FENZONI (Faenzoni, Fanzoni, Fanzone), Ferraù (detto anche Ferraù da Faenza)
Nacque da Mario e da Cornelia di Antonio Benai nel 1562, come si deduce dall'iscrizione che si trovava sulla sua tomba (cfr. Valgimigli, 1875, p. 135, a cui si fa riferimento per tutte le altre indicazioni documentarie, quando non sia altrimenti specificato). Luogo di nascita fu probabilmente, come tramandano tutte le fonti, Faenza (od. provincia di Ravenna), dove la famiglia, originaria di Brisighella, si era trasferita già dal 1533 e dove il padre del F., come apprendiamo da un rogito del 23 nov. 1566, esercitava l'arte del droghiere. Terzo di cinque figli, il F., a detta del Mancini (1617-1621, p. 241), "nella sua patria havendo liavuto commodità per la copia delle buone pitture d'apprendere i principij dell'arte...", manifestò ben presto le sue naturali doti per la pittura ed il disegno.
Si recò a Roma verso la fine del pontificato di Gregorio XIII (morto nel 1585) e qui, secondo il Baglione (ms. 1642), svolse il suo primo incarico pubblico partecipando, insieme con V. Salimbeni, G. Stella e altri, alla decorazione della loggia delle benedizioni in S. Giovanni in Laterano.
Una questione che occorre anzitutto affrontare è quella relativa al rapporto tra il F. e il pittore F. Vanni, indicato da molti, a cominciare dal Valgimigli (1875), come il "maestro" del F.; in realtà, come ha dimostrato lo Scavizzi, il Vanni apprese dal faentino più di quanto non gli avesse dato.
La vicenda romana del pittore faentino va letta, invece, all'interno di quel clima variegato, emblematico, a volte spiritato e sconvolto, aspramente conflittuale, del tardo manierismo romano. In questo clima, spesso è arduo individuare le influenze incrociate, che pur necessariamente dovettero esserci. soprattutto tra i pittori che lavorarono ai cicli sistini. Al F., a detta del Baglione, era da attribuire innanzitutto la decorazione dei vano di passaggio tra la navata destra di S. Giovanni in Laterano e la scala che conduce al palazzo Lateranense (l'opera andò perduta durante i rifacimenti borrominiani).
Delle altre opere eseguite all'interno del palazzo certamente è da ascrivere al F. il grande affresco (1588), nel salone dei Patti, che raffigura il detto evangelico Pasce oves meas.
L'opera, rivendicatagli dallo Scavizzi (1966), apre un confronto interessante tra l'attività di pittore e quella di disegnatore, settore, quest'ultimo, frequentatissimo dall'artista sino a tarda età, se già lo Scannelli (1657) affermava: "... nella sua ultima vecchiezza dissegnava di continuo con la penna, e dava in tal modo a conoscere il talento, e il gusto della Professione ...". Un disegno a carboncino con l'Assunzione della Vergine, della Biblioteca Ambrosiana di Milano, costituisce, anche per alcuni dati tipologici, un preciso termine di riferimento per l'affresco lateranense come anche per altre opere coeve del F.: per es., per un personaggio della Biblioteca di Atene nella Biblioteca Sistina (1589; cfr. Ruggeri, 1972; nello stesso luogo Scavizzi, 1966, assegna al F. anche l'Istituzione delle crociate). Eproprio in questo caso solo le cifre stilistiche, legate anche alle opere successive, permettono un'attribuzione dell'affresco al F. (per l'attività grafica del F. vedi in particolare Scavizzi, 1966; Ruggeri, 1967 e 1972; Gere-Pouncey, 1983).
Probabilmente il contributo più importante che l'artista apportò al programma sistino è quello degli affreschi nella Scala santa (1589); il Baglione gli riconosce il Mosè e il serpente di bronzo, La Crocefissione, La Flagellazione (che tuttavia Scavizzi, 1960, assegna al Salimbeni) e Caino e Abele.
