FERRERO DELLA MARMORA, Alfonso
Nacque a Torino il 18 nov. 1804 dal marchese Celestino e da Raffaella Argentero di Bersezio, penultimo di una lunga serie di fratelli e sorelle.
Come molti cadetti della nobiltà subalpina il F. fu avviato alla carriera delle armi: il 21 febbr. 1816 venne ammesso all'Accademia militare di Torino; il 3 luglio di quello stesso anno divenne paggio d'onore del re; il 2 marzo 1822 fu promosso sottotenente d'artiglieria. Il 1ºmarzo 1823, uscito dall'Accademia con il grado di sottotenente, fu assegnato al corpo d'artiglieria della Venaria reale, dove ottenne la promozione a capitano (30 ag. 1831). Nella prima metà degli anni Quaranta compì numerosi viaggi in Italia e all'estero, sia per istruzione propria, sia per studiare, su incarico del governo, l'organizzazione militare dei paesi stranieri. Nel 1844 fu in Algeria, nel 1846 in Grecia, Turchia ed Egitto. Nel frattempo, il 9 nov. 1841, era stato nominato tra i primi scudieri del duca di Genova, Ferdinando di Savoia. Con l'avvento del regime costituzionale iniziò la sua vita politica: fu eletto deputato, nella prima legislatura, per il collegio di Racconigi; dal 1849 al 1857 sarebbe stato rieletto ininterrottamente per il collegio di Pancalieri e dal 1857 al 1874 per quello di Biella.
Nel 1848 partecipò alla prima guerra d'indipendenza agli ordini del duca di Genova ed il 28 aprile di quell'anno fu decorato con la croce dei Ss. Maurizio e Lazzaro per essersi distinto nei combattimenti di Mozambano, Valeggio e Peschiera. Il 4 giugno fu promosso colonnello. Nell'agosto 1848 gli venne affidata una missione a Parigi per portarvi, come ambasciatore straordinario, dispacci ministeriali e per cercare di ottenere l'invio di un generale francese da porre al comando dell'esercito sardo, richiesta che non venne soddisfatta. Il 27 ott. 1848 ottenne la promozione a maggiore generale e, dall'ottobre al dicembre 1848, fu chiamato a far parte del governo Perrone come ministro di Guerra e Marina; ricoprì nuovamente questa carica dal 2 al 9 febbr. 1849 nel ministero Gioberti. ma chiese di essere esonerato per poter partecipare alla guerra contro l'Austria che stava per riprendere.
Ritornò così sul campo di battaglia al comando della 6ª divisione, che dai primi di febbraio si raccolse intorno a Sarzana con l'incarico di avanzare verso Parma, dove giunse quando gli Austriaci avevano ormai vinto a Mortara.
Il 1ºapr. 1849 ottenne la promozione a luogotenente generale. Dopo la sconfitta di Novara, essendo scoppiati a Genova moti popolari fomentati dai circoli repubblicani e democratici che rifiutavano la pace con l'Austria, il F. ricevette l'incarico di reprimere la sollevazione ed il 1º apr. 1849 fu inviato in quella città in qualità di commissario straordinario con pieni poteri.
Il F. giunse con il suo esercito nei pressi di Genova il 4 aprile. Nella città il fronte degli insorti si stava intanto già spaccando, poiché una larga parte della borghesia, spaventata dalle violenze delle masse popolari influenzate dai repubblicani e dai democratici, si stava ritirando dalla lotta. La difesa della città fu quindi male organizzata ed insufficiente. Il F. occupò facilmente Sampierdarena ed alcuni forti del lato occidentale della città, dopodiché intimò la resa che, tuttavia, venne respinta. Il giorno successivo il F. iniziò il bombardamento di Genova; il 9 aprile, grazie alla concessione di un'amnistia per quasi tutti i compromessi da parte del governo di Torino, il Municipio accettò la capitolazione.
