FERRARI, Giovanni, detto il Torretto (Torretti)
Nacque a Crespano dei Grappa (Treviso) il 5 giugno del 1744 da Gaetano, scalpellino, e da Domenica Tedesco, nipote dello scultore Giuseppe Bernardi detto il Torretto (o Torrettino) (Bernardi, 1938). Nel 1755, all'età di undici anni, si trasferì a Venezia, dove entrò nella bottega del Bernardi. Alla morte di quest'ultimo, avvenuta il 22 febbraio 1773 (e non 1774), il F. ereditò lo studio, situato in contrada S. Marina, e il soprannome. In questo periodo portò a termine una serie di statue lasciate incompiute dallo zio, aiutato, tra gli altri, anche da Antonio Canova. che era entrato nella bottega di Bernardi verso il 1770-1771 e che vi rimase per un certo periodo anche sotto la direzione del Ferrari.
Negli anni 1774-75 scolpì le statue della Sapienza (o Consiglio) e della Prudenza per il giardino della villa Contarini-Tiepolo (ora Passi) a Carbonera di Treviso: "Queste sculture ci mostrano la sua predilezione per un fitto pieghettare delle vesti che era stata anche una caratteristica del primo dei Torretto" (Semenzato, 1966, p. 68). Nel 1777 chiuse lo studio di Venezia e intraprese un viaggio. Soggiornò a Mantova, dove scolpì un "Angiold pelle Monache di S. Vincenzo" (Moschini, 1806, p. 120); a Modena, dové fece lo Stemma dell'università e, per il portale della chiesa di S. Barnaba, realizzò due statue rappresentanti la Fede e la Speranza e due angeli reggenti una corona (ibid.); a Bologna, dove istudiò alla Specola" e "fece quindi gli ornati all'altare" della chiesa di S. Maria della Vita (ibid.). Le opere eseguite in queste città non sono state fino ad ora identificate.
Fu sicuramente a Roma a partire dal 1779. Il 16 novembre Canova annotava nei suoi Quaderni di viaggio1779-1780 (in Scritti, I, 1994, p. 61) di essersi recato nello studio "del signor Gardelli" (identificato con Lorenzo Cardelli, restauratore e mercante. danfichità), dove lavorava il Ferrari. Questi lasciò ben presto lo studio di Cardelli per entrare in quello di F. A. Franzoni, dove Canova andò a fargli visita il 12 aprile 1780 (ibid., p. 128 f. 50v; Moschini, 1806, p. 120). Ritornato a Venezia, iniziò a scolpire in pietra tenera la serie di statue per il Prato della Valle a Padova, attività che lo tenne impegnato fino al 1796.
Il consistente numero di opere che venne commissionato al F., ben ventidue, è indice, nonostante il livello formale sia da ritenersi nell'insieme decoroso anche se un po' stucchevole, dello stato di decadenza della scultura veneta di quegli anni. Possiamo individuare in esse" due componenti principali: una che porta lo scultore verso le posizioni neoclassiche ed un'altra invece che gli fa realizzare un naturalismo più spicciolo, già ottocentesco e borghese (Semenzato, 1966, p. 68).