Il ciclo, diretto da Domenico Fontana per volere di Sisto V, ricopre volte e pareti delle scale, annullando qualsiasi elemento murario e mirando al raggiungimento di una esclusiva rappresentazione pittorica. Da A. Lilio a G. Nogari, a A. Viviani, a P. Brill furono una ventina i pittori, oltre al F., attivi in questo complesso ciclo di affreschi. Del Mosè e il serpente di bronzo ricordiamo due disegni preparatori: uno nel Museo naz. di Budapest, dove è rappresentato un nudo che si contorce cercando di liberarsi da un serpente (pubbl. da Voss, 1920, p. 507, fig. 200), e l'altro nel Gabinetto disegni e stampe degli Uffizi, che presenta uno schizzo dell'intera composizione. Questa è stata incisa da F. Villamena (Valgimigli, 1875, p. 140; cfr. Baglione, 1649, e L. De Angelis, Aggiunte a G. Gori Gandellini, Notizie degli intagliatori, XV, Siena 1816, p. 56, dove il F. è chiamato Ferrante Franzoni). Al di là di reminiscenze michelangiolesche, e pur risentendo dell'influenza del Lilio, il F. raggiunse effetti di un pittoricismo stemperato, e nello stesso tempo di forte dinamismo compositivo e di accentuato espressionismo. Nella Crocefissione la carica espressionistica consegue livelli di brutafità tormentata, certamente anche per effetto dell'influenza del manierismo nordico; ma la scena con Cainoche uccide Abele rappresenta forse il momento più forte di questa scelta formale mediata anche dall'opera di H. Goltzius (cfr. Scavizzi, 1960), che, proprio in quegli anni, cominciava ad esser conosciuto nell'ambiente romano.
L'attività romana del F. proseguì negli anni 1590-91 con la decorazione della cappella di S. Francesco in S. Maria in Trastevere e con i lavori all'interno dell'appartamento di Pio V in Vaticano. Di questi ultimi abbiamo, solo generiche informazioni; lo Scavizzi (1966) attribuisce al F. due figure allegoriche (Giustizia e Fortezza) nel fregio della prima stanza e, sui due soffitti, i QuattroEvangelisti, tre dei quattro Dottori della Chiesa e gli Angeli. Dell'opera in S. Maria in Trastevere, ricorda il Baglione (ms. 1642): "...Dipinse ... la prima cappella a mano manca dedicata a S. Francesco dove egli sul altare è formato a olio che riceve le stimmate e nella volta sta un Dio Padre con quantità di Angeli, e Puttini, e altri angeli che suonano diversi istromenti ... e dalle bande si vegono in fresco lavorate due storie di S. Francesco ...". E proprio in S. Francesco che riceve le stigmate si evidenziano quelle spigolosità anticlassiche, giocate in una mobilità di chiaroscuri, ai limiti di una ricercata stilizzazione.
Nei primi anni dell'ultimo decennio del secolo il F. partecipò, insieme con altri artisti del gruppo di Sisto V, alla realizzazione del ciclo di affreschi della Vita della Vergine in S. Maria Maggiore, sulle pareti della navata centrale tra le finestre, commissionato dal card. Domenico Pinelli e terminato nel 1593: secondo il Titi (1674-1763, pp. 139 s.) si devono al F. "la Concettione della Madonna, ... l'Apparitione dell'Angiolo a S. Giuseppe..., la Madonna che va in Egitto, e quando ritorna, ... e l'historia di N. S. che porta la Croce".
Questi affreschi aprono un nuovo corso stilistico alla pittura del F., che, forse anche per un ipotizzato viaggio in terra emiliana, venne a contatto con l'ambiente bolognese, da B. Passarotti ai Carracci. All'esecuzione spesso secca e nervosa delle altre opere romane subentra qui una stesura ampia e a volte solenne, sostenuta da una linea più larga e morbida; secondo il Viroli (1992, p. 316) vi si avverte "l'influenza della cultura baroccesca". Vicina a questi affreschi è la Deposizione dei Musées de la ville di Poitiers (esposta al Musée Rupert de Chièvres; cfr. Pouncey, 1956, che mette in relazione con questo dipinto un bel disegno degli Uffizi; Scavizzi, 1966, p. 49; Sapori, 1989, p. 96).