Il 15 apr. 1849 gli fu conferita la medaglia d'oro al valor militare per aver ristabilito l'ordine nella città ligure ed il giorno successivo venne promosso comandante del II corpo d'armata. Il 2 nov. 1849 fu nuovamente nominato ministro della Guerra e mantenne quella carica quasi ininterrottamente fino al 1ºapr. 1855 durante i ministeri d'Azeglio e Cavour. Fu in questo periodo che il F. si adoperò per riorganizzare l'esercito del Regno di Sardegna, in modo da portarlo allo stesso livello di quelli stranieri più potenti e per ovviare a quei difetti che erano stati una delle cause delle sconfitte del 1848-49.
Il F. cercò, innanzitutto, di creare un esercito di professionisti, basato più sulla "qualità" che sulla "quantità" dei soldati, con la legge del 1854. Presentata al Senato fin dal 3 febbr. 1851, fu approvata nella sua forma definitiva, soltanto il 20 marzo 1854 e modificata nel 1857. L'aspetto più controverso di quella legge era rappresentato dal drastico prolungamento del servizio perà coscritti, che passò da quattordici mesi a quattro o cinque anni. Successivamente questi elementi della cosiddetta "prima categoria" prestavano servizio ancora per sei anni nella riserva. Il sistema di selezione dei coscritti restava sempre lo stesso: il sorteggio, con possibilità, per alcuni, di essere esonerati e con il diritto, per gli altri, di trovarsi, dietro pagamento, un sostituto. Gli uomini della "seconda categoria", invece, dovevano sottoporsi soltanto ad un periodo di addestramento di quaranta giorni e poi passavano per cinque anni nella riserva.
Le riforme militari attuate dal F. nel decennio 1849-59 mirarono soprattutto a migliorare i corpi ed i servizi che si erano mostrati più carenti durante le spedizioni belliche; i vari sistemi di rifornimento per la sussistenza vennero razionalizzati ed unificati nell'intendenza; la cavalleria fu alleggerita, mentre i bersaglieri vennero aumentati e l'artiglieria riordinata. Fu incrementato il sistema di avanzamento basato sul merito, più che sull'anzianità: i sottotenenti vennero reclutati per due terzi dall'Accademia e per un terzo dai sottotifficiali; i tenenti, promossi per anzianità in tempo di pace, dovevano essere promossi solo per merito in tempo di guerra ecc., mentre per gli alti ufficiali, dal grado di tenente colonnello in su, fu introdotto il sistema della promozione per merito in ogni circostanza, sia in pace sia in guerra. La ferma divenne di cinque anni per la fanteria (sette per la riserva), di sei per i bersaglieri e l'artiglieria (cinque in più nella riserva), di sette per la cavalleria (tre nella riserva).
Il 29 nov. 1849 il F. sposò la contessa inglese Giovanna Teresa Bertie Mathew, da cui ebbe, il 29 nov. 1851, un figlio, Carlo, che morì appena nato.
Nella primavera del 1855 diede le dimissioni da ministro della Guerra, in seguito alla nomina a comandante in capo della spedizione in Crimea (1º apr. 1855). Colà mise per la prima volta alla prova la nuova organizzazione dell'esercito. Certamente la fortunata campagna militare in Oriente, dove i soldati piemontesi si distinsero nella battaglia della Cernaia, che fu peraltro l'unico importante scontro a cui parteciparono, contribuì a creare una nuova positiva immagine dell'esercito sabaudo anche presso corti e governi stranieri.
Mentre stava volgendo al termine la guerra in Crimea, il F., pur senza un incarico ufficiale, compì anche alcuni viaggi diplomatici a Londra ed a Parigi per preparare le condizioni di pace e spianare così la strada al Cavour in vista del futuro congresso di Parigi: egli era ormai divenuto uno dei principali fautori della politica dello statista piemontese.
Nel giugno 1856, rientrato in patria, il Parlamento, a riconoscimento dell'opera prestata in Oriente, gli donò, con un'apposita legge, un terreno demaniale sugli spalti della demolita cittadella di Torino, per la costruzione di una casa. Il F., con l'acquisto di un terreno contiguo, poté così erigere un vasto palazzo signorile, su progetto dell'areffitetto G. Bollati.
Con r. d. del 6 giugno 1856 il F. riassunse il portafoglio della Guerra, che terrà fino alla primavera del '59.