Le statue eseguite per il Prato della Valle sono: Antonio Michiel, commissionata da un gruppo di nobili padovani come atto di stima al figlio Angelo, podestà di Padova, collocata nel 1781; Domenico Lazzarini, commissionata dai professori dello Studio e collocata nel 1789; Taddeo Pepoli, commissionata da Alessandro Pepoli, collocata dopo il 1795; Marco Mantova Benavides, commissionata da Federico Augusto elettore di Sassonia (l'opera già iniziata nell'autunno del 1788, fu collocata dopo il 1794); Andrea Mantegna, commissionata dal margravio di Magdeburgo, Anspach e Bayreuth; Paolo II, commissionata da Pio VI, collocata prima del 1784; Eugenio IV, commissionata dai monaci della Congregazione cassinese, collocata nel 1782; Giovan Maria Memmo, commissionata da Pietro duca di Curlandia, forse nel dicembre del 1784, quando il duca passò per Padova (Puppi, 1986, p. 167). collocata nel 1787; Gustavo Adamo Banner, commissionata da Federico Adolfo re di Svezia; Gustavo II Adolfo re di Svezia, commissionata da Gustavo III re di Svezia e collocata nel 1784; FilippoSalviati, commissionata dal cardinale Gregorio Salviati, collocata nel 1786; Uberto Pallavicini, commissionata da Muzio Pallavicini, collocata nel 1786; Alessandro VIII, commissionata dalla duchessa Ottoboni Serbelloni, collocata nel 1787; Clemente XIII, commissionata dai fratelli Rezzonico, collocata nel 1786; Antonio Canova, commissionata da Antonio Cappello, collocata nel 1796 (Canova è rappresentato mentre sta scolpendo il ritratto di Marcantonio Cappello); Francesco Pisani, commissionata da Alvise e Francesco Pisani, collocata nel 1795; Giulio Pontedera, commissionata da Teodoro elettore di Baviera, collocata nel 1785; NicolòTron, commissionata dall'arte della lana, collocata nel 1782; Francesco Guicciardini, commissionata dal principe di Nassau, collocata nel 1783; Iacopo Menochio, commissionata da Alberico di Belgioioso, collocata nel 1785; Giovanni Sobieski, commissionata da Stanislao II Poniatowski re di Polonia, collocata nel 1784; Stefano Báthory, collocata nel 1789, commissionata dallo stesso (cfr. Neumayr, 1807; Scorzon, 1975; Puppi, 1986).
Prima del 16 maggio 1792, data di inaugurazione del teatro La Fenice di Vinezia, il F. scolpì per la facciata di terra due statue raffiguranti Melpomene e Tersicore (Brusatin-Pavanello, 1987, pp. 35, 142-144) e, secondo le testimonianze di Moschini, eseguì i bassorilievi interni, dei quali, dopo l'incendio del 1837, ne rimangono due raffiguranti Muse sulla parete est di fronte alle scale (Moschini, 1806, p. 120; Brusatin-Pavanello, 1987, p. 138). Subito dopo il 1792 scolpi il monumento all'Ammiraglio Angelo Emo.
L'opera, firmata nell'affusto "Opus Gio: Ferrari Toreti", è considerata dalla critica come il capolavoro dell'artista e "una delle più felici creazioni della statuaria veneta di quel momento" (Semenzato, 1966, p. 68; cfr. Pavanello, 1978, n. 83). Il monumento, collocato inizialmente nella chiesa dei servi, fu trasferito nel 1812 in quella di S. Martino e nel settembre 1818 a S. Biagio, dove si trova tuttora (Mutinelli, 1841, p. 657).
Nel 1798 il F. eseguì per l'altare maggiore della chiesa di S. Geremia di Venezia le statue di S. Pietro e di S. Geremia, entrambe firmate e datate "Gio. Toreti F. 1798". Tra la fine del Settecento e i primi anni dell'Ottocento scolpì quattro statue di soggetto mitologico per il portale d'ingresso al parco della villa Contarini, ora Gritti-Moschini a Stra (una di queste è firmata "Opus Gio Ferrari Toreti"). Prima del 1806 portò a termine "due statue per San Pietroburgo, l'Iride e la Cometa" ed esegui i busti "del Procuratore Pesaro, del Patriarca Giovanelli, dell'architetto Morigia di Ravenna" (Moschini, 1806, p. 120). Queste opere non sono state identificate. Moschini (ibid.) ci informa che il F., aiutato dallo scultore F. Androsi, sistemò al Cattajo il museo Obizzi e a Venezia quello dei Grimani. Nel 1804 venne eletto tra i "Deputati al nuovo piano" dell'Accademia di belle arti di Venezia (Bassi, 1941). È probabilmente in questo periodo che iniziò a lavorare per la famiglia Savorgnan, anche se non è noto quali opere realizzò per il conte Giulio che il F., in una lettera indirizzata a Canova da Venezia,: datata 14 gennaio 1809 - con la quale ringrazia il famoso scultore "delle cento lire che m'avete spedito per rifugio delle mie miserie" (Bassano del Grappa, Biblioteca civica, Mss. Canoviani, IV. 392.3250) -, definisce come "mio mecenate".