Sullo scorcio del secolo si pone un soggiorno in Umbria, contrassegnato da un numero notevole di opere. Il F. risiedette e lavorò per circa sei anni (forse già dal 1593 e fino al 1599) a Todi, dove fu chiamato dal vescovo Angelo Cesi, probabilmente per il tramite del card. Domenico Pinelli, cardinale legato in Umbria (Sapori, 1989). L'attività del F. nella regione è stata individuata negli ultimi anni con maggior precisione grazie ai documenti conservati nell'Archivio vescovile di Todi, recentemente riordinato (cfr. Sapori, 1989; C. Ridolfi, F. F. in Umbria, in Pittura del Seicento in Umbria, 1990, pp. 33-35; v. inoltre, per un elenco dettagliato delle opere, M. Castrichini, F. F. Repert. delle opere in Umbria, ibid., pp. 37 s., ill. pp. 38-68).
Nel 1594 il F. ebbe un primo pagamento per il gonfalone (perduto) della Ss. Annunziata (doc. in Pittura del Seicento in Umbria ..., 1990, p. 302, n. 10) e di quello stesso anno sono gli affreschi nel salone del Palazzo vescovile. Ma l'impresa più notevole e di maggior prestigio fu l'intervento nella decorazione, voluta dal Cesi, dell'interno del duomo di Todi, che prese le mosse dal grandioso Giudizio universale affrescato sulla controfacciata, datato in una iscrizione 1596, dove si intersecano una concezione a tratti accademica e note di sorprendente realismo. Al 1597 risalgono varie pale d'altare eseguite per il duomo e conservate nella Pinacoteca comunale di Todi, tranne la paia con S. Michele Arcangelo che vince il demonio, tuttora nel duomo, nella cappella Cesi decorata anche da affreschi del F. con Storie di s. Michele Arcangelo, mentre la Messa di s. Gregorio, sempre in Pinacoteca, si trovava in origine in S. Fortunato. Altre opere del F. in Umbria: Foligno, vescovado, una Annunciazione, eseguita per il duomo; Gualdo Cattaneo, parrocchiale, cappella del Santissimo, affreschi con Storie di s. Michele Arcangelo e figure di Santi;la Deposizione della sacrestia del duomo di Perugia è "forse fra le più antiche opere umbre" del F. (Sapori, 1989, pp. 95 s.).
Ritornato definitivamente a Faenza nel 1599, il 2 maggio 1603 il F. prese in moglie Anna di Cesare Naldi, sua concittadina, di ottimi natali, che gli diede un figlio, Pompeo, morto subito dopo la nascita. Ebbe un'altra figlia, Leonora, nel 1612 da una contadina, certa Domenica Baldassarri.
Le disposizioni testamentarie, dettate più volte dal F., dalla prima del 1615 all'ultima del 1645, mostrano come egli seguisse con grande senso di responsabilità la figlia illegittima, tanto da disporre agli eredi usufruttuari di "... ridur in casa di esso testatore Leonora sua figliuola naturale, et quella custodirla, allevarla, governarla, alimentarla, vestirla, tenerla, et trattarla come se fosse figliuola d'alcuno di loro e come fosse figliuola del detto testatore legittima e naturale ..." (Valgimigli, 1875, p. 135).In questi anni le saltuarie tendenze accademiche, già espresse nel duomo di Todi, assumono maggior consistenza e la memoria del primo manierismo, nella ricerca di ritmi atti a bilanciare masse e movimenti, si evidenzia nei temi compositivi della sua ultima attività romagnola.
Nel 1600 (docum. citati da Valgimigli, 1875, p. 142) eseguì la Probatica piscina, già in S. Giovanni Decollato a Faenza e ora nella Pinacoteca comunale. All'inizio di questo periodo faentino va anche collocato, secondo F. Zeri (La Gall. Pallavicini in Roma, cat., Firenze 1959, p. 109), un Cristo sulla strada del Calvario di quella galleria (v. anche Id., 1970). Nella cattedrale di Faenza il F. decorò tre cappelle: quella di S. Carlo con Storie di s. Carlo Borromeo, dove lavorò da solo (1613-14); quella della Madonna del Popolo (Adorazione dei magi) e quella di S. Savino (Storie del santo);nelle ultime due lavorò (1612-1616) con il pittore urbinate B. Marini, a cui si devono le pitture delle volte (Colombi Ferretti, 1988).