Nel periodo della seconda guerra d'indipendenza il F., lasciando l'interinato del ministero da lui presieduto al Cavour, partecipò alle operazioni belliche presso il quartier generale dell'esercito, a fianco del re. Combatté a Palestro e, dopo che gli Austriaci vennero respinti da Madonna della Scoperta, prese il comando delle divisioni "Durando" e "Fanti" e le condusse verso San Martino, dando così un valido contributo per quella vittoria. Dopo la pace di Villafranca, che condusse alle burrascose dimissioni di Cavour da capo del governo, il re incaricò il F. di presiedere il nuovo ministero; il iq luglio 1859 egli ricevette la nomina ufficiale a presidente del Consiglio e ministro della Guerra.
La situazione era molto incerta e complicata per i governi provvisori instaurati nei Ducati, nelle Legazioni ed in Toscana, poiché non si sapeva ancora con certezza se il principio del non intervento sarebbe stato effettivamente osservato dalla Francia e dall'Austria, né si poteva escludere un intervento indiretto di quest'ultima sotto forma di appoggio non ufficiale a tentativi di riscossa dei sovrani spodestati. Il governo di Torino non poteva più conservare dei governatori a Parma ed a Modena e dei commissari a Firenze ed a Bologna, poiché ciò sarebbe stato palesemente in contrasto con la volontà francese ed austriaca. Proprio per questo Cavour, nei pochi giorni intercorsi tra le sue dimissioni e l'insediamento del governo La Marmora-Rattazzi, incoraggiò i liberali dell'Italia centrale ad organizzare governi provvisori che fossero in grado di mantenere l'ordine e di difendere i rispettivi paesi da eventuali attacchi dei sovrani spodestati. In una situazione tanto delicata il governo La Marmora-Rattazzi, politicamente piuttosto eterogeneo, era alquanto debole. Il presidente del Consiglio ed il ministro degli Esteri, G. Dabormida, attuarono una politica di prudenza e di attesa, caratterizzata da una certa accondiscendenza nei confronti di Napoleone III. Non si oppose a questa politica neppure U. Rattazzi, Ministro dell'Interno, l'uomo più influente del ministero.
Dopo il ritorno di Cavour alla presidenza del Consiglio (20 genn. 1860) al F. venne affidato il comando del II dipartimento militare (quello di Milano), che avrebbe dovuto costituire un efficace sistema di difesa alla frontiera con i domini austriaci del Veneto, in caso di un'eventuale aggressione da parte dell'Impero asburgico. Nel gennaio 1861 il F. fu inviato da Cavour a Berlino, in missione diplomatica, per prestare omaggio al nuovo re Guglielmo I. Ritornato in patria, si dedicò all'attività di deputato in rappresentanza del collegio di Biella, che nelle elezioni del 1860 gli aveva riconfermato il mandato.
Fu in questo periodo che scoppiò la polemica con M. Fanti, il nuovo ministro della Guerra, il quale dovette riorganizzare l'esercito in seguito alla nascita del nuovo Stato italiano. Il Fanti, facendo fronte all'endemica mancanza di quadri superiori, si vide costretto ad ingrossare battaglioni e reggimenti per diminuire il bisogno di ufficiali superiori. Il 23 marzo 1861 il F., in un'interpellanza alla Camera, chiese un voto di sfiducia contro il governo, proprio in relazione al nuovo ordinamento militare. Le proposte del F. furono respinte, ma già nel 1862 l'ordinamento del Fanti venne rinnegato e si ritornò ai reggimenti di quattro battaglioni con quattro compagnie ciascuno.
Dopo la morte di Cavour e la formazione del primo ministero Ricasoli, che si trovò ad affrontare i gravi problemi dell'Italia unita - dal deficit del bilancio statale al brigantaggio meridionale -, il F. riprese servizio attivo nell'esercito come comandante del VI dipartimento militare di Napoli (ottobre 1861) ed ottenne anche la nomina a prefetto di quella città. Egli radunò così nelle sue mani la direzione politica e militare delle province meridionali proprio negli anni in cui si stava maggiormente diffondendo il brigantaggio.