Dal documento apprendiamo che il F., a causa della partenza del conte Savorgnan per Vienna, era rimasto "per quindeci mesi ... senza mesata e senza lavoro" (ibid.) e che durante la maggior parte di questo periodo era "stato mantenuto dal sig. Pietro Bastasin senza niun interesse e per puro effetto d'umanità" (ibid.). Questo gli aveva evitato di dover cercare "la lemosina ovvero cercar lavoro in altri paesi perché sinora mi fu inebito di travaliar per altri e solo il Conte voleva essere servito e per conseguenza sono rimasto senza lavoro abenché mi ritrovo sessantaquatro ani e di perfeta salute" (ibid.). In una successiva lettera, datata 29 settembre 1809 (ibid., IV, 392-3251), indirizzata all'"amatissimo mio benefattore" Canova, il F. lo informa che non essendo riuscito a ottenere il più piccolo rimborso dal conte Giulio Savorgnan si era visto costretto a rivolgersi "alla giustizia de' tribunali, onde dalla loro giustizia e autorità ottenere il pagamento". Si lamenta di essere senza lavoro e "sentendo pronosticare vicina la sua venuta in Venezia" chiede a Canova di essere raccomandato "agli architetti del Palazzo Regio che è per costruirsi in questa Comune, acciò gli venghino somministrati de' lavori" (ibid.). Il7 apr. 1810 Canova scriveva al suo procuratore in Venezia F. Tonioli di continuare "la solita mensuale carità al Torretti" (Padova, Museo civico, Mss. 14124, 1867/2).
Molto probabilmente prima del 1811 eseguì due angeli per gli acroteri del timpano esterno della chiesa di S. Servolo a Venezia (Moschini, 1826; Niero, 1969, p. 131). Vengono attribuiti al F. gli angeli dell'altar maggiore della chiesa di S. Rocco di Dolo, consacrata nel 1824 (Semenzato, 1966, p. 68;Tiozzo-Semenzato, 1968, pp. 35, 87).
Morì a Venezia il 2 nov. 1826 (Moschini, 1826;Niero, 1969, p. 132).
Secondo Moschini (1806, p. 121), il F. ebbe come allievi, oltre al Canova, Antonio Bosa e Luigi Zandomeneghi.
Il figlio del F., Gaetano (di cui non si conosce la data di nascita), nel 1808 vinse il secondo premio all'Accademia di Venezia (Mutinelli, 1841 p. 138; Hubert, 1964, p. 263); nel 1810 il 1º accessit come modellatore dal nudo (Mutinelli, 1843, p. 139; Hubert, 1964, p. 263); nel 1814: il 1º accessit per il gruppo di nudo in plastica; il 1º premio per l'azione semplice in plastica; il 1ºpremio per la statua in plastica; il 1º accessit per il busto in plastica (Mutinelli, 1843, p. 142).
Nel 1820 partecipò in qualità di scultore all'esposizione di Venezia con tre Teste di ninfe e una Testa di Cristo coronato di spine in bassorilievo. Nel 1826 scolpì, a partire da un bozzetto di Rinaldo Rinaldi, il busto di Giannantonio Moschini, da cui nel 1834 venne eseguita una copia in bronzo. Nel 1841, dopo la morte di Moschini, l'originale fu posto nel seminario di S. Maria della Salute a Venezia (Mothes, II, 1860, p.341; Thieme-Becker, p. 449). Gaetano eseguì, per la facciata principale della basilica di S. Marco di Venezia, un Leone di bronzo (Venezia e le sue lagune, 1847, p. 26). Scolpì inoltre due bassorilievi in marino raffiguranti una Testa del Redentore e un Cherubino;un Busto muliebre, sempre in marmo, e una piccola statua rappresentante il Genio del Commercio (Chevalier, 1832).
Morì a Venezia nel 1847.