Databili al 1612, perché stilisticamente vicine alle pitture della cattedrale di Faenza, sono la Nascita e il Transito della Vergine in S. Apollinare Nuovo a Ravenna (Viroli, 1992, p. 286). Secondo il Viroli, è preparatorio a quest'ultimo dipinto un disegno a penna dei British Museum di Londra, gia riconosciuto al F. in Gere-Pouncey, 1983. In queste opere, come nel Martirio di s. Sebastiano nella chiesa faentina di S. Stefano, le declinazioni figurative appaiono fortemente tese ad una regolarizzazione volumetrica. Ancora nella Deposizione (eseguita nel 1623 per la cappella di famiglia nella chiesa, ora distrutta, di S. Cecilia), conservata nella Pinacoteca di Faenza, o nella Madonna in trono con s. Sebastiano e s. Rocco nella chiesa di S. Francesco a Bagnacavallo, l'evidente ricerca di monumentalità non riesce a sostituire la forza delle opere romane. Ed infine, in altre opere conservate nella Pinacoteca di Faenza, come Cristo sulla strada del Calvario, o la Morte della Vergine (proveniente dalla distrutta chiesa di S. Paolo), la ricerca di equilibrio compositivo annulla, a volte, la potenza espressiva. Solo una parallela analisi dell'opera grafica di questi anni, letta in rapporto alle stesure dei fogli giovanili, solleva in parte il F. dal compiaciuto giudizio di conversione accademica stilato dal Mancini (1617-1621, p. 241): "... opera molto meglio adesso che non faceva in Roma, essendo più riservato, più suave nel colorito, come m'è parso osservar in un quadro che ho visto di suo nel Duomo di quella città [Faenza], fatto doppo che lui è tornato: che non ha molto paura di quel dei Dossi della Disputa di Cristo nel Tempio, ivi incontro ...".
A Faenza il F. sembra aver raggiunto un solido status borghese: nel 1634 ricevette dal Consiglio della città le cariche di vicario e di castellano di Granarolo e nel 1640 divenne, per interessamento del card. G. Colonna, cavaliere dello Speron d'oro. La sua arte era molto apprezzata: il Valgimigli (1875, p. 135 n. 1) ricorda una Rassegna di varie illustri poesie dedicate all'immortalità del glorioso pennello del signor F. Fenzonio, pubbl. da A. Armanini nel 1639.
Il F. morì a Faenza l'11 apr. 1645; fu sepolto nella chiesa di S. Cecilia (distrutta).
Fonti e Bibl.: G. Mancini, Considerazioni sulla pittura [1617-1621], a cura di A. Marucchi-L. Salerno, I-II, Roma 1956-1957, ad Indicem;Bibl. ap. Vaticana, ms. Chigi, G. VIII, 222: G. Baglione, Dialogotra un forestiero e un gentiluomo romano sopra i pittori scultori e architetti dal tempo di Gregorio XIII a quello di Urbano VIII (1642), c. 25v (la Vita del F., pubblicata in Pittura del Seicento in Umbria, 1990, p. 339, secondo la trascrizione di C. Ridolfi, non è compresa nell'ediz. stampata delle Vite del Baglione, Roma 1642, né nelle successive; in queste viene tuttavia citato come Ferraù da Faenza, a proposito di "molti" suoi disegni, "tra i quali è quello di Mosè, e del Popolo co'l serpente nel deserto", incisi da Francesco Villamena; cfr. rist. anast. Bologna 1975, della 2edizione [Roma 1649], p. 393);F. Scannelli, Microcosmo della pittura [1657], a cura di L. Giubbini, Milano 1966, pp. 202 s.;F. Titi, Studio di pittura, scoltura ed architett. nelle chiese