Il F. aveva ben compreso che una simile lotta non avrebbe potuto essere vinta coi soli mezzi militari, ma che sarebbero stati necessari anche decisi interventi politici; tuttavia non gli furono sufficienti i pieni poteri civili che per qualche tempo gli vennero concessi come prefetto delle province napoletane. Tale carica gli fu infatti presto tolta (11 febbr. 1863), molto probabilmente in seguito a scontri e compromessi avvenuti all'interno del Parlamento.
Nel settembre 1864 il F. lasciò l'incarico nelle province meridionali per assumere, per la seconda volta, la carica di presidente del Consiglio, insieme con quella di ministro degli Affari esteri e di ministro di Marina, incarico, quest'ultimo, che ricoprì solo fino al 21 dic. 1864.
Il nuovo ministero La Marmora risultò composto da uomini provenienti dal vecchio Centrodestra e dal vecchio Centrosinistra, ma con prevalenza del primo, di cui il presidente del Consiglio era uno dei principali rappresentanti. Fra i primi provvedimenti presi dal governo del F. ricordiamo il trasferimento della capitale a Firenze, che avvenne nei primi mesi del 1865, senza che a Torino si ripetessero i tumulti che avevano portato alle dimissioni del ministero Minghetti. Inoltre, durante il suo ministero, fu portato a compimento il processo di unificazione legislativa di tutto lo Stato. Negli anni precedenti era già stata attuata l'unificazione doganale, monetaria, finanziaria e quella dell'ordinamento scolastico; ora con la legge 20 marzo 1865 fu realizzata l'unificazione amministrativa, e con quella del 20 aprile l'unificazione dei codici. In sostanza si trattò della estensione a tutta la penisola della legislazione già esistente nello Stato sabaudo, la quale a sua volta si ispirava al modello napoleonico con caratteristiche piuttosto accentratrici.
Il 23 dic. 1865 il F. si dimise da presidente del Consiglio, in seguito all'approvazione da parte della Camera di un o.d.g. con il quale si invitava il governo a non eseguire il decreto del 23 ott. 1865, che affidava il servizio di tesoreria alla Banca nazionale dal 10 genn. 1866, prima che fosse approvato dal Parlamento. Ottenuto dal re, il 31 dicembre, l'incarico di costituire il nuovo governo, il F., in qualità di ministro degli Esteri, preparò l'alleanza con la Prussia in vista della terza guerra d'indipendenza. Nel giugno 1866 il F. lasciò le cariche di governo per assumere il comando delle operazioni belliche, in qualità di capo dello stato maggiore dell'esercito e di ministro senza portafoglio presso il re. I difficili rapporti con il sovrano, che aveva assunto il comando supremo dell'esercito, sebbene il F. avesse quello effettivo, e i malintesi con E. Cialdini, che ambiva a quella stessa carica, furono una delle cause della disgraziata giornata di Custoza e delle polemiche che ne seguirono.
Durante la campagna contro l'Austria il F. ebbe a disposizione dodici divisioni suddivise in tre corpi d'armata che si schierarono sul Mincio. Il Cialdini, invece, che aveva lo stesso grado di generale d'armata, ottenne un corpo d'armata formato da otto divisioni, che si schierò sulla sponda destra del Po lungo il confine con il Veneto. La mancata chiarificazione dei rapporti che dovevano intercorrere tra i due generali e la mancata creazione di una rete di collegamento rapida e sicura tra i due comandi portarono alla tragica conclusione di quelle operazioni militari. Il 24 giugno il F. fece passare il Mincio ad una piccola parte delle sue truppe, che si scontrarono con l'esercito imperiale a Custoza. I reparti italiani furono costretti ben presto a ripiegare e la ritirata si svolse in modo caotico e disordinato. Cialdini, venuto a conoscenza della sconfitta di Custoza, anziché procedere all'attacco degli Austriaci sul fianco sinistro del loro schieramento, preferì ripiegare più a sud allontanandosi dalle sponde del Po. Solo qualche giorno dopo ci si rese conto degli errori di valutazione in cui si era caduti e si ripensò di riprendere le ostilità.