Fonti e Bibl.:Necr. di G. Moschini, in Suppl. al Nuovo osservatore veneziano, 11 nov. 1826; G. Moschini, Agli ornatissimi fratelli Niccolò e Girolamo co: da Rio, in Giornale dell'italiane letterature, 8 novembre 1806, pp. 120 s.; A. Neumayr, Illustrazione del Prato della Valle ossia della piazza delle Statue di Padova, Padova 1807, I, pp. 83-112, 149 s.; II, 286-303, 311-333; 351-385; G. Moschini, Guida per la città di Venezia, I, Venezia 1815, pp. 50, 65; Id., Nuova guida per Venezia, Venezia 1828, p. 61; P. Chevalier, Note su alcune produzioni di belle arti, Venezia 1832, pp. 187-188 (per Gaetano); F. Mutinelli, Annali urbani di Venezia dall'anno 810 al 12 maggio1797, Venezia 1841, pp. 629, 657; Id., Annali delle province venete dall'anno 1801 al 1840, Venezia 1843, pp. 138 s., 142 (per Gaetano); Venezia e le sue lagune, II, Venezia 1847, pp. 26 (per Gaetano), 312, 331; P. Selvatico, Sulla architettura e sulla scultura in Venezia dal medio evo sino ai nostri giorni, Venezia 1847, p. 449; O. Mothes, Geschichte der Baukunst und Bildhauerei Venedigs, II, Leipzig 1860, pp. 305, 327, 341 (per Gaetano); A. D'Este, Memorie di A. Canova, Firenze 1864, pp. 7 s.; A. Dall'Acqua Giusti, Icaro e Dedalo, gruppo del Canova dono delle nobili Pisani collocato nell'Accademia, Venezia 1877, p. 9; F. Nani Mocenigo, Artisti venez. del sec. XIX, Venezia 1898, p. 28; A. G. Meyer, Canova, Bielefeld-Leizig 1898, p. 7; V. Malamani, Canova, Milano 1911, pp. 6 s.; F. Nani Mocenigo, La letteratura venez. del sec. XIX, Venezia 1916, p. 278; A. Muñoz, Ilperiodo venez. di Antonio Canova e il suo primo maestro, in Bollett. d'arte, n.s., IV (1924-1925), pp. 110-113; G. De Logu, La scultura ital. del Seicento e del Settecento, II, Firenze 1933, p. 64; E. Bassi, G. Selva architetto veneziano, Padova 1936, pp. 89 s.; C. I. Bernardi, La scuola pagnanese del Torretto. Canova e la fortuna dei parenti poveri, Vedelago 1938, pp. 53-60; E. Bassi, La Regia Accademia di belle arti di Venezia, Venezia 1941, p. 42; G. Spezzati, Le ville venete della Riviera del Brenta, Venezia 1962, pp. 172 s.; G. Hubert, La sculpture dans l'Italie napoléonienne, Paris 1964, pp. 35, 64, 67, 260 s., 263 (per Gaetano); L. Salamina, Disegni veneti del Museo di Leningrado (catal.), Venezia 1964, n. 126; C. Semenzato, La scultura veneta del Seicento e Settecento, Venezia 1966, pp. 67 s.; G. B. Tiozzo-C. Semenzato, La Riviera del Brenta, itinerario storico-geografico e guida delle ville e degli edifici notevoli, Treviso 1968, pp. 35, 87, 90, 121; A. Niero, Inedita sullo scultore G. F. Torretto (1744-1826), in Ateneo veneto, n. s., VII (1969), pp. 129-132; E. Scorzon, IlPrato della Valle e le suestatue, Trieste 1975, pp. 66, 70, 72, 76, 78, 80, 94, 112, 144, 146, 154, 156, 158, 160, 166, 168, 170, 174, 176, 178 e passim;G. Pavanello, F. Torretto, G., in Venezia nell'età di Canova 1780-1830 (catal.), Venezia 1978, n. 83, p. 66; L. Puppi, Prato della Valle. Due millenni di storia di un'avventura urbana, Padova 1986, pp. 152, 162, 164, 168-173; M. Brusatin-G. Pavanello, Il teatro La Fenice, Venezia 1987, pp. 35, 138, 144, 149, 151; A. Canova, Scritti, a cura di H. Honour, I, Roma 1994, ad Indicem;U. Thieme-F. Becker, Künstlerlexikon, XI, pp. 449 (per Gaetano).