di Roma [1674-1763], a cura di B. Contardi-S. Romano, Firenze 1987, ad Indicem;G. C. Malvasia, Felsina pittrice [1678], Bologna 1841, I, p. 376 (riporta dal Baglione la Vita di Baldassar Croce: in un brano che non compare nell'edizione stampata del Baglione è citato "Ferraù da Faenza"); L. Lanzi, Storia pittorica della Italia ... [1808], a cura di M. Capucci, III, Firenze 1974, p. 100; G. M. Valgimigli, Cenni biogr. intorno al cav. F. F. pittore, in Atti e mem. della R. Dep. di storia patria per le prov. di Romagna, s. 2, I (1875), pp. 133-149; H. Voss, in U. Thieme-F. Becker, Künstlerlexikon, XI, Leipzig 1915, p.392, s v.; Id., Die Malerei der Spätrenaissance in Rom und Florenz, Berlin 1920, pp. 505-508, 523; A. Venturi, Storia dell'arte ital., IX, 7, Milano 1934, pp. 1005-1016; P. Pouncey, Mise au tombeau de F. F., in Bull. des Amis des Musées de Poitiers, fasc. spec., 1956, pp. 5 s.; G. Scavizzi, Su Ventura Salimbeni, in Commentari, X (1959), pp. 115-136; Id., Note. sull'attività romana del Lilio e del Salimbeni, in Boll. d'arte, XLIV (1959), pp. 33-40; Id., Gliaffr. della Scala santa ed alcune aggiunte per il tardo manierismo romano, ibid., XLV (1960), I, pp. 111 s.; 2, pp. 325-335; Id., Sugli inizi del Lilio e sugli affr. del pal. Lateranense, in Paragone, XII (1961), 137, pp. 44-48; Id., F. as a draughtsman, in Master drawings, IV (1966), pp. 3-20; U. Ruggeri, Aggiunte a F. Fenzone, in Critica d'arte, XIV (1967), 88, pp. 51-57; F. Zeri, Pittura e Controriforma, Torino 1970, pp. 103-105; U. Ruggeri, Novità per F. Fenzone, in Critica d'arte, XIX (1972), 123, pp. 58-72; Pittura del '600 e '700. Ricerche in Umbria, 2, Treviso 1980, ad Indicem (con ulter. bibl.); C. Strinati, Roma nell'anno 1600, in Ricerche di storia dell'arte, X (1980), p. 26; A. Colombi Ferretti, Dipinti d'altare in età di Controriforma in Romagna (cat.), Bologna 1982, pp. 29 s.; I. A. Gere-P. Pouncey, Italian drawings ... in the British Museum ... (cat.), London 1983, pp. 73 ss., tavv. 88-96; L. Arcangeli, in A. Lilli nella pittura delle Marche... (cat. d. mostra, Ancona), Roma 1985, pp. 119-124; A. Colombi Ferretti, in Faenza. La basilica cattedrale, Firenze 1988, pp. 139-143 (con ill.); N. Roio, F. F., in Imago Virginis (cat. a cura di M. Cellini), Cesena 1988, pp. 88-91; A. Bacchi-A. Lo Bianco, in La pittura in Italia. Il Cinquecento, Milano 1988, II, p. 463 e passim (ad Indicem);A. Colombi Ferretti, ibid., p. 711 (biografia, con ulter. bibl.); G. Sapori, in Pittura del Seicento. Ricerche in Umbria, cat. della mostra (Spoleto), Perugia 1989, pp. 94-96; Pittura del Seicento in Umbria..., a cura di F. Todini, Todi 1990, pp. 39-68 (con bibl. aggiornata); A. Marzo, La coll. ... della Cassa di risparmio di Cesena, Bologna 1991, pp. 82-87 (Conversione di s. Paolo, acquistata sul mercato antiquario); S. Casadei, Pinacoteca di Faenza, Bologna 1991, pp. 88 ss.; G. Viroli, in Lapitt. in Emilia e in Romagna. Il Seicento, I, Milano1992, pp. 285 s., 316-320; A. Zuccari, Ipittori di Sisto V, Roma 1992, ad Indicem;G. Tancioni, in Roma di Sisto V. Le arti e la cultura (catal.), a cura di M. L. Madonna, Roma 1993, p. 531 e passim; Diz. encicl. Bolaffi dei pittori... ital., IV, pp. 349-353.