Il 18 ag. 1866 il F. si dimise da capo di stato maggiore e da ministro; il 28 sett. 1866 ebbe il comando del V dipartimento militare (Firenze), che tenne per un anno. Nel 1868 si accentuò la polemica col Cialdini sulle responsabilità della condotta della guerra e della sconfitta di Custoza, in seguito alla quale il F. si difese con un opuscolo intitolato Schiarimenti e rettifiche (Firenze 1868), a cui il Cialdini reagì con un altro scritto: Risposta del generale Cialdini all'opuscolo "Schiarimenti e rettifiche del generale La Marmora" (ibid. 1868). Dopo la presa di Roma fu nominato luogotenente generale del re per Roma e per le province romane (9 ott. 1870), incarico che ricoprì fino al febbraio 1871.
Il mese successivo fu collocato in disponibilità. Negli ultimi anni di vita diede alle stampe alcune opere in cui esponeva il proprio punto di vista a proposito di episodi di cui era stato protagonista: i moti di Genova del 1849 (Un episodio del Risorgimento italiano, Firenze 1875), la guerra del 1866 (Un po' più di luce sugli eventi politici e militari dell'anno 1866,ibid. 1873), e la riorganizzazione dell'esercito, su cui pubblicò una serie di discorsi pronunciati alla Camera (Quattrodiscorsi del generale La Marmora ai suoi colleghi della Camera sulle condizioni dell'esercito italiano,ibid. 1871).
Il F. si spense a Firenze il 5 genn. 1878 e venne sepolto a Biella.
Fonti e Bibl.: L'archivio della famiglia Ferrero della Marmora è conservato presso la Sezione di Archivio di Stato di Biella. Riguardo ai documenti relativi al F. custoditi nel suddetto Archivio cfr. l'ampio catalogo a stampa di M. Cassetti, Le carte di A. F. d. M. Spunti per una biografia e un epistolario,Torino 1979, a cui si rimanda anche per una bibliografia dettagliata sul personaggio e sulle vicende di cui fu partecipe. Per ampie notizie biografiche cfr. G. Massari, Il generale A. Lamarmora. Ricordi biografici, Firenze 1880; L. Chiala, Ricordi della giovinezza di A. La Marmora, I-II,Roma 1881; A. Moscati, Iministri del '48, Napoli 1948, pp. 219-242; Sezione di Archivio di Stato di Biella, A. F. d. M. e il suo tempo. Mostra documentaria, a cura di M. Cassetti-G. Silengo, Vercelli 1978. Per notizie sulla sua carriera cfr. Archivio di Stato di Torino, Sezioni Riunite, Indice Patenti controllo Finanze, 1831-1842, 1843-1850, ad nomen.
Per brevi cenni biografici cfr. Enc. Italiana XX, pp. 402 s.; Enc. militare, III, p. 705; Diz. del Risorg. naz., III,pp. 77 s. Su alcuni episodi della sua vita politica cfr. L. Chiala, Le général La Marmora et l'alliance prussienne, Paris 1868; M. Degli Alberti, Per la storia dell'alleanza e della campagna di Crimea (1853-1856), Torino 1910, pp. 1-299; Carteggi di A. La Marmora,a cura di A. Colombo - A. Corbelli - E. Passamonti, Torino 1928; Genova nel 1848-49, Genova 1950, ad Indicem; Il Regno di Sardegna nel 1848-1849nei carteggi di Domenico Buffa, a cura di E. Costa, II-III, Roma 1968-1970, ad Indicem; Ministero degli Affari esteri. Commissione per la pubblicazione dei documenti diplomatici, I documenti diplomatici italiani s. 1, 1861-1870, II-V, Roma 1959-1977; s. 2, 1870-1896, II, Roma 1966, ad Indicem;R. Romeo, Cavour e il suo tempo, Bari 1977-84, II-III, ad Indicem; G. Monsagrati, A. F. d. M., Bettino Ricasoli, Urbano Rattazzi, Roma 1991, pp. 9-59.