ferroterapia
Uso a scopo terapeutico di composti del ferro. In condizioni normali circa un terzo del ferro corporeo totale è depositato nei tessuti, gli altri due terzi hanno carattere funzionale e vengono regolati in base al fabbisogno dell’organismo. I due terzi del ferro funzionale sono dislocati nelle emazie, nella mioglobina, in alcuni enzimi intracellulari, ecc. Vari fattori regolano il metabolismo del ferro: apporto alimentare, quota di produzione endogena derivata dal riciclaggio del ferro proveniente da globuli rossi distrutti, transferrina, ferritina, epcidina. Quest’ultima molecola è una proteina che regola l’assorbimento del ferro a livello intestinale e la sua liberazione dai macrofagi. Studi recenti (2009) sull’epcidina hanno dimostrato che il suo ruolo sembra essere quello di modulare la disponibilità del ferro dai depositi. Varie condizioni (maggiore utilizzo del ferro, ridotto assorbimento a livello intestinale, emorragie) possono causare carenza di ferro. Un uomo adulto e la donna non più fertile perdono circa 1 mg di ferro al giorno; nella donna fertile questo valore raddoppia, a causa delle mestruazioni con le quali si perdono da 20 a 40 mg di ferro al mese. Pertanto in tutte le condizioni nelle quali si ha necessità di ferro questo deve essere reintegrato. In genere la somministrazione per via endovenosa è migliore presidio terapeutico, sebbene possa esserci qualche rischio di non tolleranza. Esistono comunque prodotti somministrabili per via orale.