarie private va ricordata particolarmente la rete della Società Nord-Milano (km. 270 circa), che servendo una zona assai industriale è chiamata a svolgere un intenso traffico suburbano. Per tale società l'elettrificazione non ha avuto soltanto ragioni di convenienza economica; essa s'imponeva per aumentare la capacità di traffico dei tronchi di linea stabilendo un servizio rapidissimo suburbano specialmente su certe direzioni (Milano-Bovisa-Saronno; Bovisa-Meda). La linea è stata elettrificata con corrente continua 3000 volt.
Trasporti ferroviarî militari.
I trasporti militari comprendono il trasporto di personale, di quadrupedi, di derrate e di materiali varî eseguiti per conto delle forze armate dello stato, della Croce rossa e dell'Ordine di Malta. Essi hanno molta importanza nelle operazioni belliche, perché servono prima e durante le operazioni al concentramento e allo spostamento delle truppe (trasporti strategici), e durante il combattimento allo spostamento rapido delle riserve (trasporti tattici). Inoltre concorrono a sovvenire ai bisogni delle truppe assicurando i rifornimenti e gli sgomberi.
I trasporti militari sono eseguiti o con treni ordinari o con treni appositi; gli uomini sono trasportati o con le comuni carrozze ferroviarie o con carri merci opportunamente sistemati, i materiali in genere con carri ordinarî, le artiglierie speciali di grosso calibro, gli aeroplani, la carne con speciali carri. I feriti e gli ammalati vengono trasportati mediante treni-ospedale costituiti di varie carrozze attrezzate con barelle, con un carro per la disinfezione, un carro cucina, una carrozza per medici e infermieri. Speciali cautele sono prescritte per il trasporto degli esplosivi, inneschi, proiettili, liquidi speciali, ecc. Per il trasporto d'interi reparti organici sono previsti, a seconda delle varie armi e specialità, appositi treni-tipo.
I trasporti militari vengono eseguiti sulla base di appositi ordini di movimento, compilati dai competenti organi militari d'accordo con le amministrazioni ferroviarie. Le stazioni si scelgono in relazione ai piazzali di scarico, agli accessi, ai binarî, ai piani caricatori, di cui esse son fornite.
La velocità dei treni militari è sempre limitata, sia a causa della lunghezza e composizione dei treni stessi, sia perché si preferisce la regolarità alla celerità di movimento. Nel caso che su una linea si debbano far transitare in breve tempo numerosi treni militari si stabilisce l'orario dei treni a intervallo eguale e costante fra loro (treni a corse parallele). Nei riguardi militari il rendimento di una linea si indica col massimo numero di treni militari che possono transitare sulla linea stessa in un intervallo di tempo di 24 ore. Tale rendimento dipende dalle caratteristiche della linea. Per i trasporti dei materiali e delle derrate dalle stazioni-termine di linea ai magazzini, ovvero in vicinanza delle truppe, si utilizzano sovente ferrovie a scartamento ridotto e da campo costruite ed esercitate da speciali reparti, ma il loro rendimento è limitato e diminuisce rapidamente con l'aumentare della loro lunghezza.
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